Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c21
Vi sono, tuttavia, altre tipologie di barriere, che agiscono in modo altrettanto ostacolante nei contesti della vita quotidiana, ma che tendono a risultare invisibili a chi non ne esperisce gli impedimenti. Le barriere socio-relazionali, ad esempio, comprendono tutto il sistema di funzionamenti attesi che i contesti sociali danno per scontati (dal tempo di attenzione allo stare fermi, dall’uso di un linguaggio codificato ufficiale alla capacità di generalizzare) [Curto e Marchisio 2021]. Si tratta di elementi immateriali e quindi più difficilmente individuabili, soprattutto da chi non ne esperisce gli effetti, che finiscono spesso per costituire, proprio in virtù di questa
{p. 490}invisibilità, una barriera molto potente alla partecipazione delle persone con disabilità. La potenza discriminatoria delle barriere cognitivo-relazionali dei contesti è data anche dal fatto che, essendo meno visibili e quindi più difficilmente individuabili, esse tendono a interagire maggiormente con le barriere culturali, cioè con le convinzioni, le credenze i modi impliciti di concepire e di spiegare i fenomeni, in particolare riguardo a quel fenomeno umano che è la disabilità [Wikler 2010]. Essa, infatti, soprattutto quando nasce dall’interazione con una barriera invisibile (come quelle che riguardano le modalità del pensiero o i funzionamenti sociali), costituisce una delle forme di differenza che sollecita una problematizzazione del rapporto con la norma, ma per cui l’esclusione, il percorso speciale, la soluzione separata appare ancora culturalmente ammissibile. Se la disabilità è il risultato dell’interazione tra le caratteristiche di una persona e le barriere di contesto, infatti, laddove queste barriere sono invisibili (come quelle di tipo cognitivo-relazionale) essa appare tutta nella persona: lo svantaggio che ne deriva in termini di partecipazione e cittadinanza appare del tutto riconducibile alla forma di diversità di cui quella persona è portatrice. Questo rende invisibili le barriere di contesto e, convergendo con un set di stereotipi concettualmente contigui (la pericolosità, la necessità di protezione sono solo i più diffusi) finisce per rendere ancora ammissibile pensare che una persona con disabilità possa essere considerata «non adatta» a un contesto o a un’esperienza e quindi ne possa essere legittimamente esclusa [Bifulco e Mozzana 2011]. A questo meccanismo sono strettamente collegate le barriere simboliche: le rappresentazioni, anche interiorizzate, di ciò che una persona con disabilità è e di ciò a cui può aspirare [Moscovici 1984; trad. it. 2005]. Esse sono persino meno visibili rispetto a quelle cognitivo-relazionali in quanto incardinate nello spazio di integrazione tra meccanismi sociali e psicologici.
Ciascuna di queste tipologie di barriere necessita di interventi sistematici e strutturali, che si dipanino come oggetto primario del mandato del sistema di welfare.
Tutti questi elementi, infatti, sono socialmente costruiti, situati in termini spaziali e temporali, ma non per questo sono meno potenti: abbiamo visto nel primo paragrafo come nelle specifiche esperienze delle persone sia proprio l’incontro sistematico e reiterato con tali barriere che va a cristallizzare un sistema di esclusione che funziona da innesco per i processi di istituzionalizzazione.
Per agire efficacemente su queste barriere i servizi sono chiamati a riconfigurarsi sotto forma di direttrici di mediazione: il mandato di supporto alla persona con disabilità assume una natura prevalente di modifica di contesto. Si tratta di riqualificare infrastrutture e professionalità per consentire al sistema di adempiere al nuovo mandato: i servizi e soggetti che vi lavorano – professionisti, operatori – non sono più chiamati a oc{p. 491}cuparsi delle persone con disabilità ma a occuparsi dei contesti di vita in cui queste scelgono di essere cittadine. Si tratta di diventare esperti non più della singola menomazione ma dei quartieri, dei condomini, dei bar, dei cinema, dei Consigli comunali, delle palestre, dei musei, dei luoghi di lavoro: l’organizzazione dei servizi deve essere riorientata verso modelli che integrino in modo strutturale le determinanti sociali della libertà, valorizzando la natura relazionale, abilitante e capacitante dei sostegni.

