Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c20
Riguardo a quest’ultimo aspetto va detto chiaramente che è possibile attuare personalizzazione solo nel momento in cui le risorse pubbliche del Sistema Sanitario non sono vincolate a determinati setting assistenziali (residenziali o semiresidenziali), ma alla persona, ai suoi bisogni e al
{p. 468}suo progetto di vita: non c’è personalizzazione senza la possibilità di un utilizzo flessibile delle risorse.
Altro elemento della sperimentazione che deve essere sottolineato è relativo agli aspetti di rigenerazione urbana e di rigenerazione sociale. Le case di «Abitare inclusivo» sono sempre collocate nel cuore dei contesti urbani, anche nella convinzione che l’allontanamento delle persone anziane fragili o disabili dal cuore pulsante delle città e dei paesi non sia un male solo per loro, ma sia un danno all’ecologia umana dello stesso ambiente urbano. La ricerca di spazi centrali ha lo scopo di evitare il «ritiro privatistico dalla cittadinanza» descritto da Habermas [1992, 11], favorendo una maggiore partecipazione civica e politica, l’equità sociale e l’inclusione.
Non devono essere collocate in aree funzionalmente dedicate, come spesso accade con i servizi residenziali convenzionali, che vengono costruiti in zone specifiche (ci sono le zone industriali, quelle artigianali e quelle socio-sanitarie...), ma nel centro dei paesi o dei quartieri, possibilmente recuperando immobili degradati.
Si lavora, dunque, per riattivare circuiti di solidarietà informale, agendo nei luoghi naturali di vita, per passare ad avere «cura dei luoghi piuttosto che luoghi di cura» [De Leonardis e Monteleone 2007].

2. Dalle sperimentazioni a un cambiamento sistematico dei servizi socio-sanitari

2.1. Le condizionalità che favoriscono la riconversione dei servizi verso la personalizzazione dei percorsi

Per un’effettiva diffusione e sistematizzazione di questa pratica è stato necessario affrontare una pluralità di questioni che rivestono una particolare importanza: le modalità con cui vengono garantite le risposte alle esigenze di carattere abilitativo, riabilitativo o assistenziale; le strategie per gestire gli aspetti di sostenibilità economica; lo sviluppo di coerenti strumenti amministrativi e professionali; i sistemi informativi e le metodologie di valutazione dei risultati in termini di attivazione di risorse e contesti attorno alla persona che portano a una vita di qualità; delle forme di coinvolgimento delle comunità locali sono aspetti irrinunciabili per cui è necessario che i soggetti gestori – si tratti di cooperative sociali Onlus o Aziende di servizi alla persona come delineato nella realtà regionale – collaborino con il sistema socio-sanitario pubblico garante della qualità del servizio, con i Servizi sociali comunali e dei Distretti sanitari.
Provando a tracciare delle direzioni che permettano di affrontare i temi ora definiti e orientare le politiche di welfare in modo che siano {p. 469}generative e personalizzanti, è possibile affermare schematicamente che vi sono tre livelli di azione da prendere in considerazione.
Il livello micro è dove si realizza effettivamente la centralità della persona: tocca gli aspetti dell’integrazione professionale, degli strumenti e le metodologie di assessment e di progettazione dei sostegni necessari. A questo livello è fondamentale operare strategie e istituire comunità di pratiche per la costruzione di un linguaggio comune, in una logica di transdisciplinarietà dove i confini professionali sono meno definiti e i ruoli organizzativi sono sfocati. È a questo livello che si devono realizzare le pratiche di co-produzione che rendono meno nette le distinzioni tra professionisti e gli utenti, così come tra produttori e consumatori di servizi. In questa prospettiva i professionisti sono chiamati a diventare enzimi, più catalizzatori e facilitatori che dei meri esecutori ed erogatori di prestazioni.
A livello meso troviamo gli assetti organizzativi della presa in carico, l’integrazione gestionale e organizzativa e la regolazione dei rapporti tra gli attori della rete della persona che entrano in gioco nella realizzazione dei progetti.
Approfondendo i sottolivelli appena descritti, possiamo dire che nel livello gestionale è necessario che ci sia il coordinamento tra tutte le unità operative dei Servizi socio-sanitari – come le Unità di Valutazione e Progettazione Integrata – assieme al livello professionale. È in questo livello che deve avvenire la presa in carico integrata socio-sanitaria, secondo un modello di organizzazione dei Servizi sociali e sanitari che tenga insieme salute e benessere, in una considerazione globale e complessiva della persona immersa in contesti in cui vive, lavora e si relaziona [Pisani 2022].
