Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c24
In questo contesto, dunque, le
Linee programmatiche si propongono di «mantenere la persona nel suo ambiente di vita
e prevenire l’istituzionalizzazione», consentendo a coloro che necessitano di
specifici supporti, di restare presso la propria abitazione, come evoluzione
all’assistenza residenziale. Ne consegue che le Linee programmatiche operano una
netta scelta di campo contro l’esclusione e la cronicizzazione delle persone con
disabilità mentale, favorendo, al contrario, modalità di raccordo tra la
¶{p. 548}rete dei servizi di cura e la comunità, realizzabile
mediante un adeguato impiego delle risorse
[9]
.
Le Linee programmatiche si
candidano a rappresentare una tappa fondamentale per dare vita a progettualità
legate a bisogni sempre più specifici, evitando di rispondere all’ennesima «chiamata
di aiuto» estemporanea e non strutturata. Se, da un lato, invero, i servizi
socio-sanitari necessitano di un certo grado di flessibilità nella loro
implementazione e dovrebbero perseguire un processo di deistituzionalizzazione,
essi, tuttavia, necessitano di essere ricondotti in un contesto in cui i progetti,
gli interventi e le prassi amministrative possano consolidarsi e diffondersi.
In quest’ottica, le Linee
programmatiche dedicano uno spazio forse inedito proprio alle procedure
amministrative attraverso cui realizzare i progetti, gli interventi e le attività
contemplati nel Budget di Salute. Esse sono caratterizzate da un approccio inclusivo
e multilivello, secondo il quale le diverse «componenti» che costituiscono il Budget
di Salute possono trovare soluzioni e risposte differenziate. In particolare, le
Linee richiamano l’importanza per le aziende sanitarie locali e i decisori pubblici
in generale di ricorrere agli istituti giuridici cooperativi previsti dal Codice del
Terzo settore. Il coinvolgimento delle organizzazioni non profit è considerato
funzionale in un’ottica di welfare generativo, produttivo di capitale sociale e
benessere personale, che contempli, nello specifico, la definizione di progetti
personalizzati. E proprio questi ultimi, in ragione dell’impossibilità di ricondurli
a schemi standardizzabili e replicabili, depongono a sfavore delle procedure di
esternalizzazione di un servizio ovvero di una prestazione. Essi, al contrario,
richiedono l’attivazione di reti territoriali di servizi nell’ambito delle quali i
soggetti deputati all’organizzazione, alla gestione e all’erogazione degli stessi
condividano mission e obiettivi, implementando processi e
procedure di co-programmazione, co-progettazione e co-gestione. Al riguardo, le Linee programmatiche ribadiscono
che il Codice del Terzo settore costituisce la principale fonte normativa di
riferimento per la realizzazione delle progettualità attivate grazie alla
metodologia del Budget di Salute. Gli istituti giuridici disciplinati dal Codice del
2017 contemplano modalità di intervento fondate sull’azione di più attori e
sull’integrazione di percorsi diversi, necessariamente condivisi tra gli stessi
soggetti partecipanti. La cooperazione tra più soggetti giuridici intende rafforzare
il meccanismo di co-gestione che scaturisce dal Budget di Salute: in quest’ottica,
l’identificazione di un elenco di soggetti qualificati al fine di realizzare
effettivamente interventi ¶{p. 549}che possano coinvolgere
pienamente il soggetto con disabilità mentale come beneficiario del servizio, è
fondamentale al fine di attivare progetti individualizzati. Questi possono
determinare, dal lato della persona, capacità, autonomia, inclusione sociale oltre
che conformità nell’offerta dei servizi dal lato dei soggetti competenti. In questa
prospettiva, il Budget di Salute può rappresentare uno strumento efficace attraverso
cui determinare accordi di co-gestione contrattuale e conseguentemente trasparenza,
conformità e parità di trattamento nella loro identificazione, in maniera del tutto
distante dal principio di concorrenza.
Le Linee programmatiche, in
ultima analisi, offrono alle Regioni un’efficace cornice nell’ambito della quale gli
enti del servizio sanitario regionale, gli enti locali e i soggetti privati trovano
i riferimenti organizzativi, gestionali e procedurali attraverso i quali
implementare, nei diversi ambiti territoriali, la metodologia del Budget di Salute.
