Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c1
La proposta di reintegrare questa forma di pensiero nei processi di interpretazione del diritto è collegabile a un contesto culturale più ampio, segnato degli sviluppi recenti della teoria generale dell’ermeneutica intesi a una ridefinizione di quest’ultima sulla base del principio che «l’appli
{p. 36}cazione, come la comprensione e l’interpretazione, è una parte integrante del processo ermeneutico», e così orientati in una prospettiva che attribuisce un significato esemplare all’ermeneutica giuridica [71]
. Non tocca a noi valutare la fecondità di simile prospettiva per l’ermeneutica generale. Certo l’accostamento dell’ermeneutica storica al modello dell’interpretazione in funzione normativa (giuridica e teologica) incontra un limite insuperabile nella funzione di misura della norma giuridica, in vista della quale è fondamentale per il giurista, mentre non appartiene all’impegno dello storico, la questione (e la responsabilità) circa «l’efficacia vincolante del senso da comprendere» [72]
. Oltre al compito, proprio dell’interpretazione storica, di mediare il passato (cioè il senso originario della legge) col presente [73]
, l’ermeneutica giuridica ha anche e soprattutto il compito di mediare la distanza tra la generalità della norma e la specialità di ogni caso concreto che ad essa deve essere commisurato [74]
.
Ma questa precisazione critica non sminuisce il valore del contributo offerto dalla riflessione di Gadamer alla consapevolezza metodologica del pensiero giuridico. Riferita all’interpretazione giuridica, la formula «comprendere
è sempre già applicare» [75]
coglie nel modo più penetrante la portata della nuova concezione antitetica alla «professione di fede» del positivismo legislativo: «les textes avant tout!» [76]
, specchio fedele dell’immagine del giudice come «bouche qui prononce les paroles de la loi». La convinzione che la legge possa essere compresa per se stessa in base al testo, onde l’applicazione al caso concreto in cui il testo si inserisce sarebbe l’attuazione di un senso già compiutamente definito, un «ripensare un già pensato», trova una base filosofica nella teoria ermeneutica romantica, nella cui prospettiva «la comprensione era intesa come riproduzione di un originario atto produttivo» [77]
. La nuova tesi è, invece, che «la conoscenza del senso di un testo normativo e la sua applicazione al caso giuridico concreto non sono due atti separati, ma un processo unitario» [78]
. Punto di partenza dell’interpretazione – sia dell’interpretazione giudiziale, sollecitata dalla «causa» che il giudice è chiamato a decidere hic et nunc, sia dell’interpretazione dottrinale, sollecitata dalla funzione di predisporre modelli teorici di applicazione del diritto – non è il testo, bensì il «caso», reale o pensato, ossia il problema o il complesso di problemi per la cui soluzione il senso del testo deve essere compreso [79]
. La legge è opaca fino a quando non si sappia rischiararla illuminandone il quadro dei riferimenti problematici, nel quale soltanto si può cogliere l’intero significato del {p. 38}programma condizionale in essa dettato. Anche l’interpretazione giuridica ha la struttura circolare della domanda e della risposta [80]
: il testo non si lascia comprendere esclusivamente con i metodi della analisi del linguaggio [81]
, ma solo quando l’interprete, in relazione a un caso di applicazione pratica, sia riuscito a capire la domanda a cui il {p. 39}testo risponde e quindi a formularla adeguatamente antivedendo la risposta. Appunto in ragione di questa struttura dialettica l’interpretazione è il canale di penetrazione della topica, intesa come tecnica di trattazione dei problemi, nel sistema giuridico.
