Note
  1. Fadda e Bensa, Note a Windscheid, Diritto delle pandette, vol. I, 1, Torino, 1902, pp. 129 ss.
  2. Windscheid, Pand., § 14 (trad. it. cit., p. 47).
  3. Ibidem, § 15, nota 4 (trad. it. cit., p. 53).
  4. Ibidem, § 24 (trad. it. cit., p. 75).
  5. Windscheid, Die Aufgabe der Rechtswissenschaft, in Gesammelte Reden und Abhandlungen, Leipzig, 1904, p. 112.
  6. Wiethölter, Rechtswissenschaft, Frankfurt a.M., 1968, p. 71; P. Barcellona, Diritto privato e processo economico, Napoli, 1973, p. 22.
  7. Savigny, Sistema del diritto romano attuale, trad. it. di V. Scialoja, vol. I, Torino, 1886, pp. 220 s. Cfr. Kriele, Theorie der Rechtsgewinnung, entwickelt am Problem der Verfassungsinterpretation,Berlin, 1967, pp. 68 ss.
  8. Savigny, Sistema, cit., vol. I, p. 227. Tuttavia questa concezione risulta in qualche modo attenuata in confronto all’opera giovanile Juristische Methodenlehre (corso di lezioni tenuto nel semestre invernale 1802-1803, trascritto da J. Grimm), pubblicata da G. Wesemberg, Stuttgart, 1951, dove il rifiuto dell’interpretazione estensiva o restrittiva, fondata sullo scopo della legge, era assoluto (pp. 18, 39 ss.). Nell’opera della maturità Savigny ammette in certi casi «l’applicazione del motivo della legge all’interpretazione della medesima», pur ammonendo che essa è «arrischiata» e «pericolosa» (Sistema vol. I, pp. 224-228, 231, 235, 240).
  9. Ibidem, pp. 221 s.
  10. Ibidem, p. 18.
  11. Ibidem, p. 334.
  12. Cfr. Stinzing e Landsberg, Geschichte der deutschen Rechtswissenschaft, III, 2, München-Berlin, 1910, pp. 211 s., 242 s.
  13. Cfr. Kriele, Theorie, cit., p. 80.
  14. Savigny, Sistema, cit., vol. I, p. 298. Cfr. Wilhelm, Metodologia giuridica nel secolo XIX, Milano, 1974, p. 92.
  15. Cfr. Larenz, Methodenlehre der Rechtswissenschaft3, Berlin, 1975, p. 14 (trad. it. parziale della 1a ed., col titolo Storia del metodo nella scienza giuridica, Milano, 1966, p. 10). Non si può condividere l’affermazione di Gadamer, Wahrheit und Methode. Grundzüge einer philosophischen Hermeneutik2, Tübingen, 1965, p. 309 (Verità e metodo, Milano, 1972, p. 379), secondo cui «anche Savigny ignora la tensione fra il senso giuridico originario e il senso giuridico attuale (della legge)». La distinzione savignyana fra i due momenti dell’interpretazione giuridica, ricordata nel testo, implica un distacco dalla teoria dell’interpretazione soggettiva nel senso di Schleiermacher. Cfr. Larenz, Methodenlehre, cit., p. 16, nota 4.
  16. Vlachos, Nouvelles recherches sur la Philosophie des valeurs du droit, in «Ar. phil. dr.», X (1965), pp. 139 s.
  17. Se si debba parlare piuttosto di fonte «creativa», come protestava Bergbohm, Jurisprudenz und Rechtsphilosophie, vol. I, Leipzig, 1892, pp. 523 s., testo e nota 50, il quale avvertiva acutamente il criptogiusnaturalismo della dottrina pandettistica, è questione di secondaria importanza (cfr. Wilhelm, Metodologia, cit., pp. 87 s.). Ciò che importa è che le regole di diritto formate mediante la costruzione sistematica si stabiliscono senza rapporto alle loro conseguenze nella realtà sociale circostante al sistema, cioè in base a una dogmatica non orientata in senso funzionale.
  18. Vlachos, op. loc. cit.
  19. Savigny, Jurist. Methodenlehre, cit., p. 40.
  20. Cfr. Biedenkopf, Über das Verhältnis wirtschaftlicher Macht zum Privatrecht, in Fest sehr. f. Böhm, Karlsruhe, 1965, pp. 114 s.
  21. Cfr. Stoll, Begriff und Konstruktion in der Lehre der Interessenjurisprudenz in Festgabe f. Heck, Riimelin, Schmidt, Tübingen, 1931, pp. 66 ss.
  22. Questa nuova concezione del diritto non più come sistema autonomo, ma come sottosistema della realtà sociale, la quale comprende altri sistemi normativi, è un prodotto della sociologia. Cfr. già V. Sdaloja, L’arbitrio del legislatore nella formazione del diritto positivo, in Studi giur., vol. III, Roma, 1933, p. 38.
  23. Cfr. Coing, Recbtspolitik und Recbtsauslegung, in Verhandlungen des 43. deutschen Juristentages (München, 1960), vol. II, Tübingen, 1962, B, p. 10.
  24. Cfr. Larenz, Methodenlehre, cit., pp. 128 ss.; Wieacker, Privatre chtgeschichte der Neuzeit2, Göttingen, 1967, pp. ss.; Ascarelli, Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955, pp. 467 ss. Fondamentale per la storia di tutto il movimento: Lombardi, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, 1967, pp. 201 ss.
  25. Coing, Rechtspolitik, cit., p. 12.
  26. Stoll, op. cit., pp. 71 ss.
  27. Heck, Grundriss des Schuldrechts, Tübingen, 1929, pp. 473, 475, nota 1.
  28. Cfr. Rüthers, Die unbegrenzte Auslegung. Zum Wandel der Privatrechtsordnung im Nationalsozialismus, Frankfurt a.M., 1973, pp. 64 ss.
  29. In questo senso cfr. la definizione di Engisch, Introduzione al pensiero giuridico, Milano, 1970, p. 193.
  30. Cfr. Larenz, Geschäftsgrundlage und Vertragserfüllung?, München-Berlin, 1963, pp. 167 s.
  31. Cfr. Rüthers, Die unbegrenzte Auslegung, cit., pp. 48 ss.
  32. Fra i primi (in adesione a Kohler) gli stessi annotatori di Windscheid, i quali assegnano all’interpretazione il compito di «dare alla legge quella spiegazione, che meglio la pone in armonia con i bisogni sociali» (Fadda e Bensa, Note, cit., pp. 121 s.). Cfr. inoltre Coviello, Manuale di diritto civile italiano, Milano, 1915, pp. 63 ss.; Ferrara, Trattato di diritto civile italiano, vol. I, Roma, 1921, pp. 210 ss.; Filomusi Guelfi, Enciclopedia giuridica, Milano, 1910, p. 141, nota 2.
  33. Cfr. Larenz, Methodenlehre, cit., p. 37 (trad. it. cit., p. 44).
  34. Cfr. Rüthers, Die unb. Ausl., cit., pp. 101 ss., che documenta copiosamente l’«uso alternativo» delle clausole generali del codice civile al servizio dell’ideologia nazista, e in particolare della politica razzista (spec. pp. 216 ss., 332 ss., 376 ss.); Ascarelli, Problemi giuridici, vol. I, Milano, 1959, pp. 143, 316; Neumann, Lo stato democratico e lo stato autoritario, Bologna, 1973, pp. 288 ss.
  35. Cfr. Nicolò, voce Codice civile, in Enc. dir., vol. VII, Milano, 1960, p. 246.
  36. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, 1965, p. 57.
  37. Cfr. Raiser, Rechtsschutz und Institutionenschutz im Privatrecht,in Summum ius summa iniuria, a cura di Esser, Tübingen, 1963, pp. 145 ss., spec. 162, nota 43.
