Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c2
Capitolo secondoL'organizzazione sindacale di fabbrica negli anni '50-'60: strutture e ideologie
1. La prima formulazione della CISL.
Delle necessità di una specifica
organizzazione sindacale in azienda si è parlato nell’ambito della CISL fino dai primi
tempi di vita dell’associazione. La discussione teorica e l’impostazione operativa della
questione sono rimaste situate per lungo tempo al massimo livello del sindacato, quello
confederale. Di origine confederale sono i primi accenni all’urgenza di attuare una
presenza sindacale nell’impresa più organica di quella indiretta attraverso le
commissioni interne e le tesi che ne costituiscono le basi teorico-politiche. Basti
ricordare, fra i primi documenti in questo senso, i testi programmatici sulla politica
salariale e contrattuale e sulle condizioni umane e sociali nelle aziende approvati dai
consigli generali di Ladispoli e di Roma nel 1953, ove sono già chiari i motivi
sostanziali che richiedono nuove prassi organizzative in azienda
[1]
; e le risoluzioni del Consiglio generale di Roma ¶{p. 32}del
29-31 luglio 1954, che costituiscono la prima organica teorizzazione della sezione
aziendale e insieme il suo atto di nascita ufficiale
[2]
. Analogamente sono gli uffici confederali a fornire una compiuta
elaborazione di questi primi indirizzi programmatici sotto il profilo teorico e a
curarne la diffusione ai vari livelli periferici dell’associazione proponendoli a tutto
il sindacato come fondamentale impegno politico organizzativo. In quest’opera di
divulgazione, che si estende con indubbia ampiezza ai vari gradi associativi, il modello
dell’istituto non riceve significativi contributi critici o modifiche rispetto alla
formulazione originaria neppure dalle categorie già più consolidate o più direttamente
coinvolte, come i metalmeccanici. Il dibattito sull’organizzazione aziendale, che pure
per la sua relativa novità e per la collocazione strategica, poteva prestarsi a proficue
verifiche d’opinioni dentro l’associazione e nei riguardi degli altri sindacati, specie
della CGIL, non raggiunge fino a tempi recenti un grado di sistematicità e di
consapevolezza tale da superare la mera ripetizione di formule oppure la casistica
applicativa delle indicazioni confederali
[3]
. Anche per questo il modello del ¶{p. 33}nuovo istituto
assume una configurazione definita in tutti i suoi tratti essenziali e una indubbia
coerenza interna già nella sua elaborazione iniziale, rivelando un grado di stabilità
nel tempo, che lo fa giungere sostanzialmente immutato ben avanti negli anni ’60.
Una simile prevalenza dell’iniziativa
confederale, con la conseguente stabilità delle soluzioni proposte, non costituisce un
fenomeno eccezionale dell’istituto in esame né esclusivo della CISL, ma riflette una
tendenza riscontrabile per tutti i problemi di maggiore rilievo nella nostra politica
sindacale negli anni ’50 e spesso fino a tempi ben più recenti
[4]
. Essa trova corrispondenza, e in parte giustificazione storica,
nell’iter formativo del sindacalismo italiano di quegli anni,
caratterizzato, com’è noto, da un processo di ricostruzione dall’alto in basso e da una
durevole prevalenza delle strutture orizzontali su quelle di categoria. Una progressiva,
anche se non completa, inversione di tendenza, per questo come per altri aspetti della
politica sindacale, si ha solo con il crescente affermarsi in
¶{p. 34}tutti i sindacati italiani a partire dal 1960, dei processi di
decentramento e di «verticalizzazione» diretti a sviluppare l’autonomia delle strutture
verticali e periferiche rispetto al vertice confederale. In concomitanza con il
rafforzarsi di questa autonomia alcune categorie più importanti hanno dato l’avvio, qui
e altrove, a una elaborazione propria e a una specificazione delle tesi confederali, che
talora, come appunto nel caso della FIM, le ha portate a porsi con queste in netta antitesi
[5]
.
