Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c3
Nei casi in esame le difficoltà di
attuare praticamente il progettato cambiamento di politica organizzativa sono tanto
maggiori, in quanto simile cambiamento comporta modifiche radicali (e quindi incontra
l’inerzia) di strutture diverse, non solo per il pluralismo sindacale, ma all’interno
della stessa organizzazione, e incide in molteplici situazioni acquisite, non tutte
direttamente controllabili (così, ad esempio, quelle delle CI). La difficoltà di
superare questi numerosi fattori frenanti si traduce in palesi esitazioni e ritardi
della stessa azione organizzativa dei sindacati in questione, che pure sono fra i più
convinti sostenitori delle nuove tendenze. Basti ricordare come la scelta di concentrare
nella CI gli attivisti migliori, magari a rotazione, e l’impegno propagandistico di gran
lunga maggiore per la loro elezione, non sia mai stata seriamente contrastata neppure
dalla FIM, nonostante costituisse un presupposto indispensabile per ridimensionare l’istituto
[68]
, e dare avvio effettivo al gruppo sindacale. Analogamente, al proposito di
attribuire alle sezioni competenze contrattuali dirette non ha fatto riscontro un
adeguato sforzo organizzativo per preparare tecnicamente i membri al
¶{p. 150}loro esercizio
[69]
. Tale preparazione è stata generalmente sporadica e limitata a un rapido
addestramento per lo svolgimento delle ristrette funzioni attribuite ai CTP, che per la
paralisi di questi, non hanno avuto modo di esprimersi. La posizione di membro di CI è
divenuta in tal modo anche l’unico tramite per acquisire l’esperienza e le conoscenze
necessarie per la conduzione dell’azione contrattuale in azienda.
Non va infine sottovalutato che i
fattori determinanti la debolezza istituzionale e funzionale delle sezioni finora
accennati tendono a rafforzarsi reciprocamente, accrescendo così, per la loro stessa
compresenza, gli ostacoli a superare la paralisi dell’istituto. In particolare, come già
si è osservato, la scarsa vitalità associativa di questo influisce negativamente sulla
sua capacità di assumere in proprio la conduzione di iniziative contrattuali. Anzi, nel
caso in esame, essa è spesso così grave da rendere persino dubbia l’utilità pratica di
un intervento sindacale diretto a favorire l’assunzione di tali iniziative. Gli stessi
interessati ne sono talora coscienti quando sottolineano polemicamente l’inesistenza di
valide ragioni per potenziare l’istituto, con i suoi presenti difetti di funzionamento
democratico, attivandone i compiti, a preferenza della Commissione interna, ove questa
sia sindacalizzata. È però anche vero, inversamente, che i tentativi di incrementare la
vita associativa della sezione, risultano vani, quando essa non possa svolgere funzioni
decisorie incidenti sulla condizione dei soci e da essi percepibili.
9. I gruppi aziendali più attivi: rapporti con la commissione interna, con l’assemblea ed esperienze unitarie.
Le conseguenze di errate
impostazioni passate con¶{p. 151}tinuano dunque a pesare sullo sviluppo
dell’istituto, perpetuando le condizioni di una sua vera e propria impasse
storica, palese anche esteriormente nel diffuso scetticismo dei suoi stessi
sostenitori circa la possibilità di più favorevoli prospettive future. Si è già
accennato come tale impasse non si sia di regola risolta, ma anzi
per certi versi aggravata (o divenuta più appariscente), di fronte alle nuove forme di
iniziativa sindacale in azienda apparse nel 1968-69. Per precisare questa affermazione e
coglierne in pieno il significato in ordine al problema in esame giova riprendere alcuni
aspetti delle esperienze aziendali oggetto di indagine finora volutamente accantonati.
