Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c12
Il secondo esempio conferma il dinamismo e la mobilità delle situazioni di interlegalità che si presentano di fronte all’amministrazione, ma in un senso diverso da quello del caso
{p. 353}precedente: le vicende recenti della politica italiana sul soccorso marittimo, tassello importante della più ampia politica migratoria, mostrano come l’interlegalità possa complicare considerevolmente i propri contenuti pur restando orientata alla condivisione delle responsabilità politico-amministrative; e come tale complicazione renda meno stabili e prevedibili le condotte delle amministrazioni chiamate a dare attuazione alla politica nazionale.
I contenuti dell’evoluzione della politica italiana sul soccorso marittimo sono noti [18]
. Con quattro direttive adottate tra il marzo e il maggio 2019, il ministro dell’Interno ha raccomandato ai vertici delle amministrazioni competenti in materia di soccorso marittimo, incluso il comandante generale della Guardia costiera, di considerare come «passaggio non inoffensivo» ai sensi del diritto internazionale il passaggio nelle acque territoriali italiane di imbarcazioni di organizzazioni non governative (ONG) che trasportano migranti soccorsi in mare. In particolare, le navi delle ONG che abbiano effettuato un intervento di soccorso in alto mare possono ottenere l’assegnazione da parte delle autorità italiane di un porto italiano come place of safety ai sensi della Convenzione di Amburgo del 27 aprile 1979 solo a condizione di aver tenuto alcune condotte di navigazione: ovvero, di non essersi spinte in una zona di Search and Rescue diversa da quella di responsabilità italiana, per poi sottrarsi alla giurisdizione dello Stato responsabile del salvataggio e fare ingresso nella zona italiana. Questo nuovo regime, poi confermato dalle successive misure normative [19]
, {p. 354}rappresenta un mutamento di politica del governo italiano rispetto al problema del soccorso marittimo. In sostanza, esso porta a compimento un processo già avviato da tempo: un passaggio da una politica di protezione umanitaria e tutela dei diritti fondamentali, che trova il proprio baricentro nella Convenzione di Amburgo, a sua volta collegata alla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati e al diritto internazionale umanitario, a una politica di sicurezza dello Stato, fondata non solo su misure interne ma anche su una serie di accordi con i Paesi di transito, esemplificati dalla cooperazione italo-libica e volti al rafforzamento delle loro capacità di gestione delle frontiere, e sulle iniziative dell’Unione europea.
Dal punto di vista dell’interlegalità, tale mutamento di indirizzo non cambia la logica di fondo alla quale rispondono le scelte delle istituzioni politiche: prima e dopo il cambio di orientamento, queste ultime restano riconducibili alla condivisione delle responsabilità politico-amministrative con altri ordinamenti. La situazione di interlegalità, però, diviene più complessa. Prima del 2019, infatti, la condivisione delle responsabilità ha ad oggetto la protezione dei diritti fondamentali e coinvolge l’Italia, i Paesi che partecipano alla Convenzione di Amburgo e i regimi ultrastatali che operano in questo settore, come la International Marittime Organization, mentre ne sono esclusi gli Stati considerati inaffidabili o non consenzienti. Con la svolta impressa nel 2019, invece, la condivisione delle responsabilità riguarda {p. 355}la protezione della sicurezza degli Stati e coinvolge l’Italia, i Paesi in precedenza considerati inaffidabili e l’Unione europea. Inoltre, questo nuovo tipo di condivisione delle responsabilità non sostituisce il precedente, ma coesiste con esso, perché le norme nazionali del 2019 e i nuovi accordi con i Paesi cosiddetti di transito si innestano sulla disciplina esistente, ed in particolare sulla Convenzione di Amburgo e sulle altre disposizioni del diritto internazionale umanitario.