Dal punto di vista meramente ordinamentale, le Linee programmatiche costituiscono un
esempio virtuoso di soft law, che, partendo dal «basso», ossia
dal livello regionale, sollecita il decisore politico nazionale a intervenire non
tanto per «imporre» standard, regole ovvero comportamenti, quanto per suggerire,
raccomandare e indicare buone prassi e procedure finalizzate a rafforzare la tutela
dei diritti delle persone fragili attraverso la costruzione di una rete coordinata
di soggetti, istituzionali e non. Le Linee programmatiche in parola hanno il pregio
di superare i rigidi confini che, tradizionalmente, caratterizzano l’azione e gli
interventi nel comparto socio-sanitario, indicando frontiere mobili, «popolate» da
una molteplicità di attori, che imparano a dialogare, a confrontarsi e a
contaminarsi. Con l’obiettivo ultimo di rafforzare la tutela dei diritti delle
persone rese fragili e potenziare l’organizzazione, la gestione e l’erogazione delle
prestazioni e dei servizi necessari e funzionali a quella tutela.
2. Le prestazioni e i servizi oggetto del Budget di Salute tra principio di sussidiarietà (orizzontale) e istituti giuridici cooperativi
Il Budget di Salute può essere
considerato la «piattaforma» attraverso cui è possibile realizzare una più efficace ed
efficiente integrazione tra servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, le prestazioni
e i servizi in esso contemplati; attraverso il BdS il ruolo svolto dalle organizzazioni
non profit trova la collocazione naturale, sistematica, organizzativa e, soprattutto,
teleologica nel principio di sussidiarietà.
Invero, la sussidiarietà in senso
orizzontale, così come costituzionalizzata nella l.c. n. 3/2001, implica una pluralità
di soggetti e la coesistenza di soggetti pubblici e privati particolarmente avvertita
nel settore dei servizi pubblici a rilevanza locale. Il principio di sussidiarietà si
presenta come ¶{p. 550}principio essenzialmente relazionale,
qualificazione che implica la necessaria azione proattiva dei cittadini organizzati,
senza la quale le istituzioni pubbliche non possono favorirne l’intervento.
Nello specifico dei servizi
socio-assistenziali e socio-sanitari, il principio di sussidiarietà identifica
l’intervento necessario degli enti pubblici e le azioni realizzatrici da parte delle
organizzazioni di Terzo settore, chiamate a co-gestire interventi e servizi di interesse
generale. L’intervento delle Pubbliche Amministrazioni è soprattutto riconducibile alla
funzione di programmazione, finanziamento, sostegno, coordinamento e controllo delle
molteplici forme di autonomia e di autogestione che scaturiscono dalle diverse forme
organizzative non profit. La sussidiarietà orizzontale identifica, dunque, un paradigma
di azione e di interventi capace di coniugare le responsabilità politico-amministrative
ineliminabili e indelegabili degli enti pubblici con le innovative ed efficaci risposte
ai bisogni sociali elaborate, sperimentate e realizzate dagli enti non lucrativi nel
perseguimento dell’interesse generale. L’identificazione operata dal principio di
sussidiarietà tra interessi generali perseguiti dai soggetti privati e interessi
pubblici impone una rivisitazione dei rapporti intercorrenti tra PA e amministrati.
In questa prospettiva, dopo decenni
di diffidenza e sospetto, le organizzazioni non lucrative sono chiamate a concepirsi
come sussunte nell’ambito delle politiche pubbliche, in virtù delle quali a esse le
Pubbliche Amministrazioni riconoscono un ruolo diretto di gestori ed erogatori dei
servizi alla persona a favore delle comunità locali.
In questa logica, si collocano
infatti gli istituti giuridici di natura cooperativa disciplinati negli articoli 55 e 56
del d.lgs. n. 117/2017: essi esprimono una rinnovata fiducia da parte della Pubblica
Amministrazione nell’azione e nelle capacità degli enti non profit e, attraverso le
diverse forme di partenariato pubblico-privato realizzabili, rappresentano la sintesi
delle caratteristiche di garanzia del pubblico e di efficienza del privato, evitando, in
questo modo, di depauperare il ruolo del primo e di (falsamente) preferire il secondo.
