Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c12
In queste ipotesi, pertanto, il rinvio operato dall’ordine di esecuzione non sarà sufficiente ad assicurare piena efficacia interna alle disposizioni pattizie, ma dovrà essere accompagnato dall’adozione da parte del legi
{p. 280}slatore di ulteriori – e più articolate – norme di attuazione. In assenza di tale intervento integrativo, tuttavia, la norma pattizia non self-executing è comunque idonea a spiegare alcuni importanti effetti normativi.
In primo luogo, rimane fermo il potere-dovere del giudice di interpretare il diritto interno in modo conforme alle norme internazionali, indipendentemente dal loro carattere self-executing. Come vedremo, l’istituto della c.d. «interpretazione conforme» ha svolto un ruolo centrale in relazione all’applicazione della Convenzione in Italia da parte dei giudici ordinari e amministrativi. L’analisi delle sue diverse sfumature sarà dunque svolta in sede d’esame di tale giurisprudenza (par. 4).
In secondo luogo, le norme pattizie non self-executing, quando non si limitino ad attribuire mere facoltà, possono concorrere a delimitare il perimetro della discrezionalità degli organi amministrativi. Invero, un atto amministrativo che si ponga in aperto contrasto con obblighi di diritto internazionale gravanti sullo Stato italiano può plausibilmente considerarsi viziato da violazione di legge o, quantomeno, da «eccesso di potere», nella misura in cui concretizza un cattivo esercizio della discrezionalità da parte della PA.
In terzo luogo, viene in rilievo l’idoneità delle norme pattizie non self-executing ad operare come parametro di costituzionalità ai sensi dell’articolo 117, comma 1, Cost. Sul punto, vale la pena ricordare che questa disposizione, secondo cui la «potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto [...] dei vincoli derivanti [...] dagli obblighi internazionali» [10]
, è stata interpretata dalla Consulta nel senso di elevare i trattati ratificati dall’Italia al rango di parametro interposto di costituzionalità, e dunque di legittimità, delle leggi [11]
. Com’è stato chiarito dalla Corte costituzionale, l’eventuale carattere non self-executing della norma-parametro non è di per sé sufficiente a sottrarre la legislazione statale a tale controllo di legittimità. A ragionare diversamente, infatti, «non si arriverebbe soltanto alla conclusione del carattere non autoapplicativo» delle norme in questione, ma le si priverebbe di «ogni efficacia vincolante per il legislatore italiano», nonostante esse siano «cogenti e sovraordinate alle leggi ordinarie [...] per il tramite [dell’art.] 117, primo comma, Cost.» [12]
. {p. 281}

2.1. I c.d. «accordi misti»

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è aperta alla partecipazione anche delle «organizzazioni d’integrazione regionale», cui «gli Stati membri [abbiano] trasferito competenze per quanto riguarda le questioni [da essa] disciplinate» (art. 44). Benché non se ne faccia espressa menzione, questa previsione è stata introdotta al precipuo scopo di consentire all’Unione europea, che aveva dato un contributo sostanziale ai negoziati della Convenzione [Chamon 2020], di diventarne Parte, com’è in effetti avvenuto nel dicembre del 2010.
La circostanza che tanto l’Unione europea, quanto l’Italia (che ne è membro) siano parti del medesimo trattato non deve stupire. La prassi degli «accordi misti» – intendendosi con tale espressione gli accordi stipulati congiuntamente dall’Unione e dai suoi Stati membri – è comunemente seguita dall’Unione quando intenda concludere accordi internazionali il cui oggetto non ricade interamente nelle sue competenze esclusive. Questo è senz’altro il caso della Convenzione, atteso che l’attuazione di alcune delle sue disposizioni (ad es. l’art. 12 sulla capacità giuridica) ricade nella sfera di competenza esclusiva degli Stati membri.