3.2. Verso il superamento dell’assetto erogativo: capacitazione e negozialità

Nelle storie contenute nella prima parte del volume è paradigmatico il modo in cui alcuni elementi e processi impoveriscono il capitale del soggetto: le situazioni di disagio, di povertà materiale e culturale, di isolamento intervengono nei processi di istituzionalizzazione diventando rapidamente una sorta di patologia della cittadinanza. Per contrastare questi meccanismi in modo precoce per garantirsi sufficienti possibilità di efficacia, il sistema deve dotarsi di infrastrutture in grado di agire in modo integrato su tutte le dimensioni contestuali che intervengono nelle esistenze delle persone con disabilità. Tali dimensioni presentano caratteristiche e dinamiche specifiche nei singoli contesti territoriali rendendo la dimensione locale centrale nei processi di sviluppo del singolo progetto di vita [cfr. Zuttion, supra]. Si tratta di un lavoro ampiamente a-specifico che si sviluppa nelle strade, nei quartieri, nei luoghi di tutti e che investe il modo stesso in cui quella specifica comunità concepisce e costruisce la partecipazione.
Non si tratta, dunque, di definire nuove unità di offerta, ma di esplorare lo sviluppo dei cosiddetti servizi relazionali ovvero di costruire servizi configurati come un insieme di «prestazioni che necessitano di relazioni per realizzarsi e realizzandosi fanno emergere ulteriori relazioni sociali» [Folgheraiter 2005, 131]. Tali servizi funzionano attraverso meccanismi in cui il soggetto istituzionale non agisce da erogatore di prestazioni (per questo, si diceva in premessa, è necessario uscire da un assetto erogativo del welfare), ma come vettore di collegamento e negoziazione tra mondo civile, sociale ed economico. Sono proprio le infrastrutture negoziali che caratterizzano questi servizi a impattare sui modelli di partecipazione delle comunità, muovendo in direzione di un rafforzamento della coesione sociale [Donati e Terenzi 2006]. La peculiarità dei servizi relazionali è quella di intendere l’inclusione non come un sistema di accoglienza della differenza e reciproco adattamento ma come una progressiva diversificazione della norma. Tale prospettiva risulta congruente con un sistema deistituzionalizzante, poiché raccoglie e integra in modo armonico la visione propria della CRPD [Skarstad 2018]. {p. 492}
Il contrasto all’istituzionalizzazione delle persone con disabilità passa, dunque, dalla costruzione di sistemi di welfare caratterizzati da servizi relazionali orientati alla cittadinanza i cui elementi portanti sono prossimità, capacitazione e negozialità. Tale assetto consente una modifica che avviene a monte rispetto ai processi che convergono verso l’istituzionalizzazione, che amplia il campo di esperienza e moltiplica le opportunità in modo che non si arrivi mai a dover formulare, in quell’esistenza, la domanda «dove lo inseriamo?».
Un elemento particolarmente interessante in quest’ottica è la dimensione della contrattazione, che nei servizi relazionali è strutturale. Si tratta, infatti, di servizi capacitanti in quanto il beneficiario ha un ruolo attivo e un potere negoziale consistente nella definizione dello stesso: nel tipo di supporto ricevuto, nelle modifiche strutturali apportate ai contesti per garantire l’accesso, nella scelta delle persone e delle modalità con cui essere sostenuto. Nei servizi tradizionalmente erogativi, al contrario, tale dimensione di negoziazione è talvolta tollerata, ma è strutturalmente di disturbo ai processi, poiché interrompe il flusso standardizzato domanda-erogazione della risposta [Castel 2011].