In questa cornice di riferimento, le organizzazioni non profit sono perciò titolate a
produrre servizi che hanno un valore e un costo, ma che non devono essere erogati
(necessariamente) con i criteri di mercato, pur dovendo essere prodotti con efficienza e
professionalità e non in concorrenza con imprese che «stanno sul mercato». In questa
prospettiva, si comprende perché le organizzazioni non profit non richiedono di essere
sottratte alle regole generali in materia di affidamento dei servizi, ma richiedono un
adeguamento delle stesse alle loro peculiarità, in specie allo scopo di valorizzare il
diverso rapporto giuridico che si instaura tra enti pubblici e soggetti non lucrativi.
Questi ultimi, infatti, non si caratterizzano per essere soggetti produttori/erogatori
di servizi nell’ambito di un rapporto di committenza pubblica, ma risultano
¶{p. 551}definiti da una «specializzazione funzionale», che le rende
particolarmente adatte a realizzare finalità di interesse generale al di fuori delle
procedure a evidenza pubblica.
La Riforma del Terzo settore ha
delineato un quadro normativo di favore in cui collocare inedite forme di cooperazione
tra organizzazioni non profit ed enti locali. A questi ultimi, la Riforma in parola,
oltre ai già consolidati ruoli di soggetti committenti, di stazioni appaltanti, di
amministrazioni procedenti, di enti supervisori delle attività svolte, nonché di enti
finanziatori delle stesse, ha affidato un’ulteriore funzione: quella di condividere e
coordinare l’azione collaborativa degli enti del Terzo settore. In quest’ottica, la
Riforma, infatti, riconosce agli enti locali e agli enti del servizio sanitario piena
autonomia organizzativa e regolamentare, nell’ambito della quale le Pubbliche
Amministrazioni sono chiamate, per quanto di competenza, a definire procedure, modalità
e modelli di intervento finalizzati ad assicurare il coinvolgimento attivo delle
organizzazioni non profit. Oggi, rispetto al passato, gli enti locali hanno invero a
disposizione una pletora di strumenti e di procedure, che debitamente «mixate» possono
contribuire a valorizzare il contributo degli enti non profit, identificando, anche in
termini di innovazione e sperimentazione gestionale, interventi, servizi, progetti e
prestazioni più efficaci, efficienti e sostenibili
[10]
.
Nell’ottica sopra descritta, le
Pubbliche Amministrazioni non sono chiamate soltanto a riconoscere il ruolo degli enti
non profit, ma a sostenerne e promuoverne gli interventi e i progetti di utilità
sociale. In altri termini, in forza degli istituti giuridici cooperativi, gli enti
pubblici funzionalizzano l’azione solidaristica degli enti non lucrativi, per renderla
coerente con il raggiungimento di finalità di utilità sociale, ossia il soddisfacimento
di bisogni collettivi e la tutela di interessi generali.
Il perseguimento di finalità di
interesse generale permette di «equiparare» gli enti non profit alle Pubbliche
Amministrazioni, potendosi affermare che entrambe le categorie di soggetti rinvengono
nelle finalità indicate la loro stessa ragion d’essere [Spasiano 1996]. Quest’ultima,
finalizzata dunque alla cura di interessi della comunità, permette di identificare un
set di strumenti e istituti giuridici di natura consensuale e partecipativa, ritenuti
più adeguati ed efficaci per rispondere alle esigenze di un ordinamento pluralista a
carattere sociale e multilivello. Si tratta di un sistema caratterizzato da un’ampia
gamma di attori, nell’ambito della quale ai soggetti pubblici è affidato, in particolare
un ruolo di governance: a differenza ¶{p. 552}del
governo diretto degli interventi, che considerava il potere decisionale derivante dal
sistema istituzionale formale, i processi di governance sono
associati all’esercizio dei poteri formali e/o informali con l’obiettivo di creare
consenso attorno alle scelte pubbliche. Queste ultime sono, a loro volta, caratterizzate
dalla centralità delle interazioni tra gli attori presenti ai vari livelli del contesto
socio-politico, dal coordinamento di network, nonché dall’integrazione tra
responsabilità pubbliche e responsabilità dei soggetti privati, finalizzate a elevare i
diritti di cittadinanza attiva e ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni.
