Contrastare la dispersione scolastica
DOI: 10.1401/9788815413369/c9
È in questa frontiera educativa che si è realizzato il progetto. Una frontiera di cui si è vista l’efficacia in uno degli ultimi giorni di lavoro svolti. Con la scuola si era con
¶{p. 180}venuto di effettuare una proiezione del documentario sul cantiere di Monfalcone; una proiezione rivolta alle classi dei partecipanti che avevano seguito il progetto fino alla fine. Nei giorni precedenti, durante uno degli ultimi laboratori, c’era stato un dibattito tra i partecipanti sull’opportunità di mostrare il video a scuola. Erano intimoriti dalle reazioni dei compagni di classe. Ivanka, una ragazza di origini bulgare ha detto: «questo progetto mi piace e io qui sto bene. Ma finirà. Invece con i miei compagni di classe devo starci per cinque anni»
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. Nelle ore precedenti alla visione del documentario, con l’équipe di ricerca immaginavamo un’organizzazione della sala in modo da proteggere i partecipanti dallo sguardo dei loro compagni di classe durante la proiezione. Quando i partecipanti al progetto sono arrivati nell’aula magna per la proiezione, tuttavia, hanno deciso autonomamente dove sedersi: sulla pedana centrale, di fronte ai loro compagni di classe, con lo schermo alle spalle. E hanno presentato da soli davanti ai loro compagni di classe il lavoro svolto. Alla fine della proiezione del documentario sono stati sommersi dagli applausi.
Questo progetto non ha soltanto prodotto competenze in ambito relazionale o tecnico. Nella capacità di prendersi responsabilità, di portare a termine un lavoro, di impegnarsi per un risultato condiviso anche i risultati scolastici dei partecipanti sono migliorati. In quel gruppo quasi tutti i partecipanti erano stati bocciati almeno una volta nel loro percorso scolastico. Eppure, in quell’anno, nonostante il maggior carico di lavoro a cui erano stati sottoposti per la realizzazione del progetto, sono stati tutti promossi.
4. Epilogo
Il lavoro svolto ha avuto risultati che sono andati ben oltre ciò che ci si era prefigurati. Tuttavia di ciò che è stato messo in campo è rimasto ben poco dopo la fine del laboratorio. Nonostante tra i partecipanti ci fosse la volontà di ¶{p. 181}continuare a portare avanti il percorso con la ripresa delle attività scolastiche dopo la pausa estiva, questa si è scontrata con le difficoltà strutturali che avevano a che fare con la produzione di un gruppo costruito attraverso modalità altre rispetto alle dinamiche educative proprie del contesto scolastico.
Da un lato la mia assenza, dovuta a un allontanamento da Monfalcone durante i mesi autunnali del 2022, ha fatto venire meno quel ruolo di facilitatore del gruppo di cui i docenti dell’istituto non si sono fatti carico. I componenti del gruppo hanno anche tentato di continuare a incontrarsi autonomamente per rilanciare le loro attività. Ma le difficoltà di costruire un progetto, unite all’eterogeneità del gruppo, hanno ben presto portato a uno sfaldamento.
Ho continuato a sentire per diversi mesi alcuni dei componenti del gruppo che man mano smettevano di aggiornarmi sulla possibilità di un rilancio e iniziavano a informarmi sul loro andamento scolastico. Entrambi i giovani con cui ero in costante contatto hanno deciso di interrompere gli studi alla fine dell’anno scolastico 2022-2023.
5. Conclusioni
Il modo in cui il laboratorio si è concluso mostra inequivocabilmente la potenza di quelli che ho definito come confini educativi. I meccanismi differenziali che agiscono sui discenti hanno una forza tale da spazzare via pratiche che non rispecchiano il modello egemonico.
Come si può evincere dal caso del blog, non è dirimente il fatto che le pratiche in questione abbiano avuto effetti indubbiamente positivi sui discenti e possano costituire degli esempi da applicare in contesti multiculturali. La necessità di riprodurre una norma scolastica in quanto modello culturalmente prodotto nella prassi educativa atto a inquadrare la relazione tra docente e discente diventa ben più importante da preservare rispetto al cosiddetto successo formativo.
Quel confine educativo che ho delineato in questo contributo è certamente complicato da scardinare nonostante ¶{p. 182}un certo ottimismo della volontà. Da un lato la rottura dell’equivalenza tra autorità e autorevolezza porta i docenti a una messa in gioco continua che può mettere in crisi. Dall’altro lato, il carattere aperto e relazionale di un modello che consideri l’educazione come pratica di liberazione si presta a forte instabilità, continua necessità di coinvolgere i discenti e forti possibilità di fallimento.
Tuttavia nella società contemporanea attraversata da disuguaglianze sempre più forti e da un modello sociale chiaramente disinteressato a – citando la Costituzione italiana – «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» la scuola non può sottrarsi alla propria missione. L’attuale sfida che la scuola italiana sta affrontando, quella della società multiculturale, non è certo la prima, né la più difficile. La scuola ha attraversato il processo di costruzione dello stato-nazione con la scolarizzazione di massa, ha ripensato sé stessa con le grandi migrazioni da Sud a Nord lungo tutto il Novecento: gli esempi di problematizzazione dei modelli e le pratiche di inclusione abbondano.
È evidente però che tanto la configurazione di base quanto il modello educativo sia da ripensare completamente. Uno spazio che riproduce un confine educativo basato sull’incorporazione del confine nazionale o locale non potrà in nessun modo costituire lo spazio di crescita e produzione di cittadinanza attiva che la scuola si propone di essere. L’impraticabilità di questo modello è visibile non solo nei tassi di abbandono scolastico ma anche nel sempre maggiore inquadramento della presenza dei figli di migranti all’interno del paradigma della devianza
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. La moltiplicazione di frontiere educative in questo senso si pone come necessaria non solo per un’intera generazione che è costantemente esposta al rischio di essere espulsa dal processo educativo, ma per la stessa tenuta della società che viviamo.