Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c1
Al legislatore non spetta un monopolio, bensì una «prerogativa», una posizione di preminenza nella formazione del diritto [40]
. Con ciò si ammette che pure il giudice
{p. 26}partecipa alla formazione del diritto, ma in pari tempo si riconosce che il suo apporto creativo nei processi di concretizzazione del diritto non è libero, ma è sottomesso alla legge. Anche chi sostiene, e in una certa misura è vero, che l’argomentazione giuridica e l’argomentazione politica hanno una struttura analoga, deve sempre precisare che la prima si distingue essenzialmente dalla seconda in quanto normativamente orientata dal vincolo alla legge [41]
.
Questo vincolo però non può essere garantito dallo schema positivistico della «sussunzione», improntato alla tecnica del sillogismo dimostrativo e quindi all’ideale di un controllo delle decisioni applicative del diritto con mezzi puramente logici. Una deduzione logica è vincolante solo se le premesse sono vere, e la logica non è in grado di controllare la verità delle premesse. La determinazione della premessa minore, ossia degli elementi di fatto giuridicamente rilevanti del caso da decidere, e della premessa maggiore, ossia della norma o del principio normativo cui la fattispecie concreta deve essere collegata, dipende – non sempre, s’intende, ma frequentemente – da una scelta del giudice, e dunque non è materia di attività logica, bensì di attività valutativa. In tale attività consiste il momento di politica del diritto nel processo di applicazione della legge. Non la legge nella sua consistenza oggettiva, ma la legge così come è stata interpretata dal giudice in relazione al caso concreto forma la premessa della decisione: una premessa priva della qualità dell’evidenza e che si costituisce, invece, nella sfera dell’opinabile.
Se ne rendeva conto uno dei massimi esponenti del positivismo ottocentesco, Karl Bergbohm, quando elevava a «legge suprema della metodologia giuridica» la purificazione del pensiero giuridico da tutti i residui giusnaturalistici e del «diritto di ragione» annidati nelle costru{p. 27}zioni e deduzioni logiche dei giuristi [42]
. Ma il suo ideale della scienza giuridica, la quale dovrebbe «comportarsi rispetto al suo oggetto esattamente come se fosse un fenomeno naturale, cui niente si può aggiungere, né sottrarre» [43]
, è illusorio. Quello che egli chiamava «la malapianta del diritto naturale», ossia l’elemento valutativo, non può essere sradicato dal pensiero giuridico perché è una condizione ineliminabile della comprensione della norma da applicare. Esso deve essere «inseguito e snidato fin nel suo ultimo nascondiglio» [44]
non per eliminarlo, ma per portarlo alla luce e costringerlo ad una giustificazione razionale [45]
. Solo in questo senso il pensiero giuridico può e deve essere un «pensiero depurato»: non un pensiero estraniato dai punti di vista rilevanti per il pensiero politico, ma depurato, mediante la riflessione critica, da presupposizioni valutative non adeguate a un corretto adempimento del compito di mediare la norma giuridica con la realtà.
Diceva Montaigne – acerrimo nemico di coloro che adoperano la deduzione logico-formale come «leur droite balle» [46]
– che «chiunque è creduto nelle sue premesse, quegli è nostro padrone e nostro Dio» [47]
. La società moderna non è più disposta a concedere acriticamente la verità delle premesse da cui il giurista deduce le sue soluzioni rivestendole della forma sillogistica. Nelle società dei secoli passati l’autorità dogmatica riconosciuta ai giuristi era fondata sull’omogeneità e la relativa stabilità {p. 28}dei punti di vista valorativi vigenti nell’ambiente sociale, nel quale i dogmi giuridici operavano come depositi di valori indiscussi e stabili. La dogmatica giuridica era allora un metodo abbastanza soddisfacente per garantire l’obiettività delle valutazioni del giudice e la conformità delle sue decisioni alla coscienza giuridica collettiva. Nella società pluralistica di oggi, dove le opinioni sono grandemente differenziate e le trasformazioni strutturali derivanti dal progresso tecnologico producono incessantemente nuovi interessi e nuovi valori, la soluzione di un problema giuridico comunicata in forma puramente dogmatica non è in grado di proporsi come decisione plausibile. Per conservare il ruolo di mediatore tra il sistema normativo e il conflitto sociale, il giurista deve esplicare con un linguaggio comprensibile le valutazioni che hanno guidato la formazione delle premesse della decisione, giustificandole con argomenti aperti alla critica, ossia razionalmente discutibili [48]
.

6. Il problema del controllo razionale delle valutazioni dell’interprete. La nuova attualità della topica.

La crisi metodologica in cui si dibatte la scienza giuridica, e in particolare la scienza del diritto privato, pone fondamentalmente due problemi tra loro connessi: a) elaborare un modello di argomentazione giuridica che renda esplicite le valutazioni dell’interprete, per loro natura non verificabili con certezza, e le assoggetti a un controllo razionale in modo da garantirne l’oggettività e quindi la plausibilità sociale; b) definire il rapporto di questo metodo con la dogmatica giuridica, cioè col pensiero sistematico.
