Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c2
A parte minori problemi, relativi alla computabilità di indennità anch’esse in qualche modo legate all’andamento del costo della vita, quali il caro-vita e il caropane [68]
, il dibattito fu particolarmente contrastato attorno all’indennità di contingenza, anche allora in ragione del rilevantissimo peso economico acquisito dall’istituto nel contesto della vertiginosa inflazione post-bellica [69]
. La tesi negativa, inizialmente prevalente e diffusa in dottrina come in giurisprudenza [70]
, poggiava su un presunto carattere
{p. 122}precario dell’emolumento, desumibile dall’intenzione di temporaneità legata alla particolare congiuntura economica, con cui le parti collettive s’erano impegnate ad istituirlo (appunto in via «contingente»); sulla variabilità dello stesso; sull’affermata identità di funzione con l’indennità di caro-vita, da cui si faceva derivare la necessità di un’identità di disciplina e, in particolare, l’applicabilità dell’art. 7 d. lgs. lgt. 2 novembre 1944, n. 303, che avrebbe comportato la non computabilità ad alcun effetto della contingenza come parte del salario (o stipendio). Nel senso dell’esclusione deponeva pure l’esplicita previsione degli accordi interconfederali istitutivi [71]
, pur con i temperamenti apportati dal successivo accordo interconfederale 27 ottobre 1946 [72]
.
Gradatamente i motivi indicati finirono col mostrare la propria fragilità. Il riferimento alla variabilità fu ritenuto palesemente inconferente, perché non incompatibile col requisito di continuità richiesto dall’art. 2121 cod. civ. (e, del resto, riscontrabile nello stesso salario base). Fu contestata l’assimilabilità delle indennità di carovita e di contingenza, attesa l’origine legale della prima, convenzionale della seconda, nonché le differenti modalità di funzionamento [73]
. L’opinione favorevole alla computabilità si consolidò, infine, a partire da una serie di pronunce della Cassazione rese agli inizi degli anni ’50, quando ormai la negazione del carattere di continuità all’indennità di contingenza sarebbe stata «un vero assurdo economico e giuridico», considerato «il progressivo consolidamento della stessa come parte non solo integrante, ma preminente, della retribuzione» [74]
. In {p. 123}termini pratici gli interventi giurisprudenziali si tradussero in ripetute dichiarazioni di nullità delle clausole collettive che negavano, o ammettevano solo parzialmente, il computo della contingenza ai fini del calcolo dell’indennità di anzianità [75]
. In effetti, sulla scorta del disposto contenuto nell’art. 18 dell’accordo interconfederale 27 ottobre 1946, i contratti collettivi dell’industria stipulati negli anni immediatamente successivi riconoscevano la computabilità della contingenza per la sola anzianità maturata dopo il 1° gennaio 1945, anche se, in taluni casi, si preoccupavano di assicurarne comunque l’incidenza per un’anzianità minima [76]
. Al di fuori dell’ambito di applicazione dell’accordo interconfederale esistevano disposizioni ancora più restrittive, come nel settore {p. 124}commerciale, dove la computabilità della contingenza era ammessa per l’anzianità successiva al 1° gennaio 1947 [77]
; o clausole più favorevoli, come nel settore bancario, dove la computabilità integrale della contingenza veniva riconosciuta con un particolare accorgimento di tecnica contrattuale. L’art. 88 del ccnl 14 novembre 1949 disponeva, infatti, che per tutto il periodo in cui le aziende avrebbero versato l’indennità di contingenza, sarebbe anche stata corrisposta ai dipendenti «in caso di risoluzione del rapporto con diritto all’indennità di anzianità, in aggiunta alla normale indennità di anzianità... una speciale elargizione pari all’ulteriore importo che spetterebbe a ciascun interessato qualora, ai fini della determinazione della predetta normale indennità di anzianità, si tenesse conto anche dell’indennità di contingenza in atto alla data di risoluzione del rapporto».
