Tiziano Treu
Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c4
Già con queste connotazioni il modello ipotizzato dell’i
{p. 171}stituto supera fin dalle sue origini i due punti deboli che più a lungo hanno pesato sulle organizzazioni tradizionali d’azienda (SAS e CI): appunto il precario legame con la generalità dei lavoratori e la scarsa qualificazione dei loro poteri sindacali. Ma pure le posizioni ora accennate sono solo in parte condivise da altri settori del nostro schieramento sindacale, in particolare all’interno della CISL e della UIL, che riflettono in proposito gli stessi residui tradizionali già visti nelle loro tesi generali. Persistono così riserve circa un metodo di elezione dei delegati, come quello su scheda bianca senza liste, che non permette alcun adeguato collegamento e controllo da parte degli organismi sindacali e si prendono in considerazione, oltre al sistema della designazione sindacale, specie per i rappresentanti contrattualmente riconosciuti [20]
, la forma intermedia della elezione da parte di tutti i lavoratori, ma su liste stabilite preliminarmente in vario modo (di solito con l’intervento degli stessi sindacati). Analogamente, alla possibilità di riconoscere ai delegati, e soprattutto ai consigli, carattere di agenti contrattuali in via primaria, si contrappone l’alternativa ben nota di conferire loro poteri contrattuali su delega di volta in volta da parte del sindacato, o addirittura di ammettere solo una gestione congiunta del potere contrattuale con le organizzazioni territoriali [21]
.

2. Caratteri strutturali dei delegati e rapporti con gli altri istituti.

Alle linee di politica sindacale così accennate possono essere aggiunte, anche qui senza pretesa di completezza, {p. 172}alcune prime indicazioni di fatto circa i caratteri strutturali dei delegati e circa i loro rapporti con le vecchie strutture sindacali nelle 30 aziende considerate di Milano e Brescia (le due province più grandi oggetto della nostra ricerca) [22]
.
Tali province sono fra quelle che hanno subito accolto programmaticamente la prospettiva dei delegati e dei loro consigli quali unici organismi aziendali del sindacato e insieme quali espressioni dirette dei lavoratori, secondo i caratteri strutturali e funzionali sopra indicati. A tale decisione programmatica corrisponde una rapida generalizzazione dei consigli, che alla fine del 1970 appaiono costituiti a Milano in 168 fabbriche (comprendenti tutte le aziende superiori a 1000 dipendenti, quelle comprese nell’indagine meno 1, nonché nella maggioranza delle imprese superiori a 300 dipendenti) [23]
e a Brescia in circa 80 aziende (fra cui tutte quelle in esame) [24]
. È da sottolineare che la rapida estensione dell’istituto — e in genere dei delegati — è non solo posteriore alla fine del 1969, ma consegue di regola a una specifica iniziativa delle organizzazioni sindacali (o delle CI), che ne hanno curato in concreto la elezione. Nelle imprese considerate una presenza di delegati sufficientemente diffusa e {p. 173}formalizzata, precedente o contemporanea all’autunno 1969, si riscontra, infatti, solo in due casi; cui vanno aggiunte altre 4 aziende provviste già allora di una rete informale di rappresentanti di reparto, in larga misura confermati nelle successive elezioni del consiglio.
In 23 su 29 dei casi in questione, la elezione dei delegati avviene da parte dei gruppi interessati in assemblea o in riunioni alquanto informali, anche perché spesso tenute fuori orario di lavoro (essendosi le ore di assemblee retribuite, previste dal contratto e dallo statuto dei lavoratori, di solito esaurite ad altri fini). Il metodo di elezione è quello indicato dalle direttive generali delle federazioni della scheda bianca, salvo qualche raro caso (2) ove avviene su lista sindacale, unitaria e aperta. Fra i delegati eletti il numero dei non iscritti al sindacato appare peraltro marginale. I dati non sono del tutto precisi, perché mancano notizie particolareggiate di alcune grandi fabbriche, ma le percentuali non sembrano superare il 5% nella provincia di Milano (in generale), mentre sono ancora più basse nelle aziende considerate di Brescia, fino ad essere in alcune di queste addirittura nulle.
