L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c3
Quando dunque il caso concreto,
almeno nelle situazioni di interlegalità che qui ci interessano, è proiettato al
centro della vita del diritto, devono essere affrontate due questioni fondamentali.
La prima, preliminare, attiene al chiarimento concettuale circa la differenza ed il
rapporto tra i concetti di fatto e di caso (§ 3.2). La seconda, all’importanza
decisiva del racconto, cioè di come sono presi in considerazione e poi selezionati i
fatti empirici rilevanti per le qualificazioni giuridiche, al fine di ricostruirli
per l’appunto nell’ottica delle diverse qualificazioni possibili, portatrici di
prospettive di valore differenti e non di rado contrastanti (anzi, proprio quando
contrastanti nasce il vero problema di quale sia il diritto applicabile, cui la
prospettiva dell’interlegalità intende offrire il contributo più originale). In
proposito, si dovrà accennare anche al ruolo del «contesto» nell’interpretazione
¶{p. 75}ed applicazione del diritto rilevante (§ 3.3). Infine, ci si
soffermerà sulla tecnica di descrizione del «caso» a partire dai fatti, ricorrendo
ai suggerimenti formulati da un esponente della linguistica nella prima metà del
Novecento (§ 4).
3.2. L’importanza di essere un fatto
I termini di fatto e caso
concreto sono talvolta utilizzati in modo fungibile, evocati ma non specificamente
tematizzati. Anche in un recente, cospicuo testo manualistico di teoria generale del
diritto, caso e fatto trascorrono l’uno nell’altro senza che ne sia definita una
cornice concettuale davvero nitida. Così, Umberto Breccia definisce il caso come un
fatto, cioè un frammento di esperienza che sia determinato nel tempo e nello spazio
[22]
; il caso, insomma, è innanzi tutto un fatto della vita. Come frammento
della vita, è oggetto di qualificazioni giuridiche, a volte contrapposte. Così è
espresso un insegnamento classico: «Fatto altro non è se non un accadimento
temporale che, idoneo a modificare la realtà materiale, può essere o non essere
giuridicamente rilevante a seconda della concreta previsione che ne abbia fatto il
legislatore»; e ancora, «i fatti, ovvero eventi, se hanno poi, dal punto di vista
materiale, una propria chiara e netta autonomia, essendo ogni fatto per sua natura
singolo, possono invece collegarsi e ridursi ad unità una volta presi in
considerazione dal legislatore»
[23]
.
Pure nel contesto
dell’interlegalità accade di notare come sia facile trascorrere dall’un termine
all’altro: richiamando quanto affermato più sopra (§ 2), sono le circostanze che si
irradiano dal «fatto» che chiamano in causa diversi ordinamenti, e se il primo è
unico o unitario, ad esso si contrappone la pluralità delle fonti
[24]
; la questione giuridica posta dalla ¶{p. 76}convergenza
fra più ordinamenti non coordinati e non ordinati fra loro «riguarda proprio quale
sia la disciplina di un fatto»
[25]
, ed ancora, il primo momento dell’argomentazione interlegale è
identificato come accertamento dei caratteri propri del caso
[26]
.
Il primo, elementare significato
del fatto è quello di accadimento concreto della vita per il quale venga invocato a
qualunque titolo l’intervento del diritto. Il richiamo all’importanza dei fatti può
essere banale, ma è il punto di partenza per comprendere quale diritto applicare (e,
dovremmo aggiungere, se confermare che quei fatti reclamano l’intervento del
diritto): per usare le parole di Antonin Scalia,
Don’t underestimate the importance of facts. To be sure, you will be arguing to the court about the law, but what law applies –what cases are in point, and what cases can be distinguished –depends ultimately on the facts of your case [27] .
Detto questo, il fatto concreto
emerge pressoché sempre come presupposto di varie qualificazioni possibili,
eventualmente capaci di portare ad esiti non soltanto diversi ma persino
contrapposti. Le qualificazioni sono oggetto di un «bilanciamento» da parte del
giudice; la sussunzione è un mero strumento a partire dal quale, ma non mediante il
quale o per effetto diretto del quale è presa la decisione su quale delle
qualificazioni possibili è maggiormente pertinente al fatto/caso. Non c’è molto
spesso una sola norma che qualifica il fatto, che ne costituisca l’unica premessa
maggiore; il fatto attrae più norme e la scelta fra queste precede il meccanismo di
vera e propria sussunzione.
