Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c1
Perché questo punto fosse assolutamente chiaro sarebbe stato forse preferibile non rievocare la parola “topica”, anche se, proprio per l’ambiguità di cui la storia l’ha caricata, essa ha indubbiamente contribuito alla risonanza inusitata che il breve libro del filosofo-giurista tedesco ha ottenuto nella dottrina giuridica
[55]
, e non sol
¶{p. 31}tanto in questa
[56]
. In realtà essa è uno Schlagwort, l’insegna di un movimento di ritorno non tanto all’antica dottrina dei luoghi da cui si desumono gli argomenti per le dispute dialettiche, quanto alla spiritualità antica di cui l’arte topica fu una creatura, cioè a una forma dello spirito, aderente alla concretezza delle situazioni umane, la quale deve inserirsi nel modo di ragionare moderno integrando e correggendo la forma del pensiero sistematico
[57]
: correggendone soprattutto la tendenza alla chiusura statica del sistema, alla mancanza della dimensione diacronica, senza la quale si smarrisce il senso della continuità dinamica del diritto
[58]
.
Del resto, il riferimento storico alla tradizione aristotelico-ciceroniana è stato mediato dall’insegnamento di Giambattista Vico, anticipatore di una topica nuova
[59]
, produttiva e non soltanto ripetitiva, che procede non semplicemente rammemorando tutti gli argomenti e mettendoli in campo l’uno contro l’altro, ma esaminandoli al lume della critica («critica face») e allora
[60]
, attraverso la ¶{p. 32}conversione nella critica, recuperando l’oggettività della scienza
[61]
. Viehweg
[62]
interpreta i Topici di Aristotele se¶{p. 33}condo un modello che non appartiene interamente alle intenzioni dello Stagirita
[63]
, ma corrisponde piuttosto alla distinzione tra pensiero problematico (o aporetico) e pensiero sistematico elaborata nella filosofia contemporanea da Nicolai Hartmann
[64]
. Con esplicito riferimento a questa distinzione, che «rende possibile il passaggio dalla topica antica alla moderna metodologia»
[65]
, la topica è definita come «la tecnica del pensare problematicamente»
[66]
. Ma anche il modello di Hartmann può essere fonte di equivoci fino a quando non sia chiarita la formula ambigua, estrapolata senza ulteriori precisazioni, secondo cui, mentre il pensiero aporetico è aperto a tutti i problemi, il pensiero sistematico «ha come conseguenza una selezione di problemi», una discriminazione, da un punto di vista precostituito, «tra problemi risolubili e problemi irrisolubili»
[67]
. Se tale caratterizzazione dovesse essere intesa nel senso che il modo di pensare sistematico scarta i problemi non comprensibili dal punto di vista del sistema, rifiutandone la soluzione, la distinzione sarebbe inutilizzabile dalla teoria del metodo giuridico. Qualsiasi forma di pensiero giuridico, anche la «giurisprudenza costruttiva», riconosce l’esistenza di imprecisioni e di lacune nella legge, cioè di questioni che ammettono più di una risposta, ma esigono che una risposta sia data: esigenza normativamente sancita dal divieto di non liquet impartito al giudice. Si dovrebbe dire, perciò, che «in questo senso il pensiero giuridico è in ogni modo aporetico»
[68]
. Ma non è questa l’intenzione di Hartmann, il ¶{p. 34}quale non descrive i due tipi di pensiero come antitetici, bensì propone il tipo del pensiero problematico in funzione di una modificazione (in senso dinamico) del pensiero sistematico.
