Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c25
Per quanto concerne il primo aspetto, ho già sottolineato che tra i principali ostacoli alla creazione di un PUI, vi è certamente la frammen
{p. 576}tazione delle competenze in materia di disabilità, non accompagnata da uno scambio delle specifiche conoscenze. Per dirlo in modo colloquiale, nella migliore delle ipotesi (perché non sempre avviene neppure all’interno del medesimo ambito di competenza), l’INPS conosce quello che fa l’INPS, le Regioni conoscono quello che fanno le Regioni, i Comuni conoscono quello che fanno i Comuni, le ASL conoscono quello che fanno le ASL. Ovvero, pur avendo questi attori istituzionali anche degli sportelli informativi – è corretto riconoscerlo, certamente migliorati negli ultimi tempi – questi ultimi rimangono comunque luoghi che rispondono (comprensibilmente) soltanto sulla base delle loro specifiche competenze, potendo così garantire (sempre nella migliore delle ipotesi) soltanto una risposta parziale alle esigenze di una persona con disabilità e, in particolare, nei casi di una disabilità complessa, che necessariamente ha bisogno di un ventaglio di informazioni più ampio rispetto a quello che la Regione, l’INPS o la ASL può offrire singolarmente.
A questo si aggiunga che a una persona con disabilità non può essere comunque richiesto di sapere sempre a chi occorre rivolgersi, oltre al fatto che, pur sapendolo, la frammentazione di cui sopra comporta in ogni caso una serie di spostamenti e attese nelle sedi più disparate. Anche perché, se è vero che sul territorio esistono più sedi dislocate per ciascun ente o amministrazione, è anche vero che l’INPS ha le sue, le ASL hanno le loro e via dicendo.
In un’ottica di cura e attenzione alle persone con disabilità, occorre dunque, da un lato, attivare nuove modalità di scambio tra i protagonisti istituzionali che detengono le informazioni e, da un altro lato, individuare anche nuove modalità comunicative tra i medesimi protagonisti e i beneficiari delle tutele, dei benefici e dei servizi contenuti in quelle informazioni.
Quali sono gli impedimenti a un auspicabile passaggio di informazioni tra i vari protagonisti istituzionali? Ritengo che se ne possano individuare sostanzialmente due. Per un verso, infatti, è lecito immaginare che vi siano degli impedimenti di natura tecnica. Banalmente, se le informazioni non sono digitalizzate o lo sono soltanto parzialmente, risulta estremamente complesso veicolarle attraverso canali condivisi. Tuttavia, riprendendo le parole dell’ISTAT riportate più sopra a proposito di un processo di digitalizzazione «avviato», la sensazione è che ancora oggi tale processo non abbia raggiunto una conclusione. E, in questo senso, forse una prima soluzione potrebbe essere quella di intensificarne le dinamiche, al fine di passare dai polverosi faldoni abbandonati negli archivi alle loro copie digitali, che consentirebbero di avere uno strumento certamente più funzionale allo scambio.
Per un altro verso, è ragionevole considerare che vi siano anche degli impedimenti connessi al contenuto di quelle informazioni, con particolare {p. 577}riferimento alla tutela della privacy dei diretti interessati. Questo è un aspetto che senza dubbio occorre affrontare con la dovuta delicatezza e attenzione. Tuttavia, pur nel rispetto delle garanzie previste dal nostro ordinamento in questo ambito, è forse altrettanto ragionevole domandarsi se, in un’ottica di semplificazione, l’istituto della liberatoria non possa essere una possibile soluzione. Come è noto, del resto, si tratta di un istituto ampiamente sfruttato in molti ambiti, compreso quello sanitario. Chi ha avuto un’esperienza di pronto soccorso, ad esempio, può certamente avvalorare quanto vado dicendo. Si pensi, sempre a titolo d’esempio, quando in sede di ricovero ospedaliero viene richiesto di produrre un elenco dei professionisti sanitari ai quali la persona ricoverata consente che vengano trasmessi gli esiti del ricovero.
Detto altrimenti, non pare quindi irragionevole chiedersi se, a fronte del consenso rilasciato dal titolare delle suddette informazioni, le differenti competenze istituzionali non possano essere «libere» di comunicare tra loro, scambiandosi quanto di loro conoscenza o, più precisamente, proprio nella prospettiva in esame, di far confluire tutte le informazioni in un luogo, fisico e digitale, quale appunto potrebbe essere il PUI.
In quest’ottica, il Punto Unico potrebbe inoltre giovarsi anche delle competenze provenienti «dal basso» e svolgere anche un ruolo di catalizzatore di buone pratiche rivolte a una maggiore responsabilizzazione collettiva in materia di disabilità. Come ho già anticipato, infatti, le persone con disabilità e i loro familiari non di rado hanno sviluppato negli anni una mole di conoscenze apprezzabile, non soltanto a seguito dei farraginosi dialoghi con i diversi attori istituzionali ma, anche e soprattutto, in conseguenza dei rispettivi percorsi esistenziali. Il riferimento, pare evidente, sono i servizi sul territorio, sia pubblici, sia in capo al privato sociale. Questa mole di conoscenze potrebbe anch’essa trovare proprio nel PUI un luogo di raccolta, diffusione e condivisione, a beneficio della comunità locale e, più nello specifico, delle persone con disabilità che la abitano.
