Note
  1. Il riconoscimento del diritto di assemblea all’interno dei luoghi di lavoro è già largamente acquisito, con variazioni qui irrilevanti, in quasi tutti i più importanti contratti nazionali di categoria stipulati fra la fine del 1969 e l’inizio del 1970: cfr., ad esempio, oltre a quelli per l’industria metalmeccanica privata e a partecipazione statale, quelli per l’industria chimica e farmaceutica, e per l’industria tessile, che generalizzano anche qui risultati conseguiti formalmente solo in un numero limitato di situazioni aziendali (vedi le indicazioni a nota 46 del cap. III e, per qualche ulteriore esemplificazione, Bianchi, Sindacati e impresa, cit., pp. 51 sgg.: per il 1968). Già questa normativa è sufficiente ad alterare in modo decisivo l’assemblea rispetto alla sua natura originaria di fatto organizzativo autonomo (vedi nota 7 del cap. III), nella misura in cui ne subordina la convocazione (e in definitiva la liceità nell’azienda) all’iniziativa delle stesse rappresentanze sindacali, singolarmente o congiuntamente. Tale modifica è in seguito sancita pure dall’ordinamento statale con il riconoscimento in termini analoghi dell’assemblea durante l’orario di lavoro da parte della legge 20 maggio 1970, n. 300 (art. 20). Ben più radicale variazione nel carattere dell’assemblea si introduce ove essa venga assunta anche formalmente dal sindacato come propria struttura di base, secondo le modalità più avanti indicate nel testo.
  2. Anche a questo proposito vale in larga misura quanto detto nella nota precedente, che si tratta di materia regolata in maniera comune dai principali contratti nazionali del periodo in questione, sulla base di anticipazioni abbastanza limitate della contrattazione aziendale, e con evidenti riferimenti al progetto di statuto dei lavoratori allora in corso di approvazione .
  3. Così il documento conclusivo della terza commissione, riportato in appendice.
  4. Vedi, per la FIM, l’ampia documentazione presentata come contributo al dibattito in vista della III Assemblea organizzativa e pubblicata in apposito volume con il resoconto sommario dei lavori di questa. Si tratta delle tesi elaborate da trentacinque sindacati provinciali, fra cui i quattro delle province in esame, che sui punti sopra menzionati anticipano tutti senza sostanziali variazioni le scelte poi operate dalla intera organizzazione (vedi, rispettivamente, quello di Brescia a pp. 12 sgg.; di Milano a pp. 26 sgg.; di Pordenone a pp. 41 sg.; di Treviso a pp. 58 sgg.).
  5. Cfr. il documento della II Commissione all’assemblea della FIM (L’azione rivendicativa della fabbrica e le strutture di base) riportato in appendice; e per la FIOM in termini analoghi la risoluzione approvata dal XV Congresso (Per l’unità sindacale e Autonomia e rinnovamento)pure in appendice; nonché, più tardi, il dibattito alla Commissione nazionale di organizzazione del dicembre 1970, (in particolare la relazione di Galli), in «Esperienze e orientamenti», n. 27, dicembre 1970, pp. 3 sgg. Quanto alla UILM, il dibattito alla II Conferenza nazionale dell’ottobre 1970, pur riconoscendo alle nuove strutture il valore di una decisiva rifondazione in senso più democratico del rapporto fra sindacato e lavoratori, e ammettendo la necessità di una graduale sostituzione delle CI, configura ancora un carattere composito del Consiglio di fabbrica, ove con delegati eletti unitariamente coesistono i membri di CI, e i rappresentanti sindacali «eletti dagli iscritti di ciascuna organizzazione in assemblea», anche se preferibilmente fra gli iscritti delegati (così il documento approvato dal Comitato centrale sulla base del dibattito menzionato).
