Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c5
Quali che siano le dinamiche che generano gli spazi giuridici ibridi, si moltiplicano quindi le situazioni in cui agli stessi atti o fatti sono applicabili norme riconducibili a ordinamenti giuridici diversi. Spesso mancano, però, sia norme di riconoscimento che consentano di considerare validi in un ordinamento atti compiuti in conformità alle prescrizioni di un altro, sia criteri per risolvere in modo univoco eventuali conflitti normativi. In particolare, viene meno quell’efficace criterio ordinatore che è il principio gerarchico: come evidenzia Gunther Teubner, infatti, si è andato affermando un nuovo modello «eterarchico» delle relazioni tra diverse fonti del diritto [15]
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In particolare, gli stessi rinvii incrociati contenuti nelle costituzioni nazionali e nelle carte internazionali dei diritti fondamentali in genere non stabiliscono una gerarchia tra le fonti che li contengono e quelle che ne sono oggetto [16]
. Inoltre, a dispetto – o forse proprio a causa – del suo elevato livello di istituzionalizzazione, anche l’integrazione tra l’ordinamento dell’Unione europea e quelli degli Stati membri produce un effetto di «disordinamento giuridico», inteso come una «continua rottura e spiazzamento dei parametri di legalità interni agli ordinamenti che si integrano» [17]
. Ancor più incerte e disordinate, infine, sono le interazioni che si producono di fatto tra ordinamenti le cui relazioni sono formalmente improntate a un regime di reciproca indifferenza [18]
: così, ad esempio, quelle tra gli ordinamenti giuridici statali e le nuove forme di lex mercatoria transnazionale, da un lato, o i minority legal orders delle (nuove) minoranze formatesi per effetto delle migrazioni, dall’altro [19]
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3. Il diritto (e i diritti) oltre l’ordinamento: i giudici come «interlegality hubs»

Nel disordine delle fonti che caratterizza gli spazi giuridici ibridi, l’individuazione della norma del caso concreto diviene una sfida assai ardua per i giudici, che si trovano di fatto ad agire come interlegality hubs all’in{p. 125}tersezione tra costellazioni di fonti del diritto di diversa natura e origine [20]
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In questo contesto, le coordinate offerte dalle concezioni ordinamentali del diritto che si muovono nel solco della tradizione kelseniana [21]
mostrano limiti che non possono essere ignorati [22]
. Come evidenzia Kaarlo Tuori, infatti, esse {p. 126}implicano l’adozione di una prospettiva «monofocale» – una «tunnel vision», direbbe Yuval Shany [23]
– in base alla quale «la soluzione della questione controversa dipende [esclusivamente] dall’ordinamento giuridico dal punto di vista del quale viene affrontata» e «non esiste un terreno neutrale sul quale gli ordinamenti giuridici subordinati a diverse Grundnorms possano incontrarsi [24]
». Di conseguenza, i giudici sono tenuti ad ignorare tutte le fonti del diritto che – pur in concreto rilevanti in relazione ai fatti oggetto di giudizio – non sono oggetto di rinvio da parte dell’ordinamento giuridico nell’ambito del quale esercitano la propria giurisdizione.
Rischia così di accadere che le diverse giurisdizioni potenzialmente concorrenti si ritengano tutte incompetenti a decidere – determinando un effetto di denegata giustizia – o, al contrario, ingaggino una «lotta per la competenza a decidere» [25]
, nell’ambito della quale si alimenta la tentazione di ricostruire gerarchie tra gli ordinamenti in competizione [26]
. Tuttavia, dal momento che queste gerarchie sono rivendicate unilateralmente dalle corti, sono inevitabilmente {p. 127}instabili e controverse, in quanto passibili di essere messe in discussione da altre corti. La tunnel vision tipica delle teorie ordinamentali del diritto è quindi problematica, perché favorisce il perpetuarsi della frammentazione giuridica e del conflitto, con inevitabili ripercussioni negative sulla tutela dei diritti di una o più delle parti in causa in una controversia interlegale.