Il risultato è una forte complicazione della situazione di interlegalità, che lascia spazio a due politiche differenti e potenzialmente confliggenti. Non è sorprendente che questa tensione che caratterizza la situazione di interlegalità e che le istituzioni politiche italiane non sono in grado di sciogliere sul piano normativo, data la complessità dell’intreccio di norme nazionali e internazionali, ricada interamente sulle amministrazioni competenti, a partire dal Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia costiera. Queste ultime, infatti, si trovano a gestire una varietà di fonti domestiche e ultrastatali che si prestano a essere combinate tra loro in sequenze diverse, funzionali ai due differenti obiettivi politici che permettono di realizzare, quello della sicurezza dei diritti e quello della sicurezza dello Stato [20]
. Si tratta di una situazione più complessa di quella che caratterizza la tassazione delle multinazionali digitali, perché rende meno prevedibile l’azione delle Capitanerie di porto, chiamate, di volta in volta, a scegliere la sequenza normativa ritenuta più giustificata, e apre la strada a condotte omissive [21]
.{p. 356}

4. L’interlegalità come meta-criterio

Gli esempi fatti nelle pagine precedenti sono solo due illustrazioni della grande varietà delle situazioni di interlegalità che si presentano di fronte alle amministrazioni: tali situazioni, come si è detto, riflettono logiche diverse (dalla condivisione delle responsabilità di ciascuna delle amministrazioni coinvolte al loro conflitto, passando per l’ipotesi mediana del coordinamento) e sono relativamente fluide e mobili. Se la varietà di queste situazioni sconsiglia tentativi di sistematizzazione, occorre chiedersi, invece, come esse possano essere gestite dalle amministrazioni e se l’interlegalità, in quanto criterio prescrittivo, piuttosto che come rappresentazione della realtà giuridica, sia utile a questo scopo.
Sul piano tecnico, i problemi che le situazioni di interlegalità pongono alle amministrazioni riguardano la individuazione delle norme rilevanti per lo svolgimento di una determinata attività e la definizione dei loro rapporti: si tratta, cioè, di ordinare tra loro la pluralità di principi e regole posti da fonti di ordinamenti diversi e potenzialmente rilevanti per l’attuazione di una politica pubblica, di passare da un diritto composito a una sequenza normativa ordinata.
Per affrontare questi problemi, le amministrazioni utilizzano i principi posti dall’ordinamento al quale appartengono, particolarmente elaborati nei sistemi statali. Un primo ovvio riferimento è quello al principio di legalità, vero e proprio perno della posizione dell’amministrazione nell’ordinamento giuridico. Il principio indica, nell’opinione tradizionale, la sottoposizione della pubblica amministrazione alla legge. Ma è ormai relativamente condivisa la convinzione che il suo significato sia più ampio e ricco. Nell’ordinamento italiano, ad esempio, il principio di legalità può essere inteso, in base al disegno costituzionale e alla giurisprudenza amministrativa, come un principio che chiede la previa determinazione, da parte della legge o di un regolamento, dei criteri di massima dell’azione amministrativa [22]
. Inoltre, per effetto dell’apertura {p. 357}dell’ordinamento italiano ai numerosi regimi ultrastatali con i quali dialoga e interagisce, a partire naturalmente da quello dell’Unione europea, il principio di legalità implica che l’amministrazione sia sottoposta anche a norme diverse da quelle nazionali. In questo modo, il principio di legalità viene ad esprimere un vincolo dell’amministrazione più ampio di quello del rispetto del diritto nazionale: l’amministrazione non è sottoposta solo al diritto nazionale, ma anche alle norme europee, internazionali e globali [23]
.
Proprio questa evoluzione, però, mostra la difficoltà del principio di legalità a operare come criterio ordinante dei vincoli ai quali l’amministrazione è sottoposta. Il principio di legalità, inteso nel senso ampio sopra indicato, implica che alla pubblica amministrazione spetti di ordinare le une rispetto alle altre le norme applicabili all’esercizio di ciascuna attività amministrativa. Ma non offre esso stesso un criterio, formale o sostanziale, per determinare la corretta architettura normativa e, dunque, per gestire sul piano amministrativo la complessità delle situazioni di interlegalità.
