Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c28
Esiste una «relazione di potere»
asimmetrica tra gli attori sociali che vivono, lavorano o visitano l’istituzione.
Essa caratterizza l’esercizio di ciascun ruolo e contrappone di volta in volta
l’istituzione, con il tramite degli operatori, all’ospite o al degente e alla sua
sfera familiare. Alcuni
¶{p. 641}autori hanno definito gli operatori
all’interno delle istituzioni sanitarie, socio-sanitarie e assistenziali come
«guardie di confine», non necessariamente persone malvagie, anzi spesso amichevoli e
sorridenti, ma di fondo sorveglianti.
Il loro rapporto con la persona
residente in tali strutture è caratterizzato da una mancata corrispondenza tra la
prestazione e l’accudimento spesso non desiderato dell’ospite che vorrebbe vivere
una vita propria. È noto che in alcuni contesti, il minutaggio e la normalizzazione
delle prassi di cura inducono a porre poca attenzione alle dimensioni relazionali e
psicologiche della persona.
Ho richiesto di visitare la mia parente nei prossimi giorni, il permesso è stato negato perché, secondo la direzione del pensionato, il monte visite del mese di luglio è già stato superato. Non ho capito, né mi è stato detto, sulla base di quali regole è fissato il monte visite [34] .
La perdita del potere auto
decisionale sulla propria vita e sul proprio corpo può dipendere, infatti, dagli
operatori e dalle dinamiche organizzative dell’istituzione, in un processo di
graduale e tacito disconoscimento della persona. Spesso per tutelare il paziente e
gli altri ospiti, soprattutto negli SPDC, le «guardie di confine» requisiscono
chiavi di casa, documenti e altri effetti personali, compreso il telefono,
interrompendo le relazioni sociali con l’esterno.
Ci risulta la presenza di una persona con disabilità, autonoma negli spostamenti, ospite in un centro residenziale che, se fino a luglio aveva avuto la possibilità di uscire e ritirarsi entro le ore 21.00, da qualche settimana ha constatato la presenza di catene a chiusura delle uscite della struttura, sorvegliate da personale che non ne consente l’apertura, con conseguente limitazione personale di qualsiasi uscita [35] .
Il Garante nazionale visita i
luoghi, con la consapevolezza che gli operatori e l’organizzazione che offrono le
cure, occupano una posizione, in quella relazione asimmetrica sopra citata, capace
di produrre una «versione ufficiale della realtà» [Goffman 2010, 11] non sempre del
tutto sovrapponibile a quella percepita dagli ospiti. Per questo, durante le visite
[36]
, volge uno sguardo a chi è beneficiario di quella cura e assistenza e
raccoglie, attraverso i colloqui riservati
[37]
, le espressioni di autodeterminazione della persona ospitata. Come un
ricercatore obiettivo, il Garante nazionale ¶{p. 642}compone le
testimonianze del segnalante con la cultura organizzativa dell’istituzione che
regola l’interazione sociale tra l’ospite interno e il luogo/l’istituzione.
Quest’ultima a volte manipola i bisogni umani di un gruppo di persone, per far
fronte a bisogni organizzativi.
Dunque, come Goffman «realizza
una descrizione impressionante di “ciò che veramente succede” in un’istituzione
totale, al di là delle retoriche scientifiche, terapeutiche o morali con cui chi
detiene il potere nell’istituzione giustifica le pratiche di degradazione degli
esseri umani che solitamente vi avvengono» [Dal Lago 2010, 1], così il Garante
all’interno di un quadro normativo nazionale e sovranazionale descrive, nei suoi
rapporti che seguono le visite, luoghi e modalità di relazioni sociali e di
trattamento. La valutazione delle peculiarità strutturali, delle disposizioni, dei
presidi sanitari e del loro utilizzo, consente di rivelare a quali condizioni, in
modo strumentale da parte delle istituzioni, essi diventano impedimenti all’agire o
al muoversi della persona/paziente di difficile gestione.
L’asimmetria tra operatori e la
persona disabile o anziana può portare alla graduale riduzione arbitraria
dell’autodeterminazione della persona e alla sua estromissione dal processo
decisionale riguardante, ad esempio, la scelta del luogo dove vivere. Provvedimenti
ispirati a logiche di protezione e tutela da parte dei servizi territoriali o delle
figure tutelari, secondo un’interpretazione unilaterale dei bisogni dell’assistito,
al di fuori, cioè, di una comunicazione dialogica. Ricoveri in RSA ritenuti unica
forma possibile di tutela per le fragilità del singolo.
