Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c20

Ranieri Zuttion L’abitare inclusivo: un approccio di governance per politiche trasformative

Notizie Autori
Ranieri Zuttion è direttore dell’Area Welfare di Comunità della Direzione centrale Salute, Politiche sociali e disabilità della Regione Friuli Venezia Giulia. Laureato in Infermieristica e in Sociologia, da oltre trent’anni lavora in ambito socio-sanitario per contribuire alla realizzazione di processi di riforma dei sistemi di welfare nella direzione della personalizzazione dei servizi e secondo un approccio community-based. È docente a contratto presso l’Università di Trieste e lo IUSVE di Mestre.
Abstract
Il momento storico che i sistemi di welfare stanno attraversando vede l’affermarsi e il diffondersi di un nuovo approccio culturale, fondato sulla partecipazione attiva della persona con disabilità (e della sua famiglia) alla realizzazione dei servizi sociali e sanitari che la riguardano; in questo processo la personalizzazione degli interventi assume una rilevanza centrale. Una delle questioni fondamentali nelle strategie di personalizzazione dei servizi di welfare è come transitare da una dimensione sperimentale a un cambiamento che abbracci tutto il sistema dei servizi e interventi socio-sanitari. Per un’effettiva diffusione e sistematizzazione di questa pratica è stato necessario affrontare una pluralità di questioni che rivestono una particolare importanza: le modalità con cui vengono garantite le risposte alle esigenze di carattere abilitativo, riabilitativo o assistenziale; le strategie per gestire gli aspetti di sostenibilità economica; lo sviluppo di coerenti strumenti amministrativi e professionali; i sistemi informativi e le metodologie di valutazione dei risultati in termini di attivazione di risorse e contesti attorno alla persona che portano a una vita di qualità. È necessario ripensare i sistemi di accreditamento quando si tratta di realizzare interventi che non hanno la caratteristica della risposta meramente tecnica, ma si configurano come realtà che si integrano nei percorsi esistenziali delle persone e che anzi devono sostenerli nel loro potenziale di sviluppo. È possibile affermare, in conclusione, che «Abitare inclusivo» ha permesso con chiarezza di comprendere quali siano le direzioni verso cui avviarsi e su quali livelli agire per dare azione a quanto viene chiesto dalle norme nazionali e internazionali. È necessario sviluppare una governance multilivello, che sia in grado di attivare politiche basate sulla conoscenza del territorio.