Se ciò è vero, l’interprete non può accedere al significato della legge se non elabora il suo orizzonte ermeneutico assumendo i punti di vista valutativi di politica del diritto che il modello positivistico della sussunzione vorrebbe escludere siccome pertinenti alla competenza esclusiva del legislatore e non suscettibili di analisi scientifica. Solo da questi punti di vista egli è in grado di intendere la res proposita, il problema in funzione del quale il testo deve essere interrogato e col quale deve confrontarsi, per assicurare il proprio fondamento oggettivo, quella che nella teoria generale dell’ermeneutica (qui intrecciata con la sociologia della conoscenza) é chiamata «precomprensione», costituita dalle anticipazioni di senso e dai progetti di soluzione che guidano l’interprete alla comprensione del testo [82]
. La precomprensione, in cui consiste «la prima fra tutte le condizioni ermeneutiche» [83]
, non è un atto della soggettività [84]
, ché anzi la sua produttività {p. 40}ermeneutica è tanto meglio garantita quanto più l’interprete è riuscito a rompere il «cerchio delle proprie private presupposizioni» [85]
ma si determina in base alla partecipazione a un «senso comune» rappresentato da giudizi e concetti da cui egli «è in larga misura influenzato [...] perché formano, per così dire, l’ambiente stesso in cui è radicato, il suo habitat sociale» [86]
. Nella situazione ermeneutica propria del giurista positivo gli elementi non giuridici o pregiuridici (ideologici in senso ampio) della precomprensione sono filtrati dalla tradizione dogmatica del ceto professionale cui appartiene, dal deposito di nozioni teoriche, di orientamenti sistematici, di forme linguistiche tecnicizzate, di massime di applicazione accumulato dalla riflessione dottrinale e dall’esperienza giurisprudenziale precedenti, cioè da elementi (concettuali e linguistici) specificamente giuridici, che condizionano l’approccio ai testi normativi e il modo di intenderne il significato in ordine alla regolamentazione dei conflitti di interesse da decidere [87]
.
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Note
[71] Cfr. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 35, 291, 294, 307 ss., 323 (trad. it., cit., pp. 63, 359, 362, 376 ss., 395).
[72] Cfr. Apel, Szientistik, Hermeneutik, Ideologiekritik, in Hermeneutik und Ideologiekritik, cit., p. 35.
[73] Contrariamente all’ideale dell’ermeneutica romantica, rappresentato da Schleiennacher (Hermeneutik, in Sämmtliche Werke, a cura di Lücke, vol. I, 7, Berlin, 1838, pp. 28, 32 ss.), non si tratta per lo storico di parificarsi al «lettore originario» e in definitiva di rivivere, con un atto di intuizione divinatoria, la personalità dell’autore del testo da interpretare, superando la distanza che lo separa dall’epoca a cui il testo appartiene; si tratta invece di riconoscere questa distanza tenendo conto di ciò che nel frattempo è accaduto e mettendo a profitto l’esperienza successiva per interpretare il testo in modo che esso abbia qualcosa da dire al presente. Ma in questo compito di mediazione della distanza tra passato e presente solo impropriamente si può vedere un’«applicazione» (Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 316; trad. it. cit., p. 387). Cfr. Apel, op. cit., pp. 30 ss. e Larenz, cit. alla nota seguente.
[74] Larenz, Methodenlehre1, p 191. Cfr. anche Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, 2a ed. a cura di Crifò, Milano, 1971, pp. 32 ss., 144; e in definitiva lo stesso Gadamer, Wabrheit u. Methode1, cit., App. pp. 489 s.
[75] Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 292 (trad. it. cit., p. 360).
[76] Demolombe, Cours de code civil, vol. I, Bruxelles, 1847, p. III.
[77] Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 280 (trad. it. cit., p. 345).
[78] Ibidem, p. 293 (trad. it. cit. p. 361); Müller, Juristische Methodik2, Berlin, 1976, p. 125 ss.; Kaufmann, Durch Naturrecht und Rechtspositivismus zur juristischen Hermeneutik, in «Juristenzeitung», 1975, p. 339.
[79] Kriele, Theorie, cit., pp. 135, 159 ss.; Müller, Jur. Methodik, cit., pp. 106, 131 s.; Horn, Zur Dedeutung der Topiklehre T. Viehweges für eine einheitliche Theorie des juristeschen Denkens, in «N. Jur. Wochenschr.», 1967, p. 604; cfr. già Heck, Gesetzauslegung und Interessenjurisprudenz, in «Ar. civ. Pr.», CXH (1914), pp. 93 s.; Schönfeld, Puchta und Hegel, in Festgabe f. J. Binder, Berlin, 1930, p. 37.
[80] Cfr. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 283, 344 ss., 351 ss. (trad. it. cit., pp. 349, 418 ss., 427 ss.); Collingwood, The Idea of History, Milano, 1966, p. 297.
