Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c1
Se ciò è vero, l’interprete non può accedere al significato della legge se non elabora il suo orizzonte ermeneutico assumendo i punti di vista valutativi di politica del diritto che il modello positivistico della sussunzione vorrebbe escludere siccome pertinenti alla competenza esclusiva del legislatore e non suscettibili di analisi scientifica. Solo da questi punti di vista egli è in grado di intendere la res proposita, il problema in funzione del quale il testo deve essere interrogato e col quale deve confrontarsi, per assicurare il proprio fondamento oggettivo, quella che nella teoria generale dell’ermeneutica (qui intrecciata con la sociologia della conoscenza) é chiamata «precomprensione», costituita dalle anticipazioni di senso e dai progetti di soluzione che guidano l’interprete alla comprensione del testo [82]
. La precomprensione, in cui consiste «la prima fra tutte le condizioni ermeneutiche» [83]
, non è un atto della soggettività [84]
, ché anzi la sua produttività {p. 40}ermeneutica è tanto meglio garantita quanto più l’interprete è riuscito a rompere il «cerchio delle proprie private presupposizioni» [85]
ma si determina in base alla partecipazione a un «senso comune» rappresentato da giudizi e concetti da cui egli «è in larga misura influenzato [...] perché formano, per così dire, l’ambiente stesso in cui è radicato, il suo habitat sociale» [86]
. Nella situazione ermeneutica propria del giurista positivo gli elementi non giuridici o pregiuridici (ideologici in senso ampio) della precomprensione sono filtrati dalla tradizione dogmatica del ceto professionale cui appartiene, dal deposito di nozioni teoriche, di orientamenti sistematici, di forme linguistiche tecnicizzate, di massime di applicazione accumulato dalla riflessione dottrinale e dall’esperienza giurisprudenziale precedenti, cioè da elementi (concettuali e linguistici) specificamente giuridici, che condizionano l’approccio ai testi normativi e il modo di intenderne il significato in ordine alla regolamentazione dei conflitti di interesse da decidere [87]
.
{p. 41}
Il problema metodologico non è di affrancare l’interprete dalle suggestioni anticipatrici della precomprensione, secondo l’ideale impossibile di un’oggettività scientifica libera da qualsiasi genere di presupposti, ma di «renderle consapevoli per poterle controllare, e fondare così la comprensione sui fatti stessi» [88]
. Intesa come metodo di discussione dialogica delle questioni pratiche, che non possono essere decise con la stringenza della dimostrazione assiomatica, la topica è un mezzo di controllo razionale della precomprensione, uno strumento per metterla alla prova e costringerla a misurarsi sulla «cosa» di cui si tratta [89]
, selezionando, tra le ipotesi di soluzione {p. 42}pensabili, quelle oggettivamente fornite di senso, cioè aperte alla critica e alla correzione [90]
. Essa trattiene l’interprete dal portare senz’altro a compimento anticipazioni «temerarie e premature» [91]
, da precipitose assolutizzazioni di punti di vista o interessi parziali prodotte da pregiudizi, di cui occorre accertare la legittimità [92]
, o da ideologie di cui occorre eliminare gli elementi non adeguati alla realtà [93]
; lo induce a confrontare i punti di vista o gli argomenti inizialmente preferiti con altri punti di vista, oppure a sostituire o integrare il testo normativo, al quale in un primo tempo si è indirizzato, con altri testi, e così ad elaborare metodicamente il proprio orizzonte ermeneutico guadagnando gradualmente la giusta dimensione del problema che si pone in relazione al caso da risolvere [94]
. E ancora, poiché la precomprensione affonda le sue {p. 43}radici nella tradizione, contrassegnata dall’indistinzione tra passato e presente, il pensiero problematico promuove {p. 44}nell’interprete la coscienza della storicità della propria situazione, favorendo una migliore intelligenza del potenziale ambito normativo di una disciplina legislativa, la cui comprensione originaria può essere stata determinata da tipologie sociali più ristrette, oppure un senso più avvertito della relatività delle categorie concettuali utilizzate, nelle quali possono essere incorporati giudizi di valore non rispondenti alla natura dei nuovi rapporti socio-economici o socio-culturali da cui emerge il caso in questione.