Analoga corrispondenza con le direttive generali sindacali si riscontra, da parte della FIM e della FIOM, circa l’ambito di scelta dei rappresentanti aziendali previsti dal contratto nazionale, che nelle aziende in esame coincidono sempre con i delegati eletti. Qualche variante presentano invece le modalità di scelta, perché a una maggioranza di casi (20) in cui essi sono designati dal consiglio al suo interno o coincidono con questo, ne fanno riscontro altri (4) in cui sono designati dal sindacato territoriale, sia pure su indicazione del consiglio, tre ove sono eletti su lista unitaria e uno ove sono designati dalla SAS. Divergente nelle province in esame è anche il comportamento della UILM, che mantiene di solito ferma la propria posizione di designare i suoi rappresentanti, scegliendoli, ove è necessario, al di fuori dei delegati unitariamente eletti.
Quanto alle sezioni sindacali, in nessuno dei casi in questione risulta che si sia proceduto a una formale rielezione del loro direttivo, e in soli due casi (fra cui 1 delle {p. 174}sezioni più funzionanti riscontrate nell’indagine precedente) esse sussistono ancora operanti come tali (influendo sull’operato del consiglio tramite gli stessi direttivi, i cui membri intervengono alle sue riunioni). Nelle altre aziende considerate i gruppi direttivi sono stati impiegati solo in ipotesi del tutto sporadiche, in particolare quando è stato necessario sostituire il rappresentante aziendale in organismi sindacali esterni (direttivo provinciale e simili) [25]
. Non risulta viceversa ancora mai verificatasi la eventualità di una nomina di rappresentanti aziendali in direttivo provinciale da parte del consiglio.
Più consistente appare la posizione delle CI, i cui membri persistono in carica nonostante il mancato rinnovo dell’istituto (scarsissimi i casi di dimissioni, mai dovute a una scelta politica definita) e fanno sempre parte (con 1 sola eccezione) del consiglio. Tale presenza è tanto più significativa in quanto si estende anche all’organo direttivo o di coordinamento dello stesso consiglio, ogniqualvolta esso sia stato costituito: cioè in quasi tutte le aziende considerate di Milano (ove è talora fisso, talora mobile), mentre a Brescia esiste solo una segreteria di coordinamento composta di tre membri eletti, di solito distribuiti fra le diverse organizzazioni sindacali [26]
. È da notare che le rilevazioni effettuate indicano un numero non trascurabile di situazioni di contrasto o di tensione (pur con diversi motivi) fra le nuove strutture dei delegati e del consiglio e la CI (almeno in 9 delle aziende in esame), della quale risulta anche più di frequente (altri 7 casi) la persistente tendenza a accentrare in sé le principali funzioni sindacali in azienda [27]
.{p. 175}
Per concludere questi cenni sui rapporti fra i vari organismi aziendali, va infine sottolineato come nella grande maggioranza dei casi permanga tuttora una accentuata disparità di trattamento istituzionale nell’azienda a favore della CI e dei rappresentanti sindacali rispetto alla generalità degli altri delegati presenti nel consiglio. L’obiettivo propostosi dai metalmeccanici di allargare il riconoscimento, almeno per ottenere alcuni fondamentali diritti sindacali, anche a questi ultimi (in tutto o in parte, e lasciandone eventualmente la distribuzione allo stesso consiglio) è stato finora raggiunto solo in poche (6) delle aziende considerate, nonostante sia stato incluso generalmente fra le rivendicazioni aziendali e in taluni casi sostenuto con azioni di sciopero anche intense [28]
. Poco maggior successo hanno avuto i tentativi di estendere il godimento di questi diritti (in particolare permessi a fini di formazione) a un numero più vasto di delegati facendoli ruotare nella posizione di rappresentanti sindacali. Nelle rimanenti aziende in esame, ove non si è andati oltre i limiti previsti dal contratto nazionale e dallo statuto dei lavoratori, le condizioni di privilegio dei rappresentanti sindacali, e ancor più della CI, rendono la loro presenza nel consiglio e nell’azione sindacale particolarmente intensa già per il mero profilo quantitativo e materiale.