È giusto che Lei sappia che il Prof. XX, allorquando è stato portato via da casa sua in data xx 2022, ex abrupto, contro la sua volontà e con modalità non ortodosse, e poi recluso in una RSA (contro la sua volontà), godeva di un buono stato di salute. Era una persona che conduceva una vita serena nella sua confortevole abitazione [...], riceveva quotidianamente visite di amici e conoscenti, ed usciva tranquillamente da casa per incontrare amici, e vivere momenti di convivialità. Nel contempo effettuava quattro volte a settimana fisioterapia e si muoveva da solo, sia pur utilizzando anche nelle uscite fuori casa un appoggio. Ed adesso invece è stato trovato costretto su una sedia a rotelle attaccato ad una flebo [38] .
Lo stesso Goffman riconduce la
giustificazione terapeutica di un tempo dell’elettroshock a un modello di servizio
medico che di fatto celava la risoluzione di problemi di conduzione amministrativa
dell’istituzione: «L’uso dell’elettroshock, su raccomandazione del sorvegliante,
come mezzo per costringere gli internati alla disciplina, e per calmare quelli che
non ascoltano minacce [...]» [2010, 396].
Le segnalazioni pervenute
all’Autorità di garanzia da parte di familiari, di organizzazioni associative, o
apprese per informazioni dai media, ¶{p. 643}quando non provenienti
direttamente dalla persona che esprime la propria doglianza, lamentano condizioni di
isolamento o evidenziano la trasformazione di un ricovero volontario in un
internamento nascosto.
All’organizzazione, ai servizi
e alle autorità tutelari il Garante nazionale rivolge le proprie raccomandazioni
pubblicate nei rapporti delle visite di monitoraggio, per sollecitare la
risoluzione, le criticità o i problemi organizzativi talvolta legati alla
insufficienza di servizi e di risorse umane e che possono determinare pratiche
degradanti [Losito 2019, 193].
6. Per una prevenzione della privazione della libertà «de facto»
Sebbene gli elementi spazio, tempo,
asimmetria tra lo staff e ospiti, presi in sé, non sempre hanno carattere definitorio
delle istituzioni totali, è anche vero che la loro coesistenza in un unico luogo rivela
un alto grado di tipicizzazione dello stesso in termini limitativi della libertà
personale e di rischio di internamento, dove si forzano le persone a diventare diverse.
Alcune strutture residenziali visitate dal Garante nazionale rispondono alla definizione
di istituzione totale come ibrido sociale [Goffman 2010, 42], in parte comunità
residenziale, in parte organizzazione formale.
In quelle particolarmente chiuse
all’esterno, una permanenza protratta rischia di attivare nella persona percorsi di
cambiamento secondo un processo di «disculturazione» dovuto alla mancanza di
«allenamento» alle relazioni sociali esterne. Questa rende la persona incapace – almeno
temporaneamente – di affrontare alcune situazioni tipiche della vita quotidiana
appartenenti al mondo esterno, sempre nell’ipotesi che vi faccia ritorno
[39]
. Un’invisibile frattura tra il «dentro e il fuori», sostenuta da un
particolare tipo di tensione fra il mondo istituzionale e quello familiare. Frattura
spesso usata come leva strategica nel manipolamento degli uomini. Sostiene Goffman: «Il
fatto cruciale delle istituzioni totali è dunque il dover “manipolare” molti bisogni
umani per mezzo dell’organizzazione burocratica di intere masse di persone [...]» [2010,
36].
Per quanto vi sia il ripetuto
richiamo alle istituzioni e agli operatori di trattare in modo dignitoso gli ospiti,
secondo i princìpi dei Trattati e delle Convenzioni internazionali, non sempre
l’istituzione è capace di distinguere tra la correttezza nello svolgimento di un compito
e la gestione di un ospite, anziano, disabile, detenuto che metta in campo elementi
umani e interpersonali complessi. È anche vero che si deve ragionevolmente pensare che
gli operatori non siano degli individui perversi che godono a intimorire i loro
assistiti o a sottometterli con pratiche degradanti, ma ¶{p. 644}che si
tratti di personale che lavora e svolge una determinata mansione secondo una tempistica
da rispettare nell’eseguire determinate procedure prescritte.
Queste procedure definiscono luoghi
dove sicuramente a fine giornata gli assistiti sono regolarmente puliti, lavati e
cambiati. Ma non lasciati liberi di vivere una vita «propria» nel rispetto del loro
vissuto.