La conclusione di un accordo misto comporta che l’Unione e gli Stati membri si impegnano internazionalmente al rispetto dei vincoli pattizi ciascuno per la parte di propria competenza. Detta circostanza pone evidentemente l’esigenza di chiarire i termini di questo riparto. Ciò vale anzitutto nei rapporti con le altre Parti Contraenti, le quali avranno interesse a conoscere in anticipo chi sarà responsabile sul piano internazionale in caso di inadempimento. A tale scopo, gli accordi misti sono spesso accompagnati da una dichiarazione del Consiglio volta a definire l’ambito delle competenze dell’Unione. Il deposito di una dichiarazione di questo tenore è espressamente richiesto dall’articolo 44, comma 1, della Convenzione, la quale inoltre impegna le organizzazioni d’integrazione regionale che ne siano parte (leggi: l’Unione europea) a notificare «qualsiasi modifica sostanziale dell’estensione delle proprie competenze» [13]
.
Una chiara definizione del riparto di competenze nell’attuazione degli accordi misti è tuttavia cruciale anche per le autorità degli Stati membri, {p. 282}avendo conseguenze di non poco momento sull’efficacia interna delle disposizioni pattizie. Se, infatti, nelle materie di competenza degli Stati membri l’adattamento agli accordi misti avviene secondo le modalità proprie dell’adattamento ai trattati internazionali (v. supra), lo stesso non può dirsi per le disposizioni la cui esecuzione ricade tra le competenze dell’Unione.
Sul punto, è opportuno rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, gli accordi stipulati dall’Unione formano, dal momento della loro entrata in vigore, «parte integrante dell’ordinamento comunitario» [14]
. Le loro disposizioni sono dunque suscettibili di produrre effetti diretti, ovvero di determinare il sorgere in capo agli individui di posizioni giuridiche soggettive ogni qualvolta, tenuto conto del loro «tenore letterale, nonché dell’oggetto e della natura dell’accordo», esse implichino «un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione e i cui effetti non siano subordinati all’adozione di alcun atto ulteriore» [15]
. Le disposizioni pattizie dal contenuto incondizionato e sufficientemente preciso costituiscono altresì parametro di legittimità, e quindi di validità, di regolamenti, direttive e decisioni [Cannizzaro 2022, 426].
Quanto precede ha una serie di importanti ripercussioni sull’efficacia nell’ordinamento italiano degli accordi stipulati dall’Unione e dunque, almeno per quanto attiene alla parte di competenza comunitaria, degli accordi misti. Essendo parte integrante dell’ordinamento dell’Unione europea, infatti, le disposizioni pattizie dal contenuto sufficientemente preciso e incondizionato riceveranno nell’ordinamento italiano un trattamento analogo a quello riservato alle norme comunitarie dotate di effetti diretti. Esse saranno pertanto idonee a creare diritti e obblighi sul piano interno senza alcuna necessità di intermediazione legislativa, nemmeno nella forma – particolarmente tenue – dell’ordine di esecuzione. Inoltre, in caso di contrasto, il giudice comune potrà accertare la prevalenza delle disposizioni pattizie su quelle interne senza dover richiedere l’intervento della Corte costituzionale [ibidem, 315-317].
Se questo è vero, occorre tuttavia dar conto del crescente atteggiamento di chiusura della Corte di giustizia, che in più di un’occasione ha negato tout court l’idoneità degli accordi stipulati dall’Unione a produrre questi effetti, sulla base di argomenti che prescindono da un’analisi puntuale del carattere «preciso ed incondizionato» delle loro disposizioni [ibidem, 429-432] e che ricordano molto da vicino quelli impiegati dalle corti italiane per negare la natura self-executing dei trattati internazionali... «sgraditi».
Analogamente a quanto accade in Italia, però, anche per gli accordi improduttivi di effetti diretti trova applicazione l’istituto dell’interpretazione {p. 283}conforme, essendo pacifico che le norme di diritto dell’Unione vadano «interpretate, per quanto possibile, alla luce del diritto internazionale» [16]
. I giudici italiani, pertanto, in quanto giudici dell’Unione, saranno tenuti a interpretare tanto il diritto interno quanto il diritto dell’Unione europea in modo conforme alle disposizioni pattizie, indipendentemente dal loro carattere self-executing.