I criteri per ordinare le norme rilevanti nei processi di attuazione delle politiche pubbliche, piuttosto, sono forniti dai principi relativi ai rapporti tra fonti interne ed esterne all’ordinamento. Sono questi principi, stabiliti da ciascun ordinamento, a indicare alle amministrazioni come mettere in relazione tra loro le norme interne ed esterne che compongono il diritto composito che sono chiamate ad applicare. È il caso, ad esempio, dei principi del diretto effetto e della supremazia che governano, nell’ordinamento europeo integrato, i rapporti tra fonti dell’Unione e fonti del diritto degli Stati membri. È il caso, ancora, del diverso principio, che potremmo definire di effetto diretto limitato, che regola, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia, i rapporti
{p. 358}tra fonti del diritto dell’Unione europea e disposizioni dei trattati internazionali.
Note
[18] La vicenda è ricostruita e discussa da M. Magri, Obbligo di soccorso in mare, funzioni della Guardia costiera e respingimenti «delegati»: sui poteri del Ministro dell’interno, in «Istituzioni del federalismo», 2019, pp. 149 ss.
[19] Il riferimento è naturalmente al cosiddetto decreto sicurezza bis, d.l. 14 giugno 2019 n. 53, convertito dalla legge 8 agosto 2019, n. 77. Nonostante la dichiarata intenzione riformatrice del legislatore, sembrano porsi in linea di sostanziale continuità le modifiche introdotte dal d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 173: si veda, sul punto, F. Venturi, La gattopardesca riforma della disciplina delle operazioni di soccorso in mare ad opera dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 130/2020, in «Forum di Quaderni Costituzionali», 1, 2021, disponibile alla pagina www.forumcostituzionale.it; E.G. Rosafio, Prime osservazioni in materia di immigrazione via mare a seguito dell’entrata in vigore del d. l. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 173, 2021, disponibile alla pagina http://www.adimblog.com; M. Savino, Riforma o Controriforma? Il «decreto Lamorgese» e la tela di Penelope, 2021, disponibile alla pagina http://www.adimblog.com.; sulle conseguenze penali della violazione dei divieti o delle limitazioni del ministro dell’Interno o del ministro dei Trasporti, in una prospettiva specificamente interlegale, cfr. A. di Martino e L. Ricci, L’inosservanza della limitazione o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale come delitto, in M. Giovannetti e N. Zorzella (a cura di), Immigrazione, protezione internazionale e misure penali, Pisa, Pacini Giuridica, 2021, pp. 99 ss., spec. 107 ss.
[20] La pluralità delle combinazioni possibili risulta con chiarezza anche dall’audizione alla Camera dei deputati del contrammiraglio (CP) pil. Sergio Liardo, capo del Reparto piani e operazioni del Comando generale del corpo delle Capitanerie di porto-Guardia costiera, del 3 luglio 2019, disponibile alla pagina https://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/upload_file_doc_acquisiti/pdfs/000/001/980/Guardia_costiera.pdf.
[21] Le omissioni di soccorso in alto mare sono esemplificate dalle vicende ricostruite da due importanti pronunce del Comitato dei diritti umani del 27 gennaio 2021 (rispettivamente CCPR/C/130/D/3042/2017 e CCPR/C/128/D/3043/2017).
[22] Si veda la ricostruzione complessiva di S. Cassese, Le basi costituzionali, in Id. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, I: Diritto amministrativo generale, Milano, Giuffrè, 20032, pp. 174 ss., spec. 216-222.
[23] Cfr. ibidem, p. 221. Procede nella stessa direzione la ricostruzione di Paul Craig che individua nella necessità di un fondamento giuridico dell’azione amministrativa il senso profondo del principio di legalità: Craig, Legality: Six Views of the Cathedral, cit., p. 884.