  6. Al riguardo sembra prevalere l’idea che tale richiesta non debba avanzarsi al livello territoriale né nazionale né provinciale e che non sia opportuno mirare a una regolamentazione negoziata con la controparte circa i compiti e il funzionamento delle nuove strutture, in quanto da una simile normativa generale e concordata esse potrebbero risultare pericolosamente vincolate e in una fase di ancora incipiente sperimentazione. Si propone invece un impegno a far riconoscere a livello di impresa la nuova struttura come agente contrattuale: vedi ora, in tal senso, le tesi per il dibattito alla II Conferenza unitaria dei metalmeccanici (marzo 1971), Gli sviluppi dell’unità di fabbrica, n. 2.
  7. Una simile decisione è più tardi adottata dai comitati centrali unitari delle tre confederazioni FIM-FIOM-UILM (Sesto S. Giovanni, dicembre 1970).
  8. Vedi, in particolare, le esemplificazioni di tutti questi diversi indirizzi nel documento Nuove forme di rappresentanza in fabbrica, redatto a cura dell’ufficio sindacale industria della CISL, e presentato al dibattito in una riunione nazionale di quadri CISL (del gennaio 1971) dedicata a tale tema e a nuovi contenuti della contrattazione articolata.
  9. Sull’interpretazione dei concetti di «rappresentanza sindacale aziendale» e di suoi «dirigenti», ricorrenti nella legge indicata, vedi Pera, Disposizioni procedurali dello «statuto dei lavoratori», in «Rivista di diritto procedurale», 1970, p. 384; il mio L’organizzazione sindacale,I, cit., p. 204, nota 52; e da ultimo Freni, Giugni, Lo statuto dei lavoratori, Milano, 1970, sub. art. 19, pp. 82 sgg.
  10. Così la relazione di Lama al comitato direttivo della CGIL del 21-22 dicembre 1970, in Strutture unitarie sui luoghi di lavoro, collana documentazione CGIL, n. 17, Roma, 1971, p. 23. Vedi anche la risoluzione approvata dallo stesso comitato (dedicato quasi integralmente a discutere le nuove forme di rappresentanza), che attribuisce «al consiglio dei delegati una precisa priorità politica in riferimento alla presenza e alla costruzione del sindacato nella fabbrica», in «Rassegna sindacale», 1971, n. 202, p. 6.
  11. Ampie tracce di simili timori emergono, ad esempio, da diversi interventi nel «Quaderno di Rassegna sindacale» dedicato ai delegati di reparto, cit., che del resto si muovono ancora in una prospettiva esplicita di rilancio delle sezioni sindacali unitarie: si vedano, in particolare, quelli di Giunti, pp. 12 sgg. e 17 sg.; di Bianchi, Ritorno alla fabbrica come perno strategico, p. 27, e di Didò, pp. 14 sgg., che sottolinea l’urgenza di saldare i delegati con l’organizzazione sindacale tradizionale, in modo che essi «siano immediatamente il sindacato e quindi siano raccolti in un organismo di fabbrica, il quale sia già comprensivo delle forze sindacali attuali e di queste nuove espressioni dirette di democrazia operaia». La non completa congruità del nuovo organismo a funzionare come struttura di base del sindacato è ancora ribadita, e motivata richiamandosi alla natura «associativa» del sindacato, nel dibattito al seminario di Ariccia su L’organizzazione sindacale nelle aziende, dell’11-12 maggio 1970, in «Rassegna sindacale», 1970, n. 188-189, pp. 17 sgg., che riflette una persistente eterogeneità di posizioni all’interno della confederazione. Vedi peraltro su questo punto, con sufficiente chiarezza, le osservazioni conclusive di Guerra, p. 17, ma anche, fra i molti, l’intervento di Accornero, p. 21, che sottolinea criticamente i ritardi della politica della CGIL ad adeguarsi alla nuova situazione.
  12. Cfr. la relazione di Lama al comitato direttivo della CGIL menzionata alla nota 10, e lo scritto di Scheda, L’unità dopo Firenze, in «Rinascita», 1970, n. 50, p. 4.