  38. Questa esigenza è sottolineata da Luhmann, Rechtssystem und Rechtsdogmatik, Stuttgart, 1974, p. 29, il quale ammonisce (e l’ammonimento è tanto più significativo in quanto proviene da un sociologo) che il puro radicalismo (cioè l’iconoclastia antidogmatica) non può spacciarsi già per riflessione.
  39. La scuola esegetica francese ignora la nozione di sistema e intende l’applicazione del diritto come un’attività di interpretazione logico-grammaticale dei singoli testi legali secondo i moduli dell’ermeneutica storico-filologica. La Begriffsjurisprudenz, invece, assoggetta le norme positive a un’interpretazione concettuale che le riconduce e sottordina a un sistema di concetti scientifici via via più generali, costruito, a guisa di piramide logica, mediante successivi processi di astrazione dai concetti legali. Questo sistema di concetti guida l’applicazione del diritto, le cui decisioni concrete assumono la forma di deduzioni logico-sistematiche, così che «mediante la preminenza del concetto scompare formalmente la positività del diritto» (Sohm, Institutionen des rom. Pechts6, Leipzig, 1896, p. 21).
  40. Kriele, Theorie, cit., pp. 60, 160; Hommes, Kecbt und Ideologie,in Festschr. f. Wolf, Frankfurt a.M. 1972, pp. 103 s.
  41. Kriele, Theorie, cit., pp. 195, 198; Ross, Diritto e giustizia,Torino, 1965, pp. 138, 313; Lombardi, Saggio, cit., p. 502.
  42. Bergbohm, Jurisprudenz u. Rechtsphil., cit., pp. 104, 118 s. L’atteggiamento scientifico di Bergbohm è fedelmente improntato al modello dell’interpretatio naturae di Bacone, oggi in declino anche nella metodologia delle scienze della natura. Cfr. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970, pp. 308 ss.
  43. Bergbohm, op. cit., p. 523. Cfr. la critica di Fechner, Ideologie und Rechtspositivismus, in Ideologie und Recht, a cura di Maihofer, Frankfurt a.M., 1969, pp. 97 ss.
  44. Bergbohm, op. cit., p. 12.
  45. Kriele, Theorie, cit., p. 99.
  46. Cfr. Villey, in «Ar. phil. dr.», XI (1966), p. VIII. La similitudine è usata da Montaigne in un altro contesto: Essais, II, 10, ed. Plèiade, Paris, 1961, p. 458.
  47. Essais, II, 12 (Apologie de Raimond Sebond), ed. cit., p. 605.
  48. Per l’equivalenza di «atteggiamento razionale» e «atteggiamento critico» cfr. Popper, Logica della scoperta scientifica, cit., pp. XXII, 27 in nota, 40.
  49. Viehweg, Topik und Jurisprudenz, München, 1953 (trad. it. a cura e con Introduzione di Crifò, Milano, 1962); 5a ed., München, 1974. Nella letteratura italiana cfr. le recensioni di De Giovanni, in «Riv. int. fil. dir.», 1954, pp. 813 ss.; Conte, in «Il Politico», 1963, pp. 416 ss.; Giuliani, in «Studia et doc. hist. iuris», 1963, pp. 446 ss.; Fassò, in «Riv. dir. dv.», 1964, I, pp. 87 ss.; Porzio, in «Ar. pen.», 1964, pp. 50 ss.; e i riferimenti di Paresce, La dinamica del diritto, Milano, 1975, pp. 210 s., 543 in nota; Gavazzi, Topica giuridica, in Nss. dig. it., vol. XIX, Torino, 1973, pp. 409 ss.
  50. Esser, Vorverständnis und Methodenwahl in der Rechtsfindung,Frankfurt aM., 1970, p. 154.
  51. Cfr. Bacone, De dignitate et augmentis scientiarum, lib. V, cap. 3, in Works, vol. I, ed. Spedding, Ellis a. Heath, London, 1858, rist. an. Stuttgart, 1963, p. 633: «Inventio argumentorum inventio proprie non est. Invenire enim est ignota detegere, non autem cognita recipere aut revocare. Hujusce autem inventionis usus atque offidum non aliud videtur, quam ex massa scientiae, quae in animo congesta et recondita est, ea quae ad rem aut quaestionem institutam faciunt, dextre depromere».
  52. Cfr. Engisch, Recensione a Viehweg, in «Zdtschr. Strafrechtswiss.», LXIX (1957), p. 600.
  53. Alb. Gentili, De iuris interpretibus, dial. IV (ed. a cura di Astuti, Torino, 1937), p. 117 (dt. da Wesenberg, in «Juristenzeitung», 1955, p. 462).
  54. Cfr. Kriele, Theorie, cit., p. 145; Reale, Il diritto come esperienza, Milano, 1973, pp. 283, 285.
  55. Non è escluso, come insinua Zippelius, Problemjurisprudenz und Topik, in «N. Jur. Wochenschr.», 1967, p. 2289, che tale risonanza sia dovuta anche al «fascino delle cose capite a metà». In effetti quando si legge in un’opera successiva del medesimo autore, Das Wesen des Rechts3, München, 1973, p. 173, che «gli schemi per l’esame del fondamento di un’azione di danni (responsabilità ex contractu, ex delieto ecc.) sono esempi di procedimento topico nella prassi giuridica», è lecito domandarsi se il concetto di topica sia stato riscoperto con troppe varianti. Gli schemi della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale non sono categorie topiche, non forniscono argomenti dialettici, ma sono concetti ordinatori di discipline diverse della responsabilità civile e delle relative fattispede, e come tali costituiscono principi di sussunzione in forma logico-deduttiva. Possono diventare punti di riferimento (alternativi) di un problema dialettico, trattabile con la tecnica topica, quando, in funzione della qualificazione di un caso concreto (termine medio del sillogismo sussuntivo), si introduca un nuovo punto di vista (di equità o di convenienza sociale, cioè valutativo) che ponga in discussione la preferibilità del collegamento all’uno anziché all’altro regime della responsabilità prospettando l’esigenza di una nuova teorizzazione atta a integrarlo nel sistema mediante una corrispondente figura dogmatica. Un problema di questo tipo ha dato origine per es. all’elaborazione, nella dogmatica moderna delle obbligazioni, della figura dei «doveri di protezione».
  56. Cfr. nella scienza politica Hennis, Politik und praktische Philosophie, Neuwied a.R., 1963, spec. pp. 91 ss.; Kuhn, Aristoteles und die Methode der politischen Wissenschaft, in Methoden der Politologie, a cura di R. H. Schmidt, Darmstadt, 1967, pp. 521 ss., spec. 548 s.
  57. Cfr., in generale, Pöggeler, Dialektik und Popik, in Hermeneutik und Dialektik (Pestschr. f. Gadamer), vol. II, Tübingen, 1970, pp. 282 ss., spec. 296 s.
  58. Cfr. Loreau, Pour situer la nouvelle rhétorique, in «Logique et analyse», 1963, p. 104, secondo cui «l’opposition démonstration/argumentation se réduit finalement à l’opposition synchronie/diachronie».
  59. Kuhn, Aristoteles, cit., pp. 540 ss., definisce «previchiana», la topica tradizionale (p. 543). Cfr. pure Nicolini, in Vico, Opere, a cura di Nicolini, Milano-Napoli, 1953, p. 17, nota 6, 178, nota 3.