Si tratta di osservare più da vicino come si è caratterizzata l’azione dei gruppi
sindacali, nelle sue manifestazioni interne e nei suoi rapporti con le altre forme
organizzative aziendali, nelle fattispecie, alquanto circoscritte (non più di 8 casi),
ove essi hanno dimostrato un maggior dinamismo e grado di sviluppo. Quanto alle
connotazioni generali di questi gruppi, nella maggioranza dei casi essi presentano una
continuità storica fra le più alte riscontrate nel campione e operano nelle aziende di
più grandi dimensioni (5 sono sopra i 3000 dipendenti)
[70]
. Le stesse aziende presentano valori relativamente fra i più elevati
rispetto alle altre del campione anche in rapporto alla attività di contrattazione
[71]
e al grado di conflittualità nel biennio considerato
[72]
. Nessuna associazione ¶{p. 152}appare invece rilevabile se
si confrontano con lo stesso termine di paragone il loro tasso di sindacalizzazione
globale, la percentuale degli iscritti alla FIM e il loro indice di incremento nel
periodo 1966-69. Anzi semmai è riscontrabile una associazione negativa
[73]
. In un simile contesto la maggiore consistenza degli organismi sindacali in
questione si manifesta e si può desumere da diversi degli indici fin qui discussi in
generale. La sua espressione più evidente consiste anzitutto nella particolare intensità
di azione degli organi direttivi, che raggiunge i livelli massimi di continuità e di
ampiezza di iniziative riscontrati nelle aziende in questiona
[74]
. A una simile efficienza organizzativa fa riscontro una tradizione di decisa
autonomia dal sindacato provinciale, esperimentata nello svolgimento delle proprie
attività interne senza sostanziali interferenze da parte di questo, anche se non senza
qualche caso di tensione
[75]
. Sono queste anche le ipotesi ¶{p. 153}in cui il dibattito
all’interno del gruppo sembra essersi svolto con maggiore profitto pervenendo a
valutazioni più mature e omogenee circa l’azione rivendicativa aziendale e spesso circa
i temi generali di politica sindacale. Ciò permette allo stesso gruppo di portare in
sede di preparazione alle trattative aziendali contributi che vanno oltre la mera
raccolta o il coordinamento di dati, per configurarsi di norma come vere proposte
organiche di indirizzo dell’azione contrattuale e della lotta in azienda. Se per gli
aspetti così accennati — prevalentemente interni — i gruppi aziendali in esame
sembrano avvicinarsi al modello normativo ipotizzato dalle tesi sindacali più avanzate,
tanto che appare plausibile configurarli con una propria identità funzionale e
organizzativa, la loro tendenza ad uscire da tale modello è tuttavia non meno rilevante
per gli altri profili della situazione.
Il primo radicale punto di questo
distacco sta nel fatto che i diversi elementi di dinamismo sindacale sopra menzionati
sono circoscritti ai gruppi direttivi delle sezioni. Nessuna variazione di rilievo si
riscontra corrispondentemente nella più generale vita associativa dell’istituto, in
particolare nell’attività dell’assemblea degli iscritti, per cui si ripetono del tutto
le stesse indicazioni di scarsa vitalità
[76]
. Ciò non significa che tali gruppi dirigenti non si siano posti seriamente
il problema della loro legittimazione democratica nei riguardi degli iscritti e in
genere ¶{p. 154}dei lavoratori. Anzi sono riusciti talora a instaurare
con essi un rapporto ben più intenso di quello tradizionale degli organismi sindacali e
ancora più della CI, operando meglio di questi e della maggioranza delle sezioni
considerate quale tramite verso larga parte dei dipendenti e come stimolo alla
partecipazione per un maggior numero degli stessi. Ma, come subito si vedrà, una simile
apertura democratica ha seguito vie diverse dai modi previsti e dagli usuali canali
associativi.
Questa persistente carenza di vita
interna e di rapporti con i soci è tanto più rilevante in quanto ad essa fa contrasto
quasi sempre uno strettissimo collegamento del gruppo (o meglio dei gruppi) sindacali
con la CI, di cui si servono come portavoce contrattuale verso l’azienda e con cui
mantengono stretti rapporti di collaborazione. Contrariamente a quanto si è sovente
ritenuto, in base ai più rigorosi postulati dell’associazionismo sindacale, la presenza
di questi forti gruppi aziendali non conduce affatto a una eclisse della CI o della sua
attività contrattuale, neppure di quella di maggiore portata politica e dimensione
all’interno dell’azienda. Anzi da simili rapporti i due istituti sembrano trarre semmai
un rafforzamento reciproco. O comunque, e forse con maggiore esattezza nel caso nostro,
essi tendono più che mai a connettersi inscindibilmente per gli aspetti più rilevanti
della loro attività e connotazione fino quasi a identificarsi. Così è soprattutto per
l’identità di posizioni sindacali che esprimono, per il frequente scambio dei componenti
(che passano a turno dall’uno all’altro), per il comune tipo di confronto che essi
sostengono nei riguardi dei lavoratori riuniti in assemblea (ormai largamente
sostitutivo di quello con gli iscritti). Se è vero che una simile stretta connessione
fra gruppo sindacale e CI viene spesso giustificata dagli intervistati adducendo i
privilegi istituzionali derivanti a quest’ultima dalla sua posizione ufficiale e quindi
la opportunità di servirsene come strumento, le motivazioni non si fermano quasi mai a
tale aspetto contingente del problema, ma esprimono, più o meno consapevolmente, una sua
valutazione diversa da quella usuale alla tradizione, specie della CISL.