[81] Il tenore letterale della legge ha un valore euristico, non un valore normativo (Heck, Gesetzauslegung, cit., pp. 33, 120 ss.); normativo è soltanto il significato del testo, per comprendere il quale le regole del linguaggio sono uno strumento di grande importanza, necessario («Comprendere una proposizione significa comprendere una lingua. Comprendere una lingua significa padroneggiare una tecnica»: Wittgenstein, Thilosophische Untersuchungen, in Schriften, I, Frankfurt aM., 1969, n. 199, p. 381), ma non sufficiente. Esse hanno anzitutto una funzione negativa, in quanto segnano il limite esterno (meno prossimo) delle possibilità di interpretazione, scartando i progetti di senso con i quali le parole della legge non hanno alcuna congruenza; e poi anche una funzione positiva in quanto sviluppano la forza evocativa o figurativa del linguaggio, contribuendo alla formazione di ipotesi di soluzione oggettivamente fornite di senso. Per esempio, ha certamente violato il limite segnato dal linguaggio della legge l’applicazione dell’art. 2112, comma 3°, c.c. attuata da Pret. Milano, 8 marzo 1973 (in «Orient. giur. lav.», 1974, p. 479), dove si è preteso di interpretare la norma nel senso che, in caso di cessione dell’azienda, tra le obbligazioni nascenti dall’originario rapporto di lavoro, delle quali l’imprenditore cedente rimane responsabile (in assenza di un’esplicita dichiarazione liberatoria del prestatore di lavoro con l’intervento delle associazioni professionali), sarebbe compresa anche «quella relativa alla conservazione del posto dei dipendenti ceduti», sancita dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori, onde il cedente risponderebbe in solido col cessionario per il pagamento della somma risarcitoria dovuta al prestatore di lavoro successivamente colpito da un provvedimento ingiustificato di licenziamento. Le obbligazioni «derivanti dal rapporto di lavoro», di cui parla il terzo comma dell’art. 2112, sono chiaramente i crediti maturati in favore del prestatore di lavoro al tempo del trasferimento, i quali formano materia dell’accollo cumulativo ex lege disposto a carico dell’acquirente dal comma precedente: cioè diritti aventi la loro matrice nel rapporto di lavoro, ma da esso distinti e dotati di autonoma individualità (crediti per retribuzioni arretrate, scatti di carriera già acquisiti, ecc.). Invece il diritto alla stabilità del posto non «deriva» dal rapporto di lavoro, bensì è un elemento costitutivo (del contenuto) del rapporto, così che il vincolo corrispondente è assunto dal cessionario non in via di accollo, ma in quanto il rapporto di lavoro, come dispone il primo comma, continua con lui. Perciò egli soltanto risponde del danno causato al lavoratore da un successivo licenziamento ingiustificato, perché si tratta di un credito derivato al lavoratore dopo il trasferimento dell’azienda. Un altro caso esemplare è offerto da Trib. Bari, 6 giugno 1974, in Giur. it., 1976, I, 2, c. 314.
[82] Cfr. Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 250 ss. (trad. it. cit., pp. 312 ss.). Specificamente sul rapporto tra precomprensione e problema cfr. Esser, Vorverständnis, cit., p. 136.
[83] Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 278 (trad. it. cit., p. 344). Già Bacone, Novum organum scientiarum, pars II, aph. XXIX (2a ed., Amsterdam, 1660, p. 35) insegnava che «in scientiis, quae in opinionibus et placitis fundatae sunt (scil. le Science ermeneutiche), bonus est usus anticipationum». La teoria moderna dell’ermeneutica va oltre e identifica nella precomprensione, da cui scaturiscono le anticipationes mentis (cioè le congetture o aspettative di senso dell’interprete), non tanto un metodo («ratio sive via» nel linguaggio di Bacone: ibidem, pars II, praef., p. 26), quanto una condizione ontologica della comprensione (Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 251, 277; trad. it. cit., pp. 313, 343).
