Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c1
Il punto più perplesso e anche meno felicemente trattato della tesi di Viehweg sta nella definizione del rapporto tra pensiero problematico e pensiero sistematico, orientata dalla tendenza a ridurre la dogmatica giuridica a una funzione servente rispetto ai risultati dell’invenzione topica, e perciò a una forma di concettualizzazione «determinata solamente dal problema e che deve restare legata al problema»
[97]
. Egli riconosce che «la logica è in verità assolutamente indispensabile, come in ogni altro campo, così naturalmente anche nel nostro», ma la degrada a un ufficio secondario di semplice sviluppo delle premesse di decisione trovate mediante l’argomentazione problematica: «il primo posto spetta all’ars inveniendi, a quel modo che intendeva Cicerone quando diceva che la topica ha la precedenza nei confronti della logica»
[98]
. È una prospettiva fuorviante, da un lato, perché sembra implicare (al di là delle intenzioni dell’autore) l’idea che il pensiero topico proceda fuori dalle regole della logica formale
[99]
, mentre la topica, in quanto «logica delle preferenze» (o logica del concreto), è essa pure soggetta a condizioni formali che devono essere soddisfatte ai fini della razionalità delle valutazioni
[100]
; dall’altro, perché perde di vi
La scienza giuridica non è una scienza pratica nello stesso senso in cui lo sono la politica, l’economia o l’etica (quando non sia fondata su basi teologiche). Essa fa riferimento a comportamenti umani, ma il suo compito non ¶{p. 47}è di spiegare o elaborare criteri di agire corretto, bensì di comprendere il significato di testi normativi autoritativamente predisposti per dettare regola ai rapporti sociali. La scienza giuridica è essenzialmente una scienza ermeneutica
[102]
, come tale dominata dal «primato del testo»: può dirsi una scienza pratica nel senso particolare che ha la funzione di interpretare (ai fini dell’applicazione concreta) proposizioni che enunciano regole vincolanti di comportamento. Perciò la struttura totale della giurisprudenza non può essere determinata solamente dal problema
[103]
. Attribuire il primato al problema significa negare il primato del vincolo dell’interprete alla legge, la quale allora non avrebbe se non il valore di un topos tra gli altri
[104]
, di un punto di vista meritevole della massima considerazione
[105]
, ma pur sempre superabile quando il confronto con altri punti di vista persuadesse che esso non è il più congruo ad una soluzione soddisfacente. Proprio contro l’immagine di una giurisprudenza interamente determinata dalla forma del pensiero topico (una immagine della quale, come dell’opposto ideale scientistico ispirato alla logica matematica, si può dire che «di per se stessa non ha più nulla a che fare con la giurisprudenza»)
[106]
si rivolgeva l’obiezione di Alberico Gentili: «Quid tamen prodest iurisconsulto? is a ratione pendet una, et pendet totus»
[107]
. Se è vero che la legge non può essere rettamente interpretata se non muovendo dal problema per il quale in essa si cerca la risposta, è vero reciprocamente che il problema non può essere ret¶{p. 48}tamente risolto se non con riferimento al testo e nei limiti del senso del testo. Una volta acclarato il senso della legge con l’ausilio del pensiero problematico, vi è posto soltanto per l’applicazione, non più per la riflessione critica da altri punti di vista (sociali, economici, ecc.). La critica è certo possibile e anzi doverosa: non però ai fini dell’applicazione, ma per sollecitare il potere legislativo a modificare la legge. Qui la distinzione tra politica del diritto e applicazione del diritto è netta e insuperabile. Il giurista non può vedere «nel compito dell’applicazione il segno di una libertà rispetto al testo normativo»
[108]
: egli non può porre una questione di politica del diritto come tale, ma solo ipoteticamente, come progetto di decisione che potrà essere portato a compimento solo se ne sarà verificata la conformità al senso della legge
[109]
.
La rivalutazione della topica nel pensiero giuridico è un portato della scoperta della precomprensione nel processo ermeneutico. Poiché la precomprensione si assicura un fondamento oggettivo radicandosi nel problema in base al quale la legge viene interrogata, il metodo topico serve a orientare le anticipazioni di senso dell’interprete in una giusta dimensione problematica, elaborandole e vagliandole criticamente secondo la logica delle scienze del comportamento umano, cioè la logica del ragionevole
[110]
. Ma nella funzione euristica di progettazione e ¶{p. 49}di controllo razionale del «movimento anticipante della precomprensione»
[111]
, si esaurisce il momento topico del pensiero giuridico. La topica non è una tecnica di decisione, ma soltanto una tecnica di formazione di ipotesi di soluzione razionalmente fondate, delle quali occorre poi accertare con altri mezzi la congruenza con la misura del sistema costituito.