In pari tempo, in quanto procede nella forma dell’argomentazione dialettica e quindi rimane legato al contesto del linguaggio comune, il pensiero problematico adempie una funzione di comunicazione sociale delle operazioni intellettuali con cui il giurista perviene alla scelta delle premesse di decisione. Perciò la topica è anche una tecnica di formazione del consenso sociale, valutato come indice (non decisivo, ma rilevante) di giustezza della decisione, o almeno – nella misura in cui il consenso di tutte le componenti sociali non può essere raggiunto in una società pluralistica – essa è un mezzo di trasparenza dell’argomentazione giuridica, che ne garantisce la non arbitrarietà. Sotto questo profilo la nuova attualità della topica si associa con lo sviluppo di una «nuova retorica» [95]
, definita pur sempre come arte della persuasione, ma che utilizza gli strumenti del linguaggio comune non per manipolare il consenso, bensì per comunicare argomenti criticamente vagliati e adatti a fondare una convinzione razionale, cioè argomenti validi e non soltanto efficaci [96]
.{p. 45}

8. Il limite della topica nella argomentazione giuridica. La funzione della dogmatica giuridica.

Il punto più perplesso e anche meno felicemente trattato della tesi di Viehweg sta nella definizione del rapporto tra pensiero problematico e pensiero sistematico, orientata dalla tendenza a ridurre la dogmatica giuridica a una funzione servente rispetto ai risultati dell’invenzione topica, e perciò a una forma di concettualizzazione «determinata solamente dal problema e che deve restare legata al problema» [97]
. Egli riconosce che «la logica è in verità assolutamente indispensabile, come in ogni altro campo, così naturalmente anche nel nostro», ma la degrada a un ufficio secondario di semplice sviluppo delle premesse di decisione trovate mediante l’argomentazione problematica: «il primo posto spetta all’ars inveniendi, a quel modo che intendeva Cicerone quando diceva che la topica ha la precedenza nei confronti della logica» [98]
. È una prospettiva fuorviante, da un lato, perché sembra implicare (al di là delle intenzioni dell’autore) l’idea che il pensiero topico proceda fuori dalle regole della logica formale [99]
, mentre la topica, in quanto «logica delle preferenze» (o logica del concreto), è essa pure soggetta a condizioni formali che devono essere soddisfatte ai fini della razionalità delle valutazioni [100]
; dall’altro, perché perde di vi
{p. 46}sta il limite della topica costituito dalla sua funzione propedeutica e strumentale [101]
.
Note
[82] Cfr. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 250 ss. (trad. it. cit., pp. 312 ss.). Specificamente sul rapporto tra precomprensione e problema cfr. Esser, Vorverständnis, cit., p. 136.
[83] Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 278 (trad. it. cit., p. 344). Già Bacone, Novum organum scientiarum, pars II, aph. XXIX (2a ed., Amsterdam, 1660, p. 35) insegnava che «in scientiis, quae in opinionibus et placitis fundatae sunt (scil. le Science ermeneutiche), bonus est usus anticipationum». La teoria moderna dell’ermeneutica va oltre e identifica nella precomprensione, da cui scaturiscono le anticipationes mentis (cioè le congetture o aspettative di senso dell’interprete), non tanto un metodo («ratio sive via» nel linguaggio di Bacone: ibidem, pars II, praef., p. 26), quanto una condizione ontologica della comprensione (Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 251, 277; trad. it. cit., pp. 313, 343).
