Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c11

Orsetta Giolo Libertà: contesto, scelta e relazione

Notizie Autori
Orsetta Giolo insegna Filosofia del diritto e Sociologia del diritto all’Università degli Studi di Ferrara. Tra le sue pubblicazioni: Libera scelta e libera condizione. Un punto di vista femminista su libertà e diritto (Il Mulino, 2020); Il diritto neoliberale (Jovene, 2020); con M.G. Bernardini, Abitare i diritti. Per una critica del rapporto tra giustizia e spazi urbani (Pacini, 2021); con A. Facchi, Una storia dei diritti delle donne (Il Mulino, 2023).
Abstract
L’affermazione e l’ampliamento progressivo delle libertà fondamentali hanno condotto, dalla fine del Settecento in poi, a notevoli mutamenti nel modo di intendere la soggettività, l’autonomia, la responsabilità, le relazioni, sia in ambito pubblico sia in quello privato. Ma, paradossalmente, all’interno delle medesime società, sono in corso imponenti processi contrari. Durante la gestione della pandemia da COVID-19, simili tendenze si sono acuite e per certi versi generalizzate. A fronte dell’esaltazione retorica della libertà, pertanto, l’articolazione concreta di quest’ultima è oggi in preda a ideologie contrarie, interessate al controllo massiccio e costante delle popolazioni. Nella rappresentazione classica della libertà, il contesto, in cui il soggetto qualificato come libero agisce, non è descritto ma è presupposto. L’antropologia sottostante i diritti civili assume infatti come soggetto paradigmatico l’uomo bianco e benestante. Il neoliberalismo si inserisce in questo percorso distorcendolo, radicalizzando il nesso libertà-soggetto e rimuovendo nuovamente il contesto. La libertà è così intesa non più quale principio che determina l’assenza di forme di assoggettamento alla volontà altrui, ma come mera espressione della propria autonomia, ovvero della propria «libertà di scelta». Nella rappresentazione classica della libertà, il soggetto definito libero è colui che non è nella disponibilità di altri. L’elaborazione delle strategie contemporanee dell’emancipazione dalle forme neoliberali di asservimento, sfruttamento, segregazione e controllo passa necessariamente dalla redistribuzione (pubblica e privata) delle responsabilità.

1. Premessa. Segregazione, controllo e confinamento al tempo della «libertà vigilata»

L’affermazione e l’ampliamento progressivo delle libertà fondamentali hanno condotto, dalla fine del Settecento in poi, a notevoli mutamenti nel modo di intendere la soggettività, l’autonomia, la responsabilità, le relazioni, sia in ambito pubblico sia in quello privato.
Tale percorso di approfondimento teorico e di trasformazioni giuridiche prosegue tutt’oggi. Anzi, appare possibile affermare che, nella contemporaneità, la libertà sia oggetto di una forma di esaltazione che mira a riconoscerla e a valorizzarla quale unico possibile riferimento nella configurazione degli assetti giuridici, politici e, soprattutto, economici.
Questa esaltazione della libertà sembra tendere, almeno sul piano retorico, alla massima realizzazione di sé e dei propri interessi, contro ogni tentativo di limitazione e controllo [Han 2020]. In nome della libertà, si rivendica il superamento dei confini che ancora frenano l’espressione della propria volontà e il raggiungimento dei propri obiettivi, negli ambiti più diversi (dalla sperimentazione scientifica all’uso dell’intelligenza artificiale, dall’accumulazione illimitata di capitali fino alla mercificazione di ogni aspetto della vita individuale, solo per citarne alcuni). Il diritto, la politica, le istituzioni e in generale la sfera pubblica, pertanto, sono costantemente chiamati ad arretrare la propria sfera di influenza [Brown 2015] e a rimuovere divieti e autorizzazioni, o a spostare sempre più avanti la linea di demarcazione tra ciò che è lecito e illecito, per ampliare il più possibile il campo di azione individuale e dei poteri privati [Ferrarese 2022].
Ma, paradossalmente, all’interno delle medesime società, sono in corso imponenti processi contrari. La fascinazione delle democrazie per le forme dell’autoritarismo è oramai evidente. Nelle relazioni (economiche) internazionali, appare sempre più irrilevante la matrice illiberale dei governi con {p. 262}cui si stringono affari commerciali e finanziari [1]
, e sono sempre più diffusi regimi che combinano al loro interno componenti libertarie e autoritarie [Portinaro 2011, 9; Brown et al. 2018, 11].