1. Abitare inclusivo: una strada tracciata verso la riorganizzazione del welfare

1.1. Le fondamenta culturali e le condizionalità necessarie della personalizzazione

Il momento storico che i sistemi di welfare stanno attraversando vede l’affermarsi e il diffondersi di un nuovo approccio culturale, fondato sulla partecipazione attiva della persona con disabilità (e della sua famiglia) alla realizzazione dei servizi sociali e sanitari che la riguardano; in questo processo la personalizzazione degli interventi assume una rilevanza centrale.
Ciò a cui si assiste oggi ha radici che attingono a una varietà di terreni fertili, dalle rivendicazioni dei diritti dei movimenti di persone con disabilità [Rothman 2018], alle esperienze di deistituzionalizzazione delle persone con disturbo mentale [Rotelli 2015], dalla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS 2001], grazie a cui il concetto di disabilità si modifica, passando da pura menomazione fisica o psichica a essere considerata il risultato dell’interazione tra le caratteristiche della persona e gli ambienti di vita che presentano barriere. Il cambio di paradigma si consolida e radica attraverso l’approvazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (CRPD).
Attuare la CRPD richiede trasformazioni culturali, sociali, politiche e tecniche che consentano alle persone con disabilità di essere pienamente cittadine, soggetti attivi nell’orientare le proprie scelte di vita [Griffo 2015]; perché ciò accada è necessario realizzare un effettivo ed esteso percorso di ri-orientamento del welfare socio-sanitario nella direzione della personalizzazione. Quanto è richiesto è, infatti, di intervenire su diverse componenti della governance del sistema: agire sull’insieme di processi, regole e istituzioni che determinano come vengono gestiti, finanziati e {p. 464}regolamentati i servizi sanitari e sociali su un determinato territorio, in modo tale che siano possibili interventi personalizzati. Solo la personalizzazione, infatti, consente di rendere esigibile il diritto di scegliere la vita che si desidera, ricevendo sostegni adeguati alla propria piena cittadinanza.
Una delle questioni fondamentali nelle strategie di personalizzazione dei servizi di welfare è come transitare da una dimensione sperimentale a un cambiamento che abbracci tutto il sistema dei servizi e interventi socio-sanitari. Si tratta di una questione su cui dibattere e confrontarsi perché sono molti i progetti che, pur basati sui princìpi culturali richiesti dai documenti internazionali ed efficaci nel mostrare possibile un cambiamento, sono rimasti sperimentazioni con testimonianze a margine, realtà che si sono spente o sono state riassorbite nelle forme mainstream di gestione dei servizi socio-sanitari.
Per tale motivo è necessario tentare di delineare con maggior precisione quali siano le «condizionalità» che favoriscono una riconversione complessiva dei sistemi socio-sanitari nella direzione della personalizzazione. Su questo è necessaria qualche considerazione a partire dal concetto stesso di «dispositivo», secondo la lucida definizione proposta da Foucault:
un insieme assolutamente eterogeneo che implica discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche [...]. Il dispositivo esso stesso è la rete che si stabilisce fra questi elementi [...] si tratta di una certa manipolazione di rapporti di forze, [...] sia per svilupparle in una tal certa direzione, sia per bloccarle, oppure per stabilizzarle, utilizzarle. Il dispositivo è sempre quindi iscritto in un gioco di potere [Foucault 1977, 299].
La definizione riportata coglie gran parte degli elementi che è necessario considerare per creare quelle condizionalità necessarie a una politica trasformativa, ma che al contempo interpreta il dispositivo come elemento di connessione di tutte le componenti e degli attori che compongono la rete del sistema di welfare socio-sanitario. In questo senso il dispositivo assume la funzione di un approccio di governance, cioè di quella particolare configurazione di norme, regole, processi, istituzioni, organizzazioni in grado di strutturare i rapporti di forze di cui parla Foucault a vantaggio delle persone beneficiarie dei servizi di welfare.
Lo sforzo è quello di adottare una prospettiva che assuma la complessità di questi sistemi, che distingua i vari livelli che vi operano e che identifichi le dimensioni funzionali e normative che conformano l’impianto complessivo. Un’efficace policy per la personalizzazione deve svilupparsi a partire da una visione d’insieme, che sappia cogliere dove si annidano gli snodi critici che sono in grado di operare la ristrutturazione di questo campo di forze.{p. 465}
Un esempio di progettazione personalizzata che consente di immaginare la costruzione di dispositivi capacitanti e abilitanti può essere rappresentato dalla sperimentazione attiva nella regione Friuli Venezia Giulia denominata «Abitare inclusivo» [1]
, in cui forme di co-housing vengono co-costruite con anziani non autosufficienti, persone con disabilità, con problemi di salute mentale, di dipendenza o con altre fragilità sociali.