[84] In questo senso la precomprensione è intesa per es. da Wroblewski, L’interprétation en droit: théorie et idéologie, in «Ar. phil. dr.», XVII (1972), p. 66, secondo il quale essa è costituita dall’educazione personale dell’interprete, dalla sua cultura etica, economica e politica, dalla sua comunione più o meno sentita con le tradizioni della società in cui opera, dal modo con cui si riflette in lui la situazione storica in cui si trova, dalla sua capacità valutativa. Contro questo fraintendimento cfr. Esser, Möglichkeiten und Grenzen des dogmatischen Denkens im modernen Zivilrecht, in «Ar. civ Pr.», CLXXII (1972), pp. 101 s.; cfr. pure Müller, Jur. Methodik, cit., pp. 133 ss.
[85] Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 252, 277 (trad. it. cit., pp. 315, 343); Esser, Vorverständnis, dt., p. 137.
[86] Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. II, Roma, 1974, pp. 280 s.; analogamente Ascarelli, Studi di dir. comp. e in tema di interpretazione, Milano 1952, pref. n. 4, p. XI; Habermas, Der Universalitätsanspruch der Hermeneutik, in Hermeneutik und Ideologiekritik, cit., pp. 122 s., definisce la precomprensione come «il contesto in cui l’interprete ha acquisito i suoi schemi esplicativi».
[87] La struttura della comprensione, messa in luce dall’analisi fenomenologica del «comprendere» compiuta dalla filosofia esistenzialistica, consente di valutare in una prospettiva più esatta i «procedimenti di integrazione delle lacune mediante la costruzione» denunciati dalla critica di Heck alla «giurisprudenza dei concetti». Essi sono una manifestazione tipica della precomprensione del giurista educato secondo il metodo sistematico, e sono legittimi se utilizzati nei limiti di una funzione euristica, come strumenti inventivi di ipotesi (provvisorie) di soluzione fondate sull’analogia, delle quali occorre poi verificare criticamente l’adeguatezza al caso da decidere secundum ius. Diventano illegittimi, risolvendosi allora in una Inversionsmethode, quando ad essi si attribuisca valore normativo di strumenti autonomi di autointegrazione dell’ordinamento giuridico. In questo senso la condanna radicale dei procedimenti dogmatico-costruttivi, pronunciata da Heck, era già stata corretta dalla «giurisprudenza degli interessi» della prima maniera: cfr. M. Rümelin, Erlebte Wandlungen in Wissenschaft und Lehre, Tübingen, 1930, p. 26; Stoll, Begriff und Konstruktion, cit., p. 115. È vero che la «costruzione dogmatica» non di rado, più o meno consapevolmente, riveste con concetti descrittivi (avalutativi) premesse di decisione suggerite da pregiudizi ideologico-politici, ma non è vero che essa mascheri costantemente prese di posizione a favore delle forze conservatrici (così pensa, sostanzialmente, per es. Wiethölter, Rechtswissenschaft, cit., p. 35; esplicitamente Wilhelm, Metodologia giur., cit., spec. pp. 137 s.; contro cfr. Kriele, Theorie, cit., p. 41). Anche intenzioni progressiste o pseudoprogressiste possono insinuarsi attraverso procedimenti costruttivi. Si ricordi per es. la «costruzione» della vendita nei supermercati escogitata da un Pretore di Roma (22 febbraio 1971, in Foro it., 1971, II, c. 432) per declassare l’appropriazione di merci senza pagare il prezzo dal reato di furto al reato di insolvenza fraudolenta, e così assolvere l’imputata per mancanza di querela. Costruzione chiaramente al servizio di un’ideologia populistica, del resto quanto mai inappropriata alla specie essendo legata al falso presupposto che solo i poveri siano tentati di sottrarre merci nei grandi magazzini. Cfr. la critica del Pretore di Barletta, 8 luglio 1971 (ivi, 1971, II, c. 694), condotta con lo schema topico della reductio ad absurdum sul piano della politica del diritto penale. Dal punto di vista dvilistico si doveva riflettere alla facoltà incontestata di rimettere le cose al loro posto e uscire soprassedendo all’acquisto: questo topos contrasta con la tesi che il contratto di compravendita si perfezioni (e in pari tempo il suo oggetto si specifichi) nel momento in cui il cliente prende la merce dagli scaffali dove è esposta al pubblico.