2. Ragioni ideologiche e circostanze contingenti della politica organizzativa della CISL.
L’idea dell’organizzazione sindacale
di fabbrica, pure se venuta alla luce «con i contorni informi dell’intuizione»
[6]
, appare fin dall’inizio chiaramente legata alle tesi centrali di politica
sindacale in quegli anni avanzate dalla CISL: alle proposte di una articolazione
contrattuale a livelli inferiori a quello confederale, fino all’ambito d’azienda;
all’esigenza, tradizionalmente affermata dall’associazione, di dare una risposta
sindacale al problema delle relazioni umane nell’impresa e, più in generale, alle
posizioni teoriche, a ciò connesse, circa una organica partecipazione dei lavoratori
alla comunità aziendale e sociale.
L’influenza della politica
contrattuale sulle soluzioni organizzative è la più immediata e risponde a una tendenza
generalmente riscontrabile nell’esperienza sindacale, che fornisce prove costanti, pur
fra ricorrenti sfasature, della corrispondenza fra la prima e le seconde
[7]
. La necessità di una ¶{p. 35}articolazione contrattuale
volta a rendere l’azione sindacale più adeguata alla complessa realtà industriale,
postula una revisione della struttura sindacale rigidamente accentrata propria della
tradizione italiana e riprodottasi per evidenti ragioni storiche nella ricostruzione
organizzativa del secondo dopoguerra
[8]
. Tale revisione si esprime in modi e tempi diversi a tutti i gradi
organizzativi del sindacato, ivi compresi i più elevati, investendo anzitutto gli stessi
compiti delle confederazioni e i rapporti fra strutture orizzontali e verticali. Alla
prima politica di articolazione, diretta a ridurre il ruolo contrattuale della
confederazione a favore dei sindacati di categoria, corrisponde — com’è noto — il lungo
processo cd. di «verticalizzazione», per cui questi vanno assumendo crescente autonomia
funzionale, organizzativa e finanziaria rispetto alla massima struttura orizzontale
[9]
.Così l’affermazione di livelli contrattuali inferiori a quello
¶{p. 36}nazionale impone il procedere della verticalizzazione oltre le
federazioni nazionali e l’analogo potenziamento delle organizzazioni provinciali nei
confronti di quelle nazionali, ridimensionando progressivamente le stesse funzioni degli
organismi orizzontali provinciali, che sono state nella nostra storia le strutture
cruciali del sindacato
[10]
.
Note
[1] Si tratta di testi ben noti, che segnano in modo decisivo e per lungo tempo gli orientamenti della CISL sull’azione sindacale a livello di azienda, di cui si sottolinea già il rilievo preminente per l’intera strategia rivendicativa. Nel primo documento, «posto l’obiettivo di incrementare nel processo di distribuzione del prodotto nazionale la quota del lavoro, proporzionalmente all’aumentata redditività del sistema», si individua quale strumento principale allo scopo, «l’applicazione di una politica salariale di settore o di azienda diversificata non solo per quanto riguarda l’ammontare delle richieste, ma anche... le modalità di richiesta», atta a diversificare «i livelli retributivi in funzione della sopportabilità reale dei settori e delle aziende, sopportabilità determinata dal loro grado di efficienza produttiva». Rilievo particolare è attribuito a una «prassi di accordi integrativi di azienda, per ciò che si riferisce all’inserimento nella retribuzione dell’elemento che esprime l’indispensabilità dell’apporto dei lavoratori agli sforzi diretti ad accrescere la produttività delle aziende» (così il testo della mozione finale di Ladispoli, in Documenti ufficiali dal 1950 al 1958, a cura della CISL, Roma, 1959, pp. 74 sgg.). Queste tesi sono inquadrate, dal secondo documento in questione (vedilo in «Bollettino di studi e di statistiche», 1955, pp. 12 sgg., 107 sgg. e quindi nel Quaderno, Le relazioni umane e sociali nelle aziende, a cura dell’ufficio studi CISL, Roma, 1956) nel più ampio problema della posizione del lavoratore nell’azienda e nella prospettiva di una sua partecipazione attiva alle responsabilità direzionali.