Per chiarire meglio questo punto, può forse essere utile richiamare, a titolo di esempio, alcune difficoltà che possono sorgere nei Paesi europei di immigrazione in ragione del mancato coordinamento tra diritto statale e diritto islamico (così come risulta dalla contaminazione con altre fonti del diritto nell’ambito del minority legal order di una o l’altra minoranza islamica) [27]
. Sebbene infatti siano formalmente distinti e indipendenti, diritto statale e diritto islamico si intersecano, perché regolano entrambi alcuni aspetti importanti della vita, quali, ad esempio, il matrimonio e la sua dissoluzione. Non è infrequente, quindi che le persone che si trovano all’intersezione tra questi due universi giuridici prendano, dall’uno e dall’altro, quelle norme che per loro «hanno senso nella vita quotidiana» per cercare di combinare e conciliare backgrounds giuridici differenti [28]
. Non stupisce, di conseguenza, che persone di religione musulmana chiedano talvolta alle corti statali di dirimere controversie che nascono da rapporti istituiti e regolati, in tutto o in parte, sulla base del diritto islamico. {p. 128}
Ora, posto che normalmente nell’ordinamento giuridico dei Paesi europei non c’è alcuna forma di rinvio al diritto islamico, può il giudice semplicemente ignorare il peso che esso ha avuto nell’informare i rapporti da cui deriva la controversia sottoposta al suo giudizio senza che questo porti, in un paradossale circolo vizioso, alla violazione delle stesse norme statali che tutelano i diritti delle parti? [29]
A questo proposito, è stato sottolineato, ad esempio, che la totale assenza di riconoscimento da parte dei Paesi europei dei matrimoni celebrati sul loro territorio in conformità al solo diritto islamico (cd. nikah-only marriages [30]
) può avere conseguenze negative per le persone musulmane in diversi ambiti: dalle politiche sociali, alle regole sul ricongiungimento familiare dei migranti, fino alle tutele riconosciute dal diritto statale al coniuge più vulnerabile nel momento in cui la relazione finisce. E ancora, si è osservato che escludere tassativamente la possibilità che il ripudio islamico possa produrre effetti per il diritto statale può in alcuni casi ritorcersi contro la donna ripudiata, ad esempio quando quest’ultima voglia risposarsi o far valere i propri diritti (patrimoniali) derivanti dallo scioglimento del matrimonio [31]
. D’altra parte, l’esclusivo ricorso alle norme statali in materia di matrimonio può portare anche a negare alle donne musulmane le tutele garantite loro dal diritto islamico, come ad esempio nel caso mahr: il dono che il marito deve fare alla moglie in ragione del matrimonio. Poiché infatti non esiste alcun istituto omologo al mahr nel diritto dei Paesi europei, la decisione
{p. 129}se e in che termini garantirne l’esecuzione forzata quando il marito non lo versi spontaneamente è di fatto rimessa alla sensibilità dei giudici investiti della controversia, con esiti a dir poco incostanti e incoerenti [32]
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Note
[15] G. Teubner, Foreword: Legal Regimes of Global Non-State Actors, cit., xiii-xvi.
[16] Sul punto si rinvia a P. Parolari, Tutela giudiziale dei diritti fondamentali, cit.
[17] G. Itzcovich Integrazione giuridica, cit., p. 783.
[18] N. Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, Giappichelli, 1960, pp. 278-282 classifica i rapporti tra ordinamenti giuridici secondo i seguenti criteri: i) coordinazione/subordinazione, ii) esclusione/inclusione, iii) indifferenza/rifiuto/assorbimento.
[19] Con l’espressione «minority legal orders» si intende fare riferimento a quei sistemi ibridi di norme che regolano la vita delle minoranze religiose e/o culturali nei Paesi di immigrazione, combinando fonti del diritto di diversa natura e origine. Per un approfondimento su questo tema si rinvia a P. Parolari, Diritto policentrico e interlegalità nei paesi europei di immigrazione. Il caso degli sharī‘ah councils in Inghilterra, Torino, Giappichelli, 2020, pp. 62-67.
[20] La metafora delle costellazioni è sempre più diffusa in letteratura: si vedano, tra gli altri, K. Tuori, Transnational Law. On Legal Hybrids and Perspectivism, in M. Maduro, K. Tuori e S. Sankari (a cura di), Transnational Law. Rethinking European Law and Legal Thinking, Cambridge, Cambridge University Press, 2014, pp. 11 ss.: 23 e 38; B. de Sousa Santos, Toward a New Legal Common Sense. Law, Globalization, and Emancipation, Cambridge, Cambridge University Press, 2002, pp. 85 e 89; A. Hellum, S. Sardar Ali e A. Griffiths, Introduction: Transnational Law in the Making, in Eaed. (a cura di), From Transantional Relations to Transnational Laws. Northern European Laws at the Crossroads, 2011, Farnham, Ashgate, pp. 117 ss.: 124; F. von Benda-Beckmann e K. von Benda-Beckmann, The Dynamics of Change and Continuity in Plural Legal Orders, in «The Journal of Legal Pluralism and Unofficial Law», 38, 2006, n. 53-54, pp. 1 ss.
