Tiziano Treu
Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c3
L’impiego di questi sistemi, anch’essi non affatto limitati ai gruppi sindacali, trova il suo ambito originario nella elezione dei delegati ai congressi provinciali di ca
{p. 120}tegoria ricorrenti a scadenze pluriennali (nelle ipotesi in esame si tratta essenzialmente degli ultimi congressi del 1969). Nella maggioranza dei casi, peraltro, l’occasione dei precongressi aziendali ove si eleggono tali delegati, coincide con l’elezione del direttivo della sezione, che di conseguenza risulta attuata nella stessa forma. Si è ottenuto così di allargare la possibilità di intervento in tali scelte a un numero di soci maggiore degli usuali partecipanti alle assemblee, specialmente fra i soggetti (turnisti, pendolari, donne) più difficilmente disponibili a quest’ultime, ampliando indubbiamente la rappresentatività sia degli organi della sezione sia degli stessi congressi provinciali. Si noti che secondo la prassi tradizionale, tuttora diffusa, la scelta dei delegati al congresso risultava spesso attuata da poche decine di persone per ogni zona, data la scarsa funzionalità delle stesse strutture sindacali zonali [33]
. Ma i limiti della soluzione così adottata sono del pari evidenti. A parte lo scarso collaudo che essa ha potuto avere, per {p. 121}la sua introduzione recente e per gli eventi sopravvenuti che potrebbero essere tali da impedirne la ripetizione, già sotto il profilo quantitativo della partecipazione l’impiego dello strumento elettorale, pur cospicuo, non raggiunge di solito una mobilitazione generale degli iscritti alla sezione o anche solo una percentuale di lavoratori vicina a quelle pressoché plebiscitarie riscontrate nelle elezioni delle commissioni interne. Solo in quattro casi si registrano percentuali di votanti di questa grandezza (fino all’80-90%), ma nella media degli altri (circa 10) non si va oltre il 20-40% degli iscritti [34]
. Quanto alle decisioni per cui l’impiego si è verificato, è significativo che esso sia sorto in funzione della nomina dei delegati al congresso provinciale. Questa rappresenta un’occasione pur importante, ma fra le più episodiche di partecipazione associativa, e soprattutto strumentale all’efficienza della rappresentanza sindacale territoriale, che rivela così ancora una volta la sua posizione di preminente consistenza. In sostanza, con essa si realizza una funzione simile a quella attuata in un’assemblea parziale di un’unica associazione più vasta (appunto quella territoriale), piuttosto che un procedimento formativo di volontà di un’associazione autonoma.
Analogo carattere episodico contraddistingue l’elezione degli organi direttivi propri ed è aggravato dall’assenza di una sia pur minima verifica assembleare sull’operato degli stessi. La scarsa pratica dell’assemblea nella normale vita associativa, ove essa è più difficilmente sostituibile da forme elettorali del tipo esaminato, libera il direttivo da una specifica responsabilità associativa nei riguardi degli iscritti, lasciando a questi un mero controllo periodico sull’organo eletto, non dissimile da quello esercitato da una massa indifferenziata di elettori non associati.
Il limite più grave del sistema in esame, infine, sta nella sua stessa caratteristica strutturale, cioè nella mancanza di presenza contestuale dei soci e quindi di confronto e dibattito fra varie tesi che essa tendenzialmente comporta. {p. 122}Vengono meno così le potenzialità di partecipazione più significative del metodo assembleare, che ne hanno fatto la formula tipica di governo democratico delle associazioni, e le scelte sono istituzionalmente ridotte nell’ambito di alternative schematiche e predeterminate. Anzi per queste ragioni tale soluzione non sembra conciliabile col principio giuridico, contenuto sia nell’ordinamento statale, sia nella generalità degli statuti associativi e degli stessi sindacati, secondo cui, a garanzia della democraticità della vita associativa, l’assemblea è organo necessario e sovrano del gruppo e come tale ha competenza inderogabile su tutte le decisioni ultime ad esso relative, ivi compresa in primo luogo l’elezione degli organi direttivi propri e delle associazioni superiori. Analogamente la differenza è radicale sotto il profilo politico e altera in un punto fondamentale il funzionamento del procedimento di formazione della volontà associativa, quale stabilita da tutti gli statuti sindacali in questione. La sfasatura così esistente fra la prassi e il modello normativo generale è peraltro talmente consolidata nell’esperienza, per le evidenti esigenze pratiche cui è sembrata rispondere, che il sistema elettorale in questione è stato esplicitamente accolto da qualche sindacato nazionale e provinciale nella propria disciplina regolamentare, invero di dubbia validità per la ragione accennata [35]
. In generale esso continua ad essere attuato solo in via di fatto o in base a decisioni, spesso informali, dei direttivi delle sezioni interessate, ma è sostanzialmente avallato dai sindacati provinciali, talora nelle loro stesse indicazioni programmatiche di politica organizzativa. Al generale depotenziamento dell’organo assembleare, ritenuto non superabile come tale, si è risposto sostituendo ad esso un sistema diverso di partecipazione, di cui sono accettati anche i limiti intrinseci.{p. 123}