  60. Vico, De antiquissima Italorum sapientia, lib. I, cap. VII, sect. V (Opere, vol. I, a cura di Gentile e Nicolini, Bari, 1914, p. 182): «tunc ... topica ipsa critica erit». L’idea di topica del Vico risulta più compiutamente da quest’opera (integrata dalla Seconda Risposta al «Giornale de’ letterati d’Italia», ibidem, pp. 268 s.) che dalla dissertatone De nostri temporis studiorum catione, la sola presa in considerazione da Viehweg perché contiene la trattazione più ampia della topica nella giurisprudenza (cap. XI). Qui la topica è ancora definita «ars orationis copiosae» (cap. III, ibidem, p. 82), apparentemente secondo la tradizionale concezione retorica, contro la cui applicazione nella giurisprudenza si scagliava Alberico Gentili. Ma il giudizio di Kriele, Theorie,cit., p. 132: «Topik ira Sinne Vicos ist Rethorik», è affrettato. Nei Principi di scienza nuova, cpv. 498 (Opere, vol. IV, 1, a cura di Nicolini, Bari, 1928, p. 213) il Vico precisa il suo concetto di topica quale «facultà di far le menti ingegnose», di sviluppare la virtù creatrice o inventiva dell’ingegno («ritrovatore di cose nuove»; cfr. Seconda Risposta, cit., in Opere, vol. I, cit., p. 252), e Autobiografia (Opere,vol. V, a cura di Croce, Bari, 1911, p. 14) chiarisce ulteriormente che «la topica è l’arte in ciascheduna cosa di ritrovare tutto quanto in quella è»: dove il verbo «ritrovare» ha chiaramente il senso di scoprire, non quello di rammentare, richiamare alla memoria il già noto, con l’aiuto di cataloghi o repertori di topoi. Per Vico la topica non è tanto l’arte di trattare i problemi collegandoli a categorie formali capad di promuovere argomenti per sostenere convenientemente l’una o l’altra delle soluzioni possibili (secondo lo schema del disputare in utramque partem della tradizione scolastica), quanto la facoltà dell’ingegno, opportunamente educato e disciplinato, di scoprire le strutture logico-materiali dello stato di cose che pone il problema e ad esso conferisce una propria individualità, e di tradurle in strutture argomentative criticamente fondate. In questo senso egli definisce la topica «l’arte di apprendere vero», intimamente compenetrata e controllata dalla critica, intesa come «la comprensione di tutte quelle regole che si prescrivono in logica circa il criterio della verità» (Seconda Risposta, cit., in Opere, vol. I, cit., p. 269). In questa definizione della topica, che si sovrappone («dico di più») a quella iniziale, di matrice aristotelica, quale «arte di ritrovare il mezzo termine» (ossia il «medio» di un sillogismo dialettico), ritorna la concezione platonica della dialettica come «arte del separare» (Sofista,226, c-e, 253 c-d), ovvero, scrive il Vico, «di vedere nella cosa proposta quanto mai d è per farlad distinguer bene e averne adeguato concetto», eliminando le rappresentazioni inadeguate da cui «proviene la falsità de’ giudizi». La relazione della topica moderna con la dialettica secondo l’accezione platonica di ricerca dialogica della verità è colta da Nicol, Sur la théorie de l’argumentation et le concept de «pureté», in «Logique et analyse», 1963, p. 66. Sulla dialettica in Platone e in Aristotele cfr. Paci, in «Riv. di filosofia», 1958, pp. 134 ss.; Viano, ivi, 1958, pp. 154 ss.
  61. Cfr. Gadamer, Replik, in Hermeneutik und Ideologiekritik, a cura di Habermas e altri, Frankfurt aM., 1971, p. 296: «Le scienze ermeneutiche si difendono mediante la riflessione ermeneutica contro la tesi che il loro procedimento non sarebbe scientifico, in quanto negherebbe l’“obiettività della scienza”». Analogamente Ricoeur, Della interpretazione. Saggio su Freud, Milano, 1967, pp. 68 s.
  62. Topik u. Jur.5, cit., pp. 34 s. (trad. it. cit., pp. 34 s.).
  63. Cfr. su questo punto la critica di Blühdorn, in «Tijdschr. v. Rechtsgeschied.», 1970, pp. 269 ss., spec. 306 s.; cfr. pure la voce Luoghi in Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, 1961, pp. 535 s.
  64. Diesseits von Idealismus und Realismus ecc., in «Kant-Studien», XXIX (1924), pp. 160 ss. Cfr. pure Hartmann, Introduzione all’ontologia logica, Napoli, 1972, p. 31 ss.
  65. Kuhn, Aristoteles, cit., p. 549.
  66. Viehweg, Topik u. Jur.5, cit., p. 31.
  67. Ibidem, p. 33.
  68. Kriele, Theorie, cit., pp. 119 s.; cfr. anche Canaris, Systemdenken und Systembegriff in der Jurisprudenz, Berlin, 1969, pp. 137 s. Conviene però evitare l’aggettivo «aporetico», che appartiene al linguaggio filosofico ed è usato per qualificare il pensiero problematico in un senso e con intenzioni diverse dal pensiero problematico nell’ermeneutica giuridica (cf. Esser, Vorverständnis, cit., p. 155). Punto di partenza del pensiero problematico del giurista positivo non sono le aporie del diritto valutate sul piano filosofico-gnoseologico, ma le aporie del caso concreto in relazione al quale si pone un problema di applicazione del diritto che sia in pari tempo conforme a criteri di giustizia materiale.
  69. Heck, Begriffsbildung und Interessenjurisprudenz, Tübingen, 1932, pp. 91 ss. Cfr. Lombardi, Saggio, cit., pp. 286 ss.
  70. Marini, Savigny e il metodo della scienza giuridica, Milano, 1966, pp. 134 s.
  71. Cfr. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 35, 291, 294, 307 ss., 323 (trad. it., cit., pp. 63, 359, 362, 376 ss., 395).
  72. Cfr. Apel, Szientistik, Hermeneutik, Ideologiekritik, in Hermeneutik und Ideologiekritik, cit., p. 35.
  73. Contrariamente all’ideale dell’ermeneutica romantica, rappresentato da Schleiennacher (Hermeneutik, in Sämmtliche Werke, a cura di Lücke, vol. I, 7, Berlin, 1838, pp. 28, 32 ss.), non si tratta per lo storico di parificarsi al «lettore originario» e in definitiva di rivivere, con un atto di intuizione divinatoria, la personalità dell’autore del testo da interpretare, superando la distanza che lo separa dall’epoca a cui il testo appartiene; si tratta invece di riconoscere questa distanza tenendo conto di ciò che nel frattempo è accaduto e mettendo a profitto l’esperienza successiva per interpretare il testo in modo che esso abbia qualcosa da dire al presente. Ma in questo compito di mediazione della distanza tra passato e presente solo impropriamente si può vedere un’«applicazione» (Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 316; trad. it. cit., p. 387). Cfr. Apel, op. cit., pp. 30 ss. e Larenz, cit. alla nota seguente.
  74. Larenz, Methodenlehre1, p 191. Cfr. anche Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, 2a ed. a cura di Crifò, Milano, 1971, pp. 32 ss., 144; e in definitiva lo stesso Gadamer, Wabrheit u. Methode1, cit., App. pp. 489 s.
  75. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 292 (trad. it. cit., p. 360).
  76. Demolombe, Cours de code civil, vol. I, Bruxelles, 1847, p. III.
  77. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 280 (trad. it. cit., p. 345).
  78. Ibidem, p. 293 (trad. it. cit. p. 361); Müller, Juristische Methodik2, Berlin, 1976, p. 125 ss.; Kaufmann, Durch Naturrecht und Rechtspositivismus zur juristischen Hermeneutik, in «Juristenzeitung», 1975, p. 339.
  79. Kriele, Theorie, cit., pp. 135, 159 ss.; Müller, Jur. Methodik, cit., pp. 106, 131 s.; Horn, Zur Dedeutung der Topiklehre T. Viehweges für eine einheitliche Theorie des juristeschen Denkens, in «N. Jur. Wochenschr.», 1967, p. 604; cfr. già Heck, Gesetzauslegung und Interessenjurisprudenz, in «Ar. civ. Pr.», CXH (1914), pp. 93 s.; Schönfeld, Puchta und Hegel, in Festgabe f. J. Binder, Berlin, 1930, p. 37.
  80. Cfr. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 283, 344 ss., 351 ss. (trad. it. cit., pp. 349, 418 ss., 427 ss.); Collingwood, The Idea of History, Milano, 1966, p. 297.
