L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c7
A questo riguardo, riferendoci ai
protagonisti del dialogo tra giudici qui considerato, non si può ignorare la classica
funzione delle Corti costituzionali di «custodire la Costituzione» nell’ambito dei
rapporti tra gli ordinamenti nazionali e sovranazionali. Certamente, la funzione tipica
della giustizia costituzionale di tutela della Costituzione, o almeno del suo nucleo
duro, rimane integra (e insieme ad
¶{p. 187}esso anche un certo suo
ultimo carattere difensivo), ma il contesto è radicalmente diverso e finisce
inevitabilmente per ampliarne i confini: in un certo senso, potremmo dire che le corti
costituzionali diventano la voce del dissenso (giuridico) nazionale verso una certa
tendenza espansiva dell’integrazione europea latu sensu.
Nello stesso tempo – e qui ci
avviciniamo a toccare il nodo dell’interlegalità – questa particolare ambientazione ha
ben evidenziato perché anche gli strumenti giuridici tradizionalmente elaborati per
bilanciare o districarsi negli scontri tra il contesto nazionale e quello sovranazionale
(cioè protezione equivalente, interpretazione coerente, contro-limiti) funzionano solo
in parte se calati all’interno di questi casi.
La breve rassegna qui condotta,
infatti, mostra che il «contro-costituzionalismo» – inteso appunto come fenomeno di
contrapposizione estrema tra giurisdizioni appartenenti a ordinamenti diversi, chiamate
a pronunciarsi su casi che pongono in gioco valori identitari o costituzionali dei
rispettivi sistemi – può presentarsi con diverse gradazioni di intensità, differenti
sfumature e implicazioni. Un tratto comune può nondimeno identificarsi nella tendenza
del fenomeno a polarizzare le tradizionali tecniche di «comunicazione» tra Corti e
ordinamenti, contrapponendole (cfr. Corte EDU e Corte costituzionale italiana nel caso
delle «pensioni svizzere») o, in casi limite, annullandone gli effetti (cfr. Corte EDU e
Corte costituzionale russa nel caso del voto dei detenuti). Un ruolo fondamentale
dell’approccio fondato sull’interlegalità è porre in evidenza i limiti di funzionamento
delle tecniche di bilanciamento allorché esse vengano calate in una prospettiva
giuridica di marca «unidirezionale»: in altre parole, quando l’osservatore giuridico
privilegiato (nel nostro caso, il giudice) perde di vista l’ottica della legalità
«plurale» e assume il punto di vista unico dell’ordinamento di appartenenza, la
polarizzazione della controversia diventa altamente probabile e l’esito del caso sarà
presumibilmente «sbilanciato» a favore dei valori del sistema di riferimento, con le
inevitabili perdite in termini di giustizia sostanziale. In una simile prospettiva anche
una tecnica di riduzione ¶{p. 188}dei conflitti normativi quale
l’interpretazione conforme (rinominata «presunzione di conformità» nella variante
impiegata dalle corti internazionali) mostra tutti i suoi limiti, poiché gli esiti
invariabilmente dipenderanno dal valore (prioritario) assunto quale riferimento per
l’esercizio del giudizio di conformità: ancora una volta esemplare è il caso del diritto
di voto ai detenuti e la diversa declinazione del principio di interpretazione conforme
sviluppata dai giudici di Strasburgo e dai giudici russi.
Più promettenti in termini di
interlegalità appaiono certi risvolti del ragionamento svolto dalla Corte costituzionale
italiana nel caso delle pensioni svizzere, laddove la nostra Corte insiste sulla
necessità di un approccio di carattere «sistemico», che contemperi i vari diritti (o
meglio i valori) in gioco e tenga conto delle peculiarità degli ordinamenti giuridici
tra i quali il caso si svolge. Tuttavia, anche in questa circostanza, le ombre del
«predominio assiologico» di un ordinamento rispetto all’altro restano in agguato, con i
conseguenti rischi di strumentalizzazione o distorsione delle tecniche di bilanciamento
e mediazione elaborate in sede giurisprudenziale: si pensi al riguardo all’idea di un
(secondo?) margine di apprezzamento da esercitarsi dal giudice nazionale rispetto
all’applicazione degli standard CEDU o alla «stella polare» della massima espansione dei
diritti, che pare preludere a un approccio di tipo gerarchizzato alla soluzione dei
conflitti normativi, con una funzione di bilanciamento dei diritti riservata alla sola
Corte costituzionale. Anche in queste circostanze, un approccio fondato
sull’interlegalità risulterà essenziale per svelare le implicazioni che le varie
tecniche giuridiche in gioco potranno svolgere, nonché i relativi esiti, ponendo nella
corretta luce gli elementi utili a fornire la soluzione più appropriata al caso
interlegale. In questo senso, l’interlegalità può dispiegare tutto il suo potenziale non
solo per inquadrare, ma soprattutto prevenire gli esiti estremi del
contro-costituzionalismo.
Last but not
least, abbiamo anche notato che questi dialoghi tra le Corti
costituzionali/supreme e le loro controparti sovranazionali possono funzionare da camera
di decompressione dei conflitti critici. Su quest’esito gioca
¶{p. 189}il prevalere ultimo del caso concreto sulla soluzione della
controversia, con le sue particolarità specifiche: i toni dei dialoghi sono a volte
duri, ma nel loro sviluppo progressivo il contrasto tra le Corti pian piano si allenta e
la temperatura si raffredda, permettendo ai due ordinamenti giuridici in causa di
tornare a guardarsi: non è casuale che sia nella decisione britannica sia in quella
italiana la questione venga poi rimandata al legislatore, organo deputato a sciogliere
il conflitto in via definitiva.
Note