Con siffatto escamotage ci si riprometteva, evidentemente, di garantire un beneficio economico non trascurabile al personale, senza compromettere l’affermazione di principio, di rilevante interesse per i datori di lavoro, circa il carattere precario e temporaneo dell’emolumento [78]
.
Al di là delle ragioni di politica contrattuale specifiche al settore, si può, comunque, formulare l’ipotesi che sulla particolare soluzione accolta abbiano fatto sentire il proprio peso i primi segni del mutato orientamento giurisprudenziale, che già erano affiorati in alcune decisioni di corti di merito. Il consolidarsi del nuovo orientamento, poi, sembra aver esercitato un’influenza indubbia sulla produzione contrattuale, sia di livello interconfederale, sia di categoria [79]
, cosicché alla metà degli anni ’50 il {p. 125}problema ma appare risolto in tutti i settori nel senso della piena computabilità dell’indennità di contingenza dall’inizio del rapporto di lavoro.
Nell’ambito del lavoro pubblico l’esclusione degli elementi retributivi correlati al costo della vita dalla base di calcolo dei trattamenti di fine rapporto è più tradizionale e consacrata da apposite norme di legge. Già nel periodo fra le due guerre, ad esempio, l’indennità di carovita allora vigente venne esclusa dal computo dell’indennizzo di licenziamento istituito nel 1925 per gli operai non di ruolo dello Stato [80]
. Nell’immediato dopoguerra il d. lgs. lgt. 21 novembre 1945, n. 722 disciplinò una nuova indennità mensile di carovita, applicabile al personale statale, parastatale e degli enti locali, prevedendone la non computabilità «agli effetti del trattamento di quiescenza o dell’indennità di licenziamento» [81]
. Riallacciandosi a tale precedente normativo, il successivo decreto legislativo 4 aprile 1947, n. 207 (art. 9) previde la commisurazione dell’indennità di licenziamento per il personale non di ruolo dello Stato alla sola retribuzione [82]
. La volontà di escludere dalla base di computo l’indennità di carovita risultava implicitamente confermata nell’art. 21, che, invece, ne prevedeva l’incidenza sull’indennità di licenziamento dei dipendenti che avessero rassegnato le dimissioni entro sei mesi dalla data di entrata in {p. 126}vigore fissato dall’art. 9, evidentemente intesa a propiziare, attraverso un beneficio economico, l’esodo di personale dalle pubbliche amministrazioni [83]
.
Sul piano sistematico è interessante notare come la corresponsione di un trattamento di fine rapporto maggiorato, in funzione di incentivazione all’abbandono dell’impiego pubblico, sia stata riproposta dall’art. 5 della legge 27 febbraio 1955, n. 53, che introdusse un’indennità di esodo volontario comprensiva, appunto, anche del carovita [84]
. Più in generale la giurisprudenza del Consiglio di Stato, affermato il carattere determinato e continuativo dell’emolumento, ne ha ammesso con una certa frequenza la computabilità nella base di calcolo dell’indennità di licenziamento, almeno in tutti quei casi (enti pubblici in genere) in cui non vi ostasse un’espressa norma in contrario [85]
. Nell’interpretazione giurisprudenziale la valorizzazione dell’elemento continuità, mutuata dal rapporto di lavoro privato, ha fatto, evidentemente, perdere di spessore al divieto generale di computo, pur previsto dal d. lgs. lgt. n. 722/1945, che ha finito col non essere considerato più tale.
