Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c16
Il beneficiario ben potrà porre
in essere i succitati atti personalissimi in piena autonomia, salva l’opportunità di
disporre – dietro espressa previsione del giudice tutelare e nei casi eccezionali in
cui se ne ravvisa la necessità – l’assistenza da parte dell’amministratore di
sostegno ovvero la rappresentanza di questi, ma in tale ultimo caso solo laddove sia
stata accertata la volontà del soggetto espressa in maniera diretta e attuale.
¶{p. 386}
In altri termini, la scelta
rimarrà sempre in capo al beneficiario, trattandosi di espressione di una sua
autodeterminazione, ma con l’ulteriore garanzia della presenza dell’amministratore.
4. Limiti e confini dei poteri dell’amministratore di sostegno e del giudice tutelare in tema di autodeterminazione terapeutica del beneficiario dell’amministrazione di sostegno
Nell’ambito dei diritti
personalissimi, più delicata appare la problematica relativa alle decisioni che
coinvolgono le scelte di natura medico-sanitaria.
Nell’esercizio quotidiano della
funzione, l’esigenza di rispettare e tener conto della volontà della persona
beneficiaria dell’amministrazione di sostegno si avverte, infatti, in modo pregnante
nell’ambito delle attività connesse alla cura (e alle
cure) della persona.
Nel delicato compito di garantire
la tutela della salute, quale diritto fondamentale di ciascun individuo, il difficile
bilanciamento degli opposti interessi richiede, in primo luogo, un intervento in
sincronia di una pluralità di soggetti sia pubblici che privati (l’amministratore di
sostegno, i Dipartimenti di salute mentale, i servizi sociali territoriali, il giudice
tutelare, ecc...), chiamati a interagire nell’ottica della protezione effettiva alla
persona. Inoltre, la variegata casistica rende particolarmente problematica l’attuazione
delle suddette finalità quando sia interessato il piano del consenso ai trattamenti
sanitari della persona con disabilità, specialmente laddove si richieda di limitare il
diritto di autodeterminarsi del singolo, per il tramite dell’imposizione di un
trattamento sanitario.
Emerge infatti, nel caso concreto,
la difficoltà di raccordare la disciplina prevista dalle diverse fonti normative e di
rispettare i limiti posti dall’ordinamento all’intervento giudiziario nella sfera
individuale.
4.1. La tutela dell’autodeterminazione nell’ambito dei trattamenti medico-sanitari
Già a partire dall’introduzione
della legge n. 6/2004 la giurisprudenza di merito si era espressa nel senso della
possibilità di conferire all’amministratore di sostegno il potere di esprimere, in
nome e per conto del beneficiario, il consenso alle cure
[22]
. ¶{p. 387}
Tale orientamento mirava a
colmare una lacuna legislativa, facendo leva sulla ratio della
nuova misura di protezione, volta più a tutelare la persona che il suo patrimonio
[Masoni 2020, 341-342], e preannuncia e segue gli assunti conquistati della
pronuncia della Corte di Cassazione del 2007
[23]
nel caso Englaro con riguardo all’individuazione dei poteri spettanti al
tutore dell’interdetto, poteri che grazie al lungimirante insegnamento
giurisprudenziale sopra richiamato sono stati attribuiti anche all’amministratore di
sostegno.
La possibile competenza
dell’amministratore di sostegno in materia di salute si evince, in particolare,
dalla lettura combinata dell’articolo 405, comma 4, c.c. – in forza del quale nel
corso del procedimento relativo all’apertura dell’amministrazione di sostegno, il
giudice può adottare anche d’ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della
persona interessata – e dell’articolo 408 c.c., il quale sancisce che la scelta
dell’amministratore di sostegno deve avvenire avendo esclusivo riguardo alla cura e
agli interessi della persona del beneficiario, ove il termine interessi è
sufficientemente ampio per includervi anche il profilo non patrimoniale.
La figura dell’amministratore
di sostegno, sin dalla sua entrata in vigore, d’altronde, è stata individuata come
strumento idoneo ad autoregolamentare la propria futura incapacità anche in
relazione ai trattamenti sanitari, e dunque attribuendo all’amministratore incarichi
assimilabili a quelli del fiduciario per la salute [Bugetti 2019, 124-125].
Con la legge n. 219/2017
[24]
è stata definitivamente confermata tale possibilità, distinguendo – nel
caso dell’amministrazione di sostegno – l’ipotesi della rappresentanza esclusiva da
quella dell’assistenza necessaria.
Ai sensi dell’articolo 3, comma
4, legge n. 219/2017 «nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di
sostegno la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva
in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche
dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della
volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di
volere».