[88] Gadamer, Wahrheit u. Methode, dt., p. 254 (trad. it. cit., p. 317), 495, nota 2.
[89] In questo senso Habermas, Der Dniversalitätsanspruch, cit., p. 123, parla di «tematizzazione» della precomprensione. Questo uso della topica, ben distinto dall’uso retorico, è chiamato da Aristotele «peirastico» (Metafisica, lib. IV, cap. 2, 1004b, 25), cioè saggiatorio («est autem dialectica temptativa», dice la traduzione latina). Esso mette alla prova certe premesse (non evidenti) tirandone le conclusioni e ponendole a confronto tra di loro o con opinioni già accettate. Cfr. Moreau, Rhéthorique, dialectique et exigence première, in «Logique et analyse», 1963, pp. 290 ss.
[90] Cfr. Kriele, Theorie, cit., p. 54.
[91] Gli aggettivi sono di Bacone, Novum organum, pars II, aph. XXVI (ed. cit., p. 34).
[92] Sulla rivalutazione del «pregiudizio» nell’ermeneutica generale (si riconosce che esso non significa affatto giudizio falso, potendo essere giudicato sia positivamente sia negativamente) cfr. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 254 ss. (trad. it. cit., pp. 317 ss.).
[93] La definizione delle ideologie come «einseitige aus einer vorschnellen Asbolutsetzung von Teilgesichtspunkten und Teilinteressen entstadene Auffassupg» è di Topitsch, Ideologie, in Staatslexicon6, vol. IV, ed. Gdrres-Gesellschaft, Freiburg, 1959, c. 198. Un momento costitutivo della topica moderna è la critica dell’ideologia.
[94] Per esempio, la nota sentenza 28 febbraio 1972 del Pretore di Milano (in «Orient. giur. lav.», 1972, p. 333), pedissequamente confermata da App. Milano, 14 giugno 1974 (ivi, 1974, p. 895 [cassata da Cass. 12 aprile 1979, n. 2179, in Foro it., 1979, I, c. 905]), fonda la decisione su due ordini di argomentazioni topiche, intrecciati in modo poco perspicuo. Il primo muove dalla considerazione ciré lo sciopero (del tipo «a scacchiera» o «a singhiozzo») non è un evento raro e imprevedibile nella vita delle aziende; ne trae l’opinione che l’imprenditore (nella specie una fabbrica di automobili), per conservarsi diligentemente in grado di adempiere l’obbligo di collaborazione nei confronti dei lavoratori al fine di renderne possibile la prestazione (cfr. art. 1217 c.c.), deve cautelarsi costituendo tempestivamente un adeguato stock di riserva di pezzi a valle della catena di montaggio per il caso che l’approvvigionamento normale degli addetti al reparto venga interrotto dall’astensione dal lavoro degli operai dei reparti a monte, in attuazione di un programma di sciopero «articolato»; conclude che, se siffatta cautela non è stata osservata, l’impossibilità sopravvenuta (per mancanza del «sostrato») della prestazione di lavoro degli addetti al reparto a valle è imputabile a colpa dell’imprenditore, il quale pertanto non è liberato dall’obbligo della retribuzione. A parte il rilievo che entrambe le sentenze mostrano di ignorare la differenza tra sciopero «parziale» e sciopero «a scacchiera» (cfr. Pera, Serrata e diritto di sciopero, Milano, 1969, pp. 120 ss., spec. 124 s.), la scelta della premessa argomentativa non è stata preceduta da un controllo critico dal punto di vista dei criteri di esigibilità, secondo Standards normali di corretta ed efficiente gestione dell’impresa, del comportamento la cui mancanza è stata rimproverata al datore di lavoro. Quest’altro punto di vista avrebbe condotto l’attenzione sull’aggravio dei costi di produzione che comporterebbero l’immobilizzazione e l’immagazzinamento di un consistente stock di pezzi semilavorati, con conseguente pregiudizio della capacità competitiva dell’azienda sul mercato e quindi, tra