5. Rilievo preminente del direttivo e caratteri della sua azione.

La particolarità della situazione rilevata si precisa ulteriormente considerando che alla scarsa attività assembleare delle sezioni sindacali fa riscontro una ben diversa efficienza dei loro organi direttivi. Si può dire che nella quasi totalità delle sezioni sono questi gli unici organi che si riuniscono con un minimo di regolarità e quindi le sole strutture collettive continuamente impegnate nell’azione sindacale (anche se si vedrà subito il carattere alquanto circoscritto dei compiti svolti e delle materie da essi trattate) [36]
. Su questa caratteristica essenziale non sembra influire in generale né la dimensione dell’azienda né la solidità dell’organizzazione o la sua informale accettazione da parte dell’azienda, con eventuale riconoscimento (invero molto raro) dei diritti sindacali [37]
. Tutt’al più fra le diverse sezioni variano particolari del tutto esteriori, come, ad esempio, la maggiore o minore formalità delle procedure adottate e l’estensione numerica del gruppo {p. 124}dirigente (peraltro entro limiti abbastanza ristretti) [38]
. La regola non subisce eccezione, anzi è semmai più marcatamente, proprio in quelle sezioni che hanno dimostrato maggiore dinamismo e continuità di azione nelle più recenti vicende. L’identità sindacale della presenza in azienda è quindi anche in questi casi ricondotta piuttosto alla iniziativa di un gruppo ristretto di soggetti che a una maggiore vitalità della sezione come tale.
Una simile tendenza risulta ulteriormente accentuata nelle ipotesi, non rare, in cui si riconosce anche programmaticamente al direttivo aziendale una serie di poteri tali da porlo in posizione di evidente preminenza nello svolgimento delle pur scarse funzioni attribuite alla sezione. Si vuole far riferimento anzitutto alle fattispecie sopra menzionate (di valore paradigmatico per la loro posizione pilota), in cui tali poteri attengono in prospettiva alla stessa funzione contrattuale. Ma, più in generale, vengono in considerazione i casi in cui al direttivo è attribuito il potere di nominare i rappresentanti sindacali nei vari organismi misti esistenti in azienda (comitati paritetici di accertamento, antinfortunistici, organismi assistenziali ecc.), e soprattutto i rappresentanti aziendali nel direttivo provinciale, che dovevano essere destinati ad accrescere l’influenza diretta della base aziendale nel sindacato territoriale [39]
. È chiaro come l’esercizio di questi poteri tenda a sua volta a produrre un effetto cumulativo sulla tendenza indicata, rafforzando il gruppo come l’unico organo relativamente attivo e l’unico punto di riferimento per il sindacato in azienda.