{p. 127}
Note
[68] L’indennità di carovita fu istituita dal d. lgs. lgt. 2 novembre 1944, n. 303: l’art. 7 prevedeva espressamente che essa non dovesse ritenersi parte dello stipendio o del salario ad alcun effetto. Col successivo accordo interconfederale 24 febbraio 1945, inteso a dettare norme per la determinazione del «nuovo caro-vita», si derogò alla disciplina legislativa, stabilendo che l’indennità di carovita sarebbe stata considerata come retribuzione agli effetti del trattamento di quiescenza. La dottrina maggioritaria riconobbe al carovita carattere retributivo e ne ammise la computabilità agli effetti delle indennità previste dall’art. 2121 cod. civ.; in giurisprudenza, a favore della computabilità, si v., per tutte, Cass., 13 luglio 1950, n. 1881 e 1882, in «Riv. dir. lav.», 1951, II, p. 161; 5 maggio 1951, n. 1072, in «Mass. giur. lav.», 1951, p. 157. Quanto all’indennità di caropane, istituita con d.l. 6 maggio 1947, n. 563, in concomitanza col passaggio dal prezzo politico al prezzo di mercato del pane e della pasta, natura retributiva e computabilità nell’indennità di anzianità le furono riconosciute da dottrina (contra v. però Barassi, Il diritto del lavoro, III, Milano, Giuffré, 1957, p. 62) e giurisprudenza largamente prevalenti. L’opinione minoritaria, che attribuiva al caropane il carattere di un rimborso spese per il maggior costo del pane e della pasta, si trova rispecchiata nella circolare 10 giugno 1948 del Ministero del lavoro, che, conseguentemente, disponeva in ordine alla non assoggettabilità dell’emolumento a contribuzione previdenziale; ma fu palesemente smentita dall’accorpamento dello stesso nell’unica voce retributiva definita dall’accordo interconfederale 12 giugno 1954. Dopo l’accordo sul conglobamento e tenuto conto anche del chiaro indirizzo giurisprudenziale, il Ministero emanò la circolare 5 dicembre 1957 che, modificando l’indirizzo precedente, disponeva l’assoggettabilità a contribuzione del caropane a partire dal 1° gennaio 1958. Il carattere retributivo dell’indennità di caropane è stato infine riconosciuto dalla Corte costituzionale (con sentenza 26 aprile 1962, n. 41, in «Giur. It.», 1962, I, 1, c. 1053).
[69] Cfr. Guidotti, op. cit., p. 227; Papeschi, op. cit., p. 58.
[70] Cfr., per tutti, Cantilo, L’indennità di contingenza ed il suo computo nell’indennità di anzianità, in «Giur. It.», 1948, I, 2, c. 489; Musatti, Indennità di contingenza e indennità di anzianità, in «Mass. giur. lav.», 1950, p. 255. In giurisprudenza Trib. Firenze, 23 gennaio 1948, in «Dir. lav.», 1948, II, p. 237; App. Trento, 12 giugno 1948, in «Riv. dir. lav.», 1949, II, p. 394; Trib. Milano, 6 aprile 1949, in «Rep. giur. it.», 1949, c. 1041; App. Napoli, 28 aprile 1949, in «Foro it.», 1950, I, c. 75.
[71] Accordo interconfederale 6 dicembre 1945 per i lavoratori dell’industria delle provincie settentrionali; accordo interconfederale 23 maggio 1946 per i lavoratori delle provincie centro-meridionali.
[72] L’art. 18 dell’accordo interconfederale stabiliva che la contingenza dovesse essere computata ai fini del calcolo dell’indennità di fine rapporto limitatamente all’anzianità maturata dopo il 1° gennaio 1945.
[73] Così, con particolare chiarezza, Cass., 5 luglio 1951, n. 1767, in «Foro it.», 1951, I, c. 1021.
[74] Le citazioni sono tratte dalla sentenza di Cassazione citata nella nota precedente, la quale, è da notare, ritiene la nullità della clausola collettiva limitativa del computo della contingenza nell’indennità di anzianità non solo ai sensi dell’art. 2121 cod. civ., ma anche in riferimento all’art. 36 Cost. Le prime pronunce della Suprema Corte favorevoli ad includere la contingenza nel calcolo della liquidazione sono quelle di Cass., 3 febbraio 1950, n. 281, in «Foro it.», 1950, I, c. 1156; 29 aprile 1950, n. 1155, ivi, I, c. 661; 3 giugno 1950, n. 1382, in «Mass. giur. lav.», 1950, p. 255.
