L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c1
Il punto cruciale che fa da
contrasto rispetto alle forme «disincarnate» del diritto dei regolatori globali sta
proprio nella presupposizione classica e montesquiviana, secondo cui il diritto dipende
da ciò che regola, e non viceversa. Questo formato dunque non solo si conserva
attraverso il principio di legalità, ma ne fa il suo strumento canonico. La crescita
esponenziale di un diritto esterno e sradicato, ma razionalizzante, regolatorio o
civilizzatore (jus gentium), l’adesione al canone di libertà
esposto nell’evoluzione del (per nulla coincidente) ideale del rule of
law
[25]
, rappresentano bilanciamenti e compensazioni rispetto ad altri principi,
garanzie e tutele che non sono iscritti nel DNA del principio di
legalità, la cui forma non garantisce, strutturalmente e in ogni contingenza, se non
nella apocrifa versione dell’odierno principio di legalità «costituzionale», la tutela
delle minoranze, dei diritti umani, delle libertà, e dunque i limiti e gli obiettivi che
il pensiero liberale moderno ha contrapposto alla linea rousseauviano-schmittiana
[26]
della sovranità politica.
¶{p. 19}
Da qui la geografia delle legalità
ricompare in tutta la sua varietà, come nella serie indefinita di incroci, in cui a
ciascuna spetta evidentemente un ruolo. Al diritto ancora chiuso nei sistemi statali si
affianca e si mescola un diritto aperto ed esposto, sfornito di un «proprio» pubblico,
dotato solo di una platea di variabili destinatari, e che governa secondo imperativi di
funzionamento interi settori specifici dal commercio all’ambiente, dalle foreste alle
reti assicurative e bancarie, dalla salute pubblica alla sicurezza globale, dalla rete
Internet all’intelligenza artificiale e alla proprietà intellettuale. Il fatto che le
discipline si accavallino è solo una conseguenza inevitabile della interconnessione
delle materie, degli oggetti: commercio e diritti umani, sicurezza e salute pubblica, e
via seguendo sono solo artificialmente controllabili da logiche separate. Gli Stati
hanno un ruolo importante non solo nell’implementare le discipline comuni regionali o
globali, ma anche nel provvedere ragioni sostanziali per limitarne le ingerenze
ingiustificabili ed arbitrarie. Ed è questo che traduce i termini descrittivi delle
legalità in quelli di una inevitabile interlegalità, la cui teorizzazione e l’analisi
della fisionomia e delle conseguenze sono state avviate altrove
[27]
, ma richiedono sempre nuovi sviluppi e approfondimenti.
4. Il baricentro dell’interlegalità: il caso
Composta da una pluralità di
formati del diritto, animata da una ricca e forse imprevedibile varietà di processi
combinatori, priva di un centro unificante, la nuova realtà interlegale non è però
semplicemente caotica o disordinata. Al contrario, essa trova il proprio baricentro nel
caso: il diritto interlegale è un diritto del caso concreto, di una situazione reale, di
un segmento della realtà nel quale si manifestano interessi, esigenze e conflitti.
In effetti, le molteplici
qualificazioni normative che provengono dai più disparati ordinamenti, pubblici e
privati ¶{p. 20}(con tutti i limiti che questa distinzione soffre nel
contesto extra-statale), precipitano inevitabilmente sulla disciplina del caso. Sono le
caratteristiche di quest’ultimo a definire quali siano le regole convergenti, ad
attrarle – per così dire – su di sé ma senza poterne determinare la regola decisoria. In
questo senso, il concetto di interlegalità non esprime un criterio finale di decisione,
una «regola di contenuto», ma un metodo di gestione del caso che impone di prendere in
considerazione tutti i diritti o più in generale tutte le norme che vantano, a diverso
titolo, pretese regolatorie della vicenda concreta. Proprio in quanto si tratta di uno
snodo nella teoria dell’interlegalità, lo stesso concetto di caso richiede una nuova
riflessione, soprattutto in quanto si apparenta con quello di «fatto».
La forza dei fatti sottesi ai
problemi giuridici, la «realtà» delle circostanze rilevanti per la loro (ri-)costruzione
appaiono nozioni sospette innanzi alla relativizzazione delle credenze, al
prospettivismo rilanciato dalle scienze cognitive, alle realistiche consapevolezze,
maturate nella riflessione dei giuristi, che inducono a concludere che «la conoscenza
del fatto si risolve comunque in una sua interpretazione»
[28]
. Si potrà dire, insomma, che riproporre la centralità del caso farebbe
ingenuamente tornare in auge, sia pure in questa rinnovata prospettiva, antiche
fallacie.