Per ragioni analoghe la medesima posizione di disparità si verifica nell’esercizio diretto della contrattazione in sede di trattative aziendali, cui sono ammessi per lo più solo i due istituti riconosciuti e neppur sempre, perché in un numero rilevante di casi l’azienda rifiuta anche di fatto di accettare come interlocutori i rappresentanti sindacali, mentre mantiene costanti rapporti contrattuali unicamente con la CI [29]
. Una simile debolezza sul piano
{p. 176}istituzionale è ancora più evidente per i delegati presi singolarmente, che nella maggior parte dei casi non sembrano poter superare compiti di prima raccolta di informazioni e di proposte contrattuali. Ciò non esclude peraltro che l’intero consiglio abbia invece dimostrato di poter contribuire alla elaborazione di queste e influire in modo sostanziale sulla direzione delle trattative e sulla organizzazione delle lotte necessarie per sostenerle. Ma si tratta di elementi ancora difficilmente valutabili, anche in modo sommario, per la novità dell’esperienza.
Note
[20] La posizione è particolarmente sostenuta nella UIL (vedi lo stesso documento della II conferenza nazionale della UILM cit.), ma è diffusa pure all’interno della CISL, ed è stata talora definita con apposito accordo unitario da parte di federazioni di categoria (vedi, ad esempio, le federazioni delle costruzioni. Altre esemplificazioni nel documento della CISL, Nuove forme di rappresentanza in fabbrica, cit.).
[21] Per esemplificazioni vedi il documento della CISL citato nella nota precedente, e quello della Federchimici CISL, cit., a nota 15, ove si esclude esplicitamente, in coerenza con le premesse, che i delegati possono avere compiti contrattuali.
[22] Tali informazioni provengono anche qui da fonti interne all’organizzazione (attivisti e operatori sindacali delle aziende in questione). Per la provincia di Brescia esse sono state rilevate direttamente dall’autore e dal dott. Paolo Tosi, per la provincia di Milano si basano in prevalenza su dati raccolti da Rosanna Barcellona ed esposti in parte nello scritto Un’indagine sui consigli di fabbrica a Milano, in «Dibattito sindacale», 1970, n. 6, pp. 14 sgg. e, soprattutto, su un’indagine del dott. Guido Romagnoli, estesa ai delegati delle diverse categorie a Milano, di prossima pubblicazione su «Prospettiva sindacale», 1971, n. 4.
[23] Anche nelle piccole aziende ove l’elezione formale del delegato è rara e si è eletto solo il rappresentante sindacale, la diffusa azione organizzativa svolta in occasione di tale elezione, cui fa riscontro nel 1970 una forte crescita di iscritti, ha permesso al sindacato di entrare per la prima volta in molte fabbriche (113, secondo i dati di «Dibattito sindacale»).
[24] Di Treviso e di Pordenone mancano i dati generali, ma i consigli risultano costituiti in tutte e tre le aziende considerate (due delle quali del resto hanno eletto i delegati già prima dell’autunno 1969; vedi nota 50 del cap. III).
[25] Le informazioni raccolte circa il numero di componenti del gruppo dirigente della SAS presente nei consigli sono imprecise e non concordi, ma in diversi casi (una decina) tale numero è indicato come alquanto consistente.
[26] Lo schema di statuto tipo elaborato dalla FIM-FIOM-UILM di Brescia (vedilo in appendice) prevede che la elezione della segreteria avvenga su scheda bianca (art. 3). Ma la distribuzione dei segretari fra i tre sindacati risulta largamente rispettata nelle aziende in esame (salvo qualche eccezione per la UILM).
[27] Fra i delegati eletti nelle aziende considerate di Milano, il numero dei membri di CI è in 12 casi inferiore al 10%, in 3 casi compreso fra il 10 e il 20%, in 4 casi superiore al 20%.
[28] Azioni di sciopero a tal fine risultano attuate in 5 aziende, fra quelle esaminate nella provincia di Milano. In altre aziende milanesi non comprese nel campione, ove si è raggiunto un accordo sul punto, emerge la tendenza a valorizzare purtuttavia la presenza della CI, o concedendo ad essa il compito di distribuire un certo numero di ore di permessi fra i delegati, oppure assegnando a questi permessi inferiori a quelli dei membri di CI.
[29] Dai dati raccolti una partecipazione di fatto del consiglio o di sue delegazioni alle trattative aziendali appare essersi verificato in non più di. 6-7 aziende, mentre un vero e proprio riconoscimento dello stesso istituto quale agente contrattuale si riscontra in 4 casi.