[75] Fra le prime decisioni orientate in questo senso si v. Trib. Viterbo, 11 marzo 1948, in «Dir. lav.», 1948, II, p. 236; App. Milano, 21 ottobre 1948, in «Mass. giur. lav.», 1948, p. 210; App. Milano, 27 ottobre 1949, in «Riv. giur. lav.», 1950, II, p. 85. Dopo le sentenze di Cassazione citate in nota 72 l’orientamento favorevole alla computabilità della contingenza, anche in presenza di clausole collettive difformi, si consolida definitivamente: fra le tante si v. Trib. Milano, 21 giugno 1950, in «Riv. giur. lav.», 1950, II, p. 359; Trib. Genova, 5 febbraio 1951, ivi, 1951, II, p. 288; Trib. Roma, 9 marzo 1951, in «Foro it.», 1951, I, c. 798 e, poi, ancora Cass., 25 gennaio 1951, n. 215, in «Riv. dir. lav.», 1951, II, p. 162; 27 gennaio 1951, n. 247, in «Mass. giur. lav.», 1951, p. 66; 5 maggio 1951, n. 1072, in «Riv. dir. Lav.», 1951, II, p. 407; 23 maggio 1951, n. 1291, in «Riv. giur. lav.», 1951, II, p. 259. In dottrina, in senso conforme all’orientamento giurisprudenziale, si v., per tutti, Pároli, Indennità di contingenza e trattamento di fine lavoro, in «Dir. lav.», 1949, II, p. 273; Fortunato, Invalidità dei patti limitativi dell’indennità di anzianità, in «Riv. giur. lav.», 1951, II, p. 262
[76] Così l’art. 33 (parte operai) del ccnl 31 gennaio 1947 per gli addetti alle industrie tessili prevedeva che la regolamentazione in tema di calcolo dell’indennità di anzianità si applicasse «alle anzianità maturate a partire dal 1° gennaio 1945». Nel successivo ccnl 6 dicembre 1950 l’art. 39 (parte impiegati) conteneva una disposizione analoga, specificando che, comunque, la contingenza sarebbe stata computata «per un periodo non inferiore agli ultimi dieci anni o al minore periodo di servizio prestato». Nel ccnl 25 giugno 1948 per gli addetti all’industria metalmeccanica gli artt. 40 (pane operai) e 27 (parte impiegati) riprendevano la normativa dall’accordo interconfederale, disponendo, però, entrambi la computabilità della contingenza per un periodo non inferiore agli ultimi otto anni od al minore periodo di servizio prestato. Nei ccnl 1 dicembre 1946 e 18 gennaio 1950 per gli operai edili, così come nel ccnl 14 novembre 1947 per gli impiegati dello stesso settore ci si limitava, invece, a riprodurre il disposto dell’accordo interconfederale.
[77] Sia per gli impiegati che per gli operai, ai sensi dell’accordo 8 dicembre 1947 sul trattamento di quiescenza.
[78] Non a caso la clausola contrattuale si apriva con l’inciso «per tutto il periodo in cui... sarà dovuta l’indennità di contingenza», come a voler sottolineare che si trattava di emolumento temporaneo, destinato, probabilmente, in futuro a scomparire dalle buste-paga.