  13. Per tutte queste conclusioni vedi la risoluzione del comitato direttivo, cit., e la relazione di Lama allo stesso comitato, ove anche la distinzione fra i due gruppi di ipotesi sopra indicate (omessa invece nel documento finale). Cfr. anche il commento a tali risultati di Scheda, Una più alta capacità di direzione del movimento sindacale, in «Rassegna sindacale», 1971, n. 202, pp. 4 sg. con richiami alla cautela nel superamento, pur ammesso necessario, della CI. Lo stesso Scheda si era già pronunciato in termini simili nello scritto L’unità dopo Firenze,cit., affermando anzi con maggior vigore la necessità di mantenere anche in futuro un organismo di generale rappresentanza dei lavoratori, sia pure con compiti ridimensionati rispetto a quelli della CI attuale.
  14. Per una simile interpretazione vedi anche Antoniazzi, Per lo sviluppo dei consigli, nel Dossier sull’argomento, in «Dibattito sindacale», 1970, n. 6, p. 9.
  15. Per questi motivi e per quelli di seguito indicati si rinvia al documento Nuove forme di rappresentanza in fabbrica, che è l’unico testo organico elaborato dalla CISL sul problema, anche se in forma prevalentemente descrittiva e con indicazioni in larga misura indeterminate (vedine anche il sintetico commento di Paramucchi e G. Borgomeo, Per un maggiore potere del sindacato in fabbrica, in «Conquiste del lavoro», 1971, n. 3, pp. 22 sgg.). Fra i documenti di categoria cfr., in particolare, per la sua chiarezza, il documento della giunta di segreteria della Federchimici CISL, La proposta della Federchimici per il sindacalismo degli anni ‘70, in «Rassegna stampa, Federchimici CISL», Milano, febbraio 1971, pp. 7 sgg., che ribadisce con totale fermezza la necessaria priorità anche nel momento attuale del rafforzamento della SAS, su cui «bisogna puntare tutto l’impegno», proprio per la sua caratteristica di purezza sindacale e associativa. Per questo «anche nella prospettiva unitaria», si deve osservare nel modo più rigoroso «il non scioglimento di alcuna struttura» sindacale, e le SAS (oltre alle CI, finché queste ultime esisteranno) devono far parte come tali dei consigli di fabbrica insieme ai delegati.
  16. Così il documento Nuove forme di rappresentanza in fabbrica,cit., p. 4.
  17. Per queste citazioni vedi ancora Nuove forme di rappresentanza in fabbrica, cit., rispettivamente pp. 10 e 12.
  18. Anche una simile scelta, non ancora espressa alla I conferenza unitaria di Genova del marzo 1970, è adottata dalla III Assemblea organizzativa della FIM (vedi il documento della II Commissione, cit.) e, sia pure implicitamente, dal XV Congresso della FIOM (vedi la risoluzione Per l’unità sindacale, cit.); nonché, più tardi, dalla II conferenza nazionale della UILM, cit., e ora dalle tesi per il dibattito alla II conferenza unitaria dei metalmeccanici, cit., n. 2, 7.
  19. Su tali punti vedi gli stessi documenti indicati alla nota precedente, e, da ultimo, il documento del direttivo CGIL del 21-22 dicembre 1970, cit. (che parla peraltro di «poteri di contrattazione verso la controparte sui problemi aziendali»).
  20. La posizione è particolarmente sostenuta nella UIL (vedi lo stesso documento della II conferenza nazionale della UILM cit.), ma è diffusa pure all’interno della CISL, ed è stata talora definita con apposito accordo unitario da parte di federazioni di categoria (vedi, ad esempio, le federazioni delle costruzioni. Altre esemplificazioni nel documento della CISL, Nuove forme di rappresentanza in fabbrica, cit.).
  21. Per esemplificazioni vedi il documento della CISL citato nella nota precedente, e quello della Federchimici CISL, cit., a nota 15, ove si esclude esplicitamente, in coerenza con le premesse, che i delegati possono avere compiti contrattuali.