  81. Il tenore letterale della legge ha un valore euristico, non un valore normativo (Heck, Gesetzauslegung, cit., pp. 33, 120 ss.); normativo è soltanto il significato del testo, per comprendere il quale le regole del linguaggio sono uno strumento di grande importanza, necessario («Comprendere una proposizione significa comprendere una lingua. Comprendere una lingua significa padroneggiare una tecnica»: Wittgenstein, Thilosophische Untersuchungen, in Schriften, I, Frankfurt aM., 1969, n. 199, p. 381), ma non sufficiente. Esse hanno anzitutto una funzione negativa, in quanto segnano il limite esterno (meno prossimo) delle possibilità di interpretazione, scartando i progetti di senso con i quali le parole della legge non hanno alcuna congruenza; e poi anche una funzione positiva in quanto sviluppano la forza evocativa o figurativa del linguaggio, contribuendo alla formazione di ipotesi di soluzione oggettivamente fornite di senso. Per esempio, ha certamente violato il limite segnato dal linguaggio della legge l’applicazione dell’art. 2112, comma 3°, c.c. attuata da Pret. Milano, 8 marzo 1973 (in «Orient. giur. lav.», 1974, p. 479), dove si è preteso di interpretare la norma nel senso che, in caso di cessione dell’azienda, tra le obbligazioni nascenti dall’originario rapporto di lavoro, delle quali l’imprenditore cedente rimane responsabile (in assenza di un’esplicita dichiarazione liberatoria del prestatore di lavoro con l’intervento delle associazioni professionali), sarebbe compresa anche «quella relativa alla conservazione del posto dei dipendenti ceduti», sancita dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori, onde il cedente risponderebbe in solido col cessionario per il pagamento della somma risarcitoria dovuta al prestatore di lavoro successivamente colpito da un provvedimento ingiustificato di licenziamento. Le obbligazioni «derivanti dal rapporto di lavoro», di cui parla il terzo comma dell’art. 2112, sono chiaramente i crediti maturati in favore del prestatore di lavoro al tempo del trasferimento, i quali formano materia dell’accollo cumulativo ex lege disposto a carico dell’acquirente dal comma precedente: cioè diritti aventi la loro matrice nel rapporto di lavoro, ma da esso distinti e dotati di autonoma individualità (crediti per retribuzioni arretrate, scatti di carriera già acquisiti, ecc.). Invece il diritto alla stabilità del posto non «deriva» dal rapporto di lavoro, bensì è un elemento costitutivo (del contenuto) del rapporto, così che il vincolo corrispondente è assunto dal cessionario non in via di accollo, ma in quanto il rapporto di lavoro, come dispone il primo comma, continua con lui. Perciò egli soltanto risponde del danno causato al lavoratore da un successivo licenziamento ingiustificato, perché si tratta di un credito derivato al lavoratore dopo il trasferimento dell’azienda. Un altro caso esemplare è offerto da Trib. Bari, 6 giugno 1974, in Giur. it., 1976, I, 2, c. 314.
  82. Cfr. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 250 ss. (trad. it. cit., pp. 312 ss.). Specificamente sul rapporto tra precomprensione e problema cfr. Esser, Vorverständnis, cit., p. 136.
  83. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 278 (trad. it. cit., p. 344). Già Bacone, Novum organum scientiarum, pars II, aph. XXIX (2a ed., Amsterdam, 1660, p. 35) insegnava che «in scientiis, quae in opinionibus et placitis fundatae sunt (scil. le Science ermeneutiche), bonus est usus anticipationum». La teoria moderna dell’ermeneutica va oltre e identifica nella precomprensione, da cui scaturiscono le anticipationes mentis (cioè le congetture o aspettative di senso dell’interprete), non tanto un metodo («ratio sive via» nel linguaggio di Bacone: ibidem, pars II, praef., p. 26), quanto una condizione ontologica della comprensione (Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 251, 277; trad. it. cit., pp. 313, 343).
  84. In questo senso la precomprensione è intesa per es. da Wroblewski, L’interprétation en droit: théorie et idéologie, in «Ar. phil. dr.», XVII (1972), p. 66, secondo il quale essa è costituita dall’educazione personale dell’interprete, dalla sua cultura etica, economica e politica, dalla sua comunione più o meno sentita con le tradizioni della società in cui opera, dal modo con cui si riflette in lui la situazione storica in cui si trova, dalla sua capacità valutativa. Contro questo fraintendimento cfr. Esser, Möglichkeiten und Grenzen des dogmatischen Denkens im modernen Zivilrecht, in «Ar. civ Pr.», CLXXII (1972), pp. 101 s.; cfr. pure Müller, Jur. Methodik, cit., pp. 133 ss.
  85. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 252, 277 (trad. it. cit., pp. 315, 343); Esser, Vorverständnis, dt., p. 137.
  86. Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. II, Roma, 1974, pp. 280 s.; analogamente Ascarelli, Studi di dir. comp. e in tema di interpretazione, Milano 1952, pref. n. 4, p. XI; Habermas, Der Universalitätsanspruch der Hermeneutik, in Hermeneutik und Ideologiekritik,cit., pp. 122 s., definisce la precomprensione come «il contesto in cui l’interprete ha acquisito i suoi schemi esplicativi».
  87. La struttura della comprensione, messa in luce dall’analisi fenomenologica del «comprendere» compiuta dalla filosofia esistenzialistica, consente di valutare in una prospettiva più esatta i «procedimenti di integrazione delle lacune mediante la costruzione» denunciati dalla critica di Heck alla «giurisprudenza dei concetti». Essi sono una manifestazione tipica della precomprensione del giurista educato secondo il metodo sistematico, e sono legittimi se utilizzati nei limiti di una funzione euristica, come strumenti inventivi di ipotesi (provvisorie) di soluzione fondate sull’analogia, delle quali occorre poi verificare criticamente l’adeguatezza al caso da decidere secundum ius. Diventano illegittimi, risolvendosi allora in una Inversionsmethode, quando ad essi si attribuisca valore normativo di strumenti autonomi di autointegrazione dell’ordinamento giuridico. In questo senso la condanna radicale dei procedimenti dogmatico-costruttivi, pronunciata da Heck, era già stata corretta dalla «giurisprudenza degli interessi» della prima maniera: cfr. M. Rümelin, Erlebte Wandlungen in Wissenschaft und Lehre, Tübingen, 1930, p. 26; Stoll, Begriff und Konstruktion, cit., p. 115.
    È vero che la «costruzione dogmatica» non di rado, più o meno consapevolmente, riveste con concetti descrittivi (avalutativi) premesse di decisione suggerite da pregiudizi ideologico-politici, ma non è vero che essa mascheri costantemente prese di posizione a favore delle forze conservatrici (così pensa, sostanzialmente, per es. Wiethölter, Rechtswissenschaft, cit., p. 35; esplicitamente Wilhelm, Metodologia giur., cit., spec. pp. 137 s.; contro cfr. Kriele, Theorie, cit., p. 41). Anche intenzioni progressiste o pseudoprogressiste possono insinuarsi attraverso procedimenti costruttivi. Si ricordi per es. la «costruzione» della vendita nei supermercati escogitata da un Pretore di Roma (22 febbraio 1971, in Foro it., 1971, II, c. 432) per declassare l’appropriazione di merci senza pagare il prezzo dal reato di furto al reato di insolvenza fraudolenta, e così assolvere l’imputata per mancanza di querela. Costruzione chiaramente al servizio di un’ideologia populistica, del resto quanto mai inappropriata alla specie essendo legata al falso presupposto che solo i poveri siano tentati di sottrarre merci nei grandi magazzini. Cfr. la critica del Pretore di Barletta, 8 luglio 1971 (ivi, 1971, II, c. 694), condotta con lo schema topico della reductio ad absurdum sul piano della politica del diritto penale. Dal punto di vista dvilistico si doveva riflettere alla facoltà incontestata di rimettere le cose al loro posto e uscire soprassedendo all’acquisto: questo topos contrasta con la tesi che il contratto di compravendita si perfezioni (e in pari tempo il suo oggetto si specifichi) nel momento in cui il cliente prende la merce dagli scaffali dove è esposta al pubblico.
