Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c2
Alla tradizionale debolezza
sindacale sul piano d’azienda fa riscontro, pure per lunga tradizione, una persistente
vitalità della commissione interna, che continua ad esercitare la propria azione di
tutela dei lavoratori in forme largamente non regolate o in posizione ambigua, se non
altro per la sua struttura limitata all’azienda e per la mancanza di connessioni
istituzionali con le organizzazioni sindacali. Quando non sfugge al controllo di queste,
il che è allora tutt’altro che raro, l’istituto è egemonizzato in larga misura dal
sindacato maggioritario
[17]
, che lo privilegia anche teoricamente per il suo carattere elettivo
unitario, in quanto veicolo, reale o simbolico, della generalità della classe operaia
nella sua dimensione aziendale
[18]
. La pericolosità di questa situazione per l’affermarsi dell’azione della
CISL e la sua anomalia rispetto ai presupposti della sua concezione sindacale sono
intuibili; così come sono note le critiche avanzate fin dall’inizio dalla confederazione
contro il tipo di rappresentanza realizzata dalla CI
[19]
. Tali pericolosità e motivi di anomalia sono destinati
¶{p. 41}ad aggravarsi in seguito allo sviluppo proposto dalla stessa
confederazione, e obiettivamente necessario, di un sistema contrattuale articolato a
livello aziendale. L’intensificarsi dell’azione sindacale a questo livello, rischia di
tradursi in un potenziamento sempre più difficilmente controllabile dell’istituto
unitario, che, avvantaggiato dalla sua presenza consolidata nei luoghi di lavoro, può
assumerne di fatto la direzione. Di qui la preoccupazione che proprio «nel momento in
cui nei fatti il centro gravitazionale delle politiche e delle decisioni imprenditoriali
diventa l’azienda» il vuoto del potere sindacale non venga «colmato dalla esaltazione ed
estensione delle funzioni della CI»
[20]
. Per evitare una ¶{p. 42}simile conseguenza la via obbligata
è appunto di ridare al sindacato nell’azienda «quella rappresentatività che nei fatti la
CI rendeva aleatoria, precaria, insufficiente quando non equivoca», cioè di creare un
«nuovo tipo di struttura associativa a livello aziendale» che renda attuabile la pretesa
del sindacato di essere anche qui l’esclusivo agente contrattuale
[21]
. Solo in tal modo appare possibile ridurre la CI in una posizione conforme
al suo ambito istituzionale, limitato alla dimensione aziendale e agli interessi
collettivi quivi espressi, cioè, secondo la CISL (ma di fatto anche secondo la CGIL),
assoggettarla all’egemonia del sindacato, espressione degli interessi più generali della
classe lavoratrice.
Una presenza organizzata sindacale
sui luoghi di lavoro è anche il modo più congruo per contrastare la predominante
iniziativa della CGIL, che trova nella Commissione interna lo strumento di espressione
ad essa più confacente sia per tradizione che per struttura. Per altro verso, infine, la
CGIL dispone, specie nelle grandi fabbriche, di una rete diffusa di attivisti sindacali
(spesso anche di partito), che le forniscono un ulteriore strumento di presenza attiva
sui luoghi di lavoro e ne rafforzano il controllo sulle stesse CI. Si tratta di una
presenza, spesso risalente all’immediato dopoguerra, cui in quegli anni si cerca di dare
un’organizzazione sia pure informale creando i «comitati sindacali di fabbrica», organi
rappresentativi del sindacato in azienda e «ultimo anello di congiunzione fra
organizzazione e lavoratori»
[22]
. Anche su questo piano ¶{p. 43}appare urgente per la CISL
contrastare l’iniziativa del sindacato maggioritario con un’efficace azione
organizzativa in azienda
[23]
.
Oltre alle esigenze strumentali e di
politica sindacale su accennate, alla base dell’impegno organizzativo della CISL non
mancano infine motivazioni direttamente legate alle concezioni di questa confederazione
sulla natura del fenomeno sindacale. Anzi la teorizzazione di tali istituti rientra
pienamente in una delle idee fondamentali della CISL, secondo cui questo fenomeno trova
il suo fondamento propulsore e la sua piena ragione di vitalità nell’iniziativa di
gruppi volontari, costituiti ed operanti per la difesa di interessi comuni,
caratterizzandosi pertanto come fenomeno associativo. La fondazione di centri
organizzati del sindacato in azienda significava riaffermare, anche a questo livello, il
valore effettivo del criterio associazionistico e la sua
¶{p. 44}priorità nei riguardi di un legame, come quello della CI, che,
proprio per essere generale e tendenzialmente indifferenziato, è ritenuto dalla CISL
meno qualificante sul piano dei contenuti o addirittura ambiguo
[24]
.