Questi mezzi sono dati dagli strumenti concettuali-conoscitivi della dogmatica giuridica. L’applicazione del diritto concretizza un universale, mentre la topica, in quanto è e rimane legata al problema, e quindi mira ad affermare il primato dell’individuale nella realtà del diritto, «non è costituita per cogliere l’universale»
[112]
. Essa serve a mediare l’applicazione dell’universale alla situazione concreta, ma quest’opera di mediazione esige infine che il problema sia valutato in una prospettiva sistematica, così da rendere possibile all’interprete la «distanza critica»
[113]
necessaria per sceverare le circostanze di fatto (e quindi i punti di vista) giuridicamente rilevanti (tipiche) da quelle irrilevanti. Il pensiero problematico muove dalle aporie del caso, formulandolo nei termini di una ricerca dialettica: scopre i punti di vista fecondi per la discussione, ne svolge i rispettivi argomenti comparandoli e soppesandoli, e conclude con un giudizio di preferenza o di rifiuto di una o dell’altra delle soluzioni possibili. Un giudizio di questo tipo («a è migliore di b»), salvo che la formazione della regola da valere nel caso concreto sia delegata al giudice da una «clausola generale»
[114]
, è normativamente vincolante solo se conforme ¶{p. 50}a una valutazione prestabilita dal diritto positivo, e ai fini di tale verifica deve essere trasformato in una proposizione descrittiva idonea a collegare le circostanze di fatto agli elementi di una fattispecie normativa astratta: idonea, cioè, a fornire il termine medio di un’argomentazione in forma dimostrativa. Le valutazioni normative, infatti, si esprimono mediante concetti descrittivi di fatti e di conseguenze giuridiche, che è compito della dogmatica analizzare e ordinare secondo le loro connessioni logiche
[115]
.
¶{p. 51}
Note
[97] Viehweg, Topik u. Jur., cit., p. 97 (trad. it. cit., p. 113). Cfr. la critica di Canaris, Systemdenken, cit., p. 138.
[98] Viehweg, op cit., p. 91 (trad. it. cit., p. 106).
[99] Cfr. Horn, Zur Bedeutung, cit., p. 603, e la precisazione dello stesso Viehweg, La «logique moderne» du droit, in «Ar. phil. dr.» XI (1966), p. 209.
[100] Cfr., per es., il noto libro di Arrow, Social Choice and individual Values, New York-London, 1951, che è un trattato di topica formale (simbolizzata) avente per oggetto le valutazioni nei processi di determinazione delle scelte sociali; nella letteratura giuridica, un primo approccio al problema in Podlech, Wertungen und Werte im Recht, in «Tir. off. Rechts», XCV (1970), pp. 185 ss., spec. 195 ss. L’integrazione nel ragionamento giuridico della forma topica, con consapevolezza metodologica e cognizione di causa, mette i giuristi di fronte a difficoltà di cui si è appena cominciato ad esplorare l’ampiezza (tra i primi contributi v. le monografie citate di Podlech e di Luhmann, la seconda, però, con un linguaggio abbastanza diverso da quello familiare ai giuristi). Si tratta di elaborare non tanto cataloghi o repertori di topoi, formali o materiali che siano, quanto procedimenti di argomentazione valutativa logicamente corretti e specificamente funzionali all’ermeneutica giuridica, l’applicazione dei quali richiede un nuovo tipo di educazione del giurista comprendente anche l’uso di stumenti dell’analisi economica e sociologica, con tutti i rischi che si corrono «quando si è costretti a lavorare un pezzo del proprio campo conoscitivo con gli attrezzi del vicino» (cfr. Musil, L’uomo senza qualità, vol. I, Milano, 1957, p. 626) e comunque badando a non perdere di vista il limite indicato da Ascarelli, Saggi di dir. comm., cit., p. 471. In questo senso non sembrano di grande utilità esposizioni di topica materiale del genere di quella, pur apprezzabile sotto altri aspetti, di Struck, Topische Jurisprudenz, Frankfurt a.M., 1971 (con un catalogo di topoi, in cui si ritrovano vecchi brocardi medievali), mentre insegnano di più libri come quello di Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile, Milano 1975, anche se elaborato nell’ambito di un ordinamento di common law, dove i confini tra argomentazioni di politica del diritto in funzione di «ius condendum» e argomentazioni valutative in funzione ermeneutica sono meno rigidi che negli ordinamenti di civil law. Poiché un vasto consenso sociale sulle valutazioni di principio non è facilmente raggiungibile in una società pluralistica, è stato raccomandato uno schema di argomentazione (già insegnato da Aristotele, Topici, lib. III, cap. 2, 117a, 5-15) che utilizza il topos detto della «riduzione» (cfr. Podlech, Wertungen, cit., pp. 197 ss.) o «argomento pragmatico» (Perelman, Le champ de l’argumentation, Bruxelles, 1970, pp. 100 ss.). Le questioni sui valori, allorché non siamo in grado di avvertire la preminenza dell’uno rispetto all’altro, si possono ridurre a questioni sulle conseguenze delle scelte corrispondenti, trasferendo la discussione in un ordine di valutazioni di cui è più agevole controllare la razionalità. Per es. la questione se un negozio sia morale o immorale, e quindi valido o nullo (tanto più incerta quando si tratta di una pratica generalizzata, cioè di un atto già socialmente tipico), è facilitata dalla trasformazione nella questione se le conseguenze del negozio siano pregiudizievoli all’ordinato sviluppo dei rapporti sociali o di un settore di essi. Ma il modello deve essere approfondito. Occorre stabilire quali conseguenze devono essere prese in considerazione (cfr. Koch, Zur Rationalität richterlichen Entscheidens, in «Rechtstheorie», 1973, p. 205), oppure, se si considerano tutte, occorre misurarsi con le difficoltà di aggregazione delle rispettive valutazioni (cfr. Luhmann, Rechtssystem, cit., p. 31).
[102] Forsthoff, Recht und Sprache. Prolegomena zu einer richterlichen Hermeneutik, Darmstadt, 1964, p. 3; Canaris, Systemdenken, cit., p. 147. Una concezione diversa è accennata da Wieacker, Gesetzrecht und richterliche Kunstregel, in «Juristenzeitung», 1957, p. 706, secondo cui l’arte del giudice non è un’attività conoscitiva, ma appartiene all’ «etica dell’azione».
[103] Così, invece, Viehweg, Topik u. Jur., cit., p. 97 (trad. it. cit., p. 113).
[104] Cfr. Müller, Jur. Methodik, cit., pp. 79, 153.
[105] Cfr. Struck, Topische Jurisprudenz, cit., p. 7.
[106] Bobbio, Teoria della scienza giuridica (lit.), Torino, 1950, p. 58 (cit. da Crifò, Introduzione, cit., p. XVIII).
[107] De iuris interpretibus, dial. IV (ed. cit., p. 130).
[108] Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 315 (trad. it. cit., p. 385).
[109] Cfr. Esser, Vorverständnis, cit., p. 92.
[110] Cfr. Recasèns-Siches, The Logic of Reasonable as differentiated from the Logic of the Rational ecc., in Essays in Jurisprudence in Honor of R. Round, Indianapolis-New York, 1962, pp. 192 ss., spec. 205 ss.; The material Logic of the Law ecc., in «Ar. Rechts-u. Socialphil.», 1965, Beih. 41, pp. 269 ss., 277 s., 285 ss.; Perelman, L’idéal de rationalité et la règie de justice, in Le champ de l’argumentation, cit., pp. 287 ss. Reale, Il diritto, cit., p. 441, precisa che la logica del ragionevole «non è altro che un momento o un aspetto della logica della ragione, non riducibile a mere connessioni formali». Come «metodo delle scienze del comportamento umano» la topica è definita esattamente da Hom, Zur Bedeutung, cit., p. 603. Il carattere interdisciplinare della logica del ragionevole è sottolineato da Lombardi, Saggio, cit., p. 559 e da Simitis, Die Bedeutung von System und Dogmatik-dargestellt an rechtsgeschäftlichen Problemen des Massenverkehrs, in «Ar. civ. Pr.», 1972, p. 148.
[111] L’espressione («vorgreifende Bewegung des Vorverstandnisses») è di Gadamer, Wahrheit u. Methode, cit., p. 277 (trad. it. cit., p. 343).
[112] Aristotele, Confutazioni sofistiche, cap., XI, 172a, 10-15 (trad. di G. Colli).
[113] Cfr. Luhmann, Rechtssystem, cit., p. 16.