  88. Gadamer, Wahrheit u. Methode, dt., p. 254 (trad. it. cit., p. 317), 495, nota 2.
  89. In questo senso Habermas, Der Dniversalitätsanspruch, cit., p. 123, parla di «tematizzazione» della precomprensione. Questo uso della topica, ben distinto dall’uso retorico, è chiamato da Aristotele «peirastico» (Metafisica, lib. IV, cap. 2, 1004b, 25), cioè saggiatorio («est autem dialectica temptativa», dice la traduzione latina). Esso mette alla prova certe premesse (non evidenti) tirandone le conclusioni e ponendole a confronto tra di loro o con opinioni già accettate. Cfr. Moreau, Rhéthorique, dialectique et exigence première, in «Logique et analyse», 1963, pp. 290 ss.
  90. Cfr. Kriele, Theorie, cit., p. 54.
  91. Gli aggettivi sono di Bacone, Novum organum, pars II, aph. XXVI (ed. cit., p. 34).
  92. Sulla rivalutazione del «pregiudizio» nell’ermeneutica generale (si riconosce che esso non significa affatto giudizio falso, potendo essere giudicato sia positivamente sia negativamente) cfr. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 254 ss. (trad. it. cit., pp. 317 ss.).
  93. La definizione delle ideologie come «einseitige aus einer vorschnellen Asbolutsetzung von Teilgesichtspunkten und Teilinteressen entstadene Auffassupg» è di Topitsch, Ideologie, in Staatslexicon6, vol. IV, ed. Gdrres-Gesellschaft, Freiburg, 1959, c. 198. Un momento costitutivo della topica moderna è la critica dell’ideologia.
  94. Per esempio, la nota sentenza 28 febbraio 1972 del Pretore di Milano (in «Orient. giur. lav.», 1972, p. 333), pedissequamente confermata da App. Milano, 14 giugno 1974 (ivi, 1974, p. 895 [cassata da Cass. 12 aprile 1979, n. 2179, in Foro it., 1979, I, c. 905]), fonda la decisione su due ordini di argomentazioni topiche, intrecciati in modo poco perspicuo. Il primo muove dalla considerazione ciré lo sciopero (del tipo «a scacchiera» o «a singhiozzo») non è un evento raro e imprevedibile nella vita delle aziende; ne trae l’opinione che l’imprenditore (nella specie una fabbrica di automobili), per conservarsi diligentemente in grado di adempiere l’obbligo di collaborazione nei confronti dei lavoratori al fine di renderne possibile la prestazione (cfr. art. 1217 c.c.), deve cautelarsi costituendo tempestivamente un adeguato stock di riserva di pezzi a valle della catena di montaggio per il caso che l’approvvigionamento normale degli addetti al reparto venga interrotto dall’astensione dal lavoro degli operai dei reparti a monte, in attuazione di un programma di sciopero «articolato»; conclude che, se siffatta cautela non è stata osservata, l’impossibilità sopravvenuta (per mancanza del «sostrato») della prestazione di lavoro degli addetti al reparto a valle è imputabile a colpa dell’imprenditore, il quale pertanto non è liberato dall’obbligo della retribuzione. A parte il rilievo che entrambe le sentenze mostrano di ignorare la differenza tra sciopero «parziale» e sciopero «a scacchiera» (cfr. Pera, Serrata e diritto di sciopero, Milano, 1969, pp. 120 ss., spec. 124 s.), la scelta della premessa argomentativa non è stata preceduta da un controllo critico dal punto di vista dei criteri di esigibilità, secondo Standards normali di corretta ed efficiente gestione dell’impresa, del comportamento la cui mancanza è stata rimproverata al datore di lavoro. Quest’altro punto di vista avrebbe condotto l’attenzione sull’aggravio dei costi di produzione che comporterebbero l’immobilizzazione e l’immagazzinamento di un consistente stock di pezzi semilavorati, con conseguente pregiudizio della capacità competitiva dell’azienda sul mercato e quindi, tra l’altro, della possibilità di mantenere i livelli di occupazione secondo i desiderata degli artt. 4 e 41, comma 2°, cost. Uno dei cardini di un sistema ottimale di produzione è il cosiddetto just-in-time, cioè la programmazione della produzione riducendo al minimo i magazzini sia di semilavorati sia di prodotti finiti.
    La seconda argomentazione, concorrente con la prima (uno degli indici fenomenologici più significativi del momento topico della giurisprudenza è la pluralità di fondamenti con cui frequentemente vengono giustificate le decisioni: cfr. Horn, Zur Bedeutung, cit., p. 604; Lupoi, Pluralità di «rationes decidendi» e precedente giudiziale, in «Quaderni del Foro it.», 1967, cc. 202 ss.), prende le mosse da una valutazione dell’organizzazione della produzione secondo lo schema «tayloriano» della «catena» come una libera scelta dell’imprenditore; questa valutazione richiama il topos «cuius commoda eius et incommoda», con l’ausilio del quale si giunge alla medesima decisione, ma in termini di responsabilità oggettiva (indipendente dal criterio della diligenza): quando gli addetti ai reparti a monte si astengono dal lavoro a scopo di sciopero (articolato) il datore deve sopportare la perdita della prestazione degli operai (inutilizzabili) dei reparti a valle a titolo di «rischio d’impresa». Qui è mancata in primo luogo la riflessione critica sull’opinione posta in premessa: si potrebbe obiettare che la scelta di un determinato modello di organizzazione del lavoro non è arbitraria, ma dipende da leggi di razionalità tecnologica imposte dalle condizioni della concorrenza sul mercato interno e internazionale (le modifiche del modello suggerite dal giudice, in conformità a iniziative allora in corso di prima sperimentazione, sono fuori tema perché migliorano plausibilmente le condizioni di lavoro, ma non limitano per niente la possibilità dei lavoratori di adottare la tattica degli scioperi a scacchiera). In secondo luogo il progetto di nuova interpretazione del codice civile, formulato sulla base di quella valutazione, nel senso che pure nel campo della responsabilità contrattuale, a certe condizioni non precisate in termini generali, gli imprenditori sarebbero soggetti al principio del rischio d’impresa, anziché al principio della colpa, quale criterio di imputazione dell’impossibilità sopravvenuta agli effetti degli artt. 1218, 1256 e 1463 c.c., è stato portato a compimento senza alcun controllo (una volta si diceva dimostrazione) sul piano enneneutico-dogmatico.
  95. Cfr. Perelman e Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Torino, 1966. La «nuova retorica», però, è una funzione secondaria o indiretta della topica, la quale non è principalmente arte di persuadere, bensì «arte saggiatoria» nel senso spiegato sopra (nota 89 e testo corrispondente), cioè ricerca del vero col metodo dialettico. Questa prospettiva è preferita anche da Giuliani, Logica (teoria dell’argomentazione), in Enc. dir., vol. XXV, Milano 1975, p. 14.
  96. Cfr. Weinberger, Topik und Plausibilitätsargumentation, in «Ar. Rechts-u. Sozialphil.», LIX (1973), pp. 24 s., il quale osserva (p. 17) che le concezioni di Viehweg e di Perelman hanno in notevole misura un patrimonio di idee comune; Wieacker, Privatrechtsgeschichte, cit., p. 597, nota 48. Per la distinzione tra argomentazione «valida» e argomentazione «efficace» cfr. Bayart, in «Logique et analyse», 1963, pp. 321 ss.
  97. Viehweg, Topik u. Jur., cit., p. 97 (trad. it. cit., p. 113). Cfr. la critica di Canaris, Systemdenken, cit., p. 138.
  98. Viehweg, op cit., p. 91 (trad. it. cit., p. 106).
  99. Cfr. Horn, Zur Bedeutung, cit., p. 603, e la precisazione dello stesso Viehweg, La «logique moderne» du droit, in «Ar. phil. dr.» XI (1966), p. 209.