V’è da dire che la
qualificazione del fatto non è neutra, poiché la stessa istanza di qualificazione è
portatrice di valori. Qui non ha senso affrontare la distinzione filosofica tra
fatto e valore (irresolubile), quanto piuttosto sottolineare
l’impor¶{p. 77}tanza di un’accurata ricostruzione del fatto proprio
alla luce dei diversi valori che su di esso possono essere proiettati.
Si pensi, fra moltissimi esempi
possibili, al caso Melloni, oggetto di un duro contrasto fra il
tribunale costituzionale spagnolo e la Corte di giustizia dell’Unione europea circa
le condizioni di esecuzione di un mandato d’arresto europeo
[28]
. Com’è noto, la vicenda nasceva dal rifiuto di eseguire in Spagna un
mandato di arresto emesso da giudice italiano, perché la sentenza era stata resa in
contumacia e l’ordinamento italiano, diversamente da quello spagnolo che prevede
l’obbligatoria presenza dell’imputato, non avrebbe consentito nel caso di specie la
nuova celebrazione del processo (questa volta, ovviamente, «in presenza»). Per parte
sua, il Tribunale costituzionale aveva ritenuto di applicare gli standard nazionali
di tutela, alla luce dei quali sarebbe stato doveroso rifiutare la consegna qualora,
per l’appunto, l’ordinamento del giudice richiedente (nella specie, italiano) non
ammettesse la nuova celebrazione del giudizio; ciò, pur ricorrendo in concreto le eccezioni
[29]
al motivo di rifiuto di consegna consistente nell’avvenuta celebrazione
del processo in absentia
[30]
: eccezioni basate, in sostanza, proprio sul
rispetto della funzione protettiva del diritto ad essere presenti, garantito
mediante compiuta informazione del processo e garanzia del diritto di difesa. Di
contro, la Corte europea ha replicato che i diritti procedurali di natura
costituzionale a livello esclusivamente nazionale non possono avere priorità sugli
obblighi di cooperazione derivanti da uno strumento fondato sul mutual
trust.
Se si conviene – tutti
convenivano – che il diritto ad essere presenti al processo è un diritto
fondamentale dell’imputato ¶{p. 78}(momento valoriale), e non ha
nulla a che vedere con interessi non strettamente individuali – quali sono invece
ravvisabili, ad esempio, nel caso del processo per crimini internazionali da
celebrare di fronte alle Corti internazionali –
[31]
, è evidente che il diritto è garantito se nel caso
concreto è stata precisamente una scelta dell’interessato quella di
non essere presente al processo, nonostante l’ordinamento lo abbia posto in
condizione di difendersi in modo efficace
[32]
. E chiunque abbia esperienza di processi penali sa bene quanto
assolutamente inderogabile sia garantire proprio questa scelta, anche per mere
ragioni tattiche della difesa, quand’anche l’ordinamento giuridico – nelle vesti
funzionali della pubblica accusa o dello stesso giudice che volesse «vedere negli
occhi» l’imputato – abbia invece interesse a vederlo presente.
Per quanto interessa ai fini del
nostro discorso, dunque, si può concludere in questi termini. Il contrasto fra le
due Corti è stato proposto come contrasto di valori: massima tutela dei diritti
individuali da un lato; mutua fiducia in ottica di collaborazione nell’efficace
esecuzione del diritto europeo, dall’altro. Entrambe queste prospettive hanno
finito, con la loro unilateralità, per far perdere di vista il caso concreto: in
quest’ultimo, il valore pur sempre condiviso – la libertà di scegliere – risultava
rispettato perché l’interessato aveva consapevolmente scelto di non partecipare al
processo in presenza di ogni altra garanzia, e tanto sarebbe bastato per assumere
coerentemente una prospettiva interlegale. Coerentemente: compatibilmente, cioè, sia
con la prospettiva nazionale, sia con quella europea. In tal senso, sembra che
un’accurata considerazione del caso concreto consenta di escludere che esista un
reale contrasto tra dovere di cooperazione basato sul mutual
trust, prevalente nella prospettiva unilaterale assunta dalla Corte
europea, e lo «higher standard of protection» dei diritti fondamentali, prevalente
nell’op¶{p. 79}posta prospettiva, pure unilaterale, assunta dal
Tribunale costituzionale spagnolo. Invero, proprio quest’ultimo non può essere
predicato in astratto, ma deve essere riferito alle caratteristiche della vicenda in
cui quei diritti sono affermati; ed è questa, ad esempio, la posizione che si è
affermata nella giurisprudenza dei tribunali penali internazionali
[33]
. Ed è forse, questa, la prospettiva più innovativa, se non
rivoluzionaria, dello sguardo aperto all’interlegalità.