La prima riduzione del «sé» viene
segnata dalla barriera che le istituzioni totali erigono fra l’internato e il mondo
esterno. Ancor oggi, infatti, non si comprende che l’ostacolare i contatti con la
famiglia provoca nella persona, soprattutto se lungodegente, una spoliazione del ruolo
che aveva all’interno di quel ciclo sociale al quale apparteneva. Le persone cercano di
preservare una propria dignità anche in un ambiente che, per necessità, rappresenta una
rottura profonda e dolorosa con il loro precedente percorso di vita. Ambiente che può
diventare terreno fertile di trattamenti degradanti.
Per superare le nuove forme di
internamento, le interdizioni nascoste o le diverse declinazioni delle limitazioni della
libertà viene in aiuto recuperare uno strumento tecnico professionale che va oltre il
mondo delle prestazioni tecniche uniformate, che definisce il senso dell’esistenza delle
persone all’interno delle strutture residenziali e che potrebbe limitare la durata della
permanenza.
Si tratta del «piano di lavoro
individualizzato» o, diversamente chiamato in altri luoghi di privazione della libertà,
«progetto individuale». Questo, aggiornato costantemente in base alle criticità che
insorgono durante la permanenza della persona nel luogo, consente di superare la
de-soggettivazione e la gestione dell’ospite secondo una logica di «cosalizzazione»,
cioè di mero oggetto da sorvegliare, girare, pulire, controllare. Strumento
professionale che preserva la sfera soggettiva dell’essere umano e consente di
conservare quel «corredo di identità» che la persona vorrebbe conservare anche in un
luogo diverso dalla propria casa per vivere ed esprimersi dignitosamente. Identità che
si realizza anche attraverso l’esercizio del controllo sulla propria vita, la
possibilità di conservare gli effetti personali in uno spazio riservato, o di conservare
attraverso la propria esteriorità un modo del tutto personale con cui apparire agli
altri e prevenire, così, il rischio che gli venga assegnata una nuova identità.
In data XXX è stata organizzata una riunione allargata per iniziare a fare il piano per la costruzione di un progetto di vita per la signora XX. Ci è stato riportato però, con nostro grande rammarico, che ha visto partecipi tutti tranne che la signora XX. La dott.ssa DD, psicologa del Servizio Sociale che conosce la signora XX da moltissimi anni perché ha lavorato per molto tempo al Centro diurno che frequentava, [...] non si è fatta portavoce e mediatrice della volontà della Sig.ra XX non avendo posto alcuna domanda specifica che potesse far emergere i suoi desideri. [...] Ci preoccupa il fatto che siano state organizzate delle trasferte a VV di due operatori alla volta che al momento si sono sempre dimostrati contrari ¶{p. 645}a qualsiasi valutazione diversa dal risiedere lontano dal luogo di 40 anni di vita. Sarebbe invece necessario e opportuna la presenza e il coinvolgimento attivo dei volontari, di un assistente sociale che sappia – e voglia – interpretare i desideri e i bisogni reali della signora XX, nonché del fratello GG, unico dei familiari che è andato a trovarla qualche volta. Queste presenze garantirebbero che la signora XX possa esprimersi ed essere interpellata effettivamente. Le chiediamo pertanto di intervenire per tutelare il diritto della signora XX di vivere nella società con la stessa libertà di scelta degli altri, come previsto dall’art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e accertarsi che il progetto individuale in presunta fase di elaborazione sia conforme alle sue esigenze e ai suoi desideri, come previsto dall’art. 14 della Legge 328/2000 [40] .
La partecipazione del singolo,
anche con disabilità, al progetto individuale e alle scelte di vita deve sempre essere
garantita, indipendentemente dalla tipologia di compromissione, in una logica di
prevalenza della scelta della persona interessata sulla scelta di chiunque altro, anche
se fatta presuntivamente nel suo interesse. La finalità del progetto individuale è
quella di garantire una vita sociale sulla base di uguaglianza con gli altri e di
evitare l’insinuarsi di ulteriori vulnerabilità nella soggettività o di barriere e
limitazioni all’esercizio dei diritti delle persone affidate alle istituzioni.
Note
[34] Da una segnalazione pervenuta al Garante nazionale nel 2022.
[35] Da una segnalazione pervenuta al Garante nazionale nel 2021.
[36] Si tratta di visite ad hoc, tematiche, regionali, di follow up per monitorare i luoghi a seguito delle raccomandazioni. Cfr. Albano [2021].
[37] Cfr. Codice di autoregolamentazione, cit., articolo 3. Compiti del Garante.
[38] Da una segnalazione pervenuta al Garante nazionale nel 2022.
[39] Ci si riferisce a una segnalazione riguardante un minore affidato dall’Autorità giudiziaria a una comunità a seguito di decadenza della potestà genitoriale.
[40] Da una segnalazione pervenuta al Garante nazionale nel 2021.