  100. Cfr., per es., il noto libro di Arrow, Social Choice and individual Values, New York-London, 1951, che è un trattato di topica formale (simbolizzata) avente per oggetto le valutazioni nei processi di determinazione delle scelte sociali; nella letteratura giuridica, un primo approccio al problema in Podlech, Wertungen und Werte im Recht, in «Tir. off. Rechts», XCV (1970), pp. 185 ss., spec. 195 ss. L’integrazione nel ragionamento giuridico della forma topica, con consapevolezza metodologica e cognizione di causa, mette i giuristi di fronte a difficoltà di cui si è appena cominciato ad esplorare l’ampiezza (tra i primi contributi v. le monografie citate di Podlech e di Luhmann, la seconda, però, con un linguaggio abbastanza diverso da quello familiare ai giuristi). Si tratta di elaborare non tanto cataloghi o repertori di topoi, formali o materiali che siano, quanto procedimenti di argomentazione valutativa logicamente corretti e specificamente funzionali all’ermeneutica giuridica, l’applicazione dei quali richiede un nuovo tipo di educazione del giurista comprendente anche l’uso di stumenti dell’analisi economica e sociologica, con tutti i rischi che si corrono «quando si è costretti a lavorare un pezzo del proprio campo conoscitivo con gli attrezzi del vicino» (cfr. Musil, L’uomo senza qualità, vol. I, Milano, 1957, p. 626) e comunque badando a non perdere di vista il limite indicato da Ascarelli, Saggi di dir. comm., cit., p. 471. In questo senso non sembrano di grande utilità esposizioni di topica materiale del genere di quella, pur apprezzabile sotto altri aspetti, di Struck, Topische Jurisprudenz, Frankfurt a.M., 1971 (con un catalogo di topoi, in cui si ritrovano vecchi brocardi medievali), mentre insegnano di più libri come quello di Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile, Milano 1975, anche se elaborato nell’ambito di un ordinamento di common law, dove i confini tra argomentazioni di politica del diritto in funzione di «ius condendum» e argomentazioni valutative in funzione ermeneutica sono meno rigidi che negli ordinamenti di civil law.
    Poiché un vasto consenso sociale sulle valutazioni di principio non è facilmente raggiungibile in una società pluralistica, è stato raccomandato uno schema di argomentazione (già insegnato da Aristotele, Topici, lib. III, cap. 2, 117a, 5-15) che utilizza il topos detto della «riduzione» (cfr. Podlech, Wertungen, cit., pp. 197 ss.) o «argomento pragmatico» (Perelman, Le champ de l’argumentation, Bruxelles, 1970, pp. 100 ss.). Le questioni sui valori, allorché non siamo in grado di avvertire la preminenza dell’uno rispetto all’altro, si possono ridurre a questioni sulle conseguenze delle scelte corrispondenti, trasferendo la discussione in un ordine di valutazioni di cui è più agevole controllare la razionalità. Per es. la questione se un negozio sia morale o immorale, e quindi valido o nullo (tanto più incerta quando si tratta di una pratica generalizzata, cioè di un atto già socialmente tipico), è facilitata dalla trasformazione nella questione se le conseguenze del negozio siano pregiudizievoli all’ordinato sviluppo dei rapporti sociali o di un settore di essi. Ma il modello deve essere approfondito. Occorre stabilire quali conseguenze devono essere prese in considerazione (cfr. Koch, Zur Rationalität richterlichen Entscheidens, in «Rechtstheorie», 1973, p. 205), oppure, se si considerano tutte, occorre misurarsi con le difficoltà di aggregazione delle rispettive valutazioni (cfr. Luhmann, Rechtssystem, cit., p. 31).
  101. Zippelius, Problemjurisprudenz, cit., p. 2233; Das Wesen des Rechts, cit., pp. 71, 176.
  102. Forsthoff, Recht und Sprache. Prolegomena zu einer richterlichen Hermeneutik, Darmstadt, 1964, p. 3; Canaris, Systemdenken, cit., p. 147. Una concezione diversa è accennata da Wieacker, Gesetzrecht und richterliche Kunstregel, in «Juristenzeitung», 1957, p. 706, secondo cui l’arte del giudice non è un’attività conoscitiva, ma appartiene all’ «etica dell’azione».
  103. Così, invece, Viehweg, Topik u. Jur., cit., p. 97 (trad. it. cit., p. 113).
  104. Cfr. Müller, Jur. Methodik, cit., pp. 79, 153.
  105. Cfr. Struck, Topische Jurisprudenz, cit., p. 7.
  106. Bobbio, Teoria della scienza giuridica (lit.), Torino, 1950, p. 58 (cit. da Crifò, Introduzione, cit., p. XVIII).
  107. De iuris interpretibus, dial. IV (ed. cit., p. 130).
  108. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 315 (trad. it. cit., p. 385).
  109. Cfr. Esser, Vorverständnis, cit., p. 92.
  110. Cfr. Recasèns-Siches, The Logic of Reasonable as differentiated from the Logic of the Rational ecc., in Essays in Jurisprudence in Honor of R. Round, Indianapolis-New York, 1962, pp. 192 ss., spec. 205 ss.; The material Logic of the Law ecc., in «Ar. Rechts-u. Socialphil.», 1965, Beih. 41, pp. 269 ss., 277 s., 285 ss.; Perelman, L’idéal de rationalité et la règie de justice, in Le champ de l’argumentation, cit., pp. 287 ss. Reale, Il diritto, cit., p. 441, precisa che la logica del ragionevole «non è altro che un momento o un aspetto della logica della ragione, non riducibile a mere connessioni formali». Come «metodo delle scienze del comportamento umano» la topica è definita esattamente da Hom, Zur Bedeutung, cit., p. 603. Il carattere interdisciplinare della logica del ragionevole è sottolineato da Lombardi, Saggio, cit., p. 559 e da Simitis, Die Bedeutung von System und Dogmatik-dargestellt an rechtsgeschäftlichen Problemen des Massenverkehrs, in «Ar. civ. Pr.», 1972, p. 148.
  111. L’espressione («vorgreifende Bewegung des Vorverstandnisses») è di Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 277 (trad. it. cit., p. 343).
  112. Aristotele, Confutazioni sofistiche, cap., XI, 172a, 10-15 (trad. di G. Colli).
  113. Cfr. Luhmann, Rechtssystem, cit., p. 16.
  114. Ma anche in questo campo, indubbiamente il più aperto all’argomentazione topica, occorre stare attenti (e la cautela manca talvolta alla dottrina germanica quando ricorre al § 242 BGB). Non di rado un giudizio di valore formulato in base alla clausola della buona fede, e poi generalizzato a una serie di casi mediante la trasformazione in una nuova figura dogmatica, è legittimo solo in funzione di determinati presupposti sistematici che devono essere verificati sul piano dogmatico. Una dimostrazione di questo punto, con riferimento alla figura del «contratto con effetti di protezione per terzi», è fornita da Castronovo, Obblighi di protezione e tutela del terzo, in «Jus», 1976, pp. 123 ss.