3.3. Dal fatto al caso («case», «Kasus»)
Una volta chiarito il concetto
di fatto e la sua relazione con le qualificazioni plurime che su di esso possono
convergere, si può, a questo punto, definire il «caso» come il fatto che
diviene oggetto di più qualificazioni giuridiche. Esso non coincide
con l’esito definitivo della sussunzione da parte di un giudice o di un arbitro in
senso lato – quello è la decisione sul caso – ma piuttosto ne rappresenta la
condizione di partenza. Il caso è dunque il rapporto tra fatto e qualificazioni
possibili e concorrenti; con l’avvertenza che, in realtà, potrebbe trattarsi sia di
qualificazioni giuridiche di natura pubblicistica, sia di qualificazioni che
traggono la giuridicità dal riconoscimento della normatività ai rapporti
inter-privati, sia di qualificazioni operate alla stregua di norme etiche e/o
sociali. La qualificazione, insomma, è procedimento complesso nel quale il giudice
deve sempre tenere in conto la possibilità che nessuna norma dell’ambito giuridico
coinvolto, e addirittura che nessuna norma giuridica qualifichi il fatto.
Detto altrimenti, il fatto
ridotto all’osso emerge soltanto se depurato da ogni nota di qualificazione; il caso
nasce
¶{p. 80}quando il fatto è inteso come centro di attrazione di
ogni qualificazione possibile, salvo poi decidere quale sia la qualificazione
pertinente. In realtà il caso nasce nel momento in cui sono considerate le
qualificazioni possibili. Se si tratta di un caso giurisprudenziale,
quelle qualificazioni sono prese in considerazione per soppesarle e/o bilanciarle in
un’attività di decisione che può portare a vari risultati (la decisione
sul caso).
Note
[22] Cfr. U. Breccia, Teoria generale del diritto, Pisa, Pacini, 2019, pp. 405, 451.
[23] F. Gazzoni, Diritto privato, Napoli, ESI, 81.
[24] Palombella e Scoditti, L’interlegalità e la ragion giuridica del diritto contemporaneo, in questo volume, § 2.
[25] Ibidem, p. 45 (corsivo aggiunto).
[26] Ibidem, p. 37 e p. 49.
[27] A. Scalia e B.A. Garner, Making Your Case. The Art of Persuading Judges, St. Paul (MN), Thomson West, 2008, p. 9.
[28] C-399/11, Melloni v. Ministerio Fiscal, su cui cfr. di recente un commento in V. Mitsilegas e L. Mancano, Melloni: Primacy versus Rights?, in V. Mitsilegas, A. di Martino e L. Mancano, The Court of Justice and European Criminal Law, London, Hart, 2019, pp. 393 ss.
[29] Art. 4 bis 1 (a) e (b) della decisione quadro 2002/584 sul MAE.
[30] La regola generale (art. 4 bis, primo periodo) prevede che «l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può altresì rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà se l’interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione».
[31] Sull’equivocità dello Statuto di Roma su questo aspetto, cfr. per tutti W. Schabas, An Introduction to the International Criminal Court, II ed., Cambridge, Cambridge University Press, 2017, pp. 285-288.
[32] Cfr. anche quanto precisato dalla Corte EU nel caso Dworzecki (C-108/16, Openbaar Ministerie v. Pawel D., §§ 49-53).
[33] Per questo rilievo cfr. Schabas, An Introduction to International Criminal Court, cit., p. 285, che più oltre commenta: «the fact that common law jurisdictions make a number of exceptions, and allow for such proceedings [=in absentia] where appropriate, shows that this is not an issue of fundamental values so much as one of different practice» (ibidem, p. 286). In realtà il diritto fondamentale non è tanto quello ad essere giudicato in presenza, ma a poterlo scegliere senza pregiudizi per il rispetto dei principi del fair trial (a cominciare dalla presunzione di innocenza).