Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c4
Per ragioni analoghe la medesima
posizione di disparità si verifica nell’esercizio diretto della contrattazione in sede
di trattative aziendali, cui sono ammessi per lo più solo i due istituti riconosciuti e
neppur sempre, perché in un numero rilevante di casi l’azienda rifiuta anche di fatto di
accettare come interlocutori i rappresentanti sindacali, mentre mantiene costanti
rapporti contrattuali unicamente con la CI
[29]
. Una simile debolezza sul piano
¶{p. 176}istituzionale è
ancora più evidente per i delegati presi singolarmente, che nella maggior parte dei casi
non sembrano poter superare compiti di prima raccolta di informazioni e di proposte
contrattuali. Ciò non esclude peraltro che l’intero consiglio abbia invece dimostrato di
poter contribuire alla elaborazione di queste e influire in modo sostanziale sulla
direzione delle trattative e sulla organizzazione delle lotte necessarie per sostenerle.
Ma si tratta di elementi ancora difficilmente valutabili, anche in modo sommario, per la
novità dell’esperienza.
3. Pluralità delle forme rappresentative nell’azienda e collegamento con il sindacato.
Pur non essendo possibile
approfondire oltre le indicazioni, sia di fatto, sia di politica sindacale, così
sommariamente fornite, si può tuttavia avanzare qualche motivo finale di riflessione, su
alcuni problemi aperti da queste diverse forme organizzative in azienda, e dai loro
rapporti reciproci. Anche solo collocandosi in una prospettiva interna al sindacato si
avverte a prima vista il carattere ambivalente o di precario equilibrio dei delegati nei
confronti dei gruppi di lavoratori in cui operano e del sindacato come organizzazione
generale. Sotto il profilo giuridico-istituzionale, la configurazione da essi assunta
nella categoria dei metalmeccanici, sia programmaticamente sia nella prassi verificata,
ne esclude un inserimento nella struttura sindacale secondo gli schemi noti alla
tradizione. Nella misura in cui traggono la loro nomina e i loro poteri dalla generalità
dei lavoratori (del reparto o simili) essi risultano palesemente irriducibili al modello
di struttura organica o anche decentrata del sindacato, legata a questo dagli usuali
vincoli di tipo associativi. Al contrario si confermano portatori di poteri
lato sensu rappresentativi provenienti da una collettività
organizzata in assemblea, ¶{p. 177}che come tale ne rivendica la
titolarità originaria
[30]
. E a tale collettività, ove si esprimono gli interessi del gruppo, essi sono
direttamente responsabili nell’esercizio delle funzioni loro affidate. A questo
collegamento o, come si è detto, «radice assembleare» della figura
[31]
si avvicina la scelta del sindacato di riconoscere i delegati e i loro
consigli come proprie strutture di base. Sul piano delle funzioni, viste nella loro
proiezione esterna, una simile scelta significa che a tali strutture (assemblea e
consigli dei delegati) si riconosce la competenza a svolgere le principali attività
sindacali in azienda, attribuendo alle loro delibere efficacia vincolante, non solo di
fatto ma formalmente, all’interno dell’ordinamento sindacale. Tali decisioni sono così
equiparate, quanto ad efficacia, alle delibere degli organi eletti dagli iscritti (cui
anzi vengono progressivamente a sostituirsi), realizzandosi quella rottura del metodo
associativo della quale sopra si diceva. La rottura è radicale anche nei confronti della
tradizionale attività contrattuale delle commissioni interne, che, quando pure non si è
considerata come una usurpazione nei riguardi del sindacato, è stata da questo ammessa
solo di fatto, ma mai riconosciuta come legittima, né tanto meno come unica espressione
dell’azione sindacale in azienda.
Appunto in questa riattribuzione di
legittimità originaria a forme organizzative autonome, distinte dagli
¶{p. 178}organismi tradizionali, sta l’ambivalenza
[32]
, ma anche una delle potenzialità innovative più feconde della nuova politica
sindacale (sebbene si tratti per ora di una scelta appena postulata e soggetta a
verifica solo iniziale nella prassi). Al sindacato si apre la possibilità di superare
quella storica separazione, nel momento delle decisioni, fra proprie strutture e
organizzazione operaia in fabbrica, che, ha costituito il limite forse più grave della
sua azione nei luoghi di lavoro, distorcendo i messaggi provenienti da questi,
rendendolo incapace di raccoglierli ed elaborarli adeguatamente
[33]
, e in definitiva riducendo la sua incidenza politica sulla organizzazione
del lavoro e sui rapporti di potere in azienda. Il rapporto fra istituzione sindacale e
«comunità operaia attiva» tende ad uscire dal carattere strumentale che l’ha sempre
contraddistinto, in base al quale la prima si apre alla seconda solo per usarla come
mezzo di pressione nelle azioni di lotta o al più per consultarla su scelte
predeterminate. Si propone un rapporto che non sia più «di pura direzione, ma, oltre che
di partecipazione e di controllo, di confronto e di reciproca misura»
[34]
. Le scelte di politica sindacale ritrovano così il loro fondamento in
strutture espresse direttamente dai lavoratori, che ne elaborano le prime linee
direttive e insieme pongono in essere l’azione diretta a realizzarle nei confronti della
controparte. E appunto queste linee costituiscono il termine di riferimento con cui il
sindacato esterno deve misurarsi e che deve assumere come proprio per sottoporlo
eventualmente a un ulteriore processo di elaborazione in una prospettiva più vasta di
quella aziendale.