[114] Ma anche in questo campo, indubbiamente il più aperto all’argomentazione topica, occorre stare attenti (e la cautela manca talvolta alla dottrina germanica quando ricorre al § 242 BGB). Non di rado un giudizio di valore formulato in base alla clausola della buona fede, e poi generalizzato a una serie di casi mediante la trasformazione in una nuova figura dogmatica, è legittimo solo in funzione di determinati presupposti sistematici che devono essere verificati sul piano dogmatico. Una dimostrazione di questo punto, con riferimento alla figura del «contratto con effetti di protezione per terzi», è fornita da Castronovo, Obblighi di protezione e tutela del terzo, in «Jus», 1976, pp. 123 ss.
[115] Un esempio illuminante sotto molti aspetti del discorso condotto nel testo si può trovare in Ehrlich, Die juristiche Logik2, Tübingen, 1925, pp. 245 ss., uno dei maggiori rappresentanti della Interessenjurisprudenz. Nel luogo citato è esaminato un problema di diritto tavolare allora (la la ed. è del 1917) molto dibattuto nella dottrina austriaca (più tardi, negli anni Cinquanta, ha formato materia di vivace disputa anche in Italia, in relazione al r.d. 28 marzo 1929, n. 499, che ha conservato nelle «nuove province» il sistema dei libri fondiari: la questione è stata definita da Cass., sez. un., 15 ottobre 1963, n. 2766. in Foro it., 1964, I, c. 298, e qui riferimenti alle vicende precedenti). Nel caso di successive alienazioni di un immobile da parte dello stesso proprietario iscritto, si domanda se il primo acquirente, che non ha curato la pubblicità del suo acquisto, debba sempre cedere al secondo acquirente che ha domandato l’iscrizione nel libro essendo a conoscenza della precedente alienazione, oppure, quando avesse già conseguito il possesso dell’immobile, possa allora respingere la rivendicazione con l’exceptio doli. La dottrina prevalente risolve il problema col metodo della costruzione dogmatica: da una serie di norme sparse nel codice austriaco (§§ 431, 440, 481) induce per astrazione il «principio dell’iscrizione» (Eintragungsprinzip) e poi deduce che, non avendo il primo avente causa perfezionato il suo acquisto con l’iscrizione e perciò non potendo vantare se non un diritto di credito, il secondo acquirente, che ha provveduto a iscrivere il suo diritto contro l’alienante, prevale in ogni caso indipendentemente dalla buona fede (si noti che nella legislazione italiana il principio dell’iscrizione è una proposizione normativa generale formulata nell’art. 2 del decreto cit., privo di riscontro in termini nella legislazione austriaca, onde già per questa ragione da noi la questione non sarebbe dovuta sorgere). Ehrlich mette in luce la scelta politica sottostante alla «costruzione» della dottrina dominante, cioè una scelta a favore dell’interesse di sicurezza del credito (agrario) ipotecario, e in opposizione a questo punto di vista richiama il topos dell’interesse di difesa della piccola proprietà contadina dagli speculatori che approfittano della mancata regolarizzazione tavolare per spogliare gli acquirenti già immessi nel possesso. Contro la soluzione prevalsa nella dottrina di lingua tedesca quest’altro punto di vista era sostenuto dai giuristi della Galizia e della Bukowina, territori caratterizzati dalla frammentazione della proprietà fondiaria in piccolissimi possessi (Zwergbesitze) e dalla scarsa «cosienza tavolare» dei contadini, che frequentemente non domandavano l’iscrizione dei loro acquisti o per inesperienza o perché, «terribilmente poveri», temevano le spese elevate di tale adempimento formale. «Isolato nella sua lontana Bukowina» (cfr. Lombardi, Saggio, cit., p. 232), il nostro a. mette dialetticamente a confronto le ragioni dei due punti di vista (per es.: se si accorda l’eccezione di dolo al possessore non iscritto si rende più difficile la concessione di mutui ipotecari agli agricoltori perché le banche non potrebbero più essere sicure delle risultanze del libro e dovrebbero correre il rischio di negligenze dei loro funzionari nell’indagine della situazione di fatto; risposta: i piccoli contadini non chiedono mai mutui ipotecari perché sanno che nel momento in cui accendono un’ipoteca sono già perduti), li soppesa e infine opta per la soluzione favorevole all’interesse «prevalente nella sua patria» (cioè porta a compimento un’anticipazione della sua «precomprensione»). La protezione del credito ipotecario sta bene, ma non deve essere spinta al punto di «favorire lo speculatore fraudolento a danno dell’inesperto». Questo giudizio di preferenza implica che il caso deve essere sottratto al dominio del principio dell’iscrizione, il quale non distingue fra terzi di buona e terzi di mala fede, e assoggettato al principio della pubblica fede (Publizitätsprinzip), la cui tutela incontra un limite nella mala fede soggettiva del terzo. A tale scopo, per fondare la scelta nel sistema costituito, occorre trasformarla in un concetto dogmatico che qualifichi la posizione dell’acquirente-possessore (non iscritto) in termini (descrittivi) idonei a collegarla per analogia con la norma del § 1500 ABGB (da noi l’art. 5, ult. comma, del decreto cit.), dove è regolato, secondo il principio della pubblica fede e con riferimento all’ipotesi di usucapione extratavolare, il conflitto tra il possessore che ha acquistato extra tabulas un diritto reale sull’immobile e il terzo acquirente dal proprietario apparente. Con l’ausilio della tradizione del diritto germanico e del diritto comparato Ehrlich trova lo strumento di qualificazione nel concetto di «ius ad rem» (Recht zur Sache) accolto dal codice prussiano del 1794: torbida teorizzazione di una limitata tutela reale accordata al possessore con giusto titolo e di buona fede, non ancora formalmente investito della proprietà, contro i terzi acquirenti di mala fede, e operante processualmente con i mezzi dell’azione o dell’eccezione di dolo, ossia i mezzi caratteristici della tutela publiciana nel diritto romano (cfr. Dernburg, Lehrbuch des preuss. Privatrechts4, I, Halle, 1884, § 184). Ma questo concetto è utilizzato senza alcuna verifica di compatibilità col diritto positivo austriaco, così che l’applicazione analogica del § 1500, da esso propiziata, si rivela affatto arbitraria (e si constata ancora una volta che la «giurisprudenza degli interessi» può sollecitare dogmatizzazioni anche peggiori di quelle della Begriffsjurisprudenz). Anzitutto la genesi del codice del 1811 (criterio fondamentale per la giurisprudenza degli interessi della prima maniera, la quale assegna all’interprete il compito di analizzare e di sviluppare coerentemente le valutazioni del legislatore storico) insegna che la «dottrina prussiana del ius ad rem» è rimasta estranea alla codificazione austriaca (cfr. Brandt, Eigentumserwerb und Austauschgeschdft, Leipzig, 1940, p. 65, nota 12). In secondo luogo tale dottrina è inconciliabile con l’essenza del libro fondiario, tant’è che lo stesso legislatore prussiano, con la legge 5 maggio 1872 (§ 4), ha espressamente eliminato la tutela del ius ad rem dalla disciplina del commercio immobiliare. Concederla al possessore non iscritto significherebbe in sostanza conservare alla traditio una rilevanza di modo (extratavolare) di acquisto di posizioni munite di tutela reale, mentre il Grundbuchswesen esige che nella circolazione per atto tra vivi dei diritti reali l’iscrizione sia elemento indefettibile del modus adquirendi. Infine, sotto il profilo della politica legislativa, la ritrattazione del legislatore prussiano del 1872 è uno degli indici più significativi dell’incidenza prevalente che l’interesse di sicurezza del credito ipotecario (Realkredit) ha avuto sullo sviluppo della pubblicità immobiliare nel secolo scorso (cfr. Brandt, Eigentumserwerb, cit., p. 90). Da questo punto di vista la figura, dogmaticamente infelice, del ius ad rem (un ibrido di diritto obbligatorio e di diritto reale) era ritenuta una «Tyrannri der Billigkeit» (ibidem, p. 104, nota 17). Meno rigorosa della legge germanica, la legge austriaca 25 luglio 1871 sui libri fondiari ha mantenuto il temperamento del codice civile, che ammette l’usucapione extratavolare in favore del possessore non iscritto. Ma la norma del § 1500 non tollera applicazioni analogiche al campo degli acquisti negoziali accompagnati dalla consegna dell’immobile: riferita al caso discusso da Ehrlich, essa non può avere altro significato se non che il primo acquirente dell’immobile, non figurante nel libro, può difendersi con l’eccezione di dolo contro il successivo avente causa solo se, al momento della domanda di iscrizione presentata da quest’ultimo, aveva già maturato il periodo di possesso necessario per l’acquisto originario del diritto mediante usucapione.