Al contempo, la tecnica della segregazione invade sempre più ambienti e coinvolge un numero sempre maggiore di soggetti. Non più limitata all’istituzione carceraria, essa rappresenta oramai il perno della gestione dell’immigrazione e della marginalità sociale: i campi di detenzione amministrativa dei migranti [Campesi 2014], le residenze sanitarie per le persone anziane e con disabilità, e quelle per l’esecuzione delle misure di sicurezza sono solamente le modalità più visibili e diffuse della tendenza a contenere alcune classi di individui all’interno di luoghi che non consentano loro di esercitare i diritti di libertà [Merlo e Tarantino 2018].
Durante la gestione della pandemia da COVID-19, simili tendenze si sono acuite e per certi versi generalizzate [2]
. Oltre alla segregazione, anche il confinamento è divenuto uno strumento chiave nella gestione dell’emergenza, attraverso l’istituzione delle zone rosse, dei green pass, e dei periodi di isolamento obbligatorio [Giolo 2021].
Ancora, i sistemi di controllo di tutte le manifestazioni della libertà personale stanno aumentando, ad opera di poteri pubblici e privati, per finalità di pubblica sicurezza o commerciali. Solamente per proporre qualche esempio, la circolazione tra Stati o in città è da tempo oggetto di monitoraggio continuo, attraverso la videosorveglianza, il riconoscimento facciale, le impronte digitali; le condizioni di salute e le abitudini individuali sono censite e conservate dai c.d. big data; la cessione dei dati personali è oramai parte fondamentale del mercato (online e non solo) [3]
.
A ben vedere, tuttavia, autoritarismo, segregazione, confinamento e controllo non sembrano produrre i medesimi effetti in capo a tutte le persone. Gli esiti limitanti di questa diffusa condizione di libertà vigilata [Vida e Galletti 2018] pesano in misura differenziata sui soggetti in relazione agli status e alle condizioni materiali individuali [4]
. Tali tecniche sembrano dirette principalmente a disabilitare alcune categorie di persone differenziando i gradi di accesso alla libertà, in ragione della loro non conformità al modello della soggettività neoliberale (per volontà o incapacità) [5]
, o della loro «dispensabilità» (in quanto non in grado di produrre o di {p. 263}badare a se stessi) [6]
, o della loro destinazione allo sfruttamento (lavorativo e sessuale) [7]
. Ad esempio, determinate cittadinanze e/o la titolarità di un titolo di soggiorno autorizzano a circolare più liberamente, così come alcune condizioni personali (l’anzianità o la disabilità) si sono imposte come ragioni sufficienti per confinare classi di persone nel privato (quasi esclusivamente privato/commerciale) impedendo o comunque riducendo l’accesso libero alla sfera pubblica e allo spazio pubblico, e dunque producendo nuove forme di discriminazione spaziale e di incapacitazione [Bernardini e Giolo 2021].
A fronte dell’esaltazione retorica della libertà, pertanto, l’articolazione concreta di quest’ultima è oggi in preda a ideologie contrarie, interessate al controllo massiccio e costante delle popolazioni. Allo stesso modo, l’esaltazione del privato-individuale, a danno della sfera pubblica e dello spazio pubblico, cela l’imporsi di invasivi sistemi di monitoraggio e registrazione dei comportamenti, delle abitudini, degli interessi, delle opinioni individuali.
In questa sede, intendo soffermarmi su alcune di queste criticità, che giungono a destabilizzare il significato stesso – e il conseguente portato giuridico e politico – del principio di libertà. L’intento che si intravede in queste operazioni di risignificazione è quello di veicolare una concezione della libertà stessa meno rigorosa e, soprattutto, compatibile con le odierne forme di sfruttamento e segregazione/confinamento [8]
.
Ai fini dell’analisi, vorrei concentrarmi in particolare sui nessi libertà-contesto e libertà-relazione.