Venendo al secondo aspetto, ovvero all’ipotesi che si possano attivare anche nuove modalità comunicative tra gli attori istituzionali e i diretti interessati, mi soffermerò su alcuni esempi che, a mio parere, possono aiutare a comprendere il senso della proposta. Attingerò alla mia esperienza personale, per essere certo di non riportare inesattezze, a cominciare da tre iniziative virtuose da parte dell’INPS che potrebbero (meglio: dovrebbero) fare scuola ed essere replicate anche da altri attori istituzionali.
Un primo esempio è lo «Sportello Mobile INPS», attivato nel 2017 e rivolto a persone con disabilità e anziani ai quali, attraverso una lettera ricevuta direttamente al proprio indirizzo, viene assegnato un codice identificativo univoco e un numero di telefono da contattare sia per avere informazioni di carattere generale, sia per richiedere alcune prestazioni o {p. 578}documenti. Si tratta di un’iniziativa certamente lodevole e che, sulla base della mia esperienza, risponde efficacemente alle esigenze di una persona con disabilità, precisamente in un’ottica di semplificazione e agevolazione dei rapporti con l’Istituto.
Un secondo esempio è più recente (aprile 2023) e consiste nell’attivazione di un nuovo servizio che permette di ricevere contenuti personalizzati e proposte proattive dei servizi dell’Istituto. Vale a dire, cito dal testo della comunicazione ricevuta, «quando nasce il diritto ad una prestazione, l’INPS potrà comunicarti la possibilità di presentare domanda, segnalarti servizi complementari alle prestazioni che ricevi oppure ricordarti la scadenza dei termini per gli adempimenti a tuo carico». Anche in questo caso, tramite una comunicazione diretta e previa adesione al servizio, l’INPS ha certamente individuato un percorso in grado di agevolare i propri rapporti con gli utenti, con evidente beneficio per questi ultimi.
Un terzo esempio riguarda l’erogazione di alcune provvidenze economiche. Anche in questo caso, infatti, si registrano alcune iniziative meritevoli, quali ad esempio il rinnovo automatico dell’Assegno Unico, che, come è noto, inizialmente prevedeva che ogni anno si dovesse inoltrare la richiesta. Un automatismo che, da alcuni anni a questa parte, è stato attivato anche per l’erogazione della pensione di inabilità ai maggiorenni beneficiari dell’indennità di accompagnamento. Sebbene tali automatismi non siano sempre tempestivi (tanto è vero che, nel dubbio, non di rado i beneficiari presentano comunque la domanda) e sebbene vi siano certamente alcuni aspetti che potrebbero essere migliorati – ad esempio, la richiesta di dimostrare di possedere i requisiti reddituali; un passaggio che forse potrebbe essere ulteriormente semplificato se vi fosse maggiore comunicazione tra l’INPS e l’Agenzia delle Entrate – anche in questo caso si tratta di un’iniziativa che sicuramente può essere letta in un’ottica di agevolazione all’accesso alle tutele e ai benefici previsti dal nostro ordinamento.
Certo, anche in seno all’INPS non mancano alcune inspiegabili contraddizioni, sia nei rapporti con gli utenti, sia per quanto concerne la trasmissione «interna» delle informazioni. Riporto anche in questo caso una vicenda personale che mi pare significativa sotto questo aspetto.
Circa un anno fa, tramite un patronato, ho fatto domanda perché venisse riconosciuta la pluriminorazione di mio figlio, con i relativi benefici economici previsti. Come è facile immaginare, in occasione della domanda è stata trasmessa tutta la documentazione necessaria, compresi ovviamente i verbali di invalidità che, a mio parere (col supporto del patronato), certificavano la condizione di mio figlio. Dopo una lunghissima trafila, in occasione della visita con la Commissione medico-legale, non soltanto mi è stato chiesto di compilare una scheda con tutti i nostri dati {p. 579}(non è superfluo segnalare che, a seguito di una convocazione mai ricevuta, la seconda convocazione è avvenuta tramite sms, cioè attraverso un numero che chiaramente avevo già reso noto in precedenza), ma anche di produrre nuovamente tutta la documentazione che avevo a suo tempo inviato. A domanda precisa sui motivi della richiesta, la risposta altrettanto precisa è stata che gli uffici che ricevono le domande di riconoscimento non trasmettono la documentazione alla Commissione medico-legale e che la medesima Commissione non può accedere per via telematica alla documentazione se questa è precedente al 2010, in ragione del fatto che i documenti sono digitalizzati soltanto a partire da questa data.
Non ho motivo per non credere che sia stata una risposta congruente con le attuali dinamiche organizzative dell’INPS. Un aspetto che non può non rimarcare quanto già detto in precedenza, ovvero che ancora oggi, nell’era della digitalizzazione, è dato registrare la presenza di enormi problemi di fruibilità dei documenti, funzionale a uno scambio «interno» e/o tra attori istituzionali differenti.
