Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c27

Matteo Schianchi Esperti di disabilità? Riflessioni sulla formazione in ambito socio-educativo e scolastico

Notizie Autori
Matteo Schianchi è ricercatore presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca. È componente dell’editorial board di «Minority Reports. Cultural Disability Studies». Tra le sue pubblicazioni: La terza nazione del mondo. I disabili tra pregiudizio e realtà (Feltrinelli, 2009); Storia della disabilità. Dal castigo degli dèi alla crisi del welfare (Carocci, 2012); Il debito simbolico. Una storia sociale della disabilità in Italia tra Otto e Novecento (Carocci, 2019); Disabilità e relazioni sociali. Temi e sfide per l’azione educativa (Carocci, 2021); Cinema e disabilità. Il film come strumento di analisi e partecipazione (Mimesis, 2023); Le contraddizioni dell’inclusione. Il lavoro socio-educativo nei servizi per la disabilità tra criticità e prospettive (Mimesis, 2024).
Abstract
Pur nella consapevolezza che la formazione, intesa come preparazione iniziale per ottenere i titoli necessari per poter ricoprire alcuni ruoli professionali, non possa rappresentare l’unico criterio per comprendere e valutare il lavoro sul campo e i suoi effetti, è innegabile il fatto che questo ambito costituisce, continuamente, un ambito decisivo e strategico. I corsi di studio universitari possono prevedere approfondimenti sui temi della disabilità anche al di fuori di questi specifici corsi di laurea, in base agli interessi e ai temi dei docenti dei singoli corsi9. Inoltre, gli stessi atenei, altre realtà pubbliche in collaborazione con organizzazioni del Terzo settore, associazioni, numerose agenzie riconducibili alla cooperazione o al privato sociale, propongono corsi di perfezionamento, master, ecc.. In via di principio sono più attente ai temi della disabilità le formazioni di scienze dell’educazione e di scienze della formazione primaria, che prevedono insegnamenti obbligatori a riguardo. Anche se sono necessarie delle osservazioni specifiche. Alla possibilità di un educatore di trovare impiego in servizi legati alla disabilità (complessa) corrisponde, sul piano formativo, solo una «prima infarinatura» spesso non sufficiente ad affrontare più propriamente quelle specifiche situazioni. È tuttavia necessario chiedersi come la formazione faccia fronte, non tanto su un senso comune «in ingresso» deficitario in merito alla laboriosa articolazione legata ai temi della disabilità (specie delle condizioni più complesse), ma come affronti formativamente quest’ultima fornendo culture, strumenti concettuali e operativi utili per affrontare, sul piano della conoscenza ancor prima che della pratica professionale, la disabilità. Siamo ancora in una fase sociale, culturale e formativa in cui è necessaria una preparazione specifica, approfondita, accurata delle questioni della disabilità. Anche dagli esiti di questi percorsi formativi dipende il grado di preparazione e di consapevolezza dei futuri professionisti di alcune questioni decisive, soprattutto alla luce delle dinamiche, brevemente delineate, a cui è poi sottoposta nel mondo professionale.
È possibile prefigurare l’intervento di chi è professionalmente impegnato a fianco delle persone con disabilità senza considerare il suo bagaglio formativo? In che misura questa formazione ha un’incidenza nei processi di sviluppo personale, emancipazione e autodeterminazione, partecipazione sociale delle stesse persone con disabilità?
Pur nella consapevolezza che la formazione, intesa come preparazione iniziale per ottenere i titoli necessari per poter ricoprire alcuni ruoli professionali, non possa rappresentare l’unico criterio per comprendere e valutare il lavoro sul campo e i suoi effetti, è innegabile il fatto che questo ambito costituisce, continuamente, un ambito decisivo e strategico. Le culture, le sensibilità, gli strumenti per leggere la realtà, le nozioni impartite dai percorsi formativi prefigurano, in effetti, un certo tipo di professionista. Si tratta allora di comprendere: a quale tipo di professionisti pensa il sistema formativo; in quale misura l’impulso nato dalla ratifica italiana (2009) della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità abbia ricadute non formali, né puramente normative e tantomeno retoriche, nel formare futuri professionisti nel campo della disabilità che abbiano in mente (prima di confrontarsi con le dinamiche lavorative vere e proprie e di esserne spesso travolti) in cosa consista il passaggio da un sistema di servizi basato su un modello assistenziale (centrato sul deficit e tarato sull’offerta) verso logiche e pratiche legate alla titolarità di diritti umani delle persone con disabilità, non inficiabile né sulla base della diversità, né dalle menomazioni stesse.