[2] Vedile riportate in appendice al presente volume da Documenti ufficiali dal 1950 al 1958, cit., pp. 102 e 107; e cfr. altresì i primi commenti di «Conquiste del lavoro», 7 agosto 1954, n. 31, p. 1 e di «Ragguaglio metallurgico», 1954, n. 9, p. 1. Anche in questo caso, come per le materie sopra ricordate delle politiche salariali e delle relazioni umane nelle aziende, alla base della risoluzione del Consiglio Generale sta un più ampio documento elaborato dall’ufficio studi confederale (che in quegli anni gioca un ruolo primario nella elaborazione delle tesi della CISL) su Il sindacato e l’organizzazione di fabbrica, Roma, 1955, ove le conclusioni circa la necessità pratica di una presenza organizzata del sindacato in azienda e le motivazioni della stessa emergono da un’analisi storico-critica dell’esperienza e dell’azione delle commissioni interne nella nostra tradizione sindacale.
[3] L’attenzione dedicata al problema, ad esempio, dal periodico nazionale della FIM «Ragguaglio metallurgico», e in genere dalla stampa dei sindacati di categoria, oltre a non essere neppure quantitativamente molto rilevante, si risolve per lo più in meri resoconti dei dibattiti, dei convegni o delle tesi confederali.
[4] Basti richiamare gli stessi documenti confederali menzionati nelle note precedenti, in particolare quello sulle relazioni umane e sociali nelle aziende, dove sono già presenti in forma organica i temi più significativi che caratterizzeranno per molti anni la politica sindacale della CISL: oltre all’idea di consultazione mista, di cui si dirà (nota 13), e alle proposte connesse di miglioramento dell’ambiente umano in azienda, delle comunicazioni e della gestione del personale in genere, si possono ricordare le prime richieste di sistemi contrattati di valutazione oggettiva delle mansioni, di una contrattazione sindacale delle tariffe di cottimo, di premi collettivi di produttività finalizzati a collegare il salario con i risultati tecnico-produttivi dell’azienda, e infine la prima chiara teorizzazione della contrattazione collettiva come unico strumento per l’avvio di tali politiche participazionistiche, con la conseguente ripulsa di ogni intervento legislativo in materia, ritenuto «fattore di dilazione, di ritardo o di ostacolo» (Le relazioni umane e sociali nelle aziende, cit., p. 33). Quest’ultima tesi, in particolare, doveva rimanere fino a tempi recentissimi uno dei tratti di fondo della concezione sindacale della CISL, espressione tipica del suo concetto di autonomia sindacale e di autotutela degli interessi collettivi, riflesso diretto di un più vasto concetto di separazione fra Stato e corpi sociali intermedi, proprio di larghi settori, non solo sindacali, della tradizione cattolica. Per indicazioni sul peso che tale ideologia ha avuto nella stessa cultura giuridica italiana basti rinviare al noto saggio di Tarello, Teorie e ideologie nel diritto sindacale, Milano, 1967, pp. 29 sgg. e al mio scritto Teorie e ideologie nel diritto sindacale (a proposito di un recente libro), in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1968, pp. 1631 sgg. e, in chiave critica, pp. 1662 sgg.
[5] Si tratta di un’opposizione che, iniziata dalla FIM all’inizio degli anni ’60 in posizione nettamente isolata, si è progressivamente estesa negli anni seguenti, specialmente fra altre federazioni industriali e in alcune grandi unioni del Nord, fino a giungere a un massimo nelle più recenti vicende, in particolare nel congresso federale del 1969, rivelando una profonda divisione all’interno della CISL su molte delle stesse concezioni fondamentali del sindacato.
[6] Così la Relazione al Consiglio generale, Linee di politica organizzativa della CISL, Roma, gennaio 1963, p. 66.
[7] Il rilievo svolto nel testo non contraddice, ma completa da un punto di vista diverso, quanto si accennava al n. 3 dell’introduzione. Se il momento organizzativo del sindacato (come di ogni gruppo organizzato) può ben ritenersi funzionale alla sua attività esterna, di lotta e di contrattazione, resta pur tuttavia, vero che esso è, per altro verso, preliminare e condizionante rispetto a tale attività esterna. Per cui, ad esempio, come si verificherà in seguito, le scelte organizzative adottate dal sindacato, e in particolare, la distribuzione dei poteri attuata fra i vari livelli della sua complessa articolazione, finiscono per influire in maniera determinante sul concreto atteggiarsi della struttura e dei contenuti contrattuali.