Ancora più in radice, queste
strutture di fabbrica avrebbero potuto costituire il punto di partenza per avviare
progressivamente una maggiore partecipazione dei gradi più bassi dell’organizzazione
all’elaborazione delle politiche sindacali e generali. Il che era pure conseguente
all’idea del sindacato-associazione, che come tale si fonda sull’autogoverno degli
iscritti a tutti i livelli. Senonché queste conseguenze sul piano «associativo e di
autogoverno» implicite nella creazione del nuovo istituto emergono appena a livello di
coscienza nella sua prima elaborazione e appaiono largamente sopraffatte dalle
preoccupazioni tattico-difensive o strumentali sopra indicate, che ne determinano in
modo del tutto prevalente il significato effettivo. Ciò è spesso avvertibile negli
stessi termini delle dichiarazioni ufficiali, ove il nuovo organismo si presenta come
«il prodotto di una esigenza di carattere prevalentemente funzionale»
[25]
, ma può verificarsi soprattutto nella sua configurazione istituzionale quale
emerge dalle prime enunciazioni programmatiche e perdura per oltre un
decennio.¶{p. 45}
3. Funzioni strumentali della sezione sindacale e rapporti con la commissione interna.
Gli indici più significativi per
tale verifica, al di là delle affermazioni generali dei promotori, si ricavano
considerando l’istituto sotto il profilo funzionale, cioè analizzando i compiti ad esso
riconosciuti e i poteri di cui è provvisto per lo svolgimento delle stesse, sia quanto
al contenuto sia nel loro fondamento. L’indagine su questi elementi è essenziale per la
comprensione di qualsiasi figura organizzativa, soprattutto in quegli aspetti dinamici
che sfuggono a una ricerca condotta sui soli dati strutturali. Ma negli organismi in
questione gli stessi elementi rivestono un valore anche più decisivo, in quanto la
posizione del singolo organismo dipende in modo determinante dai rapporti funzionali e
di potere esistenti con gli altri livelli dell’organizzazione, specie con quelli superiori
[26]
. Nelle ipotesi considerate anzi l’analisi del profilo funzionale fornisce di
solito l’unico elemento di giudizio rilevante ai fini qui perseguiti, in quanto, come si
vedrà, gli aspetti strutturali dell’istituto sono generalmente del tutto anodini e
standardizzati.
Senza insistere oltre su queste
considerazioni, che verranno sviluppate in seguito, giova considerare anzitutto la
posizione della sezione sindacale in rapporto alla Commissione interna, per poi
esaminare le rispettive competenze del nuovo organismo e del sindacato di categoria in
ordine all’azione sindacale in azienda, con particolare riguardo alla contrattazione
collettiva.
Il rapporto fra SAS e CI sotto il
profilo funzionale risulta immediatamente dalle premesse generali già accennate sulla
priorità del momento associativo sindacale rispetto a ogni altra forma di rappresentanza
dei lavoratori. Da ciò deriva che «tutto ciò che è sindacale deve
¶{p. 46}incominciare e finire nella SAS»
[27]
e che ad essa spetta il compito essenziale, affermato sempre con carattere
prioritario nelle prime dichiarazioni ufficiali, di svolgere un’azione di sorveglianza e
di controllo sulla CI
[28]
. La finalità di questo controllo è di garantire sul piano istituzionale che
le attività dei singoli membri di CI, e quindi l’iniziativa sindacale dell’istituto,
«restino legati all’indirizzo concreto del sindacato» deliberato nelle varie sedi competenti
[29]
. Tale direttiva è del resto la sola conforme al contenuto dei compiti della
CI, che secondo la CISL devono considerarsi, per le ragioni accennate, come strumentali
e secondari rispetto a quelli sindacali, alla stregua di un’interpretazione rigorosa o
addirittura restrittiva dell’accordo inter-confederale 5 maggio 1953.