3.3. Le reti

Strettamente legato al tema della negoziazione vi è un elemento centrale del welfare multicentrico: le reti. Un welfare multicentrico e capacitante guarda le reti come reti egocentrate – come reti, cioè, delle persone – e si struttura per potenziarne la dimensione capacitante: quella che usa la rete per accrescere la concreta opportunità che ogni persona ha di determinare quotidianamente il corso della propria esistenza [cfr. Marchisio, infra].
Le reti sono composte dall’insieme delle persone e dei contesti sociali, formalizzati o no, con cui ciascuno ha la possibilità di interagire se lo desidera. I nodi delle reti sono costituiti dai soggetti che ne fanno parte: si può trattare delle persone importanti nella sua vita, quelle che incontra più spesso, quelle che hanno un ruolo particolare riguardo alla sua esistenza o una rilevanza affettiva [Guidi e Novara 2022].
I legami – tra ciascun nodo e la persona che è al centro – sono invece definiti da diversi parametri che contribuiscono a modellare il tipo di inclusione (o il livello di esclusione) di quella persona. Tali parametri riguardano l’asse socio-relazionale (i ruoli nelle relazioni, la distribuzione del potere tra la persona e gli altri nodi della sua rete, la reciprocità), ma anche quello concreto-materiale (la distribuzione nello spazio dei nodi, la gratuità/il costo, l’accessibilità). Una rete inclusiva è una rete che si sviluppa e funziona sulla base di uguaglianza con gli altri, cioè senza deviazioni o deformazioni che la caratterizzano in funzione della disabilità.{p. 493}
Nel sistema attuale le reti delle persone con disabilità si costruiscono in modo informale, basato sulle energie e sulla proattività della singola persona o del contesto, poiché il loro sviluppo non costituisce uno scopo esplicito del sistema. Esse sono in grado di funzionare da fattore di protezione dall’istituzionalizzazione quando posseggono alcune caratteristiche specifiche. Le reti molteplici e mainstreaming risultano maggiormente protettive rispetto alle reti disabilità-specifiche. Si tratta di reti costituite da persone e contesti che attivano legami con la persona con disabilità sulla base di interessi comuni, prossimità territoriale, esperienze condivise e/o legami socio-familiari: esse agiscono da contrappeso ai processi di imbalsamazione, rendendo disponibili una molteplicità di contesti ed esperienze che, con il solo fatto di esserci, evidenziano la diversità della soluzione speciale, mostrano un’altra opportunità e depotenziano la sensazione di ineluttabilità che spesso orienta verso il contesto speciale. Al contrario, lo abbiamo visto, le reti disabilità-specifiche spesso risultano svantaggiate e svantaggianti.
Ciascun cittadino, infatti, dispone di un capitale formato dalla rete di relazioni, conoscenze, canali informali di reperimento di informazioni e risorse a cui può attingere se lo desidera (e a cui la maggioranza dei cittadini liberi attinge continuamente) [Mutti 2019]. La costruzione di tale capitale procede secondo diverse direttrici – classe sociale, livello di istruzione, connessioni locali – ma anche secondo una direttrice dipendente dalla presenza di una situazione di disabilità. Spesso le persone con disabilità sono ad oggi spinte, per ragioni prevalentemente culturali, a esperire relazioni sociali di tipo bonding [Alfano e Ercolano 2020], di socializzare, cioè, in gruppi o attraverso forme di associazionismo a membership omogenea e quindi vengono svantaggiate nello sviluppare un capitale di rete ricco e molteplice, finendo per avere meno risorse sociali (un appoggio materiale, un consiglio, un contatto, un’informazione...) a cui attingere.
L’orientamento al potenziamento della rete costituisce dunque una delle finalità principali degli interventi e dei servizi nel nuovo sistema. Il mero allargamento, tuttavia, non è sufficiente per garantirne la funzione deistituzionalizzante [Muni 2021]. Una rete, infatti, può anche configurarsi come un insieme di soggetti in contatto tra loro che si sono spartiti il controllo e la limitazione della libertà della persona attraverso quelle «misture tra libertà formali e limitazioni sostanziali» (come avviene in quelle che Tarantino [2023] chiama «istituzioni totaloidi»).
La rete, per essere orientata alla deistituzionalizzazione, deve essere molteplice, non disabilità-specifica e mainstreaming. Inoltre, deve includere la dimensione della negozialità [Saraceno 2017], configurandosi come una molteplicità di contesti e soggetti con cui i rapporti di potere sono in gioco, appunto, in termini negoziali e diversificati. La rete, infatti, è {p. 494}orientata alla deistituzionalizzazione laddove si configura come contesto e strumento di espansione delle opportunità e della possibilità di praticare la cittadinanza in termini incondizionati, nel medesimo spazio di opportunità degli altri cittadini.
Tale scenario comprende la rete professionale, ma non esaurisce in essa: il microsistema di professionisti che supportano la persona nelle aree in cui essa sceglie di essere supportata (dal fisiatra allo psicoterapeuta, dal centro d’eccellenza di neurologia al gastroenterologo) vanno a costituire un sottoinsieme dei soggetti che compongono la rete di quella persona. Tale sottoinsieme ha, nella vita della persona, una funzione analoga a quella che tali professionalità hanno nella vita di ciascuno: non orientare l’intero progetto di vita, ma supportare con indicazioni tecnico-professionali le scelte relative all’area in cui si sviluppa la loro competenza. Un orientamento deprofessionalizzato della rete costituisce un passaggio fondamentale per sviluppare modelli che si muovano concretamente in superamento dell’approccio medico-individuale alla disabilità.
Il sistema, dunque, si dota di meccanismi in grado di riconoscere, valorizzare e potenziare le reti multicentriche e mainstreaming non con la finalità di esternalizzare a basso costo l’assistenza, ma con l’intento di ricondurre le condizioni di esperienza delle persone con disabilità nelle comunità a quelle della popolazione non discriminata.

4. Raccordi

4.1. Il raccordo con il progetto personalizzato

Si sta, dunque, configurando un sistema di servizi, misure e sostegni volti a garantire e sostenere la piena partecipazione ai contesti della vita quotidiana delle comunità. Ma a quali contesti? Tutti? Alcuni? Pochi? Tanti? Scelti da chi e sulla base di quali direttrici?
L’oggetto mediatore che organizza i sistemi attorno alla configurazione di interventi inclusivi nei contesti di vita delle persone è il progetto personalizzato partecipato, indicato dalla legge-delega n. 227 del 2021 come il fulcro di tutta l’organizzazione dei servizi per la disabilità.
Il progetto [cfr. Marchisio, infra] è diretto a realizzare le aspirazioni e i desideri della persona con disabilità, che si articolano e si declinano, come per tutte le persone, all’interno dei contesti di vita che essa sceglie, preferisce, desidera sperimentare.
Il sistema è dunque chiamato a lavorare sui contesti della vita comune – nei quartieri, nelle scuole, nei luoghi di lavoro – ma orientando l’intervento attraverso un piano personalizzato, centrato su ciascuna persona e sulle sue preferenze e desideri.
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Note