¶{p. 155}Non a caso il tema della definizione istituzionale dei rapporti
fra i due organismi e dei compiti reciproci è non solo largamente sottovalutato
[77]
, ma viene sovente assorbito nel tema più generale dei rapporti fra gruppo
sindacale, di cui la CI è vista come espressione ufficiale verso la controparte e la
generalità dei lavoratori, che si percepisce ormai sempre più chiaramente quale unico
termine di riferimento e di verifica per ogni forma sindacale organizzata in azienda. Lo
stesso frequente riconoscimento della opportunità di superare nel prossimo futuro la
Commissione interna, soprattutto per la sua scarsa democraticità intrinseca, è di norma
inserito in questa prospettiva, che implica — come avvertono i più consapevoli — un
analogo superamento della formula associativa delle SAS.
Note
[68] Questa valorizzazione preminente della CI in termini umani e organizzativi, caratteristica in generale della nostra esperienza sindacale postbellica, risulta totalmente confermata nelle aziende considerate. Qualche raro tentativo (2-3 casi) di impiegare in prevalenza nella sezione sindacale gli attivisti di maggior prestigio sembra aver dato risultati scarsamente apprezzabili (anche per il suo recente avvio). L’esigenza di superare una simile situazione è quasi sempre sottolineata dagli intervistati, ma si ritiene difficilmente perseguibile, e per ragioni ben fondate, finché esistano strutture sindacali divise in azienda e fuori, e la commissione interna continui a permanere come fondamentale strumento di rappresentanza unitaria dei lavoratori e punto visibile di efficacia della stessa forza organizzativa sindacale. Non dissimile problema si ripresenta ora nei rapporti fra commissione interna e delegati (vedi oltre al n. 3 del cap. IV).
[69] Una preparazione specifica ad affrontare i temi della contrattazione aziendale risulta avviata fra gli attivisti delle sezioni in esame in maniera pressoché trascurabile, nonostante la esistenza di progetti in tal senso. Anche in questo caso le direttive generali circa il potenziamento delle responsabilità contrattuali in azienda manifestano ritardi nella loro strumentazione concreta.
[70] Più precisamente, delle aziende in esame, 1 ha un numero di dipendenti compreso fra 700 e 1.000 (contro 6 delle altre aziende del campione); 2 un numero compreso fra 1.000 e 3.000 (15 delle altre); 5 un numero superiore a 3.000 (5 delle altre). Sebbene nel valutare queste indicazioni debba tenersi conto, oltre che della limitatezza del campione, del fatto che esso stesso comprende quasi esclusivamente grandi aziende, tuttavia soprattutto l’ultimo dato pare degno di rilievo. Esso sembra avvalorare ulteriormente l’ipotesi, avanzata da molti e già verificata nello stesso campione delle 34 aziende prescelte, che sulla presenza ed efficienza delle SAS influisce grandemente la dimensione aziendale.
[71] In 4 fra le aziende considerate sono stati conclusi meno di 5 contratti nel periodo, nelle altre 4 un numero superiore a 5 (i dati per il resto del campione sono rispettivamente 20 e 5). Ad analoghi risultati si perviene confrontando le medie dei contratti stipulati nelle 8 aziende in questione e nelle altre 25.