Disgiunto dal modo di pensare problematicamente («locos omnes perlustrans»), il pensiero sistematico nella giurisprudenza non si comporta come pensiero selettivo di problemi, ma come pensiero chiuso agli aspetti o contenuti dei problemi non afferrabili dal punto di vista del sistema. Esso opera una selezione dei punti di vista da cui i problemi possono essere impostati e così restringe le possibilità di soluzione, respingendo i punti di vista extrasistematici e ammettendo soltanto le soluzioni implicite nelle premesse di decisione già integrate nel sistema, e quindi deducibili con procedimenti logico-formali. Il metodo della «giurisprudenza costruttiva» consiste appunto nel risolvere i problemi di regolamento delle situazioni concrete con la mediazione discorsiva di concetti costruiti in via di astrazione dai concetti legali e separati dai punti di vista di politica del diritto (etici, economici, sociologici ecc.) sottostanti alle norme positive. Quando si presenti un caso non corrispondente univocamente a una precisa fattispecie legale, esso viene qualificato nei limiti della comprensione dei concetti sistematici, variamente combinati tra di loro, scartando a priori come irrilevanti circostanze di fatto che, prive di valore informativo dal punto di vista precostituito del sistema, potrebbero invece, se esaminate da punti di vista diversi, assumere il valore di indici di un problema nuovo, estraneo al quadro originario di riferimento problematico delle norme da cui quei concetti sono stati estratti e fuori dal quale essi per¶{p. 35}dono significato. È questo, come tutti sanno, il cosiddetto «procedimento o metodo di inversione» (Inversionsmethode) aspramente rimproverato dai critici della giurisprudenza dei concetti
[69]
. Esso è il portato della separazione fra teoria e prassi postulata dalla dottrina pandettistica sotto l’influsso della filosofia kantiana, dominata da «una visione astrattamente razionale dei problemi pratici»
[70]
; ed è un procedimento doppiamente arbitrario, sia perché attribuisce ai concetti sistematici una forza produttiva di nuove regole di diritto (in via di sviluppo del sistema con mezzi puramente logici) della quale non sono dotati, essendo meri strumenti di conoscenza delle norme esistenti, sia perché le soluzioni di nuovi problemi pratici così dedotte rispondono unicamente all’interesse di chiusura (o di purezza) del sistema, mentre sono prive di giustificazione sotto il profilo delle conseguenze che ne derivano nella realtà sociale circostante, e in questo senso sono politicamente irresponsabili.
Il metodo del pensiero topico o problematico, aperto a tutti i punti di vista che definiscono i contenuti dei problemi di concretizzazione del diritto, è una via per superare quella separazione e restaurare al posto della pura tecnica giuridica, intesa come applicazione di nozioni scientifiche, il concetto più ampio di «prassi», comprendente anche la giustificazione politica delle decisioni.
7. Il pensiero topico (o problematico) come tecnica di controllo della «precomprensione» e di comunicazione sociale delle operazioni intellettuali dei giuristi.
La proposta di reintegrare questa forma di pensiero nei processi di interpretazione del diritto è collegabile a un contesto culturale più ampio, segnato degli sviluppi recenti della teoria generale dell’ermeneutica intesi a una ridefinizione di quest’ultima sulla base del principio che «l’appli
¶{p. 36}cazione, come la comprensione e l’interpretazione, è una parte integrante del processo ermeneutico», e così orientati in una prospettiva che attribuisce un significato esemplare all’ermeneutica giuridica
[71]
. Non tocca a noi valutare la fecondità di simile prospettiva per l’ermeneutica generale. Certo l’accostamento dell’ermeneutica storica al modello dell’interpretazione in funzione normativa (giuridica e teologica) incontra un limite insuperabile nella funzione di misura della norma giuridica, in vista della quale è fondamentale per il giurista, mentre non appartiene all’impegno dello storico, la questione (e la responsabilità) circa «l’efficacia vincolante del senso da comprendere»
[72]
. Oltre al compito, proprio dell’interpretazione storica, di mediare il passato (cioè il senso originario della legge) col presente
[73]
, l’ermeneutica giuridica ha anche e soprattutto il compito di mediare la distanza tra la generalità della norma e la specialità di ogni caso concreto che ad essa deve essere commisurato
[74]
.
Note
[55] Non è escluso, come insinua Zippelius, Problemjurisprudenz und Topik, in «N. Jur. Wochenschr.», 1967, p. 2289, che tale risonanza sia dovuta anche al «fascino delle cose capite a metà». In effetti quando si legge in un’opera successiva del medesimo autore, Das Wesen des Rechts3, München, 1973, p. 173, che «gli schemi per l’esame del fondamento di un’azione di danni (responsabilità ex contractu, ex delieto ecc.) sono esempi di procedimento topico nella prassi giuridica», è lecito domandarsi se il concetto di topica sia stato riscoperto con troppe varianti. Gli schemi della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale non sono categorie topiche, non forniscono argomenti dialettici, ma sono concetti ordinatori di discipline diverse della responsabilità civile e delle relative fattispede, e come tali costituiscono principi di sussunzione in forma logico-deduttiva. Possono diventare punti di riferimento (alternativi) di un problema dialettico, trattabile con la tecnica topica, quando, in funzione della qualificazione di un caso concreto (termine medio del sillogismo sussuntivo), si introduca un nuovo punto di vista (di equità o di convenienza sociale, cioè valutativo) che ponga in discussione la preferibilità del collegamento all’uno anziché all’altro regime della responsabilità prospettando l’esigenza di una nuova teorizzazione atta a integrarlo nel sistema mediante una corrispondente figura dogmatica. Un problema di questo tipo ha dato origine per es. all’elaborazione, nella dogmatica moderna delle obbligazioni, della figura dei «doveri di protezione».