[21] Cfr. H. Kelsen, Reine Rechtslehre. Einleitung in die rechtswissenschaftliche Problematik, Wien, Franz Deuticke, 1934; e Id., Reine Rechtslehre, Wien, Franz Deuticke, 1960. Si veda inoltre Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico, cit. Come è noto, entro queste coordinate teoriche si intende per «ordinamento giuridico» un insieme dinamico di norme gerarchicamente ordinato, caratterizzato da unità, coerenza e completezza. In particolare, l’ordinamento giuridico è unitario perché tutte le sue norme sono riconducibili, secondo una struttura gerarchica piramidale, ad una stessa norma fondamentale (Grundnorm). È dinamico perché disciplina le modalità della propria trasformazione mediante norme sulla produzione giuridica conservando così la propria identità anche quando i suoi elementi cambiano nel tempo. È coerente perché prevede i criteri in base ai quali risolvere eventuali antinomie. È completo perché, si presume, il giudice è sempre in grado di trovare al suo interno le premesse normative sulle quali è tenuto a basare le proprie decisioni.
[22] R. Bin, Ordine delle norme e disordine dei concetti (e viceversa). Per una teoria quantistica delle fonti del diritto, in G. Brunelli, A. Pugiotto e P. Veronesi (a cura di), Il diritto costituzionale come regola e limite del potere. Scritti in onore di Lorenza Carlassare, I: Le fonti del diritto, Napoli, Jovene, 2009, pp. 1 ss.: 5-6 propone, a questo proposito, una «rilettura “quantistica” della teoria delle fonti», nella convinzione che, «come la meccanica quantistica ha rilevato l’insufficienza della fisica newtoniana quale rappresentazione della materia, e l’ha messa in profonda crisi, così oggi anche la teoria delle fonti di Kelsen mostra grossi segni di cedimento, di non riuscire più a spiegare i fenomeni indotti dalla trasformazione degli ordinamenti giuridici e a guidare i comportamenti degli interpreti».
[23] Y. Shany, International Courts as Interlegality Hubs, cit., pp. 322 e 327.
[24] K. Tuori, Transnational Law. On Legal Hybrids and Perspectivism, cit., p. 35, traduzione mia. Tuori parla, a questo proposito, di «solipsismo».
[25] M. Koskenniemi, Global Legal Pluralism: Multiple Regimes and Multiple Modes of Thought, in https://www.researchgate.net/publication/265477439, 2005, p. 7, traduzione mia.
[26] In particolare, sono soprattutto le corti che svolgono una funzione (formalmente o sostanzialmente) costituzionale a cedere alla tentazione della gerarchia e a mostrarsi più caute nel soppesare eventuali aperture verso fonti del diritto e decisioni giurisprudenziali riconducibili a spazi giuridici diversi da quello in cui esercitano la propria giurisdizione. Esse mostrano infatti di sentirsi investite della responsabilità di fare da garante dell’integrità dell’identità dei rispettivi ordinamenti. E questo avviene sia quando non ci sono rinvii interordinamentali sia quando tali rinvii sono generici, come nel caso già menzionato delle fonti in materia di diritti fondamentali. Per maggiori riflessioni su questo tema si rinvia nuovamente a P. Parolari, Tutela giudiziale dei diritti fondamentali, cit.
[27] Il riferimento, è bene chiarire, è al diritto islamico in quanto tale e non al diritto statale dei Paesi a maggioranza islamica che si ispirano alla sharia o che l’hanno in qualche modo incorporata tra le proprie fonti. Le coordinate dell’analisi non sono quindi quelle del diritto internazionale privato. È inoltre opportuno ricordare che, come si è detto (supra, nota 19), i minority legal orders delle minoranze religiose e/o culturali presenti in Europa sono il prodotto dell’interazione e dell’ibridazione tra norme di diversa natura e origine. In particolare, quelli di matrice islamica in genere combinano norme di diritto islamico con norme consuetudinarie locali del loro luogo di origine e con norme vigenti tanto nello Stato di origine quanto in quello europeo di residenza.
[28] S. Taekema, Between or Beyond Legal Orders. Questioning the Concept of Legal Order, in J. Klabbers e G. Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 69 ss.: 76.
[29] Quelli che seguono sono necessariamente cenni rapidi e semplicistici a questioni molto complesse. Per ulteriori approfondimenti su questo tema si rinvia a P. Parolari, Diritto policentrico e interlegalità nei paesi europei di immigrazione, cit.; Ead., Taking Interlegality Seriously. Some Notes on (Women’s) Human Rights and the Application of Islamic Family Law in European Countries, in «Revista General de Derecho Público Comparado», 28, 2020, pp. 1 ss.
[30] Nikah è la parola araba per matrimonio. Su questo tema si veda, ad esempio, la parte monografica del fascicolo 2018, n. 4 dell’«Oxford Journal of Law and Religion», a cura di R.C. Akhtar, R. Probert e A. Moors.
[31] M. Rizzuti, Ordine pubblico costituzionale e rapporti familiari: i casi della poligamia e del ripudio, in «Actualidad Jurídica Iberoamericana», 10, 2019, pp. 604 ss.: 619.
[32] Si rinvia, a questo proposito, a P. Fournier, Muslim Marriage in Western Courts. Lost in Transplantation, Farnham, Ashgate, 2010.