1.2. L’esperienza di «Abitare inclusivo»: le origini e le caratteristiche

L’origine di queste sperimentazioni va ricondotta alla pratica di deistituzionalizzazione, movimento di graduale superamento degli ospedali psichiatrici civili attraverso l’invenzione di nuovi servizi territoriali e comunitari di assistenza per la salute mentale [cfr. Saraceno, supra], cominciata proprio in Friuli Venezia Giulia [2]
. La necessità concreta, nata dalla progressiva uscita dall’ospedale psichiatrico, di trovare una casa per alcune decine di persone che avevano vissuto per decenni in quella istituzione totale, ha favorito la formazione di nuclei spontanei di persone che sceglievano di convivere.
Nel momento in cui le persone fino a quel momento escluse hanno cominciato a prendersi spazi nel mondo di tutti si è compresa la necessità di avviare un percorso – attorno alla nuova abitazione – di preparazione e sostegno, di «traduzione» per la comunità, l’amministrazione locale, la parrocchia, le persone che attraversano e gestiscono bar, negozi e servizi pubblici vicini.
Si è dato avvio a un processo, talvolta anche difficile e conflittuale, di abbattimento di barriere sociali e cognitive che è risultato essere l’unica modalità possibile per affermare concretamente i diritti fondamentali delle {p. 466}persone e per ridare spazi di libertà, potere di cittadinanza e di partecipazione a persone che per molto tempo ne erano state escluse [3]
.
Questa pratica di personalizzazione è stata ed è innanzitutto questo, l’apertura di spazi di libertà. E per farlo è stato necessario operare per sottrazione, togliendo potere ai professionisti, agli amministrativi, alle organizzazioni pubbliche e del Terzo settore, alle istituzioni, anche quelle scientifiche o pseudoscientifiche, per restituire alle persone la propria centralità e il diritto alla partecipazione sociale. Si tratta, potremmo dire, di una operazione di re-distribuzione del potere di cittadinanza – uno dei principali determinanti sociali della salute – in cui il ruolo del professionista cambia, passando dall’essere la risposta alla domanda «chi se ne occuperà?» a essere enzima capace di creare opportunità e sostegni in modo che le persone possano essere colleghi, vicini di casa, fidanzati, amici [Marchisio 2019].
Nel solco storico della deistituzionalizzazione e in questa medesima prospettiva re-distributiva si colloca la sperimentazione citata dell’«Abitare inclusivo», soluzioni abitative sperimentali alternative alle strutture residenziali, gestite da soggetti del Terzo settore convenzionati in collaborazione con Comune e Azienda Sanitaria, dedicate inizialmente a persone con sofferenza mentale e fragilità sociale.
Sulla scia di queste originarie esperienze, a metà della prima decade del 2000 si è provato a estendere tale pratica anche in un altro ambito fortemente esposto al rischio crescente di istituzionalizzazione: le persone anziane non autosufficienti [4]
. Con deliberazione della Giunta regionale n. 1625/2019 tali percorsi sono stati estesi anche alle persone con disabilità, raccordandoli con le azioni previste dalla legge n. 112/2016, cosiddetta «Dopo di noi».
Tentando una sintesi delle caratteristiche dell’«Abitare inclusivo», per come emerso dalle sperimentazioni di questi anni, possiamo riconoscere nelle forme di co-abitazione appena descritte le seguenti condizioni:
  • la collocazione in contesti urbani che favoriscono la partecipazione e le relazioni;
  • l’elevata personalizzazione dei sostegni;
  • la costruzione di partenariati per la loro realizzazione e gestione;
  • il forte coinvolgimento delle risorse della comunità nella realizzazione dei percorsi.{p. 467}
Cardine di «Abitare inclusivo» è, dunque, la presenza di soluzioni abitative che sono a tutti gli effetti, anche dal punto di vista formale, casa delle persone che vi abitano. Possono essere soci (soci fruitori) delle organizzazioni mutuali proprietarie dell’immobile, oppure titolari di uno specifico contratto di locazione. In ogni caso, non sono ospiti di una struttura, ma sono a casa propria, con tutto ciò che ne consegue, secondo l’affermazione «le persone devono abitare e non risiedere» [Saraceno 2022].