Tuttavia, anche a fronte di una strada che pare ancora lunga da percorrere, le tre iniziative succintamente richiamate poc’anzi lasciano intendere che, anche sotto un profilo squisitamente tecnico, sia possibile individuare nuove e più accoglienti modalità comunicative tra gli attori istituzionali e i diretti beneficiari. E come ho anticipato, pare dunque lecito domandarsi se tali modalità non possano essere attivate anche in altri ambiti.
Faccio soltanto un esempio a titolo conclusivo, avente per oggetto il pass per il parcheggio.
Come è noto, il pass viene rilasciato dall’amministrazione comunale. Il riconoscimento del pass e l’assegnazione di un posto auto non sono automatici, ma sono l’esito di una procedura che, senza entrare nei dettagli, presuppone che venga prodotta tutta la documentazione idonea al riconoscimento, sulla base dei criteri definiti dall’amministrazione. Fino a qui nulla di sorprendente, anche se potremmo domandarci, ancora una volta e con tono volutamente polemico, come sia possibile che l’amministrazione comunale non sappia che tra i residenti sul suo territorio di competenza vi sono anche persone che hanno titolo per godere dei benefici del pass. A ben guardare, infatti, se l’amministrazione comunale avesse piena conoscenza dei profili individuali dei suoi residenti, potrebbe «semplicemente» agire in prima persona e inviare il tagliando direttamente a casa degli interessati, anziché attendere che siano questi ultimi ad attivarsi.
D’altro canto, se ad esempio un cittadino non paga la tassa sui rifiuti, l’amministrazione non ha difficoltà a raggiungerlo per intimargli di ottemperare ai suoi doveri. E questo avviene, banalmente, perché attraverso l’anagrafe l’amministrazione registra i propri residenti e possiede le informazioni necessarie per raggiungerli.{p. 580}
Non mi sfugge che proporre un modello di schedatura «ad alta intensità» possa rimandare a scenari di controllo sociale non preferibili. Così come non mi sfugge che, nel discorso che vado facendo, subentrino delicati profili legati alla tutela della privacy e dei dati sensibili. Tuttavia, come ho fatto poc’anzi, mi domando se ancora una volta l’istituto della liberatoria non consenta di superare una serie di criticità. Mi spiego. Quando rinnoviamo la carta d’identità, viene richiesto di presentare anche il codice fiscale. Come è noto, salvo rarissimi casi di errore, il codice fiscale è univoco, nel senso che identifica una persona e quella soltanto. Esattamente come negli esempi «virtuosi» riportati in precedenza, il codice fiscale può essere cioè un contenitore privilegiato di informazioni provenienti da ambiti diversi (tra l’altro, non a caso è riportato sulla tessera sanitaria). E, proprio in materia di disabilità, la recente attivazione della Disability Card mi pare che contempli i medesimi criteri che vado proponendo. Vale a dire: se in occasione del rilascio della carta d’identità, contestualmente autorizzo il Comune a raccogliere tutte le informazioni che mi riguardano (o comunque, quelle che ritengo possano tornare utili a me), perché non immaginare che queste ultime possano essere usate dall’amministrazione, precisamente in una prospettiva di agevolazione e riconoscimento concreto dei miei diritti? Ovviamente, ma di questo si è già ampiamente discusso, queste informazioni devono essere disponibili, ovvero devono essere oggetto di un linguaggio condiviso tra i diversi attori istituzionali.
Ad ogni buon conto, sempre restando sull’esempio del pass (significativo, ma non unico), vi sono certamente altri passaggi che possono essere ulteriormente semplificati, anche in seno alla medesima amministrazione comunale. Si pensi a quanto accade in occasione del rinnovo. Anche in questo caso, pongo la questione in forma interrogativa. Perché, esattamente come avviene per la carta d’identità, in prossimità della scadenza i residenti non possono ricevere una comunicazione da parte dell’amministrazione in cui vengono indicate le modalità per rinnovarlo (magari facendo anche presente che, rispetto all’epoca del rilascio, sono cambiati i numeri di telefono da contattare o che gli uffici dove potersi recare fisicamente hanno cambiato sede)? Quali sono gli impedimenti sotto questo profilo, se non richiamando fattori imputabili a una mancanza di attenzione e cura da parte delle Amministrazioni?
Oltre al fatto che, a fronte di un’invalidità permanente, vi è anche da chiedersi perché il rinnovo non possa essere automatico e non si possa ricevere direttamente a casa il nuovo pass aggiornato. Del resto, se già fortunatamente esistono modalità di rinnovo automatico in altri ambiti – per esempio, da qualche anno e ovviamente in presenza di un quadro sanitario compatibile, questo avviene per la fornitura degli ausili per l’incontinenza, rilasciati dall’ATS – perché tale automatismo non può essere
{p. 581}previsto anche con il pass per il posto auto? Anche perché, con tutta evidenza, in occasione del primo rilascio, l’amministrazione ha raccolto tutte le informazioni del caso. E se l’attuale procedura è comprensibile per i pass temporanei o a fronte di situazioni che richiedono una rivalutazione, resta del tutto incomprensibile nei casi di invalidità permanente.