  22. Tali informazioni provengono anche qui da fonti interne all’organizzazione (attivisti e operatori sindacali delle aziende in questione). Per la provincia di Brescia esse sono state rilevate direttamente dall’autore e dal dott. Paolo Tosi, per la provincia di Milano si basano in prevalenza su dati raccolti da Rosanna Barcellona ed esposti in parte nello scritto Un’indagine sui consigli di fabbrica a Milano, in «Dibattito sindacale», 1970, n. 6, pp. 14 sgg. e, soprattutto, su un’indagine del dott. Guido Romagnoli, estesa ai delegati delle diverse categorie a Milano, di prossima pubblicazione su «Prospettiva sindacale», 1971, n. 4.
  23. Anche nelle piccole aziende ove l’elezione formale del delegato è rara e si è eletto solo il rappresentante sindacale, la diffusa azione organizzativa svolta in occasione di tale elezione, cui fa riscontro nel 1970 una forte crescita di iscritti, ha permesso al sindacato di entrare per la prima volta in molte fabbriche (113, secondo i dati di «Dibattito sindacale»).
  24. Di Treviso e di Pordenone mancano i dati generali, ma i consigli risultano costituiti in tutte e tre le aziende considerate (due delle quali del resto hanno eletto i delegati già prima dell’autunno 1969; vedi nota 50 del cap. III).
  25. Le informazioni raccolte circa il numero di componenti del gruppo dirigente della SAS presente nei consigli sono imprecise e non concordi, ma in diversi casi (una decina) tale numero è indicato come alquanto consistente.
  26. Lo schema di statuto tipo elaborato dalla FIM-FIOM-UILM di Brescia (vedilo in appendice) prevede che la elezione della segreteria avvenga su scheda bianca (art. 3). Ma la distribuzione dei segretari fra i tre sindacati risulta largamente rispettata nelle aziende in esame (salvo qualche eccezione per la UILM).
  27. Fra i delegati eletti nelle aziende considerate di Milano, il numero dei membri di CI è in 12 casi inferiore al 10%, in 3 casi compreso fra il 10 e il 20%, in 4 casi superiore al 20%.
  28. Azioni di sciopero a tal fine risultano attuate in 5 aziende, fra quelle esaminate nella provincia di Milano. In altre aziende milanesi non comprese nel campione, ove si è raggiunto un accordo sul punto, emerge la tendenza a valorizzare purtuttavia la presenza della CI, o concedendo ad essa il compito di distribuire un certo numero di ore di permessi fra i delegati, oppure assegnando a questi permessi inferiori a quelli dei membri di CI.
  29. Dai dati raccolti una partecipazione di fatto del consiglio o di sue delegazioni alle trattative aziendali appare essersi verificato in non più di. 6-7 aziende, mentre un vero e proprio riconoscimento dello stesso istituto quale agente contrattuale si riscontra in 4 casi.
  30. Su una simile configurazione dei delegati e dell’assemblea in presenza dei caratteri istituzionali indicati, anche nella prospettiva dell’ordinamento statale, vedi più ampiamente il mio scritto L’organizzazione sindacale, I, cit., pp. 213 sgg. Al contrario, l’inserimento dei delegati nelle strutture associative sindacali dovrebbe senz’altro riconoscersi nell’ipotesi in cui prevalesse la tendenza, sopra menzionata, a nominarli con una designazione unilaterale dello stesso sindacato o a subordinare ad essa il loro riconoscimento come agenti contrattuali. In tali casi la figura si qualificherebbe quale vero e proprio organo del sindacato territoriale, attivo nell’ambito dei poteri da questo delegatigli, secondo il tradizionale modello organizzatorio di decentramento in senso tecnico. Cfr., analogamente, in proposito Romagnoli, Sviluppi recenti della contrattazione aziendale: i delegati, cit., p. 625 e, implicitamente, Giugni, Diritto sindacale, Bari, 1969, p. 55.
  31. Così Ghezzi, Osservazioni sul metodo dell’indagine giuridica nel diritto sindacale, cit., p. 430, che definisce genericamente i delegati appunto come «espressioni, di radice assembleare, degli interessi di gruppo di lavoratori».