l’altro, della possibilità di mantenere i livelli di occupazione secondo i desiderata degli artt. 4 e 41, comma 2°, cost. Uno dei cardini di un sistema ottimale di produzione è il cosiddetto just-in-time, cioè la programmazione della produzione riducendo al minimo i magazzini sia di semilavorati sia di prodotti finiti. La seconda argomentazione, concorrente con la prima (uno degli indici fenomenologici più significativi del momento topico della giurisprudenza è la pluralità di fondamenti con cui frequentemente vengono giustificate le decisioni: cfr. Horn, Zur Bedeutung, cit., p. 604; Lupoi, Pluralità di «rationes decidendi» e precedente giudiziale, in «Quaderni del Foro it.», 1967, cc. 202 ss.), prende le mosse da una valutazione dell’organizzazione della produzione secondo lo schema «tayloriano» della «catena» come una libera scelta dell’imprenditore; questa valutazione richiama il topos «cuius commoda eius et incommoda», con l’ausilio del quale si giunge alla medesima decisione, ma in termini di responsabilità oggettiva (indipendente dal criterio della diligenza): quando gli addetti ai reparti a monte si astengono dal lavoro a scopo di sciopero (articolato) il datore deve sopportare la perdita della prestazione degli operai (inutilizzabili) dei reparti a valle a titolo di «rischio d’impresa». Qui è mancata in primo luogo la riflessione critica sull’opinione posta in premessa: si potrebbe obiettare che la scelta di un determinato modello di organizzazione del lavoro non è arbitraria, ma dipende da leggi di razionalità tecnologica imposte dalle condizioni della concorrenza sul mercato interno e internazionale (le modifiche del modello suggerite dal giudice, in conformità a iniziative allora in corso di prima sperimentazione, sono fuori tema perché migliorano plausibilmente le condizioni di lavoro, ma non limitano per niente la possibilità dei lavoratori di adottare la tattica degli scioperi a scacchiera). In secondo luogo il progetto di nuova interpretazione del codice civile, formulato sulla base di quella valutazione, nel senso che pure nel campo della responsabilità contrattuale, a certe condizioni non precisate in termini generali, gli imprenditori sarebbero soggetti al principio del rischio d’impresa, anziché al principio della colpa, quale criterio di imputazione dell’impossibilità sopravvenuta agli effetti degli artt. 1218, 1256 e 1463 c.c., è stato portato a compimento senza alcun controllo (una volta si diceva dimostrazione) sul piano enneneutico-dogmatico.
[95] Cfr. Perelman e Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Torino, 1966. La «nuova retorica», però, è una funzione secondaria o indiretta della topica, la quale non è principalmente arte di persuadere, bensì «arte saggiatoria» nel senso spiegato sopra (nota 89 e testo corrispondente), cioè ricerca del vero col metodo dialettico. Questa prospettiva è preferita anche da Giuliani, Logica (teoria dell’argomentazione), in Enc. dir., vol. XXV, Milano 1975, p. 14.
[96] Cfr. Weinberger, Topik und Plausibilitätsargumentation, in «Ar. Rechts-u. Sozialphil.», LIX (1973), pp. 24 s., il quale osserva (p. 17) che le concezioni di Viehweg e di Perelman hanno in notevole misura un patrimonio di idee comune; Wieacker, Privatrechtsgeschichte, cit., p. 597, nota 48. Per la distinzione tra argomentazione «valida» e argomentazione «efficace» cfr. Bayart, in «Logique et analyse», 1963, pp. 321 ss.
[97] Viehweg, Topik u. Jur., cit., p. 97 (trad. it. cit., p. 113). Cfr. la critica di Canaris, Systemdenken, cit., p. 138.
[98] Viehweg, op cit., p. 91 (trad. it. cit., p. 106).