In questa prospettiva la discussione, soprattutto nella dottrina germanica, è tuttora dominata dal «manifesto metodologico», pubblicato nel 1953 da Theodor Viehweg, che ha contrapposto al metodo sistematico la tesi {p. 29}della struttura «topica» del pensiero giuridico [49]
. Essa ha ottenuto consensi, talvolta entusiastici, ma ha suscitato anche reazioni allarmate. Il dibattito successivo, intenso e sempre aperto, ne ha confermato la vitalità, correggendo certe esagerazioni polemiche e chiarendo malintesi generati da formulazioni non del tutto perspicue o non sufficientemente approfondite. Rimangono non pochi interrogativi, ma due punti sembrano acquisiti: non si tratta di ritornare a forme antiquate di dialettica legale innestata nella retorica; non si tratta di una proposta alternativa al metodo sistematico.
La topica non interessa la scienza giuridica moderna per la sua tradizione accademica [50]
. La topica antica aveva la funzione di ordinare, classificandoli in categorie formali o classi (dette topoi o loci), gli argomenti disponibili per la discussione delle questioni dialettiche, facilitandone il reperimento. Definita, da Cicerone in poi, «ars inveniendi», essa non era propriamente inventiva, ma soltanto riproduttiva di conoscenze già note [51]
: forniva alla dialettica categorie e rationes per ritrovare punti di vista e argomenti già conosciuti e consolidati dall’esperienza. In questo senso il metodo topico è «antiquato» [52]
e certo {p. 30}non adatto al pensiero giuridico moderno, come avvertiva uno dei suoi precursori: «Sensi aliam esse iurisconsultorum rationem, aliam vero dialecticorum, et ad nos posse boni nihil ab illa disciplina proficisci, sed detrimenti et incommodi plurimum» [53]
. I dati che la scienza giuridica ha il compito di classificare, per mettere gli operatori del diritto in grado di padroneggiare la materia, sono regole positive di condotta, non massime o criteri «fondati sull’opinione»; a questo compito essa adempie col metodo sistematico, analizzando le strutture concettuali delle norme giuridiche e ordinandole secondo le loro connessioni logiche, non con una semplice rubricazione (per es. alfabetica) di rationes legis, che è una forma primitiva e rudimentale di conoscenza per categorie generali. Il rinnovamento del metodo giuridico non può implicare l’idea di un regresso dal sistema alla topica, di una riduzione (impensabile) del diritto a un catalogo di topoi [54]
, e quindi la rinuncia a un’applicazione del diritto controllata da concetti sistematici.
Perché questo punto fosse assolutamente chiaro sarebbe stato forse preferibile non rievocare la parola “topica”, anche se, proprio per l’ambiguità di cui la storia l’ha caricata, essa ha indubbiamente contribuito alla risonanza inusitata che il breve libro del filosofo-giurista tedesco ha ottenuto nella dottrina giuridica [55]
, e non sol
{p. 31}tanto in questa [56]
. In realtà essa è uno Schlagwort, l’insegna di un movimento di ritorno non tanto all’antica dottrina dei luoghi da cui si desumono gli argomenti per le dispute dialettiche, quanto alla spiritualità antica di cui l’arte topica fu una creatura, cioè a una forma dello spirito, aderente alla concretezza delle situazioni umane, la quale deve inserirsi nel modo di ragionare moderno integrando e correggendo la forma del pensiero sistematico [57]
: correggendone soprattutto la tendenza alla chiusura statica del sistema, alla mancanza della dimensione diacronica, senza la quale si smarrisce il senso della continuità dinamica del diritto [58]
.
Note
[40] Kriele, Theorie, cit., pp. 60, 160; Hommes, Kecbt und Ideologie, in Festschr. f. Wolf, Frankfurt a.M. 1972, pp. 103 s.
[41] Kriele, Theorie, cit., pp. 195, 198; Ross, Diritto e giustizia, Torino, 1965, pp. 138, 313; Lombardi, Saggio, cit., p. 502.
[42] Bergbohm, Jurisprudenz u. Rechtsphil., cit., pp. 104, 118 s. L’atteggiamento scientifico di Bergbohm è fedelmente improntato al modello dell’interpretatio naturae di Bacone, oggi in declino anche nella metodologia delle scienze della natura. Cfr. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970, pp. 308 ss.
[43] Bergbohm, op. cit., p. 523. Cfr. la critica di Fechner, Ideologie und Rechtspositivismus, in Ideologie und Recht, a cura di Maihofer, Frankfurt a.M., 1969, pp. 97 ss.
[44] Bergbohm, op. cit., p. 12.
[45] Kriele, Theorie, cit., p. 99.