In questa sede ci si occupa di formazione universitaria per alcune professioni socio-educative e dell’insegnamento. Tali ambiti, va da sé, non sono esaustivi e sarebbero necessarie analisi più approfondite anche per altri tipi di formazione che aprono ad altri ruoli professionali [1]
. Allo {p. 610}stesso modo è opportuno sottolineare che sarebbe necessario considerare anche la formazione di altre professioni che incontrano la disabilità, e si trovano a gestirne alcune situazioni [2]
.
Anche i temi della ricerca e del dibattito scientifico, delle loro ricadute sui programmi di insegnamento, costituiscono un tassello decisivo sul piano della formazione, ma anche in questo caso sarà possibile farvi solo un rapido accenno. L’intento, in effetti, di queste argomentazioni è delineare un sintetico quadro generale del rapporto tra formazione e professioni per poi cogliere alcuni nodi critici e alcune potenzialità di questo panorama formativo.

1. Un quadro di riferimento: condizioni di disabilità e professioni

Per come è impostato il sistema di welfare italiano, e considerando che «un ruolo rilevante nell’assistenza alle persone con disabilità è svolto dalle strutture residenziali di tipo socio-sanitario» [ISTAT 2017, 7], le professioni nell’ambito della disabilità riguardano prevalentemente condizioni e situazioni complesse (disabilità intellettive, disabilità plurime, autismo a basso funzionamento, disabilità fisiche con ridotta autonomia). Detta in modo grossolano, lavorare con la disabilità significa lavorare con la «gravità» (concetto generico e improprio, anche se continuamente attivo nella stessa normativa).
Questa regola si applica, oltre che per i servizi residenziali, per quelli diurni. La certificazione della complessità delle menomazioni è del resto la chiave di accesso ai servizi stessi. Anche in ambito scolastico, a fronte di realtà numeriche in crescita, composite, ambigue, e spesso dettate da criteri che alcuni studiosi definiscono in termini di «patologizzazione della popolazione» [Benvenuto 2021], la presenza di alunni con disabilità {p. 611}certificate comporta, non di rado, situazioni complesse [3]
. Tale contesto generale, peraltro, rimanda continuamente al dibattito, tutt’altro che risolto, sulla continua presenza di scuole speciali a fronte di una normativa che dal 1977 (primo Paese al mondo) prevede l’istruzione degli alunni con disabilità nella scuola ordinaria. Tuttavia, sono proprio le specifiche condizioni di alunni con disabilità complesse a costruire un terreno di criticità articolate e non trascurabili giocate sulla capacità delle scuole ordinarie e di quelle speciali di rispondervi [Merlo 2015; Verga 2018; Ianes e Augello 2019]. Le caratteristiche, le potenzialità e i limiti di ciascuno di questi due tipi di scuola sono una questione su cui gli stessi percorsi formativi dovrebbero interrogarsi in modo più specifico. Alla citata letteratura è opportuno aggiungere alcune evoluzioni, non ancora studiate, legate alla scuola secondaria di secondo grado che prefigurano il realizzarsi di «scuole speciali ordinarie» poiché basate sulla massiccia presenza di studenti con certificazioni di disabilità e difficoltà varie. Siamo cioè di fronte al profilarsi, in alcune ordinarie scuole pubbliche (dove gli alunni con disabilità dovrebbero essere una parte della popolazione tra gli altri), di dinamiche tipiche delle scuole speciali (popolate esclusivamente da persone con disabilità). A tale realtà corrisponde uno «svuotamento» di alunni con disabilità in altri istituti scolastici (i licei in particolare) [4]
. Inutile dire che, spesso è la complessità di alcune condizioni a giustificare queste dinamiche poiché, le ordinarie scuole pubbliche secondarie, non sono in grado di farvi fronte.
All’interno di questo quadro basato, in larga misura, «sulla gravità delle certificazioni di disabilità», le professioni chiamate a occuparsi di queste situazioni, al di fuori delle professioni di tipo socio-sanitario, sono: assistenti educativi, educatori, assistenti sociali, insegnanti, pedagogisti, psicologi. Ecco un sintetico quadro sui titoli e il tipo di formazione che permettono di accedere a questi ruoli professionali legati alla disabilità.
Attraverso corsi post diploma di maturità si formano figure che operano in ambito scolastico a supporto dei docenti, dei collaboratori scolastici, a fianco degli alunni con disabilità: 1) assistente alla comunicazione per il sostegno e l’inclusione di alunni con disabilità visiva e uditiva; 2) assi{p. 612}stente educativo culturale (AEC, OEPA) che ha l’obiettivo di promuovere l’autonomia degli alunni con disabilità.