[56] Cfr. nella scienza politica Hennis, Politik und praktische Philosophie, Neuwied a.R., 1963, spec. pp. 91 ss.; Kuhn, Aristoteles und die Methode der politischen Wissenschaft, in Methoden der Politologie, a cura di R. H. Schmidt, Darmstadt, 1967, pp. 521 ss., spec. 548 s.
[57] Cfr., in generale, Pöggeler, Dialektik und Popik, in Hermeneutik und Dialektik (Pestschr. f. Gadamer), vol. II, Tübingen, 1970, pp. 282 ss., spec. 296 s.
[58] Cfr. Loreau, Pour situer la nouvelle rhétorique, in «Logique et analyse», 1963, p. 104, secondo cui «l’opposition démonstration/argumentation se réduit finalement à l’opposition synchronie/diachronie».
[59] Kuhn, Aristoteles, cit., pp. 540 ss., definisce «previchiana», la topica tradizionale (p. 543). Cfr. pure Nicolini, in Vico, Opere, a cura di Nicolini, Milano-Napoli, 1953, p. 17, nota 6, 178, nota 3.
[60] Vico, De antiquissima Italorum sapientia, lib. I, cap. VII, sect. V (Opere, vol. I, a cura di Gentile e Nicolini, Bari, 1914, p. 182): «tunc ... topica ipsa critica erit». L’idea di topica del Vico risulta più compiutamente da quest’opera (integrata dalla Seconda Risposta al «Giornale de’ letterati d’Italia», ibidem, pp. 268 s.) che dalla dissertatone De nostri temporis studiorum catione, la sola presa in considerazione da Viehweg perché contiene la trattazione più ampia della topica nella giurisprudenza (cap. XI). Qui la topica è ancora definita «ars orationis copiosae» (cap. III, ibidem, p. 82), apparentemente secondo la tradizionale concezione retorica, contro la cui applicazione nella giurisprudenza si scagliava Alberico Gentili. Ma il giudizio di Kriele, Theorie, cit., p. 132: «Topik ira Sinne Vicos ist Rethorik», è affrettato. Nei Principi di scienza nuova, cpv. 498 (Opere, vol. IV, 1, a cura di Nicolini, Bari, 1928, p. 213) il Vico precisa il suo concetto di topica quale «facultà di far le menti ingegnose», di sviluppare la virtù creatrice o inventiva dell’ingegno («ritrovatore di cose nuove»; cfr. Seconda Risposta, cit., in Opere, vol. I, cit., p. 252), e Autobiografia (Opere, vol. V, a cura di Croce, Bari, 1911, p. 14) chiarisce ulteriormente che «la topica è l’arte in ciascheduna cosa di ritrovare tutto quanto in quella è»: dove il verbo «ritrovare» ha chiaramente il senso di scoprire, non quello di rammentare, richiamare alla memoria il già noto, con l’aiuto di cataloghi o repertori di topoi. Per Vico la topica non è tanto l’arte di trattare i problemi collegandoli a categorie formali capad di promuovere argomenti per sostenere convenientemente l’una o l’altra delle soluzioni possibili (secondo lo schema del disputare in utramque partem della tradizione scolastica), quanto la facoltà dell’ingegno, opportunamente educato e disciplinato, di scoprire le strutture logico-materiali dello stato di cose che pone il problema e ad esso conferisce una propria individualità, e di tradurle in strutture argomentative criticamente fondate. In questo senso egli definisce la topica «l’arte di apprendere vero», intimamente compenetrata e controllata dalla critica, intesa come «la comprensione di tutte quelle regole che si prescrivono in logica circa il criterio della verità» (Seconda Risposta, cit., in Opere, vol. I, cit., p. 269). In questa definizione della topica, che si sovrappone («dico di più») a quella iniziale, di matrice aristotelica, quale «arte di ritrovare il mezzo termine» (ossia il «medio» di un sillogismo dialettico), ritorna la concezione platonica della dialettica come «arte del separare» (Sofista, 226, c-e, 253 c-d), ovvero, scrive il Vico, «di vedere nella cosa proposta quanto mai d è per farlad distinguer bene e averne adeguato concetto», eliminando le rappresentazioni inadeguate da cui «proviene la falsità de’ giudizi». La relazione della topica moderna con la dialettica secondo l’accezione platonica di ricerca dialogica della verità è colta da Nicol, Sur la théorie de l’argumentation et le concept de «pureté», in «Logique et analyse», 1963, p. 66. Sulla dialettica in Platone e in Aristotele cfr. Paci, in «Riv. di filosofia», 1958, pp. 134 ss.; Viano, ivi, 1958, pp. 154 ss.