Recupererò innanzitutto la distinzione tra libera condizione e libera scelta [Facchi e Giolo 2020]: l’ideologia neoliberale infatti riduce lo status di persona libera alla mera possibilità di esercitare una scelta, senza problematizzare (e nemmeno tematizzare) il contesto in cui questa scelta viene compiuta. Il contesto perde totalmente la sua importanza, poiché se rileva la condizione individuale (ad esempio di vulnerabilità) [9]
, ciò che interviene a determinare quella condizione non è invece oggetto di interesse. Le circostanze, non individuali ma di sistema, che possono orientare {p. 264}le scelte, sono ritenute trascurabili. La libertà è ridotta a mero esercizio dell’autonomia individuale [10]
, con il conseguente ulteriore restringimento del novero dei soggetti che possono essere intesi come liberi, in quanto autonomi.
Successivamente, vorrei procedere attingendo al pensiero femminista in tema di cura e responsabilità. La concezione della libertà veicolata classicamente dal liberalismo ed esasperata dall’ideologia neoliberale è infatti declinata a partire da una concezione individualistica, che prescinde dalla dimensione relazionale. Invece, alla luce di quanto elaborato dalla critica femminista, è possibile rappresentare la libertà senza prescindere dalla relazione, giungendo inoltre a una ridefinizione delle responsabilità pubbliche e private che sottostanno alla sua realizzazione in chiave universale.

2. Il contesto della libertà

Nella rappresentazione classica della libertà, il contesto, in cui il soggetto qualificato come libero agisce, non è descritto ma è presupposto. L’antropologia sottostante i diritti civili assume infatti come soggetto paradigmatico l’uomo bianco e benestante, rinviando più o meno implicitamente al contesto agiato di privilegi all’interno del quale quel soggetto trova concretizzazione.
Con l’avvento dell’eguaglianza, viene progressivamente (anche se lentamente) meno questa presupposizione: tutti gli esseri umani sono intesi come liberi ed eguali, dunque tutti i diversi contesti rilevano e, anzi, in ragione dell’eguaglianza, si stabilisce che il diritto e le istituzioni debbano intervenire su ciò che funziona come ostacolo al godimento delle libertà e dei diritti, per rimuoverlo [11]
. Il contesto determina le diseguaglianze in cui i soggetti si trovano a vivere e su quello occorre agire [12]
.
Il neoliberalismo si inserisce in questo percorso distorcendolo, radicalizzando il nesso libertà-soggetto e rimuovendo nuovamente il contesto. Il soggetto è inteso come totalmente avulso dall’ambiente in cui si trova a vivere ed è caricato di un grado elevatissimo di responsabilità in merito alla propria situazione. Sembra così imporsi una concezione della libertà che {p. 265}addirittura prescinde dalla sfera pubblica e dalla dimensione istituzionale, pretendendo invece che la sua realizzazione dipenda esclusivamente dalla prestazione individuale [Han 2020, 96].
Si tratta di un modello di libertà che molto si differenzia, come è evidente, dai contenuti del principio di libertà elaborati in seno al costituzionalismo [13]
. Libertà ed eguaglianza, nella riflessione filosofico-giuridica moderna e contemporanea, appaiono infatti come strettamente interconnesse e funzionali l’una all’altra: è «la congiunzione fra eguaglianza e libertà a definire propriamente il ruolo del concetto moderno di libertà nell’ambito di riferimento dell’ordine politico» [Veca 2019, 42].
Non a caso, è alla luce dell’eguaglianza degli esseri umani che si giunge, secoli addietro, all’abolizione della schiavitù: sancita l’eguaglianza, l’istituto della schiavitù si palesa progressivamente come intollerabile in quanto negazione della libertà individuale e in quanto strumento di differenziazione e di violazione dell’eguaglianza stessa. Una concezione della libertà svincolata dall’eguaglianza, da quel momento in poi, viene intesa come foriera di porzioni diseguali di libertà e pertanto produttrice di condizioni diffuse di oppressione, assoggettamento e sfruttamento.
Ma tale consapevolezza, appunto, sembra essere venuta meno in ambito politico (e anche giuridico, talvolta). Pare oggi possibile pensare la libertà prescindendo dall’eguaglianza: addirittura i due lemmi spesso tornano ad essere contrapposti come un tempo [14]
, e in modo più radicale rispetto a quanto sostenuto tradizionalmente dal pensiero liberale [15]
.