  115. Un esempio illuminante sotto molti aspetti del discorso condotto nel testo si può trovare in Ehrlich, Die juristiche Logik2, Tübingen, 1925, pp. 245 ss., uno dei maggiori rappresentanti della Interessenjurisprudenz. Nel luogo citato è esaminato un problema di diritto tavolare allora (la la ed. è del 1917) molto dibattuto nella dottrina austriaca (più tardi, negli anni Cinquanta, ha formato materia di vivace disputa anche in Italia, in relazione al r.d. 28 marzo 1929, n. 499, che ha conservato nelle «nuove province» il sistema dei libri fondiari: la questione è stata definita da Cass., sez. un., 15 ottobre 1963, n. 2766. in Foro it., 1964, I, c. 298, e qui riferimenti alle vicende precedenti). Nel caso di successive alienazioni di un immobile da parte dello stesso proprietario iscritto, si domanda se il primo acquirente, che non ha curato la pubblicità del suo acquisto, debba sempre cedere al secondo acquirente che ha domandato l’iscrizione nel libro essendo a conoscenza della precedente alienazione, oppure, quando avesse già conseguito il possesso dell’immobile, possa allora respingere la rivendicazione con l’exceptio doli. La dottrina prevalente risolve il problema col metodo della costruzione dogmatica: da una serie di norme sparse nel codice austriaco (§§ 431, 440, 481) induce per astrazione il «principio dell’iscrizione» (Eintragungsprinzip) e poi deduce che, non avendo il primo avente causa perfezionato il suo acquisto con l’iscrizione e perciò non potendo vantare se non un diritto di credito, il secondo acquirente, che ha provveduto a iscrivere il suo diritto contro l’alienante, prevale in ogni caso indipendentemente dalla buona fede (si noti che nella legislazione italiana il principio dell’iscrizione è una proposizione normativa generale formulata nell’art. 2 del decreto cit., privo di riscontro in termini nella legislazione austriaca, onde già per questa ragione da noi la questione non sarebbe dovuta sorgere). Ehrlich mette in luce la scelta politica sottostante alla «costruzione» della dottrina dominante, cioè una scelta a favore dell’interesse di sicurezza del credito (agrario) ipotecario, e in opposizione a questo punto di vista richiama il topos dell’interesse di difesa della piccola proprietà contadina dagli speculatori che approfittano della mancata regolarizzazione tavolare per spogliare gli acquirenti già immessi nel possesso. Contro la soluzione prevalsa nella dottrina di lingua tedesca quest’altro punto di vista era sostenuto dai giuristi della Galizia e della Bukowina, territori caratterizzati dalla frammentazione della proprietà fondiaria in piccolissimi possessi (Zwergbesitze) e dalla scarsa «cosienza tavolare» dei contadini, che frequentemente non domandavano l’iscrizione dei loro acquisti o per inesperienza o perché, «terribilmente poveri», temevano le spese elevate di tale adempimento formale. «Isolato nella sua lontana Bukowina» (cfr. Lombardi, Saggio, cit., p. 232), il nostro a. mette dialetticamente a confronto le ragioni dei due punti di vista (per es.: se si accorda l’eccezione di dolo al possessore non iscritto si rende più difficile la concessione di mutui ipotecari agli agricoltori perché le banche non potrebbero più essere sicure delle risultanze del libro e dovrebbero correre il rischio di negligenze dei loro funzionari nell’indagine della situazione di fatto; risposta: i piccoli contadini non chiedono mai mutui ipotecari perché sanno che nel momento in cui accendono un’ipoteca sono già perduti), li soppesa e infine opta per la soluzione favorevole all’interesse «prevalente nella sua patria» (cioè porta a compimento un’anticipazione della sua «precomprensione»). La protezione del credito ipotecario sta bene, ma non deve essere spinta al punto di «favorire lo speculatore fraudolento a danno dell’inesperto». Questo giudizio di preferenza implica che il caso deve essere sottratto al dominio del principio dell’iscrizione, il quale non distingue fra terzi di buona e terzi di mala fede, e assoggettato al principio della pubblica fede (Publizitätsprinzip), la cui tutela incontra un limite nella mala fede soggettiva del terzo. A tale scopo, per fondare la scelta nel sistema costituito, occorre trasformarla in un concetto dogmatico che qualifichi la posizione dell’acquirente-possessore (non iscritto) in termini (descrittivi) idonei a collegarla per analogia con la norma del § 1500 ABGB (da noi l’art. 5, ult. comma, del decreto cit.), dove è regolato, secondo il principio della pubblica fede e con riferimento all’ipotesi di usucapione extratavolare, il conflitto tra il possessore che ha acquistato extra tabulas un diritto reale sull’immobile e il terzo acquirente dal proprietario apparente. Con l’ausilio della tradizione del diritto germanico e del diritto comparato Ehrlich trova lo strumento di qualificazione nel concetto di «ius ad rem» (Recht zur Sache) accolto dal codice prussiano del 1794: torbida teorizzazione di una limitata tutela reale accordata al possessore con giusto titolo e di buona fede, non ancora formalmente investito della proprietà, contro i terzi acquirenti di mala fede, e operante processualmente con i mezzi dell’azione o dell’eccezione di dolo, ossia i mezzi caratteristici della tutela publiciana nel diritto romano (cfr. Dernburg, Lehrbuch des preuss. Privatrechts4, I, Halle, 1884, § 184). Ma questo concetto è utilizzato senza alcuna verifica di compatibilità col diritto positivo austriaco, così che l’applicazione analogica del § 1500, da esso propiziata, si rivela affatto arbitraria (e si constata ancora una volta che la «giurisprudenza degli interessi» può sollecitare dogmatizzazioni anche peggiori di quelle della Begriffsjurisprudenz). Anzitutto la genesi del codice del 1811 (criterio fondamentale per la giurisprudenza degli interessi della prima maniera, la quale assegna all’interprete il compito di analizzare e di sviluppare coerentemente le valutazioni del legislatore storico) insegna che la «dottrina prussiana del ius ad rem» è rimasta estranea alla codificazione austriaca (cfr. Brandt, Eigentumserwerb und Austauschgeschdft, Leipzig, 1940, p. 65, nota 12). In secondo luogo tale dottrina è inconciliabile con l’essenza del libro fondiario, tant’è che lo stesso legislatore prussiano, con la legge 5 maggio 1872 (§ 4), ha espressamente eliminato la tutela del ius ad rem dalla disciplina del commercio immobiliare. Concederla al possessore non iscritto significherebbe in sostanza conservare alla traditio una rilevanza di modo (extratavolare) di acquisto di posizioni munite di tutela reale, mentre il Grundbuchswesen esige che nella circolazione per atto tra vivi dei diritti reali l’iscrizione sia elemento indefettibile del modus adquirendi. Infine, sotto il profilo della politica legislativa, la ritrattazione del legislatore prussiano del 1872 è uno degli indici più significativi dell’incidenza prevalente che l’interesse di sicurezza del credito ipotecario (Realkredit)ha avuto sullo sviluppo della pubblicità immobiliare nel secolo scorso (cfr. Brandt, Eigentumserwerb, cit., p. 90). Da questo punto di vista la figura, dogmaticamente infelice, del ius ad rem (un ibrido di diritto obbligatorio e di diritto reale) era ritenuta una «Tyrannri der Billigkeit» (ibidem, p. 104, nota 17).
    Meno rigorosa della legge germanica, la legge austriaca 25 luglio 1871 sui libri fondiari ha mantenuto il temperamento del codice civile, che ammette l’usucapione extratavolare in favore del possessore non iscritto. Ma la norma del § 1500 non tollera applicazioni analogiche al campo degli acquisti negoziali accompagnati dalla consegna dell’immobile: riferita al caso discusso da Ehrlich, essa non può avere altro significato se non che il primo acquirente dell’immobile, non figurante nel libro, può difendersi con l’eccezione di dolo contro il successivo avente causa solo se, al momento della domanda di iscrizione presentata da quest’ultimo, aveva già maturato il periodo di possesso necessario per l’acquisto originario del diritto mediante usucapione.