Note
[17] Ciò resta vero nonostante il marcato declino registrato dalla CGIL, proprio a cominciare da questi anni, nelle elezioni di CI (e del resto nello stesso numero di iscritti). Vedine una considerazione critica, ad esempio, nello scritto di Neufeld, Appunti sul funzionamento delle commissioni interne, in «Il diritto del lavoro», 1956, I, specialmente pp. 349 sgg.; e in Horowitz, Il movimento sindacale italiano, cit., pp. 481 sgg., 488 sgg.
[18] Queste posizioni della CGIL sono da ultimo sottoposte a un’efficace analisi critica da Cella, Manghi, Pasini, La concezione sindacale della CGIL, cit., pp. 114 sgg.; vedi, altresì, Paglioni, L’istituto della commissione interna e la questione della rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, cit., pp. 182 sgg., e anche, per più generali valutazioni, Momigliano, Sindacati, progresso tecnico, programmazione economica, cit., pp. 105 sgg.
[19] Cfr., ad esempio, le tesi espresse in Il sindacalo e l’organizzazione di fabbrica, cit., cap. 10, che restano per lunghi anni esemplari per la concezione dell’istituto propria della CISL.
[20] Così, la relazione al Consiglio generale del gennaio 1963, Linee di politica organizzativa della CISL, cit., p. 31. Il pericolo di una simile eventualità era reso tanto più plausibile dalla circostanza che, in quegli stessi anni, ai crescenti consensi ottenuti dalla CISL nelle elezioni di CI faceva riscontro una sostanziale stagnazione o addirittura un declino delle iscrizioni al Sindacato (vedi oltre n 8). L’affermazione delle CI sembrava così presentarsi di per sé come «uno dei parametri di crisi più significativi» del potere sindacale, confermando le tesi confederali più pessimistiche sul carattere sindacalmente equivoco della Commissione interna. (Ibidem, p. 31, e, analogamente, la relazione al III Congresso confederale del 1959, pp. 132 sgg., in Per una storia della CISL, cit., p. 90). L’eco della stessa preoccupazione è largamente presente nella stampa periodica del tempo: cfr., ad esempio, fra i tanti, il primo commento all’istituzione delle SAS, in «Ragguaglio metallurgico», 1954, n. 9 e la relazione della Segreteria al II Congresso nazionale della FIM, ibidem, n. 11, p. 2; l’editoriale di «Bollettino di studi e statistiche», 1955, n. 11, p. 2 (406); e di «Politica sindacale», 1958, n. 3, pp. 241 sgg. (Commissioni interne e potere del sindacato); nonché la relazione della segreteria al II congresso confederale (1955), Il futuro organizzativo e contrattuale del movimento sindacale, in «Bollettino di studi e statistiche», 1955, n. 6, pp. 11 (203) sgg. Già nel dibattito intervenuto a questo congresso appare peraltro evidente la presenza di posizioni differenziate sui rapporti fra CI e SAS, conseguenza di una incertezza teorica di fondo che sarà per lungo tempo rilevabile all’interno della confederazione (vedi oltre n. 6). Cfr., ad esempio, le nette riserve espresse da alcuni (Donat Cattin) nei riguardi di una eccessiva svalutazione della CI, e delle proposte, pure avanzate, di una sua progressiva abolizione, contro cui si ribadisce la necessità di «difendere il rafforzamento della CI e di collegare la nostra rappresentanza proprio attraverso la sezione sindacale di fabbrica» (Atti del II congresso, Roma, 1955, pp. 88 sgg.). A questi interventi l’on. Pastore replica assicurando che non si è «mai attribuita alla sezione aziendale la funzione di limitare i diritti e i compiti delle Commissioni interne», in quanto al contrario la SAS deve «divenire lo strumento che sorregga e protegga, in un momento tremendamente delicato, la Commissione interna sia dalle insidie del mondo padronale che del sindacato comunista» (ibidem, p. 149, ove è ancora evidente l’impostazione difensiva sopra discussa nel testo). Riserve su una interpretazione eccessivamente restrittiva del ruolo della CI appaiono pure in diversi interventi di attivisti a un dibattito aperto da «Ragguaglio Metallurgico», 1957, n. 3, p. 2 e n. 5.
[21] Le citazioni sono dalla relazione al consiglio generale, del 1963, Linee di politica organizzativa della CISL, cit., rispettivamente pp. 17 e 65.