[8] Analisi esemplari di questa ben nota caratteristica del nostro sistema contrattuale, e in specie delle origini della tradizionale assenza organizzativa sindacale a livello di azienda, sono ancora quelle di Giugni, Prefazione a Perlman, Ideologia e pratica dell’azione sindacale, Firenze, 1956; e Esperienze corporative e post-corporative nei rapporti collettivi di lavoro in Italia, in «Il Mulino», 1956, n. 51-52, pp. 17 sgg. Vedi anche De Maria, Le basi storiche della struttura sindacale italiana, riprodotto in «Politica sindacale», 1958, pp. 252 sgg.
[9] Questa politica di decentramento organizzativo e contrattuale è stata al centro del dibattito interno alle organizzazioni sindacali fin dal periodo immediatamente seguente alla guerra e ha costituito, per diversi anni, com’era inevitabile, uno dei terreni di più evidente contrasto fra le diverse concezioni sindacali, specie delle due maggiori confederazioni. Essa incontrò all’inizio tenaci resistenze soprattutto all’interno della CGIL, ove più forte era sentita la esigenza di uno stretto coordinamento e di direzione politica, anche delle strategie contrattuali, da parte delle organizzazioni orizzontali, tradizionalmente privilegiate da questo sindacato in quanto espressione degli interessi generali della classe lavoratrice. Un riavvicinamento di posizioni fra le due confederazioni su questi temi si avvia solo nella seconda metà degli anni ’50 e può dirsi concluso nelle sue grandi linee solo all’inizio del decennio 1960. Lo sviluppo di tale processo storico all’interno della CGIL è oggetto di una ricerca organica nello studio citato di Cella, Manghi, Pasini, La concezione sindacale della CGIL, Roma, s.d. (ma 1969), specialmente pp. 79 sgg., 107 sgg., ove si possono trovare ampi ragguagli critici. Quanto alla CISL, in mancanza di una simile analisi critica, si possono utilmente vedere i documenti ordinati nel volume Per una storia della CISL (1950- 1962), a cura dell’ufficio studi CISL, Roma, 1962, pp. 65 sgg., 102 sgg., nonché ulteriori indicazioni, anche bibliografiche, nel mio scritto L’organizzazione sindacale, I, cit., pp. 80 sgg., 160 sgg. Più in generale, fra gli studi più completi sul decentramento contrattuale nell’esperienza sindacale italiana postbellica, si possono ricordare Merli Brandini, Evoluzione del sistema contrattuale italiano nel dopoguerra, in «Economia e lavoro», 1967, pp. 67 sgg. (ove una chiara analisi del ruolo prevalente esercitato, soprattutto fino alla metà degli anni ’50, dalle confederazioni nella conduzione dell’intera politica contrattuale, in specie salariale); Momigliano, Sindacali, progresso tecnico, programmazione economica, Torino, 1966, specialmente pp. 46 sgg.; Archibugi, Le tendenze di fondo della contrattazione collettiva, in «Politica sindacale», 1958, pp. 13 sgg., e, da ultimo, l’appendice di Romagnoli, Appunti per una storia del movimento sindacale: gli anni 1960-1970, a Horowitz, Il movimento sindacale in Italia, Bologna, 19702, pp. 557 sgg.
[10] La revisione delle funzioni degli organismi orizzontali provinciali, conseguente all’accentramento nei sindacati provinciali di categoria di sempre più vaste competenze per la contrattazione aziendale, si rivelò in prospettiva anche più radicale di quella intervenuta rispetto alle funzioni della massima struttura confederale. Si giunse infatti a mettere, talora drasticamente, in discussione lo stesso ruolo di tali organismi e la loro capacità di adeguarsi alla nuova realtà sindacale, con un processo critico che trovò anche qui il suo pieno sviluppo, anzitutto nella CISL e poi nella CGIL, durante gli anni ’60. Si vedano fin d’ora, ad esempio, il dibattito al Congresso CGIL del 1965 (in I Congressi della CGIL, VI, Roma, 1966: Relazione di Novella, p. 50; intervento di Scheda, p. 222; mozione n. 4, pp. 633 sgg.), e, nella CISL, le relazioni alla Assemblea organizzativa del 1958, Nello sviluppo del sindacato l’avvenire dei lavoratori, pp. 65 sgg., e al Consiglio generale del 1965, Linee di politica organizzativa della CISL, cit., pp. 87 sgg. Altre citazioni in seguito.