Con un livello di istruzione superiore, laurea triennale in Scienze dell’educazione, si preparano educatori professionali che possono operare all’interno di servizi socio-educativi, e in ambito scolastico.
Richiedono invece una laurea magistrale gli assistenti sociali [5]
, i responsabili nella gestione dei servizi educativi e nel coordinamento delle figure educative [6]
, figure di formazione psicologica [7]
, gli insegnanti della scuola primaria [8]
. Devono inoltre possedere una laurea magistrale gli insegnanti di tutti gli ordini scolatici che intendono ricoprire il ruolo di insegnante di sostegno attraverso l’iscrizione al corso post-laurea di specializzazione per il sostegno agli alunni con disabilità. In merito a quest’ultimo titolo si dirà in seguito, mentre è opportuno constatare, sommariamente, che i corsi di laurea triennali e magistrali non sempre forniscono, sul piano quantitativo e qualitativo, formazioni in grado di coprire l’ampio novero di temi e questioni che coinvolgono un campo complesso e articolato come quello della disabilità.
Il quadro formativo sui temi della disabilità non si ferma certamente qui. I corsi di studio universitari possono prevedere approfondimenti sui temi della disabilità anche al di fuori di questi specifici corsi di laurea, in base agli interessi e ai temi dei docenti dei singoli corsi [9]
. Inoltre, gli stessi atenei, altre realtà pubbliche in collaborazione con organizzazioni del Terzo settore, associazioni, numerose agenzie riconducibili alla cooperazione o al privato sociale, propongono corsi di perfezionamento, master, ecc. Si tratta di una proposta formativa particolarmente composita e articolata, spesso a pagamento. Questa realtà, particolarmente diffusa [10]
, sottolinea la necessità, non solo di aggiornarsi continuamente, ma di acquisire competenze e formazioni specifiche rispetto a temi e condizioni della disabilità rilevanti in ambito professionale, ma scarsamente proposte nei percorsi formativi ordinari di tipo accademico.
È infine necessario ricordare che la disabilità costituisce un importante mercato del lavoro delle professioni educativo-psico-pedagogiche e do{p. 613}centi. La metà circa delle professioni educative è impegnata a fianco della disabilità. Il ruolo di insegnante di sostegno costituisce continuamente una delle vie di ingresso nel mondo scolastico, spesso anche in mancanza della specifica abilitazione. A maggior ragione è possibile stabilizzarsi tramite il conseguimento di quest’ultima, acquisita tramite la frequentazione del corso e il superamento di esami di profitto e prova finale (oltre a tirocini, laboratori, seminari, ecc.). Al termine di cinque anni nel ruolo di insegnante di sostegno è possibile richiedere di essere spostati su «posto comune», diventando cioè insegnante curricolare per la disciplina legata al titolo di studi conseguito. Senza usare chiavi di lettura deterministiche e utilitaristiche (si intraprende il ruolo di insegnante di sostegno come chiave d’accesso alla scuola e alla professione), è allo stesso tempo innegabile sia la difficoltà di svolgere questa professione (dato che spiega alcuni passaggi su posti ordinari) sia il fatto che, in ogni caso, la presenza di alunni con disabilità è un «bacino» del lavoro in ambito scolastico; peraltro, in continua crescita stando ai numeri citati [11]
. Tali dinamiche hanno effetti anche nel sistema formativo.

2. La formazione e le sue ricadute

Se, come ormai sappiamo, svolgere una professione legata alla disabilità significa avere a che fare con condizioni di complessità, come ci si arriva preparati? Solo alcuni corsi di laurea prevedono insegnamenti obbligatori sui temi della disabilità (quelli per diventare educatori e insegnanti della scuola primaria), mentre per altre professioni (pedagogisti e assistenti sociali) le occasioni formative sono, spesso, più sporadiche e facoltative. Anche la laurea in psicologia, a seconda degli indirizzi, può prevedere insegnamenti legati alla disabilità [12]
.
Sarebbe interessante conoscere su larga scala quali sono le evoluzioni di testi di base, concetti, culture di riferimento che sottendono questi percorsi formativi. Di sicuro, stando alla produzione accademica italiana,
{p. 614}la ricerca e la letteratura si concentrano, in grande maggioranza, sul profilo delle figure degli insegnanti di sostegno e sulla loro formazione, mentre più ridotta è l’analisi sui profili delle professioni educative. Non trascurabile è anche il continuo e diffuso riferirsi di molti percorsi formativi al quadro normativo entro il quale gestire le situazioni di disabilità. Per quanto la conoscenza di questo quadro sia necessaria, ogni cultura formativa dovrebbe prevedere sguardi critici e analitici, oltre al fatto che non è la mera applicazione formale di quel quadro a rappresentare il quid dell’esercizio di professioni (assistenti sociali, coordinatori di servizi, educatori, insegnanti, pedagogisti). In questo senso, i percorsi formativi presentano alcune criticità.