[22] Così già la risoluzione sui problemi di organizzazione approvata al II congresso unitario della CGIL (Genova, 1949), in I congressi della CGIL, III, Roma, 1952, p. 381, riferendosi ai «Comitati degli attivisti sindacali» (collettori), di cui si sottolinea la necessità per «coordinare e dirigere il lavoro [dei collettori] allo scopo di unificare le iniziative, orientare i lavoratori, i membri delle commissioni interne e dei consigli di gestione aderenti alla CGIL e realizzare nell’azienda le direttive del sindacato locale». L’impegno alla costituzione di questi organismi aziendali (chiamati «comitati sindacali di fabbrica») è ulteriormente specificato e reso vincolante nelle delibere del successivo congresso di Napoli (1952). Ma sostanzialmente immutata e sommaria resta l’analisi delle esigenze che li motivano e soprattutto invariati rimangono i loro compiti. Il comitato «non stipula contratti né tratta direttamente le vertenze sindacali, ma realizza il reclutamento, effettua la propaganda, indirizza e dirige l’agitazione ed orienta i lavoratori sul luogo di lavoro in base alle direttive ricevute dall’organizzazione sindacale, e assicura la direzione di tutta l’attività sindacale nell’azienda verso i membri unitari delle commissioni interne, dei CRAL e dei consigli di gestione ecc.» (così la risoluzione organizzativa in I congressi della CGIL, IV, Roma, s.d., p. 241). Si tratta in definitiva degli stessi compiti caratteristici degli attivisti sindacali, di cui il comitato è l’espressione collettiva unitaria (vedi la stessa risoluzione sopra citata, ove si ribadisce pure la centrale importanza di una fitta rete di attivisti per la linea politica sindacale, in quanto la «loro attività e il loro numero danno la misura della democrazia esistente nell’organizzazione» e del suo legame alla massa dei lavoratori. Per un commento a queste iniziali tesi organizzative della CGIL, vedi, ampiamente, Cella, Manghi, Pasini, La concezione sindacale della CGIL, cit., pp. 109 sgg., che ne sottolineano in particolare la stretta connessione con le politiche rivendicative della confederazione.
[23] L’urgenza di questo motivo è quasi sempre in primo piano: ma vedi, con particolare enfasi, il primo commento all’avvio dell’istituto, in «Ragguaglio metallurgico», II, 1955, n. 9, p. 1; e gli scritti anonimi nello stesso periodico, 1955, n. 1, p. 1; e 1956, n. 4, p. 3.
[24] Per una simile prospettiva, peraltro di solito appena accennata e svolta in prevalente funzione difensiva o di polemica contro la CGIL e le commissioni interne, cfr., il documento più volte citato, Il sindacato e l’organizzazione di fabbrica, pp. 71 sgg.; la relazione della segreteria al II congresso CISL, cit., pp. 11 sgg.; gli articoli, Gli ostacoli allo sviluppo della contrattazione aziendale, cit., pp. 145 sgg.; CI e potere del sindacato, cit., pp. 241 sgg.; e quello di Fantoni, su «Conquiste del lavoro», 1 marzo 1958, n. 7, p. 5; il dibattito al Congresso nazionale dei rappresentanti sindacali di fabbrica (11-12 ottobre 1958), riportato in «Conquiste del lavoro», 15 ottobre 1958, pp. 6-7, nonché gli stessi testi degli autori citati a nota 11.
[25] Vedi, i testi citati a nota 11, cui adde la relazione alla III Assemblea organizzativa CISL, cit., p. 118 (secondo cui la SAS «rappresenta il risultato dell’adeguamento funzionale alla base della organizzazione sindacale ai nuovi compiti e responsabilità»), nonché l’esplicito riconoscimento, in chiave storico-critica, della relazione al consiglio generale, 1963, Linee di politica organizzativa della CISL, cit., p. 17 (da cui la citazione).
[26] L’analisi sulla distribuzione delle competenze rispettive fra le strutture inferiori e superiori in ordine al raggiungimento degli interessi dell’organizzazione, risulta così in larga misura pregiudiziale per intendere correttamente le caratteristiche funzionali dei singoli gruppi minori.
[27] Così la relazione alla III Assemblea organizzativa del 1958, cit., pp. 44 e 119, aggiungendo peraltro significativamente che l’esclusività delle competenze della SAS deve confluire «attraverso questo, nel sindacato di categoria».
[28] Cfr., fra i tanti, già la delibera costitutiva dell’istituto del luglio 1954, più volte citata; e in generale i testi indicati nelle note 20 e 24.
[29] Relazione alla III Assemblea organizzativa, cit., p. 120.