Per la verità, nella logica
dell’interlegalità, lo spostamento epistemico più rilevante è proprio quello che
consiste nel considerare il diritto non come un insieme racchiuso nei limiti esclusivi
di un sistema giuridico (diritto intra-sistemico), ma come l’intreccio costituito dalle
diverse fonti che regolano lo stesso oggetto (inter-sistemico). Di conseguenza, nel
nuovo baricentro ciò che conta non è tanto il fatto in una sua pretesa consistenza
ontologica, quanto piuttosto la capacità del fatto di essere presupposto di varie
qualificazioni possibili. Sono tali qualificazioni (giuridiche, normative provenienti da
normatività tra loro anche autonome ed eterogenee) che possono portare, nella selezione
¶{p. 21}della sua rilevanza giuridica, ad esiti non solo diversi ma
anche contrapposti. Il caso, in fin dei conti è il fatto che diviene oggetto di più
qualificazioni giuridiche. È proprio questa «apertura» al (o attrazione del) molteplice
che evita gli idola tribus dell’ontologia.
La centralità del caso concreto
nella prospettiva dell’interlegalità, insieme alla capacità di quest’ultima di operare
come metodo di gestione del caso, sono importanti in molti piani diversi di
funzionamento dei sistemi giuridici: nelle controversie giurisdizionali, anzitutto; ma
anche nei processi di adozione delle normative primarie da parte delle istituzioni
politiche di ciascun ordinamento, così come nell’attuazione amministrativa delle
politiche pubbliche. Da questo punto di vista, l’interlegalità offre una prospettiva
teorica potenzialmente in grado di incidere sull’intero spettro delle discipline
giusprivate e giuspubblicistiche, dal diritto internazionale a quello costituzionale,
dal diritto amministrativo a quello penale.
Si consideri, ad esempio, la
particolare importanza che ha l’attenzione al caso ed al fatto nel diritto penale:
terragno e corporeo e coriacemente legato a storie di vita – a fatti. Il diritto penale,
come ripetono i suoi cultori, non è propriamente un campo di materia, ma un modo di
disciplina, che si può distendere – accessorio o parassita – accanto a ogni possibile
disciplina giuridica, cui può fornire, secondo scelte di valore decise da soggetti
legittimati, la sanzione appunto penale
[29]
.
La sua
distinctiveness, tuttavia, il suo essere o apparire diverso –
per il suo genetico collegamento con la sovranità statuale, peraltro sempre più precario
ed eroso, per le garanzie che lo assistono in quanto espressivo del potere del diritto
sul corpo in carne ed ossa – non soltanto non lo mantiene estraneo ai problemi
dell’universo interlegale, ma ne fa un personaggio cruciale, divenuto familiare e
necessario sin dalla fondazione concettuale della categoria, fra legalità plurali e
persistenze stato-centriche. Il diritto ¶{p. 22}penale costituisce un
utile test di plausibilità nell’elaborazione generale dell’interlegalità, e per converso
quest’ultima mostra più fortemente il suo potenziale innovativo, quando misurata anche
in quest’ambito del diritto, tradizionalmente considerato parochial
(e tuttora tale sotto vari aspetti)
[30]
. La penetrazione del diritto «esterno» nel tempo si è espressa in varie
forme e con vari limiti a seconda degli ordinamenti coinvolti – quello internazionale,
consuetudinario o convenzionale, ovvero quello sovranazionale delle Comunità europee
prima, dell’Unione poi – ma con l’effetto progressivo di far scivolare via di mano dal
legislatore nazionale la libertà di definire importanti «scelte di incriminazione».