La nuova frattura tra libertà ed eguaglianza, che il neoliberalismo promuove, sta pertanto alla base di una pratica «di ritorno» [16]
: la diseguale distribuzione della libertà in capo ai soggetti, in ragione dei loro diversi status, con una sempre più problematica «disponibilità» della libertà individuale di alcuni in ragione del potere detenuto da altri.
Nel godimento della condizione di libertà, gli status soggettivi tornano a essere rilevanti quali posizioni (non condizioni) [Fassin 2019, 169] individuali all’interno di una gerarchia sociale che tuttavia, celato il contesto, rimane invisibile. In questo modo, spariscono le meccaniche del potere che determinano quelle posizioni: non rileva all’interno di quali reti di
{p. 266}relazioni quel soggetto, dotato di quello status, è inserito, e diviene insignificante il fatto che all’interno di quel contesto una persona sia posta in condizione di assoggettamento/asservimento e dunque sia – per le più diverse ragioni – nella disponibilità di altri.
Note
[1] Sulla passione neoliberale per lo «Stato forte», che ha il vantaggio di «eliminare i costi d’intermediazione politica, di rendere superfluo il processo elettorale e quindi di risparmiare sull’attività di lobby» cfr. d’Eramo [2020, 158]. Cfr. anche a proposito del carattere a-democratico della razionalità neoliberale, Dardot e Laval [2013, 469].
[2] Per una disamina in merito rinvio a Bernardini e Carnovali [2021].
[3] Cfr., per una ricognizione, Casadei e Pietropaoli [2021] e Vantin [2021].
[4] Ad esempio, al tempo del COVID, cfr. Leonini [2020].
[5] Si veda Vida [2016].
[6] Si veda Butler [2017, 27].
[7] Sulla «produzione», ad opera di precise politiche nazionali, europee e internazionali, di classi di soggetti che unicamente nello sfruttamento possono trovare una via di fuga dalla condizione di estremo bisogno in cui versano si veda quanto già evidenziato in Santoro [2010].
[8] «Libertà è senza dubbio una delle parole più “ambigue” e polisemiche del nostro lessico politico. [...] La libertà è un ideale quasi universalmente accettato, ma le sue definizioni sono molto diverse – talvolta incompatibili – e il suo ambito concettuale colmo di paradossi» [Traverso 2021, 289-290].
[9] La funzione della vulnerabilità è centrale nell’ambito delle trasformazioni in corso, sia in tema di libertà [Giolo 2019], sia con riferimento al ritorno delle pratiche di sfruttamento [di Martino 2019; Santoro 2020].
[10] Per una lettura complessa della (tutt’altro che pacifica) relazione tra autonomia e libertà cfr. Bagnoli [2019, 227 ss.]
[11] Si veda ad esempio quanto sostiene Salvatore Veca, criticando la distinzione berliniana, a proposito della rappresentazione triadica della libertà, che non si focalizza solamente sui soggetti (chi è libero) ma anche sui campi (i contesti e i vincoli) e gli scopi [Veca 2019, 84].
[12] Angela Davis ricorda come gli abolizionisti «più lungimiranti», già nel XIX secolo, sostenevano che la schiavitù non sarebbe certo finita «se ci si fosse limitati ad abolirla e che dunque dovevano essere create istituzioni che integrassero gli ex-schiavi in una nuova democrazia in evoluzione» [Davis 2018, 85-86].
[13] È del resto chiaro che non esiste un unico modo di concepire la libertà, ma che anzi questa dipenda strettamente «da una qualche idea di io, di persona, di uomo» [Berlin 2005, 184] e dalle impostazioni ideologiche, etiche e politiche sottostanti. Per una ricognizione in merito ai diversi significati di libertà si veda Barberis [2021].
[14] Sulla «classica» tensione tra libertà ed eguaglianza rinvio, per tutti, a Bobbio [2009].
[15] Luigi Ferrajoli ritiene, in proposito, che si tratti di una «sorta di postulato ideologico delle culture liberiste: la contrapposizione tra libertà e uguaglianza, tra uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale, tra dignità individuale e giustizia sociale, tra diritti di libertà e diritti sociali, tra sviluppo economico e politiche redistributive e perciò la giustificazione delle diseguaglianze in nome del valore associato alla libertà» [Ferrajoli 2018].
[16] Si veda, sul ritorno di categorie e concetti premoderni, Geiselberger [2017].