[84] In questo senso la precomprensione è intesa per es. da Wroblewski, L’interprétation en droit: théorie et idéologie, in «Ar. phil. dr.», XVII (1972), p. 66, secondo il quale essa è costituita dall’educazione personale dell’interprete, dalla sua cultura etica, economica e politica, dalla sua comunione più o meno sentita con le tradizioni della società in cui opera, dal modo con cui si riflette in lui la situazione storica in cui si trova, dalla sua capacità valutativa. Contro questo fraintendimento cfr. Esser, Möglichkeiten und Grenzen des dogmatischen Denkens im modernen Zivilrecht, in «Ar. civ Pr.», CLXXII (1972), pp. 101 s.; cfr. pure Müller, Jur. Methodik, cit., pp. 133 ss.
[85] Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., pp. 252, 277 (trad. it. cit., pp. 315, 343); Esser, Vorverständnis, dt., p. 137.
[86] Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. II, Roma, 1974, pp. 280 s.; analogamente Ascarelli, Studi di dir. comp. e in tema di interpretazione, Milano 1952, pref. n. 4, p. XI; Habermas, Der Universalitätsanspruch der Hermeneutik, in Hermeneutik und Ideologiekritik, cit., pp. 122 s., definisce la precomprensione come «il contesto in cui l’interprete ha acquisito i suoi schemi esplicativi».
[87] La struttura della comprensione, messa in luce dall’analisi fenomenologica del «comprendere» compiuta dalla filosofia esistenzialistica, consente di valutare in una prospettiva più esatta i «procedimenti di integrazione delle lacune mediante la costruzione» denunciati dalla critica di Heck alla «giurisprudenza dei concetti». Essi sono una manifestazione tipica della precomprensione del giurista educato secondo il metodo sistematico, e sono legittimi se utilizzati nei limiti di una funzione euristica, come strumenti inventivi di ipotesi (provvisorie) di soluzione fondate sull’analogia, delle quali occorre poi verificare criticamente l’adeguatezza al caso da decidere secundum ius. Diventano illegittimi, risolvendosi allora in una Inversionsmethode, quando ad essi si attribuisca valore normativo di strumenti autonomi di autointegrazione dell’ordinamento giuridico. In questo senso la condanna radicale dei procedimenti dogmatico-costruttivi, pronunciata da Heck, era già stata corretta dalla «giurisprudenza degli interessi» della prima maniera: cfr. M. Rümelin, Erlebte Wandlungen in Wissenschaft und Lehre, Tübingen, 1930, p. 26; Stoll, Begriff und Konstruktion, cit., p. 115. È vero che la «costruzione dogmatica» non di rado, più o meno consapevolmente, riveste con concetti descrittivi (avalutativi) premesse di decisione suggerite da pregiudizi ideologico-politici, ma non è vero che essa mascheri costantemente prese di posizione a favore delle forze conservatrici (così pensa, sostanzialmente, per es. Wiethölter, Rechtswissenschaft, cit., p. 35; esplicitamente Wilhelm, Metodologia giur., cit., spec. pp. 137 s.; contro cfr. Kriele, Theorie, cit., p. 41). Anche intenzioni progressiste o pseudoprogressiste possono insinuarsi attraverso procedimenti costruttivi. Si ricordi per es. la «costruzione» della vendita nei supermercati escogitata da un Pretore di Roma (22 febbraio 1971, in Foro it., 1971, II, c. 432) per declassare l’appropriazione di merci senza pagare il prezzo dal reato di furto al reato di insolvenza fraudolenta, e così assolvere l’imputata per mancanza di querela. Costruzione chiaramente al servizio di un’ideologia populistica, del resto quanto mai inappropriata alla specie essendo legata al falso presupposto che solo i poveri siano tentati di sottrarre merci nei grandi magazzini. Cfr. la critica del Pretore di Barletta, 8 luglio 1971 (ivi, 1971, II, c. 694), condotta con lo schema topico della reductio ad absurdum sul piano della politica del diritto penale. Dal punto di vista dvilistico si doveva riflettere alla facoltà incontestata di rimettere le cose al loro posto e uscire soprassedendo all’acquisto: questo topos contrasta con la tesi che il contratto di compravendita si perfezioni (e in pari tempo il suo oggetto si specifichi) nel momento in cui il cliente prende la merce dagli scaffali dove è esposta al pubblico.