Note
[1] I professionisti in ambito sanitario-assistenziale svolgono, per esempio, anch’essi compiti decisivi che stanno alla base della concreta e materiale fornitura dei servizi offerti. Si pensi a quanto accade nell’avere a che fare col corpo dell’altro, con i bisogni primari, con operazioni tanto vitali quanto intime e delicate. Non è forse anche in questi campi che si giocano le relazioni con le persone con disabilità che necessitano di importanti sostegni, la loro personalità, identità, dignità? Provvedere a soddisfare bisogni che non possono essere espletatati in autonomia non è una mera operazione tecnica, ma è un terreno entro cui si possono giocare, continuamente, dinamiche di dominio o di soggettivazione. Per questo non si può considerare una formazione meramente tecnica, se non addirittura una mancata formazione tout court. A tal proposito ha suscitato alcune polemiche, per esempio, la delibera di Regione Lombardia (n. 6443 del 2023) che, pur motivata dalla necessità di completare il fabbisogno del personale educativo, ha eliminato, in via transitoria, l’obbligo di laurea per diventare professionisti del settore socio-educativo.
[2] Si pensi, per esempio, alle professioni mediche che si trovano ad affrontare situazioni complesse e drammatiche come quelle di una diagnosi di disabilità, oppure alla formazione delle diverse professioni impegnate nella progettazione e nella realizzazione di opere prive di barriere architettoniche, a quelle impegnate nel sistema dei trasporti, all’accoglienza nei servizi pubblici e privati, ecc.
[3] Il dato ministeriale relativo al sistema scolastico italiano indica che nel 2021-2022, gli alunni con disabilità erano 316 mila, cioè il 3,6% degli iscritti. Una rilevazione precedente (2016-2017) segnalava 159 mila alunni con disabilità, pari al 3% degli iscritti. Ciò comporta anche un incremento del numero degli insegnanti di sostegno: oltre 207 mila nel 2021-2022, mentre erano oltre 191 mila nel 2020-2021, un dato di oltre 8 mila unità in più rispetto all’anno precedente ancora.
[4] Queste affermazioni non sono purtroppo suffragate da dati poiché la ricerca è in ritardo su questo fronte. Nella mia esperienza formativa sono venuto a conoscenza di istituti superiori che annoverano anche 80 o 90 insegnanti di sostegno. Si tratta cioè di scuole che soddisfano la necessità di scolarizzazione di una popolazione specificamente segnata con disabilità o altre difficoltà.
[5] Lauree Magistrale in Servizio Sociale e Politiche Sociali (LM 87).
[6] Lauree Magistrali in Programmazione e Gestione dei Servizi Educativi (LM 50), Lauree Magistrali in Scienze Pedagogiche (LM 85).
[7] Lauree Magistrali in Psicologia (LM 51).
[8] La Laurea Magistrale in Scienze della Formazione primaria (LM 85 bis).
[9] I temi legati alla disabilità sono talmente variegati e trasversali che non è affatto raro trovare corsi di varie discipline (filosofia, giurisprudenza, sociologia), oltre ai corsi di laurea già indicati e «statutariamente» interessati dalla questione.
[10] Non se ne menzionano casi specifici, ma è sufficiente digitare su un motore di ricerca per comprendere che lo stesso mondo accademico, in tutta Italia, propone corsi di perfezionamento, master legati a specifiche condizioni di disabilità o specifici temi formativi, socio-educativo-pedagogici.
[11] Vedi supra, nota 3.
[12] A seconda dei vari atenei nazionali (qui si usa come metro la proposta formativa dell’Università di Milano-Bicocca) gli insegnamenti riconducibili ai temi della disabilità sono: Psicologia della disabilità e dell’integrazione e Pedagogia della disabilità per il corso di laurea triennale in Scienze dell’educazione; Didattica-pedagogia speciale e Psicologia della disabilità e dell’integrazione per scienze della Formazione primaria; il corso facoltativo di Pedagogia dell’integrazione per la laurea magistrale in Scienze pedagogiche; il corso di Psicologia della disabilità e dell’integrazione sociale per la laurea magistrale in Psicologia; il laboratorio facoltativo di Disabilità e servizio sociale, per la laurea in Servizio Sociale e Politiche Sociali; il corso di Consulenza pedagogica per la disabilità e la marginalità per la laurea in Programmazione e Gestione dei Servizi Educativi (corso di laurea non erogato da Bicocca e presente nell’offerta formativa dell’Università Cattolica di Milano).