Per tale via, gli accordi internazionali stipulati (anche) dall’Unione finiscono col produrre, ancorché indirettamente, effetti normativi ulteriori e più intensi. Nella misura in cui contribuisce a definire il significato di una norma comunitaria dotata di efficacia diretta, ad esempio, l’uso in sede interpretativa di una disposizione convenzionale può determinare la non applicazione di una norma interna contrastante. Allo stesso modo, un accordo internazionale può essere impiegato a fini ermeneutici nell’ambito di un giudizio risarcitorio intentato contro il Governo per mancata attuazione di una direttiva dell’Unione [17]
.

3. L’adattamento dell’ordinamento italiano alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità: ordine di esecuzione e altri rinvii alla Convenzione

La Convenzione è stata introdotta nell’ordinamento italiano attraverso il rinvio operato dall’ordine di esecuzione contenuto nell’articolo 2 della legge n. 18, del 3 marzo 2009. Nel tessuto normativo dell’ordinamento italiano, tuttavia, sono presenti ulteriori richiami alla Convenzione.
Possiamo ricordare, ad esempio, l’articolo 1 della legge n. 112, del 22 giugno 2016 («Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare»), il quale chiarisce che la legge mira ad attuare i principi stabiliti «dagli articoli 3 e 19, con particolare riferimento al comma 1, lettera a), della Convenzione». Rinvii di analogo tenore possono rinvenirsi nelle leggi adottate a livello regionale in materia di politiche del turismo, le quali prevedono in genere una disposizione sul turismo accessibile in cui si specifica che le Regioni assicurano «che le persone con disabilità fisiche, sensoriali e intellettive, possano fruire dell’offerta turistica in modo completo e in autonomia, ricevendo servizi in condizioni di parità con gli altri fruitori» in attuazione «[dell’art. 30] della Convenzione» [18]
.{p. 284}
In alcuni casi, poi, il riferimento è ancora più puntuale e ha ad oggetto istituti specifici introdotti dalla Convenzione, com’è il caso dell’obbligo del datore di lavoro di adottare «accomodamenti ragionevoli» (art. 3, comma 3-bis, d.lgs. n. 216, del 9 luglio 2003) o dei principi della «progettazione universale» (art. 10, del d.l. n. 83, del 31 maggio 2014).
Numerosi – e non potrebbe essere altrimenti – sono infine i riferimenti alla Convenzione (e ad alcune sue disposizioni specifiche) contenuti nella legge n. 227, del 22 dicembre 2021 («Delega al Governo in materia di disabilità») [19]
.
È piuttosto frequente imbattersi, soprattutto nella prassi legislativa più recente, in rinvii a convenzioni internazionali già introdotte nell’ordinamento italiano mediante ordine d’esecuzione. Tale circostanza ha indotto la dottrina a interrogarsi su funzione ed efficacia giuridica di questi richiami al diritto internazionale, per descrivere i quali è stata impiegata l’espressione «rinvii narrativi» (o dichiarativi o pedagogici o impropri), al fine di distinguerli dalle tradizionali forme di rinvio (c.d. proprio), vale a dire il rinvio materiale e quello formale [Amoroso 2008, 1032-1036].
In caso di rinvio «proprio», infatti, la norma rinviante attribuisce alla/e norma/e richiamata/e (rinvio materiale) o alle norme prodotte da una determinata fonte (rinvio formale) rilevanza giuridica in relazione a una fattispecie che, in assenza di rinvio, la norma o la fonte richiamate non avrebbero potuto disciplinare. Questo è il caso dell’ordine di esecuzione di un trattato, il quale rende applicabile sul piano dei rapporti giuridici interni una fonte propria dell’ordinamento giuridico internazionale.
I rinvii narrativi, invece, si caratterizzano proprio per il fatto che le norme (o le fonti) richiamate sono già applicabili. Il rinvio, dunque, dal punto di vista degli effetti giuridici, è superfluo e la sua funzione risulta essere, piuttosto, quella di fornire «un riferimento utile, volto a facilitare presso gli operatori giuridici l’individuazione delle norme [...] da applicare al caso concreto» [20]
.
