Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c19
Le indagini disponibili sia
ministeriali che delle autorità indipendenti, così come l’osservazione di una comune
giornata in una struttura residenziale attraverso le testimonianze di operatori e
familiari e le interviste ai parenti che hanno avuto congiunti ricoverati in struttura
nel periodo pandemico e post pandemico mettono in luce alcuni aspetti della situazione
delle RSA per anziani a disabili adulti in Italia che dovrebbero fare riflettere e
portare ad adottare misure correttive urgenti nel sistema. Innanzitutto, si conferma
quello che la ricerca empirica internazionale ha da tempo rilevato, ovvero che il
maltrattamento è un fenomeno endemico e connaturato all’organizzazione delle cure della
gran parte delle strutture residenziali per anziani e disabili adulti [Yunus
et al. 2019]. Il maltratta
¶{p. 457}mento di cui
si parla non è in genere quello intenzionale e violento che finisce sui media e solleva
sdegno e riprovazione da parte dell’opinione pubblica. Naturalmente anche queste forme
di maltrattamento possono verificarsi ma si tratta di eccezioni, anche se numericamente
non irrilevanti. Se si amplia il perimetro dell’osservazione tuttavia il fenomeno del
maltrattamento assume dimensioni molto più estese e drammatiche e ingloba una
sistematica e diffusa violazione di diritti personali. Così come rilevato nelle più
recenti ricerche internazionali la vera epidemia riguarda due forme di maltrattamento
più difficili da tematizzare e individuare: quello psicologico emotivo, e l’incuria. La
grandissima parte degli operatori intervistati ha ammesso di essere stata protagonista o
di avere assistito con regolarità nel corso delle proprie attività lavorative quotidiane
a episodi di maltrattamento psicologico emotivo e di trascuratezza. Fino a quando i
dirigenti e il personale non sono portati a riflettere su queste tipologie di
maltrattamento, non vi è consapevolezza della gravità del fenomeno. Come hanno segnalato
diversi studiosi, uno dei problemi del maltrattamento è causato espressamente dai troppo
alti livelli di scarsa consapevolezza sugli effetti dei comportamenti quotidiani [Natan
et al. 2010]. In assenza di una comprensione di cosa sia
corretto o meno, chi mette in atto azioni inconsapevoli non prende nemmeno in
considerazione la possibilità di modificarle. Ritardi nella somministrazione di
medicinali, visite mediche prorogate a data da definirsi, violazioni sistematiche della
privacy, contenzioni protratte e non giustificate, infantilizzazioni diventano in questo
modo comportamenti ampiamente diffusi e tollerati e che entrano a fare parte delle
culture organizzative e professionali in modo quasi automatico e irriflesso.
Lavorare per compiti e non per
obiettivi è un modello molto diffuso nelle strutture residenziali. Il lavoro per compiti
presenta dei vantaggi sotto il profilo della semplificazione dell’organizzazione del
lavoro. Esso però rischia di essere pesantemente disfunzionale quando le caratteristiche
personali e sociali e le patologie degli anziani sono difformi. Curare l’igiene di un
malato di Alzheimer non è per esempio la stessa cosa di alzare, lavare e vestire un
anziano parzialmente non autosufficiente e pienamente cosciente. Se l’operazione prevede
la medesima tempistica per entrambi i casi è inevitabile che si creino nel primo i
presupposti per generare tensioni e aggressività. Analoghe conseguenze di maltrattamento
si verificheranno forzando allo stesso modo l’igiene di una persona parzialmente
autosufficiente e con competenze residue e una completamente non autosufficiente,
offrendo le medesime attività di socializzazione a persone con deficit cognitivi gravi e
con capacità mentali e interessi più articolati, o limitando il focus dell’assistenza
alle prestazioni protocollate, dimenticando il valore delle relazioni e della socialità.