[72] Dividendo in classi le fattispecie discusse, a seconda delle ore di sciopero per dipendente effettuate nel periodo, solo 1 azienda è compresa nella classe fino a 80 ore (contro 23 delle restanti aziende del campione); 1 nella classe da 80 a 100 (contro 2 delle altre); 6 nella classe superiore a 100 (contro nessuna delle altre). Pure qui il risultato trova conferma confrontando le medie delle ore nei due gruppi di aziende.
[73] La sindacalizzazione formale complessiva nelle aziende in esame è in 3 casi inferiore al 45% (5 delle altre aziende del campione); ancora in 3 compresa fra il 45% e il 70% (10 delle altre); in 2 superiore al 70% (11 delle altre). La percentuale di iscritti alla FIM in 7 casi è inferiore al 30% (16 casi nel resto del campione); in 1 caso supera il 30% (10 casi nelle altre aziende). Analoga irrilevanza (o rilevanza negativa) della sindacalizzazione complessiva e della FIM nel gruppo di sezioni sindacali considerate risulta dal confronto fra i valori medi dei due gruppi. Gli indici di incremento della FIM fra il 1966 e il 1969 nelle aziende in questione sono dell’81% circa a Brescia (da 1.363 a 2.472 iscritti) e del 59 % a Milano (da 2.528 a 4.026 iscritti); mentre nel resto del campione sono del 78% a Brescia (da 1.501 a 2.676 soci) e dell’83% a Milano (da 4.473 a 8.202 soci).
[74] Questo dinamismo degli organi direttivi coinvolge tutti gli assetti finora considerati: dalla frequenza delle riunioni, che è fra quelle di maggiore regolarità (superiore al mese o addirittura settimanale), alla compattezza della partecipazione dei suoi membri, alla varietà delle iniziative da essi avviate sia all’interno dell’organizzazione (ad esempio, attività autonome di formazione) sia all’esterno (particolarmente intensa è l’opera di informazione dei lavoratori tramite il giornale, sempre presente e periodico, i volantini e la presenza di attivisti, fra i più organicamente distribuiti in azienda). Si tratta in ogni caso di direttivi regolarmente eletti (con le modalità rilevate in generale), secondo una prassi in atto già da diversi anni.
[75] Su questo punto le dichiarazioni degli intervistati sono largamente concordi e insistono con particolare vigore, sottolineando come ciò si traduca in una effettiva elaborazione collettiva delle più importanti decisioni sindacali all’interno dell’azienda (vedi oltre nel testo). Una simile situazione di autonomia non esclude che i rapporti con il sindacato provinciale (e con i suoi operatori) siano particolarmente intensi, anche se spesso competitivi. Le tensioni con l’organizzazione esterna (di solito non drammatizzate) appaiono sorte quasi sempre da contrasti sulla conduzione di singole lotte aziendali e sul merito delle soluzioni propugnate dai rappresentanti territoriali in sede di trattativa (in due-tre casi questi contrasti sono scoppiati apertamente e hanno causato palesi cambiamenti di comportamento e di persone dalle due parti).
[76] Anche se in questi casi si riscontrano in assemblea presenze di soci fra le più alte in assoluto (vedi nota 29), tali variazioni sono ben lungi dal rendere effettivamente consistente il peso dell’organo sulla conduzione dell’attività sindacale (anche perché il suo uso resta comunque del tutto sporadico).
[77] Ciò non significa che non si vedano i possibili aspetti ambigui della situazione così configurata, in particolare per la posizione di rilievo di cui beneficia la CI di fronte ai lavoratori, quale unico interlocutore riconosciuto in azienda. Né mancano anche qui episodi che comprovano come questa posizione abbia ancora un significato politico difficilmente neutralizzabile dal gruppo direttivo sindacale, pur sempre privo di ufficialità e poco noto come tale ai lavoratori. Si menzionano anzi in proposito due-tre casi, risalenti peraltro a qualche anno addietro, in cui il gruppo è entrato in grave contrasto con alcuni membri di CI, riuscendo con l’appoggio del sindacato provinciale a risolverlo a proprio favore e a cambiare l’indirizzo dell’istituto. In definitiva, si avverte il carattere provvisorio dell’assetto esistente e si riconosce l’esigenza di una più specifica qualificazione anche formale della organizzazione sindacale in azienda, peraltro in un quadro che si intuisce necessariamente mutato.