  116. Questa sembra la concezione di Kriele, Theorie, cit., p. 148.
  117. Cfr. Luhmann, Rechtssystem, cit., pp. 16 s.
  118. Un esempio di decisione fondata topicamente (con argomenti di cui non occorre qui ripetere la critica), ma difficilmente integrabile nel sistema del diritto privato (cioè non dogmatizzabile) e quindi, come l’esperienza ha rivelato, fonte di grave incertezza del diritto su un punto di grande importanza pratica, è la nota sentenza della Corte cost. 10 giugno 1966, n. 63, in tema di decorrenza della prescrizione del diritto alla retribuzione nel rapporto di lavoro subordinato. Certo, come osserva Spagnuolo-Vigorita (Atti del dibattito sulla prescrizione dei diritti dei lavoratori, organizzato dal Centro naz. studi di diritto del lavoro, Milano, 1976, pp. 13 ss.), è fuori discussione che gli artt. 2648 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1 c.c. sono stati incondizionatamente dichiarati illegittimi, e così eliminati dall’ordinamento nella parte in cui, giusta la regola dell’art. 2935, «consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro». Ma ciò non significa che sia stata introdotta una nuova norma che sposta la decorrenza al momento della cessazione del rapporto. Alla Corte costituzionale non appartiene il potere di creare nuove norme. La sentenza ha soltanto creato una lacuna di previsione in ordine al dies a quo della prescrizione. E poiché la lacuna non può essere colmata né con procedimenti analogici, né con procedimenti di costruzione dogmatica, la Cassazione, del resto incoraggiata da successive pronunce della stessa Corte cost., ha finito col ritenere che il giudice ordinario sia autorizzato a riempirla volta per volta mediante valutazioni legate alle circostanze della situazione concreta e improntate allo stesso topos fondamentale della sentenza n. 63/1966 (timore di licenziamento). In questa giurisprudenza (tutt’altro che pacifica, anche se ora sancita dalla Sezioni unite) il dispositivo della pronuncia della Corte cost. si atteggia come una clausola generale che rimette all’apprezzamento del giudice, caso per caso, la determinazione del giorno di decorrenza del termine: il che, in una materia come la prescrizione, è una mostruosità. Ma non si può dire propriamente che questa giurisprudenza torna ad applicare l’art. 2935 disapplicando arbitrariamente una pronunzia di illegittimità della Corte cost. (così Spagnuolo-Vigorita, Atti cit., p. 20). L’art. 2935, non più operante come norma giuridica nelle ipotesi degli articoli citati, conserva il ruolo di un punto di vista topico, che suggerisce la soluzione suppletiva della lacuna normativa quando il rapporto sia soggetto a un regime di stabilità del posto di lavoro ritenuto tale da escludere remore alla libertà di volere del lavoratore provenienti dal timore di licenziamento. Oltre alle sentenze riprodotte in Atti, cit., pp. 51 ss., cfr. spec. Cass., sez un., 12 aprile 1976, n. 1268, in Foro it., 1976, I, c. 915; in dottrina cfr. da ultimo gli interventi critici di vari autori in «Riv. giur. lav.», 1976, II, pp. 265 ss.
  119. Così invece, con specifico riferimento all’interpretazione della legge, Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 292 (trad. it. cit., p. 360).
  120. Larenz, Methodenlehre3, p. 191.
  121. Si pensi all’aggettivo «ingiusto» nell’art. 2043 c.c., o alla parola «mora» nell’art. 1224, comma 1°, o alla frase «la proprietà o altro diritto reale» nell’art. 619 c.p.c., o anche, più modestamente, al possibile vario significato della particella «o» (vell/aut) in molti testi (cfr. Ascarelli, Saggi giuridici, Milano, 1949, p. 72, nota 119), e via esemplificando.
  122. Cfr. Diederichsen, Topisches und systematisches Denken in der Jurisprudenz, in «N. Jur. Wochenschr.», 1966, p. 704.
  123. Cfr. Simitis, op. cit., p. 142.
  124. Cfr. Wieacker, Zur praktischen Leistung der Rechtsdogmatik, in Hermeneutik und Dialektik cit., vol. II, pp. 334 s., ma in una prospettiva limitata, che mette in evidenza soltanto la funzione critica della topica nei confronti dei risultati dell’interpretazione guidata da concetti dogmatid o delle ipotesi di soluzione elaborate con procedimenti di costruzione concettuale, denundandone (eventualmente) il contrasto con punti di vista, di equità, o di altro genere, ritenuti indiscutibili dal senso comune («fondati sull’opinione» nell’accezione aristotelica: quali ad es. l’inammissibilità del «venire contra factum proprium» o l’esigenza di tutela dell’affidamento ecc.). Ma la funzione critica della topica nei rapporti con la dogmatica si esercita soprattutto in un altro senso: precisamente nei confronti dei concetti dogmatici intesi come criteri discriminanti delle alternative di soluzione (ermeneuticamente elaborate) compatibili col sistema costituito. Muovendo da punti di vista non dogmatici (extrasistematici) la topica scopre sul piano ermeneutico nuove possibilità di soluzione che mettono in crisi le strutture dogmatiche sollecitandone la revisione in modo da disporre il sistema ad accogliere i nuovi punti di vista. In questa prospettiva più ampia Esser, Vorverständnis, cit., p. 155, vede nel pensiero topico «il passo necessario per la preparazione di una migliore dogmatizzazione e di una nuova intelligenza del sistema».
  125. Bacone, De dignitate et augmentis scientiarum, V, 3 (ed. cit., p. 636), parzialmente citato anche da Zippelius, Problemjurisprudenz, cit., p. 2332.
  126. Tuttavia l’esperienza insegna che la topica, anziché svolgere un ruolo critico, è servita tavolta per portare a compimento progetti interpretativi fondati su preconcetti dogmatici. Tale è l’intreccio tra i due modi di pensare. Un esempio è fornito dalla dottrina, sostenuta da una parte dei primi commentatori del nuovo codice civile, secondo cui in materia testamentaria l’errore ostativo sarebbe ancora causa di nullità della disposizione. Questa dottrina applicava lo schema valutativo regola-eccezione prima per spiegare in termini di norma eccezionale, fondata sulla ratio di tutela dell’affidamento, la nuova disciplina dei contratti che qualifica l’errore ostativo, non diversamente dall’errore-motivo, come causa di annullabilità del contratto, e successivamente per ribadire la regola dell’errore ostativo-causa di nullità nel testamento, sul riflesso che in questo campo domina l’esigenza di rispetto della volontà del disponente e non v’è alcun affidamento dei terzi da tutelare. La base dell’argomentazione era costituita dal concetto tradizionale (pandettistico) di negozio giuridico, legato al «dogma della volontà». La distanza critica necessaria per controllare una simile premessa può essere guadagnata solo con una nuova riflessione dogmatica sulla struttura dell’atto negoziale, più aderente ai dati positivi del codice 1942. Cfr. Pietrobon, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, pp. 23 ss., 463, nota 7, 479, nota 27.
  127. Cfr. Kriele, Theorie, cit., p. 150: «La tesi del pensiero topico non si rivolta contro il sistema, ma contro il pregiudizio che il sistema possa essere completo e definitivo. Essa si batte per l’“apertura” del sistema mediante un’opera continua di correzione, ampliamento e modificazione».
  128. Luhmann, Rechtssystem, cit., p. 24.
  129. Viehweg, Topik u. Jur., cit.
  130. Wolff, Typen im Recht und in der Rechtswissenschaft, in «Studium gen.», 1952, p. 205.
  131. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 313 (trad. it. cit., p. 383). Si coglie però solo un aspetto del rapporto quando si aggiunge che in esso «l’ermeneutica ha la preminenza, perché l’idea di una dogmatica giuridica perfetta, secondo la quale ogni giudizio si ridurrebbe a un atto di pura sussunzione, è insostenibile» (in questo senso concorda anche Engisch, Sinn und Tragweite juristiscber Systematik, in «Studium gen.», 1957, pp. 173 ss., spec. 188 s.). Il pensiero problematico, operante sul piano ermeneutico, svolge una funzione di rottura delle cristallizzazioni dogmatiche del pensiero sistematico. Ma a sua volta il pensiero sistematico svolge una funzione di controllo della mobilità del pensiero problematico opponendosi a pretese di nuove dogmatizzazioni in anticipo sulle valutazioni (e sulle corrispondenti categorie) del sistema costituito. In quest’altro senso si deve dire, con Engisch, Recensione, cit., p. 601, che «la topica può essere soltanto la penultima, non l’ultima parola». Un meditato invito a non sopravvalutarla è formulato, nella letteratura, anglosassone, da Stone, Legal System and Lawyers’ Reasonings, Stanford, Cal., 1964, p. 335.
  132. Hartmann, Introduzione, cit., p. 53.