  32. Tale ambivalenza si esprime sul piano istituzionale nel fatto che delegati ed assemblea restano strutturalmente autonomi, ma nel contempo la loro attività integra (o si identifica con) quella del sindacato: cfr., per i delegati, Giugni, Diritto sindacale, cit., p. 55, distinguendo appunto per ciò queste ipotesi da quelle indicate alla nota 30.
  33. Così Masucci, Dall’assemblea ai delegati: una crescita di potere,in «Quaderni di Rassegna sindacale», n. 24, cit., p. 37.
  34. Ghezzi, Osservazioni sul metodo dell’indagine giuridica nel diritto sindacale, cit., p. 430.
  35. Il significato innovativo di una simile individuazione di unità contrattuali a livello infra-aziendale e di agenti espressi autonomamente dagli stessi destinatari della disciplina, risulta palese da quanto esposto nel cap. II circa la sfasatura, da sempre radicata nella nostra esperienza, fra strutture contrattuali e distribuzione di competenze all’interno dell’organizzazione sindacale.
  36. Per questa notazione, ormai comune, vedi, ad esempio, Garavini, Strutture dell’autonomia operaia sul luogo di lavoro, in «Quaderni di Rassegna sindacale», cit., p. 21 e Castellina, Il movimento dei delegati, in «Il Manifesto», 1970, n. 1, p. 22.
  37. La mancanza di simili presupposti, del resto di comune percezione, risulta generalmente sottolineata nella sommaria rilevazione condotta sulle aziende in esame. Ciò non significa comunque che anche in questi casi l’introduzione delle nuove forme organizzative non possa rappresentare genericamente uno strumento di espressione unitaria dei lavoratori più adeguato di quelli tradizionali.
  38. Le espressioni sono di Romagnoli, Sviluppi recenti della contrattazione aziendale: i delegati, cit., p. 625, che rileva la tendenza, anche storicamente verificata, di questo momento a tradursi in una « delimitazione delle competenze » dello stesso istituto e a togliergli i caratteri originari di espressione diretta della base.
  39. Inoltre il delegato non può non essere condizionato, pure in negativo, dal livello medio di coscienza politica e conflittuale del gruppo che esprime. Anche per tale ragione acquista tanto maggiore importanza la necessità di inserire o collegare la figura e la sua attività in istituti più ampi, quali il consiglio di fabbrica e le stesse strutture extra-aziendali. Simili rilievi risultano espressi sovente dagli interessati già nella nostra sommaria rilevazione; ma vedili altresì sottolineati nella recente ricerca di Aglieta, Bianchi, Merli-Brandini, I delegati operai,Roma, 1970, pp. 103 sgg.
  40. Questo carattere di revocabilità è sottolineato da quasi tutti i documenti dei metalmeccanici menzionati nel n. 1 del presente capitolo.
  41. Così, fra i molti, con particolare chiarezza, l’intervento di Ronconi, nella tavola rotonda su I nuovi strumenti del rapporto sindacatolavoratori, in «Quaderni di Rassegna sindacale», cit., p. 16.
  42. In quella sede «l’aver evitato ogni riferimento alla figura del delegato ed aver imboccato la strada di un riconoscimento dei soli rappresentanti per ognuno dei tre sindacati appare dunque — osserva la Castellina (Il movimento dei delegati, cit.) — piuttosto una scelta che una prudente e voluta astensione». La stessa scelta è implicita, come si diceva, nello statuto dei lavoratori.
  43. Sono queste del resto le funzioni tuttora emergenti di regola dalla prima contrattazione aziendale in materia e da una sommaria valutazione della prassi. Per una analisi di questa iniziale esperienza contrattuale vedi lo scritto di Romagnoli, Sviluppi recenti della contrattazione aziendale, cit., pp. 617 sgg.
  44. Un rilievo simile si trova, ad esempio, in Aglieta, Bianchi, Merli Brandini, I delegati operai, cit., p. 109, i quali rilevano appunto come a questo livello la posizione della figura e i suoi rapporti con le strutture tradizionali siano «complicati dalla necessità di assicurare un’equa rappresentanza alle forze sindacali».