L’integrazione socio-sanitaria rappresenta, dunque, una condizione fondamentale per l’accesso ai diritti sociali e alla personalizzazione degli interventi.
Nel livello organizzativo si definisce invece l’infrastruttura, potremmo dire l’hardware del sistema, la piattaforma sulla quale viaggeranno i processi relativi ai progetti personalizzati. Qui diventa fondamentale un’adeguata strutturazione dei servizi pubblici della presa in carico sia sanitari, sia sociali.
Un ulteriore aspetto è invece riferito alla necessità di sviluppare gli strumenti amministrativi di regolazione delle interdipendenze tra i diversi nodi/soggetti che partecipano, a vario titolo, alla realizzazione dei progetti personalizzati.
Va assolutamente rivista l’impostazione mercantilista che caratterizza gran parte dei rapporti pubblico/privato sociale anche in questi settori. Di fatto, le forme prevalentemente utilizzate dell’esternalizzazione acritica (spesso ore uomo o pagamento rette) e dell’accordo contrattuale su base tariffaria successivo all’accreditamento, hanno plasmato e conformato un {p. 470}sistema di offerta fortemente rigido e standardizzato, contrario alla personalizzazione. Su questi aspetti lo spazio aperto dall’articolo 55 del Codice del Terzo settore [5]
, dalla sentenza n. 131/2020 della Corte costituzionale [6]
e dalle Linee di indirizzo ministeriali sulla prospettiva dell’amministrazione condivisa [7]
è molto importante. La costruzione di rapporti pubblico/privato sociale improntati a logiche di partenariato è fondamentale per espandere l’area delle opportunità per le persone con disabilità. È infatti essenziale che gli enti del Terzo settore siano messi nelle condizioni di essere protagonisti attivi dei processi di trasformazione dei contesti, per renderli più accoglienti per tutti. Si fa riferimento in particolare alle opportunità lavorative, abitative, di socializzazione, che queste espressioni della cittadinanza attiva sono in grado di attivare se adeguatamente sostenute dalla Pubblica Amministrazione.
A tal proposito, possiamo citare la norma regionale del Friuli Venezia Giulia 12 dicembre 2019, n. 22, che prevede all’articolo 10 l’obbligo di stipulare una Convenzione con l’Azienda sanitaria del territorio, senza la quale la sperimentazione non può essere autorizzata:
Art. 10
(Partenariato pubblico con enti del Terzo settore)
1. Ferma restando la titolarità pubblica della presa in carico integrata, l’organizzazione e la gestione dei servizi e degli interventi entro i percorsi assistenziali integrati è aperta a forme di partenariato pubblico con enti del Terzo settore, sulla base di specifiche progettualità elaborate dagli enti del Servizio sanitario regionale in rapporto di collaborazione con il Servizio sociale dei Comuni territorialmente competenti e con gli altri soggetti pubblici e gli enti del Terzo settore coinvolti.
2. Per l’innovazione dell’assistenza sociosanitaria entro direttrici di solidarietà, partecipazione e sussidiarietà, è valorizzato il protagonismo della comunità civile con sviluppo della collaborazione cooperativa nel rapporto fra enti pubblici ed enti del Terzo settore. Nell’ambito del partenariato, l’ente del Terzo settore coprogramma, coprogetta e cogestisce con il soggetto pubblico il progetto personalizzato di assistenza, in particolare mediante apporto di occasioni di domiciliarità e abitare inclusivo, apprendimento, espressività e socialità, formazione e lavoro, rimanendo in capo al servizio pubblico la responsabilità del percorso assistenziale integrato.{p. 471}
Esiste poi il livello macro, quello delle politiche, in cui si decidono gli orientamenti strategici delle policy, ovvero le norme che disegnano gli assetti istituzionali dei sistemi di welfare, gli indirizzi di pianificazione e programmazione attuativa, i sistemi di finanziamento, i sistemi di regolazione, le norme che regolano i sistemi di contrattualizzazione (Codice degli appalti), il Codice del Terzo Settore, le norme sull’integrazione sociosanitaria, sui LEA. Sono tutti interventi normativi o regolamentativi che incidono profondamente sulle condizioni di contesto dove si può realizzare la personalizzazione. Ancorché non sufficienti e soggette ai cambiamenti sociali e demografici, sono norme comunque necessarie e fondamentali per il passaggio dalla sperimentalità a rischio di marginalità a una governance di sistema orientata alla personalizzazione.