Come è stato osservato [Daly
2020], tale previsione del legislatore non può comportare
un’espropriazione del diritto di autodeterminazione della
persona considerata parzialmente o totalmente incapace, posto che il primo comma
dell’articolo 3 legge n. 219/2017 stabilisce che «la persona minore o incapace ha
diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione» e
«deve ricevere informazioni sulle scelte ¶{p. 388}relative alla
propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni
di esprimere la sua volontà».
Al fine di comprendere come
tale potere di assistenza necessaria o rappresentanza esclusiva debba concretamente
essere esercitato dall’amministratore di sostegno, subentrano i principi enunciati
dalla richiamata sentenza Englaro.
Quando la volontà della
persona in materia di trattamenti medico-sanitari non possa essere espressa
direttamente dalla persona con disabilità, il suo rappresentante legale, dotato di
poteri sostitutivi in materia di consenso e rifiuto di trattamenti sanitari, è
tenuto a manifestare la volontà della persona ricostruendola,
laddove la stessa fosse stata in precedenza espressa
[25]
. Il rappresentante, in particolare, dovrà agire ricostruendo la volontà
presunta della persona beneficiaria e operando nell’esclusivo interesse della
stessa. Laddove la presunta volontà del paziente non possa essere ricostruita,
nemmeno in forma indiziaria, la scelta sanitaria delle cure praticabili o non
praticabili va improntata da parte dell’amministratore di sostegno, tutore o
genitore, al criterio, subordinato al rispetto del primo e di natura obiettiva,
della ricerca del best interest del paziente, con riferimento
all’utilità del trattamento sanitario rispetto al grado di sofferenza patito.
In tal senso, anche l’articolo
6, par. 1, della Convenzione di Oviedo
[26]
precisa che «un intervento non può essere effettuato su una persona che
non ha capacità di dare consenso, se non per un diretto beneficio dello stesso».
Nella stessa legge n. 219/2017, sono presenti riferimenti al best
interest, laddove si precisa che il consenso deve essere espresso
«avendo come scopo la tutela della salute psicofisica» della persona (art. 3, commi
2 e 3, rispettivamente per il minore e la persona interdetta).
Va precisato, inoltre, che
anche laddove il decreto attribuisca all’amministratore di sostegno un potere
sostitutivo del beneficiario (assimilandone dunque la condizione in parte
qua a quella dell’interdetto), l’amministratore di sostegno – così
come il tutore – non potrà non valorizzare le eventuali capacità del paziente, non
solo in forza del tenore letterale di ¶{p. 389}cui all’articolo 3,
comma 1, legge n. 219/2017 sopra richiamato, ma anche in considerazione del disposto
di cui all’articolo 410 c.c.
Pertanto,
rappresentanza esclusiva non significa potere
esclusivo: qualora, infatti, si ritenesse sussistente in capo
all’amministratore di sostegno il potere di esprimere in via esclusiva il consenso
informato in ambito sanitario, anche contro la volontà del beneficiario
dissenziente, la normativa sul consenso informato confliggerebbe con la disciplina
dei trattamenti sanitari obbligatori e con le relative garanzie [Daly 2020]. Come
vedremo, infatti, in caso di dissenso tra l’amministratore di sostegno e il
beneficiario, è previsto un apposito meccanismo per la risoluzione del relativo
conflitto che coinvolge la figura del giudice tutelare.
A questi criteri deve, in
definitiva, attenersi l’amministratore di sostegno (e in generale il rappresentante
legale della persona) in materia di trattamenti sanitari.
4.2. La risoluzione del conflitto sulle cure e i limiti al diritto di autodeterminazione
Occorre evidenziare che,
diversamente da quanto previsto in materia di interdizione, nell’amministrazione di
sostegno è espressamente disciplinato un meccanismo di risoluzione del conflitto,
rimesso al giudice tutelare, in caso di contrasto sulle scelte di cura tra
rappresentante e rappresentato.
La volontà terapeutica del
paziente psichiatrico o con disabilità, dunque, produce effetti a prescindere dalla
sua effettiva capacità di esprimere un consenso nelle forme prescritte dalla legge
n. 219/2017: nella dicotomia tra volontarietà e coercizione operata dalla legge, il
fatto che il consenso/dissenso non possa dirsi sempre immune da
vizi non implica che esso sia altresì inefficace
[Dalla Balla 2022].
Nella legge n. 219/2017, tale
meccanismo di risoluzione riguarda il conflitto che potrebbe in concreto
manifestarsi tra l’amministratore di sostegno (e più in generale tra i soggetti di
cui all’art. 3 della predetta legge) e il personale sanitario, rispetto al
trattamento proposto
[27]
.