  45. Secondo un recente tentativo di interpretazione (Baglioni, L’istituto della commissione interna e la questione della rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, cit., pp. 190 sgg.), questo pluralismo sarebbe particolarmente congeniale al tipo di sindacalismo espresso dalla più recente esperienza italiana, caratterizzato da obiettivi di tutela conflittuale delle condizioni professionali dei lavoratori e insieme da un atteggiamento antagonistico nei riguardi del presente assetto sociale. Alla CI, in quanto istituto di rappresentanza generale dei lavoratori e manifestazione del principio «plebiscitario», sarebbe prevalentemente affidato il primo compito, mentre il perseguimento di obiettivi antagonistici dovrebbe spettare essenzialmente al sindacato, in quanto parte più attiva o avanguardia della classe operaia. Senza voler discutere nel merito tale ipotesi, importa però ribadire che nella nostra più recente esperienza proprio figure organizzative espressione della generalità dei lavoratori hanno assunto funzioni dirompenti nei riguardi di equilibri sindacali e politici esistenti, superando così nettamente un’azione di mera tutela minimale dei diritti dei dipendenti. In realtà tali figure, in particolare delegati e consigli, tendono a rappresentare, come si dirà oltre nel testo, nuove forme di aggregazione dei lavoratori e in questo senso di avanguardia, fondate sulla partecipazione diretta dei lavoratori all’azione sindacale e non ristrette dal legame associativo. Di un simile fenomeno, anche se la sua consistenza dovrà essere verificata in un periodo di tempo più lungo, non può non tenersi conto nel valutare le prospettive della rappresentanza operaia nei luoghi di lavoro.
  46. Anche se questi, a differenza dell’iniziale esperienza italiana, sono espressione diretta degli iscritti ai sindacati nei posti di lavoro. Sulle attuali caratteristiche strutturali della figura e sui suoi rapporti con i sindacati territoriali vedi i recenti Research Papers di McCarthy (The Role of Shop Stewards in British Industriai Relations, n. 1, London, 1967, spec. pp. 4 sgg) e di McCarthy-Parker (Shop Stewards and Workshop Relations, n. 10, London. 1968, spec. pp. 34 sgg.) preparati per la Royal Commission on Trade Unions and Employers’ Associations.
  47. Si tratta di una condizione minima per creare una effettiva nuova dialettica sindacale. Da più parti — com’è noto — si è peraltro ritenuto essenziale, per una piena espressione delle potenzialità dei nuovi istituti, un loro sviluppo in strutture proprie, anche extra-aziendali, distinte da quelle sindacali, sul modello consiliare, che «possano costituire la premessa di una strategia politica di più ampia portata, di una strategia che si proponga la conquista non solo di «più potere in fabbrica», ma «del potere»: così, in particolare, Castellina, Il movimento dei delegati, cit., p. 25. Un rischio di queste proposte, da molti messo in rilievo, è di lasciare irrisolto «il problema della saldatura fra massa dei lavoratori e sindacato di tipo nuovo» o anzi di riportarne indietro la soluzione «creando una divisione istituzionale fra organizzazione operaia espressa dal basso — nuova, unitaria — e sindacato»: così C. Perna, nel resoconto sulla Montedison di Portomarghera, in «Quaderno di Rassegna sindacale», cit., p. 85, e anche Garavini, Strutture dell’autonomia operaia sul luogo di lavoro, ibidem,pp. 25 sgg., nonché la relazione di Lama, al comitato direttivo della CGIL, del dicembre 1970, cit., e Antoniazzi, Per lo sviluppo dei consigli, cit., p. 11.
  48. Per alcune indicazioni sul grado di «dipendenza sindacale» dei delegati, valutata in base a indici diversi, dei delegati in alcune aziende dell’Italia del nord, vedi i primi risultati di una ricerca di Della Rocca e Paci, L’atteggiamento dei delegati verso il sindacato, presentati al seminario di Ancona, cit., in I sindacati nell’economia e nella società italiana.