[79] A partire dall’accordo interconfederale 14 giugno 1952 per il settore industriale l’inclusione della contingenza nella retribuzione ad ogni effetto può dirsi acquisita. Nei contratti di categoria ogni limitazione temporale scompare con la normativa contenuta negli artt. 39 (parte operai) e 39 (parte impiegati) del ccnl 1° ottobre 1956 per gli addetti all’industria tessile; 40 (parte operai) e 30 (parte impiegati) del ccnl 21 giugno 1956 per gli addetti all’industria metalmeccanica. Nella contrattazione collettiva per gli impiegati dell’edilizia il riconoscimento della piena computabilità della contingenza nella liquidazione è contenuto nell’art. 41 del ccnl 18 dicembre 1954 (dopo che già il precedente ccnl 31 gennaio 1952 ne aveva anticipato l’incidenza all’anzianità successiva al 1° luglio 1937); per gli operai nell’art. 45 del ccnl 5 dicembre 1952. Nel settore commerciale il ccnl 23 ottobre 1950 (art. 91) anticipa la computabilità della contingenza al 1° gennaio 1946; il successivo accordo nazionale 1° aprile 1953 riconosce la piena computabilità della contingenza nella liquidazione in caso di licenziamento o di dimissioni con almeno venti anni di anzianità di servizio. Il ccnl 1° agosto 1955 per gli impiegati, le impiegate e i commessi delle aziende di credito riconosce, infine, la computabilità della contingenza (art. 88) senza più ripetere l’espediente tecnico previsto nella normativa precedente.
[80] Cfr. Garilli, Il trattamento di fine rapporto nel lavoro pubblico e privato, Milano, Franco Angeli, 1983, p. 47.
[81] L’indennità di carovita fu istituita per il personale dello Stato; l’art. 14 del d. lgs. lgt. n. 722/1945 dava però facoltà agli enti locali e parastatali di estendere la relativa normativa al proprio personale, ivi compreso il particolare meccanismo di adeguamento dell’importo dell’indennità alle fluttuazioni del costo della vita previsto dall’art. 6 del decreto.
[82] Analoga disposizione si ritrova nell’art. 7 del decreto legislativo 5 febbraio 1948, n. 61 per il personale non di ruolo degli enti locali.
[83] Nello stesso senso, per il personale degli enti locali, disponeva l’art. 7 decreto legislativo n. 61/1948 citato in nota precedente.
[84] La decisione con cui il Consiglio di Stato ha ritenuto computabile l’indennità integrativa speciale, perché emolumento di carattere continuativo, ai fini del calcolo dell’indennità di esodo, appare dunque in linea con l’ispirazione della legge n. 53/1955: cfr. Cons. St., sez. IV, 12 dicembre 1962, n. 800, in «Consiglio di Stato», 1962, I, p. 2002.
[85] Cfr. Cons. St., sez. V, 8 novembre 1947, n. 517; sez. V, 18 marzo 1949, n. 182; sez. V, 1° aprile 1949, n. 209; sez. VI, 2 settembre 1949, n. 109; sez. VI, 17 luglio 1950, nn. 267 e 274; sez VI, 30 gennaio 1951, n. 35; sez. VI, 19 giugno 1951, n. 278; sez. VI, 17 ottobre 1951, nn. 450 e 494; sez. VI, 28 dicembre 1951, nn. 719 e 723; sez. VI, 29 aprile 1952, nn. 242, 243 e 245; sez. VI, 13 maggio 1952, n. 282; sez. V, 12 luglio 1952, n. 1068; sez. VI, 23 dicembre 1952, n. 1031; sez. VI, 3 novembre 1953, n. 606; sez. VI, 3 febbraio 1954, n. 69; sez. VI, 20 ottobre 1954, n. 677; sez. VI, 2 marzo 1955, n. 87; sez. VI, 10 maggic 1955, n. 333; sez VI, 6 giugno 1955, n. 446; sez. V, 22 ottobre 1955, n. 1297: sez. VI, 15 maggio 1957, n. 284; sez. VI, 15 gennaio 1958, n. 22; sez. VI, 11 giugno 1958, n. 424; sez. VI, 27 settembre 1958, n. 727; sez. VI, 22 ottobre 1960, n. 853; sez V, 28 gennaio 1961, n. 35: tutte in «Mass. compl. giur. Cons St.» (1932-1961), p. 2241. L’indennità di carovita fu soppressa dall’art. 2 d.p.r 17 agosto 1955, n. 767.