[99] Cfr. Horn, Zur Bedeutung, cit., p. 603, e la precisazione dello stesso Viehweg, La «logique moderne» du droit, in «Ar. phil. dr.» XI (1966), p. 209.
[100] Cfr., per es., il noto libro di Arrow, Social Choice and individual Values, New York-London, 1951, che è un trattato di topica formale (simbolizzata) avente per oggetto le valutazioni nei processi di determinazione delle scelte sociali; nella letteratura giuridica, un primo approccio al problema in Podlech, Wertungen und Werte im Recht, in «Tir. off. Rechts», XCV (1970), pp. 185 ss., spec. 195 ss. L’integrazione nel ragionamento giuridico della forma topica, con consapevolezza metodologica e cognizione di causa, mette i giuristi di fronte a difficoltà di cui si è appena cominciato ad esplorare l’ampiezza (tra i primi contributi v. le monografie citate di Podlech e di Luhmann, la seconda, però, con un linguaggio abbastanza diverso da quello familiare ai giuristi). Si tratta di elaborare non tanto cataloghi o repertori di topoi, formali o materiali che siano, quanto procedimenti di argomentazione valutativa logicamente corretti e specificamente funzionali all’ermeneutica giuridica, l’applicazione dei quali richiede un nuovo tipo di educazione del giurista comprendente anche l’uso di stumenti dell’analisi economica e sociologica, con tutti i rischi che si corrono «quando si è costretti a lavorare un pezzo del proprio campo conoscitivo con gli attrezzi del vicino» (cfr. Musil, L’uomo senza qualità, vol. I, Milano, 1957, p. 626) e comunque badando a non perdere di vista il limite indicato da Ascarelli, Saggi di dir. comm., cit., p. 471. In questo senso non sembrano di grande utilità esposizioni di topica materiale del genere di quella, pur apprezzabile sotto altri aspetti, di Struck, Topische Jurisprudenz, Frankfurt a.M., 1971 (con un catalogo di topoi, in cui si ritrovano vecchi brocardi medievali), mentre insegnano di più libri come quello di Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile, Milano 1975, anche se elaborato nell’ambito di un ordinamento di common law, dove i confini tra argomentazioni di politica del diritto in funzione di «ius condendum» e argomentazioni valutative in funzione ermeneutica sono meno rigidi che negli ordinamenti di civil law. Poiché un vasto consenso sociale sulle valutazioni di principio non è facilmente raggiungibile in una società pluralistica, è stato raccomandato uno schema di argomentazione (già insegnato da Aristotele, Topici, lib. III, cap. 2, 117a, 5-15) che utilizza il topos detto della «riduzione» (cfr. Podlech, Wertungen, cit., pp. 197 ss.) o «argomento pragmatico» (Perelman, Le champ de l’argumentation, Bruxelles, 1970, pp. 100 ss.). Le questioni sui valori, allorché non siamo in grado di avvertire la preminenza dell’uno rispetto all’altro, si possono ridurre a questioni sulle conseguenze delle scelte corrispondenti, trasferendo la discussione in un ordine di valutazioni di cui è più agevole controllare la razionalità. Per es. la questione se un negozio sia morale o immorale, e quindi valido o nullo (tanto più incerta quando si tratta di una pratica generalizzata, cioè di un atto già socialmente tipico), è facilitata dalla trasformazione nella questione se le conseguenze del negozio siano pregiudizievoli all’ordinato sviluppo dei rapporti sociali o di un settore di essi. Ma il modello deve essere approfondito. Occorre stabilire quali conseguenze devono essere prese in considerazione (cfr. Koch, Zur Rationalität richterlichen Entscheidens, in «Rechtstheorie», 1973, p. 205), oppure, se si considerano tutte, occorre misurarsi con le difficoltà di aggregazione delle rispettive valutazioni (cfr. Luhmann, Rechtssystem, cit., p. 31).
[101] Zippelius, Problemjurisprudenz, cit., p. 2233; Das Wesen des Rechts, cit., pp. 71, 176.