Di conseguenza, trattandosi di case private, non esistono standard predefiniti per l’organizzazione del lavoro del personale o altri requisiti tipici dei regolamenti di autorizzazione delle residenze. È chiaro che devono essere garantiti gli aspetti dell’accessibilità, spesso anche attraverso dispositivi domotici, ma la casa deve possedere semplicemente le caratteristiche di una civile abitazione, dal momento che possiede un valore intrinseco importantissimo nella definizione della propria identità e del progetto personalizzato. La casa cura: la sfera domestica assicura in ognuno di noi il senso di appartenenza e un bagaglio di memoria così potente da assumere una dimensione terapeutica.
Non essendoci prerequisiti a monte, la costruzione di un vero progetto personalizzato è fondamentale anche dal punto di vista formale, a garanzia della sicurezza e della qualità del servizio. In questa prospettiva si può intendere il progetto personalizzato come una sorta di «atto autorizzativo», legato alla singola persona e non alla struttura.
In «Abitare inclusivo» la progettazione personalizzata è considerata come un processo, come una road map che consente di pianificare un cammino emancipatorio di capacitazione [Marchisio 2019], con ogni supporto necessario alla persona per vedere garantito il suo diritto alla cittadinanza e alla partecipazione.
Strettamente connessa a questa enfasi sul progetto personalizzato, c’è la previsione del Budget di Salute (BdS), una quota di risorse economiche destinate alla realizzazione del progetto di vita della persona. In Friuli Venezia Giulia, con la delibera regionale D.G.R. n. 1624/2019 si rende effettivo il principio che una quota definita di risorse del Fondo Sanitario Regionale (FSR) – la stessa che si riconosce per l’accoglimento in Strutture residenziali – sia resa disponibile anche in servizi diversi da quelli «convenzionali». Con questa delibera viene sancito per la prima volta che un LEA (Livello essenziale di assistenza), prima riconosciuto solo per chi era in un servizio residenziale, venga riconosciuto anche a persone che non sono in struttura, facendo un grande passo verso una maggiore equità fra soluzioni residenziali.
Riguardo a quest’ultimo aspetto va detto chiaramente che è possibile attuare personalizzazione solo nel momento in cui le risorse pubbliche del Sistema Sanitario non sono vincolate a determinati setting assistenziali (residenziali o semiresidenziali), ma alla persona, ai suoi bisogni e al
{p. 468}suo progetto di vita: non c’è personalizzazione senza la possibilità di un utilizzo flessibile delle risorse.
Note
[1] Delibera della Giunta regionale Friuli Venezia Giulia n. 1625/2019 «Linee guida per la promozione di forme sperimentali di abitare inclusivo»: https://disabilita.regione.fvg.it/export/sites/disabilita/it/schede/biblioteca/DGR-1625_2019.pdf#maincontent.
[2] Negli anni Sessanta e Settanta, Gorizia e Trieste sono diventate luoghi di sperimentazione per la riforma psichiatrica, cercando di superare il modello del manicomio e inventando una rete di servizi territoriali e strategie a sostegno delle persone nella loro vita quotidiana. Nel marzo 1980 Trieste ha chiuso il suo manicomio, diventando la prima città al mondo a farlo, grazie all’implementazione di una rete di servizi di salute mentale alternativi già attivi sul territorio. Questa esperienza ha anticipato e influenzato la stesura della legge n. 180 del 1978, la cosiddetta legge Basaglia, poi integrata nella riforma sanitaria di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (legge n. 833 del 1978), che ha riformato l’assistenza alle persone con sofferenza mentale in Italia. Trieste dal 1973 è centro di riferimento dell’OMS e ha continuato a sviluppare esperienze innovative e riconosciute a livello internazionale nel campo della salute mentale e della salute territoriale.
[3] Ciò che qualche anno dopo, nel 2006, verrà sancito nell’articolo 19 della CRPD (legge n. 18/2009).
[4] In questo caso, sono state redatte indicazioni normative che finanziavano la ristrutturazione da parte dell’Ente pubblico di immobili degradati da utilizzare nell’ambito di sperimentazioni di soluzioni abitative alternative alle case di riposo, finalizzate a contrastare l’istituzionalizzazione degli anziani. Princìpi che sono stati ripresi e sviluppati negli anni con norme successive e con atti di indirizzo che hanno delineato in forma sempre più definita i caratteri di queste sperimentazioni.