In questo contesto, la missione
delle organizzazioni pubbliche non si esaurisce nella sola produzione efficiente dei
servizi pubblici, ma implica la definizione e la «gestione» di legami fra istituzioni
pubbliche e comunità locali di riferimento. La governance pubblica,
dunque, sottende una nuova concezione del ruolo della PA nei confronti degli attori
sociali ed economici, orientata agli obiettivi e in grado di privilegiare i principi del
consenso, della partecipazione inclusiva, della valorizzazione dei corpi intermedi e
dell’economicità dell’azione. In questo modo, si supera il modello e il concetto di
governo gerarchico, per adottare, al contrario, strategie di governo che consentano di
coinvolgere le organizzazioni private
[11]
, specie non lucrative, nella definizione delle politiche pubbliche di
intervento, che – in questo senso – tendono a favorire la costruzione e l’organizzazione
di partnership pubblico-private.
Ed è al perseguimento «condiviso»
dell’interesse pubblico che sono informati gli istituti giuridici cooperativi della
co-programmazione, della co-progettazione, dell’accreditamento e del convenzionamento
con gli enti del Terzo settore disciplinati dal d.lgs. n. 117/2017
[12]
. Il Codice del Terzo settore ha inteso dedicare specifiche previsioni alla
valorizzazione dei rapporti di collaborazione tra enti pubblici ed enti non profit, in
specie alla luce della rilevanza sociale che questi ultimi acquistano
nell’organizzazione, gestione ed erogazione di prestazioni e servizi di interesse generale
[13]
.
¶{p. 553}
Note
[9] L’utilizzo delle Linee Guida è utile a: «contrastare e, se possibile, a prevenire la cronicizzazione, l’isolamento e lo stigma della persona con disturbi mentali, creando un legame tra il Sistema di Cura ed il Sistema di Comunità, finalizzato a un utilizzo appropriato e integrato delle risorse di entrambi» [Conferenza unificata 2022, 1].
[10] Attenta dottrina ha evidenziato che gli enti pubblici sono stati piuttosto refrattari a impiegare gli istituti giuridici dell’amministrazione condivisa sia per la «ontologica genericità delle norme europee in tema di contratti pubblici» sia per la «non sempre lineare normativa interna di recepimento», cui vanno ad aggiungersi le «perplessità sollevate dall’ANAC» in tema di applicazione del d.lgs. n. 117/2017 e, infine, il parere del Consiglio di Stato del 2018 [Gualdani 2021, 133].
[11] Le organizzazioni private, intese quale espressione del principio di sussidiarietà, «pongono in essere attività di pubblico interesse, che non di rado si inseriscono in procedimenti complessi che danno luogo – anche ma non solo – a provvedimenti amministrativi [...]» e «concorrono in modo decisivo (l’area dei servizi pubblici offre una serie smisurata di esempi)» alla definizione di atti amministrativi per fini pubblici. Così, Perfetti [2019, 62].
[12] Contenuti negli articoli 55, 56 e 57 del d.lgs. n. 117/2017, gli istituti giuridici cooperativi in argomento sono stati oggetto di specifica attuazione nel d.m. del Ministro del lavoro e delle politiche sociali n. 72 del 31 marzo 2021, recante «Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore negli articoli 55-57 del decreto legislativo n. 117 del 2017». Per un primo commento al decreto in parola, si veda Tagliabue [2021, 7 ss.].
[13] Interessante al riguardo la posizione di attenta dottrina al fenomeno non lucrativo che non è più tanto individuato dallo scopo altruistico in opposizione a quello egoistico delle società tradizionali, quanto dalla rilevanza sociale. Così, Fusaro [2020, 230]. Del medesimo A. si segnala anche [2019a; 2019b; 2019c].