[46] Cfr. Villey, in «Ar. phil. dr.», XI (1966), p. VIII. La similitudine è usata da Montaigne in un altro contesto: Essais, II, 10, ed. Plèiade, Paris, 1961, p. 458.
[47] Essais, II, 12 (Apologie de Raimond Sebond), ed. cit., p. 605.
[48] Per l’equivalenza di «atteggiamento razionale» e «atteggiamento critico» cfr. Popper, Logica della scoperta scientifica, cit., pp. XXII, 27 in nota, 40.
[49] Viehweg, Topik und Jurisprudenz, München, 1953 (trad. it. a cura e con Introduzione di Crifò, Milano, 1962); 5a ed., München, 1974. Nella letteratura italiana cfr. le recensioni di De Giovanni, in «Riv. int. fil. dir.», 1954, pp. 813 ss.; Conte, in «Il Politico», 1963, pp. 416 ss.; Giuliani, in «Studia et doc. hist. iuris», 1963, pp. 446 ss.; Fassò, in «Riv. dir. dv.», 1964, I, pp. 87 ss.; Porzio, in «Ar. pen.», 1964, pp. 50 ss.; e i riferimenti di Paresce, La dinamica del diritto, Milano, 1975, pp. 210 s., 543 in nota; Gavazzi, Topica giuridica, in Nss. dig. it., vol. XIX, Torino, 1973, pp. 409 ss.
[50] Esser, Vorverständnis und Methodenwahl in der Rechtsfindung, Frankfurt aM., 1970, p. 154.
[51] Cfr. Bacone, De dignitate et augmentis scientiarum, lib. V, cap. 3, in Works, vol. I, ed. Spedding, Ellis a. Heath, London, 1858, rist. an. Stuttgart, 1963, p. 633: «Inventio argumentorum inventio proprie non est. Invenire enim est ignota detegere, non autem cognita recipere aut revocare. Hujusce autem inventionis usus atque offidum non aliud videtur, quam ex massa scientiae, quae in animo congesta et recondita est, ea quae ad rem aut quaestionem institutam faciunt, dextre depromere».
[52] Cfr. Engisch, Recensione a Viehweg, in «Zdtschr. Strafrechtswiss.», LXIX (1957), p. 600.
[53] Alb. Gentili, De iuris interpretibus, dial. IV (ed. a cura di Astuti, Torino, 1937), p. 117 (dt. da Wesenberg, in «Juristenzeitung», 1955, p. 462).
[54] Cfr. Kriele, Theorie, cit., p. 145; Reale, Il diritto come esperienza, Milano, 1973, pp. 283, 285.
[55] Non è escluso, come insinua Zippelius, Problemjurisprudenz und Topik, in «N. Jur. Wochenschr.», 1967, p. 2289, che tale risonanza sia dovuta anche al «fascino delle cose capite a metà». In effetti quando si legge in un’opera successiva del medesimo autore, Das Wesen des Rechts3, München, 1973, p. 173, che «gli schemi per l’esame del fondamento di un’azione di danni (responsabilità ex contractu, ex delieto ecc.) sono esempi di procedimento topico nella prassi giuridica», è lecito domandarsi se il concetto di topica sia stato riscoperto con troppe varianti. Gli schemi della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale non sono categorie topiche, non forniscono argomenti dialettici, ma sono concetti ordinatori di discipline diverse della responsabilità civile e delle relative fattispede, e come tali costituiscono principi di sussunzione in forma logico-deduttiva. Possono diventare punti di riferimento (alternativi) di un problema dialettico, trattabile con la tecnica topica, quando, in funzione della qualificazione di un caso concreto (termine medio del sillogismo sussuntivo), si introduca un nuovo punto di vista (di equità o di convenienza sociale, cioè valutativo) che ponga in discussione la preferibilità del collegamento all’uno anziché all’altro regime della responsabilità prospettando l’esigenza di una nuova teorizzazione atta a integrarlo nel sistema mediante una corrispondente figura dogmatica. Un problema di questo tipo ha dato origine per es. all’elaborazione, nella dogmatica moderna delle obbligazioni, della figura dei «doveri di protezione».
[56] Cfr. nella scienza politica Hennis, Politik und praktische Philosophie, Neuwied a.R., 1963, spec. pp. 91 ss.; Kuhn, Aristoteles und die Methode der politischen Wissenschaft, in Methoden der Politologie, a cura di R. H. Schmidt, Darmstadt, 1967, pp. 521 ss., spec. 548 s.
[57] Cfr., in generale, Pöggeler, Dialektik und Popik, in Hermeneutik und Dialektik (Pestschr. f. Gadamer), vol. II, Tübingen, 1970, pp. 282 ss., spec. 296 s.
[58] Cfr. Loreau, Pour situer la nouvelle rhétorique, in «Logique et analyse», 1963, p. 104, secondo cui «l’opposition démonstration/argumentation se réduit finalement à l’opposition synchronie/diachronie».