Tornando alla sperimentazione «Abitare inclusivo», è stato proprio lo sviluppo normativo regionale tentato in questi anni a creare un contesto in grado di favorirne la sistematicità. In particolare la legge regionale 14 novembre 2022, n. 16, «Interventi a favore delle persone con disabilità e riordino dei servizi socio-sanitari in materia», ha posto come fulcro lo sviluppo dell’integrazione socio-sanitaria in una logica di welfare comunitario, ponendo una forte enfasi proprio sul tema dell’abitare inclusivo e del Budget di Salute.
Ci sono poi le dimensioni funzionali della governance. Si tratta dei sistemi di gestione delle informazioni, di pianificazione, di finanziamento, di garanzia della qualità dei meccanismi, delle modalità con cui si regolano determinati processi nel sistema dei servizi. In un approccio di sistema alla personalizzazione, tutte queste leve di governance devono essere riconfigurate secondo logiche di coerenza interna molto stringenti.
In questo approccio la pianificazione va vista come sfida a investire con impegno su un ipotetico scenario futuro, mantenendo al tempo stesso intatta la capacità dell’organizzazione di sapersi adattare a degli scenari futuri alternativi. Oggi vi è la tendenza a creare troppa stabilità e inerzia organizzativa: bisogna introdurre nelle organizzazioni una dose appropriata di disturbo e di caos perché possa nascere qualcosa di nuovo.
Più nello specifico è fondamentale che vengano definiti dei valori soglia del numero di progetti che si devono poter attivare. I fabbisogni in questa prospettiva non sono relativi alle residenze – come oggi accade – ma al numero di progetti personalizzati in rapporto a una certa popolazione.
Questo semplice ribaltamento di prospettiva dal finanziamento delle strutture al finanziamento dei progetti è anche l’unico modo concreto per prevenire efficacemente l’istituzionalizzazione e operare processi di de-istituzionalizzazione, e quindi di riconversione delle risorse.
L’altro grande tema consiste nella regolazione finalizzata a garantire sicurezza e qualità degli interventi, ovvero i sistemi di autorizzazione e accreditamento. L’impianto regolatorio del sistema socio-sanitario, di {p. 472}matrice ospedaliera, assume la necessità di definire a priori i requisiti – strutturali, organizzativi, tecnologici, di processo, di esito... – che sono, in questa prospettiva, la premessa per garantire servizi di qualità. Questa predeterminazione delle caratteristiche del servizio ha però come necessario presupposto logico la standardizzazione delle forme di risposta ai bisogni e come conseguenza la rigidità del sistema d’offerta.
Entrambi questi esiti, la standardizzazione e la rigidità, sono prospettive antitetiche alla personalizzazione.
Per questo è necessario ripensare i sistemi di accreditamento quando si tratta di realizzare interventi che non hanno la caratteristica della risposta meramente tecnica, ma si configurano come realtà che si integrano nei percorsi esistenziali delle persone e che anzi devono sostenerli nel loro potenziale di sviluppo. I nuovi approcci all’accreditamento di questi servizi devono centrarsi sui processi e sulle connessioni tra i nodi della rete più che sulle singole strutture d’offerta.
È possibile affermare, in conclusione, che «Abitare inclusivo» ha permesso con chiarezza di comprendere quali siano le direzioni verso cui avviarsi e su quali livelli agire per dare azione a quanto viene chiesto dalle norme nazionali e internazionali. È necessario sviluppare una governance multilivello, che sia in grado di attivare politiche basate sulla conoscenza del territorio.
Percorrere queste tre direttrici consente di potenziare politiche che consentano rigenerazione sociale e urbana, passando da un welfare con servizi standardizzati pensati per il cittadino (e la sua famiglia) della classe media [Rosanvallon 2007], a uno innovativo, in cui sia considerata risorsa sia la rete tra enti pubblici e del Terzo settore, sia la persona stessa, la sua famiglia e la comunità locale in cui vive.
Note
[5] L’articolo 55 del Codice del Terzo settore (decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117) richiama il principio di sussidiarietà affermata dall’articolo 118 della Costituzione favorendo un’alleanza tra enti pubblici e del Terzo settore per assicurare diritti e rispondere ai bisogni dei cittadini.
[6] La sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale riprende il Codice del Terzo settore e il principio di sussidiarietà, affermato con maggiore forza e stabilità che esiste una modalità differente di collaborazione tra Stato ed enti del Terzo settore, basato sulla coprogrammazione e coprogettazione degli interventi.
[7] Con il decreto n. 72/2021 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali vengono stabilite le Linee guida sul rapporto tra Pubbliche Amministrazioni ed enti del Terzo settore negli articoli 55-57 del d.lgs. n. 117/2017.