In particolare, il caso
tratteggiato dal legislatore, statisticamente più frequente, è quello del
rappresentante legale che rifiuti le cure proposte e il medico le ritenga invece
appropriate e necessarie. ¶{p. 390}
Dunque, in caso di contrasto
insorto tra il vicario legale e il medico in ordine all’effettuazione o meno delle
cure proposte dovrà adirsi il giudice tutelare
[28]
, il quale avrà il delicato compito di ricostruire la volontà secondo i
principi espressi dalla richiamata pronuncia Englaro.
In assenza di contrasti di
sorta, aventi ad oggetto le cure da praticare al paziente, ad eccezione di quanto si
dirà nel caso di conflitto tra rappresentante e rappresentato, non compete
intervento autorizzatorio da parte del giudice dato che la ricostruzione della
volontà della persona in materia è demandata al suo rappresentante legale
nell’ottica della «funzionalizzazione del potere di rappresentanza» [Masoni 2020,
345]. In tal senso, alcun potere di convalida è attribuito al giudice tutelare.
Sulla legittimità
costituzionale della disposizione in commento, come è noto, si è pronunciata
recentemente la Corte costituzionale
[29]
, la quale rigettando la questione sollevata dal Tribunale di Pavia
[30]
, ha affermato che
contrariamente a quanto ritenuto dal giudice remittente, le norme censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale.
In relazione al quadro clinico
della persona e alla riscontrata patologia, sarà pertanto il giudice tutelare a
conferire all’amministratore di sostegno il potere di «prestare il consenso o il
diniego ai trattamenti sanitari di sostegno vitale». Secondo la Corte
costituzionale, pertanto, il conferimento all’amministratore di sostegno di poteri
sotto il profilo sanitario, non implica di per sé anche il conferimento del potere
di rifiutare i trattamenti necessari al mantenimento in vita del paziente: tale
potere, di rifiuto delle terapie, presuppone dunque l’esistenza di un decreto del
giudice tutelare che tale facoltà espressamente conferisca
[31]
.
¶{p. 391}
Note
[22] Così tra i primi: Tribunale di Modena, 28 gennaio 2004; Tribunale di Trieste, 5 aprile 2007; Tribunale di Modena, 20 marzo 2008; Tribunale di Modena, 5 novembre 2008; Tribunale di Palermo, 9 dicembre 2009; Tribunale di Perugia 20 giugno 2013; Tribunale di Cagliari, 16 luglio 2015.
[23] Cass. civ. 16 ottobre 2007, n. 21748.
[24] Legge 22 dicembre 2017, n. 219 recante «Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento» pubblicata in «Gazzetta Ufficiale» del 16 gennaio 2018, n. 12.
[25] Nella richiamata pronuncia Englaro, la Suprema Corte afferma che la volontà espressa dal paziente in stato di incoscienza, va ricostruita sempre che la stessa «sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona».
[26] Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina (Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina), conclusa a Oviedo il 4 aprile 1997 e approvata dall’Assemblea Federale il 20 marzo 2008, ratificata dall’Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145, pubblicata in «Gazzetta Ufficiale» del 24 aprile 2001, n. 95.
[27] Articolo 3, ultimo comma, legge n. 219/2017: «Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l’amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all’articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria».
[28] È ragionevole ritenere, oltre che maggiormente armonico rispetto al sistema normativo delineato dalla legge n. 219/2017, che il giudice tutelare possa essere investito del conflitto anche nel caso opposto, ossia ove il legale rappresentante richieda all’équipe medica la prosecuzione delle cure già intraprese, ma il medico opponga un rifiuto, ritenendo, viceversa, tale prosecuzione inutile o dannosa per il paziente.
[29] Corte cost. 13 giugno 2019, n. 144.
[30] Tribunale di Pavia, 24 marzo 2018.
[31] In tal senso, peraltro, si era orientato il Tribunale di Modena nel noto caso di Vincenza Santoro, settantenne malata di SLA che aveva manifestato il desiderio di non essere sottoposta a terapie invasive e, in particolare, nonostante l’aggravarsi della patologia, all’intervento di tracheotomia con successiva intubazione di installazione di macchinario per la ventilazione meccanica che le avrebbe forse allungato la vita ma senza possibilità di salvarla data la prognosi infausta. Cfr. Tribunale di Modena, 13 maggio 2008: «può procedersi alla nomina di un amministratore di sostegno per persona attualmente capace, ma affetta da un gravissimo morbo progressivo, allo scopo di sostituirla – una volta sopravvenuto uno stato di incapacità – nell’espressione del diniego ad eventuali future terapie rianimatorie invasive (nella specie: la ventilazione forzata con tracheotomia) espressamente fin d’ora rifiutate dal paziente».