L’attenzione della comunità scientifica si è focalizzata sui reciproci rapporti fra
ordinamento nazionale e ordinamento internazionale o sovranazionale, tematizzando
innovazioni ordinamentali (ad esempio, il disapplicare una norma incriminatrice per
effetto del principio di primauté; sostenere una nuova visione
della portata del principio della lex mitior; ancor più in
generale, prospettare una nuova e tuttora discussa visione della legalità penale a
fronte della crisi della riserva «parlamentare»); oppure discutendo criticamente idee o
meglio atteggiamenti generali di politica criminale (si pensi all’insofferenza verso il
linguaggio funzionalistico ed efficientistico che considera il diritto penale come
strumento di «lotta contro»: contro razzismo e xenofobia; contro gli interessi
finanziari dell’Unione; contro il riciclaggio; contro la criminalità organizzata; e così
via). Elemento comune a queste discussioni è comunque lo scopo di definire i meccanismi
produttivi del diritto applicabile nell’ordinamento domestico, a seguito della relazione
verticale fra questo e il diritto internazionale/sovranazionale, alla luce di principi
fondamentali specifici della materia penale: primo fra tutti, la legalità
statuale.¶{p. 23}
In questo scenario, la categoria
dell’interlegalità introduce uno spostamento di prospettiva. Non si
occupa degli aspetti di relazione «verticale» fra diritto interno ed altri ordinamenti,
e delle soluzioni tecniche con le quali sono definiti i rispettivi ambiti applicativi
(si pensi ad esempio alla discussione sul rango della legge di esecuzione della
Convenzione EDU; od alla discussione sulla paralisi di effetti in malam
partem derivanti dalla ritenuta incompatibilità di norme interne con
direttive europee). Essa addita quelle situazioni nelle quali, indipendentemente dal
tipo di relazione astratta fra gli ordinamenti, rispetto al caso concreto tutti devono
essere considerati; la loro concorrenza si colloca allora, piuttosto, su un piano
orizzontale privo, come ormai più volte ricordato, di criteri incondizionati, comunque
denominati – gerarchia, primauté, riserva di competenza, ecc. – in
base ai quali sia possibile definire una volta per tutte quale sia destinato a
prevalere. È proprio l’interlegalità a suggerire che in gioco non è il primato tra l’una
e l’altra fonte, tra l’uno e l’altro ordinamento, ma la questione stessa nella sua
sostanza, e il tema in essa centrale di una regolazione e di una decisione non unilaterali
[31]
.
¶{p. 24}
Note
[25] Supra, nota 17.
[26] Alla quale Loughlin preferisce unicamente ricondurre il pubblico: cfr. M. Loughlin, Foundations of Public Law, Oxford, Oxford University Press, 2010.
[27] Klabbers e Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit.
[28] Cfr. ad es. O. Di Giovine, L’interpretazione nel diritto penale. Tra creatività e vincolo alla legge, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 191-212; 213.
[29] Su questo aspetto cfr. ad esempio, nella manualistica, T. Padovani, Diritto penale, Milano, Giuffrè, 201912, pp. 1 ss.
[30] Per vero, almeno in Italia risale a vari decenni fa la consapevolezza della «penetrazione» del diritto internazionale nel diritto penale (questa l’espressione usata in un saggio di Mario Pisani, pionieristico nel contesto italiano): M. Pisani, La «penetrazione» del diritto internazionale nel diritto penale, in «L’Indice Penale», 1979, pp. 5 ss.
[31] La materia penalistica, a ben vedere, se da un certo punto di vista può entrare in crisi di identità che esigono messe a punto sui confini (sia qui sufficiente richiamare M. Donini e L. Foffani [a cura di], La «materia penale» tra diritto nazionale ed europeo, Torino, Giappichelli, 2018), offre esempi particolarmente significativi per l’interlegalità, forse proprio perché, da un lato, la pretesa degli ordinamenti «esterni» assume carattere particolarmente dirompente delle regole sulle fonti; dall’altro lato, perché l’incidenza sui diritti umani da parte del potere istituzionale degli attori sulla scena internazionale – dagli Stati alle stesse Nazioni Unite quando esercitano poteri sanzionatori con ripercussioni sugli individui – esibisce in azione il diritto nella sua dimensione globale: diritto delle organizzazioni internazionali, diritto internazionale dei diritti umani, principi fondamentali degli ordinamenti «civili», regole di ius cogens, diritto nazionale. In vari ed eterogenei campi queste interferenze emergono con frequenza. Un primo esempio è quello dell’immigrazione di massa. Qui accade di constatare varie situazioni di rilevanza interlegale, dal tema delle espulsioni (cfr. A. di Martino e B. Occhiuzzi, Condannato ma protetto contro espulsione. Un’intersezione fra diritto penale e della protezione internazionale, in «Diritto Immigrazione Cittadinanza», 2018, pp. 1 ss.) al conflitto tra le norme internazionali sul dovere di soccorso in mare dei naufraghi migranti e le fattispecie incriminatrici interne. Ancora, in tutt’altro orizzonte esistenziale, viene in considerazione la pluralità delle fonti della compliance aziendale (ad esempio in materia di corruzione), e soprattutto il tema dei rapporti tra le varie pretese di qualificazione avanzate dagli ordinamenti nazionali sulle vicende legate alla condotta transnazionale delle corporations (anche quando sono il semplice terminale di catene di fornitura), soprattutto allorché si verifichino condotte od eventi che chiamano in causa il diritto penale.