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I fattori che contribuiscono ad
aumentare i rischi di maltrattamento nelle RSA sono, come rilevato in letteratura,
plurali [Yon et al. 2019]. Da un lato, entrano in gioco le
caratteristiche delle persone fragili. Più i soggetti da assistere e curare hanno
patologie invalidanti, manifestano disturbi cognitivo comportamentali e sono affette da
malattie che generano aggressività, maggiore è il pericolo di maltrattamento [Collins e
Murphy 2022]. L’aumento negli ultimi anni di patologie invalidanti e la sanitarizzazione
delle RSA tendono a creare da questo punto di vista un terreno ideale per il
maltrattamento e serve consapevolezza del rischio connesso a tali processi. Dall’altro,
è noto che il rischio di maltrattamento cresce in presenza di scarsa qualificazione del
personale [DeLiema et al. 2018]. Lavoratori con bassa formazione,
con problemi psichiatrici o di dipendenze pregressi, con bassa motivazione e che sono
costretti a svolgere le mansioni in struttura in assenza di altre alternative,
presentano un’attitudine al maltrattamento molto più elevata rispetto al personale
motivato e formato. Inoltre, si possono creare presupposti per una maggiore aggressività
nei confronti delle persone da assistere se il livello dei salari è basso e le
condizioni di lavoro sono stressanti e precarie. Anche in questo caso i trend degli
ultimi anni creano non poche preoccupazioni. L’elevato turnover del
personale, le difficoltà di selezione di nuovi operatori, i ridotti salari e lo stress
lavorativo sono fenomeni quasi endemici nelle RSA e questo inevitabilmente aumenta in
modo esponenziale il rischio di maltrattamento.
La diffusione dei maltrattamenti
dipende tuttavia anche dai modelli e dalle culture organizzative e di management che
strutturano le relazioni di cura tra personale e persone non autosufficienti e che
applicano le linee guida delle Regioni e nazionali in materia di organizzazione e
finanziamento delle RSA. La tendenza più evidente è che i modelli e le culture
dell’assistenza delle cure nelle RSA per anziani e disabili adulti che si sono imposti
negli ultimi anni incorporano più di un elemento che è l’esatto opposto di cosa
servirebbe per ridurre il rischio di maltrattamento.
Proceduralizzazione dell’assistenza,
focus solo sui deficit, lavoro per compiti, sanitarizzazione dei bisogni, predominanza
della dimensione professionale della cura, pressione sulla produttività definiscono un
setting organizzativo e cognitivo che anestetizza il personale e i dirigenti dal
cogliere i segnali di disagio, frustrazione e dolore non codificati nei protocolli
assistenziali e nelle routine organizzative. Recenti ricerche empiriche internazionali
imputano espressamente a un eccesso di interesse verso le questioni di management
tecnico la sottovalutazione da parte dei dirigenti formati per assolvere problemi di
applicazione delle procedure e dei protocolli dei pericoli di maltrattamento all’interno
delle strutture [Myhre et al. 2020].
Così, il rischio palese è che si
assista nelle pratiche quotidiane della cura a un processo di «normalizzazione» del
maltrattamento che non viene ¶{p. 459}più percepito come tale, ed è
considerato eventualmente come un costo da pagare alle difficoltà del finanziamento e
del reperimento di personale qualificato. La realtà è che molti episodi di
maltrattamento quotidiano – le violazioni della privacy nelle stanze, le conseguenze
della fretta nello svolgimento delle mansioni, l’uso improprio e continuato delle
contenzioni, il lasciare le persone inerti negli spazi comuni per ore senza
stimolazioni, la scarsa attenzione data alla socialità e al ruolo dei familiari –
derivano da qualcosa che va oltre l’organizzazione, ma che l’organizzazione riproduce e
istituzionalizza alla massima potenza, ovvero l’idea che la grave fragilità di alcune
tipologie di persone sia una forma di «semi-vita», i cui bisogni possono essere
soddisfatti con uno sforzo minimale. Obiettivi di efficienza e produttività
assolutamente legittimi rischiano di essere così utilizzati in modo improprio per
mascherare la difficoltà di considerare i disabili adulti e gli anziani nelle strutture
come persone con diritti eguali a quelli di qualsiasi altro cittadino.
Oltre che a contrastare le forme più
manifeste di maltrattamento, è necessario avviare dunque una seria riflessione sui
maltrattamenti meno visibili e che prendono forma nella vita quotidiana delle strutture
in quanto connaturati, non solo e non tanto ai sistemi di finanziamento, ma ai modelli e
alle culture dominanti di cura e assistenza.