[61] Cfr. Gadamer, Replik, in Hermeneutik und Ideologiekritik, a cura di Habermas e altri, Frankfurt aM., 1971, p. 296: «Le scienze ermeneutiche si difendono mediante la riflessione ermeneutica contro la tesi che il loro procedimento non sarebbe scientifico, in quanto negherebbe l’“obiettività della scienza”». Analogamente Ricoeur, Della interpretazione. Saggio su Freud, Milano, 1967, pp. 68 s.
[63] Cfr. su questo punto la critica di Blühdorn, in «Tijdschr. v. Rechtsgeschied.», 1970, pp. 269 ss., spec. 306 s.; cfr. pure la voce Luoghi in Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, 1961, pp. 535 s.
[64] Diesseits von Idealismus und Realismus ecc., in «Kant-Studien», XXIX (1924), pp. 160 ss. Cfr. pure Hartmann, Introduzione all’ontologia logica, Napoli, 1972, p. 31 ss.
[65] Kuhn, Aristoteles, cit., p. 549.
[67] Ibidem, p. 33.
[68] Kriele, Theorie, cit., pp. 119 s.; cfr. anche Canaris, Systemdenken und Systembegriff in der Jurisprudenz, Berlin, 1969, pp. 137 s. Conviene però evitare l’aggettivo «aporetico», che appartiene al linguaggio filosofico ed è usato per qualificare il pensiero problematico in un senso e con intenzioni diverse dal pensiero problematico nell’ermeneutica giuridica (cf. Esser, Vorverständnis, cit., p. 155). Punto di partenza del pensiero problematico del giurista positivo non sono le aporie del diritto valutate sul piano filosofico-gnoseologico, ma le aporie del caso concreto in relazione al quale si pone un problema di applicazione del diritto che sia in pari tempo conforme a criteri di giustizia materiale.
[69] Heck, Begriffsbildung und Interessenjurisprudenz, Tübingen, 1932, pp. 91 ss. Cfr. Lombardi, Saggio, cit., pp. 286 ss.
[70] Marini, Savigny e il metodo della scienza giuridica, Milano, 1966, pp. 134 s.
[71] Cfr. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 35, 291, 294, 307 ss., 323 (trad. it., cit., pp. 63, 359, 362, 376 ss., 395).
[72] Cfr. Apel, Szientistik, Hermeneutik, Ideologiekritik, in Hermeneutik und Ideologiekritik, cit., p. 35.
[73] Contrariamente all’ideale dell’ermeneutica romantica, rappresentato da Schleiennacher (Hermeneutik, in Sämmtliche Werke, a cura di Lücke, vol. I, 7, Berlin, 1838, pp. 28, 32 ss.), non si tratta per lo storico di parificarsi al «lettore originario» e in definitiva di rivivere, con un atto di intuizione divinatoria, la personalità dell’autore del testo da interpretare, superando la distanza che lo separa dall’epoca a cui il testo appartiene; si tratta invece di riconoscere questa distanza tenendo conto di ciò che nel frattempo è accaduto e mettendo a profitto l’esperienza successiva per interpretare il testo in modo che esso abbia qualcosa da dire al presente. Ma in questo compito di mediazione della distanza tra passato e presente solo impropriamente si può vedere un’«applicazione» (Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 316; trad. it. cit., p. 387). Cfr. Apel, op. cit., pp. 30 ss. e Larenz, cit. alla nota seguente.
[74] Larenz, Methodenlehre1, p 191. Cfr. anche Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, 2a ed. a cura di Crifò, Milano, 1971, pp. 32 ss., 144; e in definitiva lo stesso Gadamer, Wabrheit u. Methode1, cit., App. pp. 489 s.