  49. Un altro strumento di controllo dall’esterno sulla iniziativa contrattuale in azienda consiste nella stessa scelta dei temi e degli obiettivi generali di contrattazione operata dai sindacati territoriali, il cui contenuto non può non condizionare nel merito le decisioni degli organismi di fabbrica. Va da sé che il coordinamento organico di queste scelte risponde a un’esigenza imprescindibile di strategia sindacale; ma la questione aperta è di definire i modi di tale coordinamento, evitando che si esprimano in mere direttive burocratiche e accentrate.
  50. La proposta emerge chiaramente nell’assemblea nazionale della FIM e nel congresso della FIOM del luglio 1970, citati, e viene in seguito ripresa da altri documenti di categoria. Più vaghi sono gli accenni a una partecipazione dei delegati alle strutture extra-aziendali del sindacato, nel dibattito al comitato centrale della CGIL del dicembre 1970 (citato a nota 10) e nelle stesse tesi per la II Conferenza nazionale unitaria dei metalmeccanici, parte II, ove si parla di rappresentanze esterne dei delegati, nella fase di transizione all’unità, come strutture parallele ai comitati direttivi sindacali unitari zonali o provinciali (vedi ora, in appendice, le risoluzioni finali della conferenza).
  51. Tanto più quando l’assemblea non si giovi immediatamente della spinta di precise rivendicazioni contrattuali e delle relative azioni di lotta, che hanno costituito l’occasione più proficua del suo impiego. A ciò si aggiunga che ben pochi tentativi si sono registrati finora di impiegare tale strumento al di fuori di simile contesto, su temi più vasti e lato sensu politici.
  52. In ambito sindacale una simile necessità è sottolineata con particolare insistenza dalla FIM, nel quadro di una generale accentuazione del ruolo politico autonomo del sindacato, che contraddistingue la recente evoluzione ideologica di questa organizzazione. In proposito vedi, da ultimo, gli scritti di Antoniazzi, Bentivogli, Corato, nel dossier su I consigli di fabbrica, in «Dibattito sindacale», cit., pp. 5 sgg.; e, in genere, per la evoluzione della FIM sul tema citato, Sciavi, Le due CISL, cit., pp. 25 sgg. e Castellina, Il convegno della FIM: la scoperta della politica, in «Il Manifesto», 1970, n. 7-8, p. 19. Il tema della funzione politica dei delegati e dei consigli è ripreso radicalmente dalle diverse tesi che assegnano a tali istituti il compito di formare una organizzazione della classe operaia atta ad esprimerne un potere politico diretto al di fuori della rete democratica istituzionale (vedi nota 47).
  53. Così, in generale, gli scritti indicati alla nota precedente; cui aggiungi Galli, Relazione alla commissione nazionale di organizzazione della FIOM (dic. 1970), in «Esperienze e orientamenti», 1970, dicembre, cit., p. 8. Una simile proiezione dei consigli fuori dell’azienda, tale da farli diventare progressivamente la base istituzionale per una nuova configurazione dei sindacati territoriali, è suscettibile di estendere la crisi del procedimento associativo a tutta la struttura sindacale, alterandone in modo ancora più radicale la natura, e riconducendola integralmente a una formula aperta di partecipazione.
  54. In una simile prospettiva il momento dialettico rispetto alla generalità indifferenziata dei lavoratori, necessario per una verifica politicamente significativa e per una azione efficace, sarebbe costituito non da organismi controllati istituzionalmente dagli «iscritti» (i quali potranno agire all’interno del fenomeno), ma da strutture organizzative espresse da tutti i lavoratori che le scelgono e ne sostengono l’azione. La stessa unitarietà o pluralità di queste strutture (niente esclude che possano riprodursi all’interno del movimento forme organizzative diverse), dipenderà di volta in volta dai risultati storici di tale verifica condotta a partire dalla fabbrica.