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Note
[33] La competenza delle zone ad organizzare assemblee precongressuali, prevista dai regolamenti provinciali sussidiariamente alle SAS, è largamente esercitata. L’esigenza di sviluppare la zona come fondamentale struttura intermedia fra le sezioni e il sindacato provinciale si è andata sempre più concretando nelle politiche organizzative dei sindacati in esame; specie di quello di Milano, ove la dimensione dell’organizzazione provinciale rende particolarmente necessaria la presenza di sedi più circoscritte di coordinamento fra le SAS e di decentramento di funzioni ora proprie del livello provinciale (vedi, in proposito, la relazione sulla Politica organizzativa, al VI Congresso provinciale, cit., n. 6, pp. 17 sg.). In una simile prospettiva, che appare largamente condivisa da quasi tutti gli intervistati, rientra, ad esempio, il rafforzamento dell’autonomia finanziaria di questa struttura, il riconoscimento alla stessa della possibilità di eleggere rappresentanti nel direttivo provinciale, l’inserimento in questo organo, con voto consultivo, di 10 persone elette da ciascuna zona, con il prevalente fine di farle beneficiare dei permessi contrattualmente stabiliti. Nonostante la ricerca non sia diretta espressamente su questo punto, il funzionamento effettivo delle zone appare alquanto ineguale. Piuttosto scarso a Treviso e a Brescia (pur essendo anche qui avviato), sembra sufficientemente sviluppato in 3 zone milanesi (su 6 considerate), con elezioni regolari biennali del consiglio di zona, riunioni frequenti dello stesso e consistente attività, specie organizzativa, di informazione e di coordinamento. La struttura appare peraltro destinata a progredire più rapidamente in relazione al diffondersi della sindacalizzazione e alle nuove esigenze di coordinamento fra i consigli di fabbrica (vedi oltre il par. 3 del cap. IV).
[34] I massimi assoluti di partecipazione sono raggiunti in un’azienda di Treviso e in alcune (5) di Brescia, ove il numero di votanti ammonta a diverse centinaia.
[35] Così, ad esempio, l’art. 3 del regolamento precongressuale e l’art. 4 e) del regolamento per l’elezione della SAS della FIM di Brescia; ulteriori esemplificazioni e argomenti in proposito nel mio L’organizzazione sindacale, I, cit., pp. 197 sgg.
[36] In oltre la metà dei casi (20) i gruppi direttivi si riuniscono con frequenza mensile, come previsto nel regolamento nazionale (art. 50), o superiore, giungendo talora ad incontri regolari settimanali. Ancora intense — come sottolineano gli stessi interessati — sono peraltro le riunioni dei membri di commissione interna, in ciò avvantaggiati non solo dai diritti di cui godono (soprattutto permessi e locali), ma dalle occasioni obiettive offerte dalle funzioni di composizione delle controversie e di vera e propria contrattazione (vedi oltre).
[37] Una specifica attribuzione di simili diritti ai componenti le organizzazioni sindacali aziendali in esame, risulta concordata solo in 4 casi (particolarmente interessante, in proposito, l’accordo concluso all’Alfa Romeo il 13 dicembre 1968, ove si concedono permessi retribuiti di 200 ore annue per ciascuna organizzazione sindacale). A parte queste ipotesi (e qualche raro caso in cui ai dirigenti sindacali viene riconosciuta di fatto una certa libertà d’azione), i membri della sezione possono usufruire di permessi e di aspettative solo quando siano anche membri di commissione interna, o di organi direttivi dei sindacati territoriali (in questa prospettiva si è avuta l’introduzione con voto consultivo nel direttivo provinciale di membri eletti dalle varie zone: vedi nota 33). Anche in tale materia una radicale innovazione è stata introdotta dai contratti nazionali della fine del 1969 e poi nello «statuto dei lavoratori», che hanno esteso alle organizzazioni sindacali permessi e tutele fino allora esclusivi della commissione interna (vedi più ampiamente in seguito).
[38] Secondo la disciplina generale (art. 50, regolamento d’attuazione dello statuto nazionale) il comitato direttivo dovrebbe essere composto di 5 membri (fino a 50 iscritti), di 7 (fino a 100), di 11 (fino a 500), di 15 (fino a 1000); e in più, 3 ogni 1000 per le sezioni superiori. A questi componenti, si aggiungono di diritto i membri di CI. Tali dimensioni non sono peraltro rigidamente osservate, anche perché le riunioni del direttivo risultano quasi sempre allargate alla partecipazione di soci e attivisti interessati, salvo i limiti di pubblicità e di frequenza già sopra indicati.
[39] In questo senso vedi anche lo statuto della SAS dell’Alfa Romeo (art. 3) e, più in generale, l’art. 3 del regolamento per le SAS della FIM di Brescia. Di fatto la nomina di tali rappresentanti viene attuata dal direttivo nella grande maggioranza delle aziende considerate.