La ragione dell’introduzione di norme di questo tipo va ricercata nei caratteri propri del diritto contemporaneo. Al giorno d’oggi, infatti, l’operatore giuridico è immerso in un sistema normativo altamente complesso, costituito da una miriade di disposizioni potenzialmente in contrasto tra loro e, soprattutto, poste da fonti le cui relazioni non sono più riconducibili, come in passato, a una chiara gerarchia piramidale. Norme regionali, statali, comunitarie e internazionali si intrecciano e si scontrano
{p. 285}rendendo particolarmente arduo il compito dell’interprete. Per evitare che quest’ultimo si smarrisca e applichi erroneamente il diritto, è necessaria una guida che orienti correttamente le sue scelte ermeneutiche. In questa precisa prospettiva, vengono in rilievo i rinvii «narrativi», i quali non pongono norme, ma le «raccontano», fornendo informazioni che sono già in astratto reperibili da parte dell’interprete, ma che possono di fatto essere «smarrite» nella congerie di norme propria dei sistemi giuridici contemporanei.
Note
[10] Il testo del comma 1 dell’articolo 117 Cost. è stato così riformulato dalla legge cost. n. 3, del 18 ottobre del 2001 («Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione»).
[11] V. le c.d. «sentenze gemelle» del 2007 (C. cost., sentt. nn. 348 e 349, del 22 ottobre 2007). In una pronuncia relativamente recente, la Corte costituzionale sembra avere circoscritto la portata delle pronunce del 2007 qualificando come parametri interposti di costituzionalità i soli trattati in materia di diritti umani. Cfr. C. cost, sent. n. 120, dell’11 aprile 2018, Considerato in diritto, par. 10.1. La questione rileva poco ai nostri fini, essendo indubbio che la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità costituisca un trattato sui diritti umani.
[12] Cfr. C. cost., sent. n. 28, del 25 gennaio 2010, Considerato in diritto, parr. 5 e 7. Benché la sentenza si riferisca a un atto di natura diversa, vale a dire una direttiva dell’Unione europea, non si vede perché lo stesso ragionamento non possa trovare applicazione in relazione alle disposizioni pattizie prive di efficacia self-executing. Resta fermo, ovviamente, il divieto per la Corte costituzionale di sostituirsi al Parlamento nell’esercizio della sua discrezionalità politica, sancito dall’articolo 28 della legge n. 87, dell’11 marzo 1953 («Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale»).
[13] L’Unione europea ha regolarmente depositato tale dichiarazione. V. Decisione del Consiglio del 26 novembre 2009 relativa alla conclusione, da parte della Comunità europea, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (2010/48/CE), Allegato II.
[14] Corte di giustizia, sentenza del 30 aprile 1974, causa 181/73, Haegeman, punti 5 e 6.
[15] Corte di giustizia, sentenza del 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel, punto 14.
[16] Corte di giustizia, sentenza del 14 luglio 1998, causa 341/95, Bettati, punto 20.
[17] Sulla responsabilità risarcitoria dello Stato per mancata attuazione di una direttiva priva di effetti diretti, v. la celebre sentenza Francovich, Corte di giustizia, sentenza del 19 novembre 1991, Cause riunite 6/90 e 9/90.
[18] V., ad esempio, legge regionale (Toscana) n. 86, del 20 dicembre 2016, articolo 2; legge regionale (Friuli Venezia Giulia) n. 21, del 9 dicembre 2016, articolo 4; legge regionale (Lombardia) n. 27, del 1o ottobre 2015, articolo 4. Tali disposizioni riproducono, con modifiche minime, il testo dell’articolo 3 del d.lgs. n. 79, del 23 maggio 2011 («Codice del turismo»), il quale era stato dichiarato incostituzionale perché incidente su una materia di competenza esclusiva delle Regioni (C. cost., sent. n. 80, del 5 aprile 2012).
[19] V., ex plurimis, articolo 1, comma 1, e articolo 2, comma 2, lett. a) nn. 1, 4 e 5.
[20] C. cost., sent. n. 304, del 31 dicembre 1986, Considerato in diritto, par. 3.