Questa nuova configurazione delle
strutture rappresentative dei lavoratori in azienda è tanto più innovativa
¶{p. 179}rispetto alla tradizione e ricca di potenzialità democratiche
in forza dei caratteri costitutivi del gruppo omogeneo, che costituisce la base
istituzionale del delegato e l’elemento determinante delle sue funzioni. La concretezza
degli interessi comuni espressi nel gruppo e il loro significato strategico, non solo
economico, ma anche politico, per la intera condizione operaia possono attribuire a
questo un valore potenziale di aggregazione e di identificazione dei suoi componenti mai
raggiunto dalle indifferenziate strutture organizzative precedenti. Tale valore è
accentuato dal fatto che l’ambito del gruppo coincide con una specifica unità
contrattuale al cui interno gli interessi dei componenti possono essere da questi
direttamente gestiti
[35]
. L’elemento unificante della collettività viene così a poggiare su dati
strutturali, connessi con la effettiva organizzazione del lavoro in azienda
[36]
, e non su un carattere meramente formale, quali si era in definitiva ridotto
il legame associativo delle SAS. Per cui la formula organizzativa espressa da tale
collettività si carica di contenuti politici ben altrimenti verificati con la realtà
produttiva, che ne costituiscono un fattore intrinseco non solo di dinamismo
rappresentativo, ma di consistenza istituzionale nei confronti delle strutture sindacali
consolidate.
Vero questo, resta però ancora da
verificare l’ambito oggettivo entro cui un simile fondamento può essere mantenuto senza
perdere di significato o addirittura senza ridursi a una illusoria forzatura. È infatti
da escludere che i presupposti per la costituzione di gruppi omogenei, riprodotti
sull’organizzazione aziendale e traenti da questa una specifica materia contrattuale e
di conflitto, possano individuarsi nella generalità delle attuali strutture
pro¶{p. 180}duttive, anche solo di grandi aziende metalmeccaniche
[37]
. È sufficiente questo per avvertire come il rinnovamento delle strutture di
base del sindacato sia lungi dal potersi attuare con una mera estensione illimitata
della nuova forma organizzativa.
In realtà, e più in generale, lo
stacco, pur indubbiamente profondo, da questa operato rispetto al passato non toglie che
rimangano aperti e anzi si ripropongano in modo più complesso alcuni quesiti cruciali
emersi dall’esperienza storica finora analizzata e da questa lasciati irrisolti. Sarebbe
pericoloso credere che la diretta connessione dei delegati con tutti i lavoratori del
gruppo e dell’unità produttiva basti di per sé sola a garantire un corretto
funzionamento democratico di questi istituti e a realizzarli quali forme di autogoverno
operaio nella fabbrica, sottraendoli da una posizione subalterna al sindacato esterno o
all’opposto da pericolose involuzioni aziendalistiche. Così come fu illusorio ritenere
che bastasse alla sezione sindacale la sua configurazione quale diretta espressione
della volontà degli iscritti. È vero che il nuovo istituto parte avvantaggiato da una
identità strutturale e funzionale, sorta dalla esperienza di lotta, che la sezione non
ha avuto per lungo tempo della sua vicenda teorica, né mai acquisito nella prassi. Ma il
problema si ripropone non appena «all’estemporaneità della lotta scapigliata» si
sostituisca (come sta già avvenendo) «l’organizzazione cosciente e responsabile della
stessa», ovvero subentri «il momento negoziale» del riconoscimento dell’istituto
[38]
.
Nei rapporti del delegato con il
gruppo, la mancanza
¶{p. 181}di un rapporto volontario, costituito
attorno a scelte politiche comuni, fra i componenti di questo può risultare alla lunga
un punto di debolezza rispetto alle vecchie formule associative e facilitare ancor più
quella dispersione di responsabilità già verificatasi negli organismi tradizionali
(specie nella CI), se il valore unificante del gruppo non si riscopre e si attiva
continuamente in una effettiva gestione comune degli interessi espressi al suo interno
[39]
. Una simile dispersione può essere addirittura facilitata dallo stesso
processo di unità sindacale, che, se elimina le chiusure e gli elementi frenanti
connessi alle divisioni associative, ne attutisce pur sempre i possibili effetti
dinamici sulla articolazione democratica dell’azione sindacale in azienda (anche se
questi non sono sempre realisticamente riscontrabili nella nostra esperienza recente).
Un correttivo istituzionale per contrastare la tendenza a una involuzione burocratica
dei delegati sta nella revocabilità programmaticamente attribuita alla loro posizione
[40]
. Ma un simile correttivo ha valore prevalentemente negativo, o addirittura
solo formale, se non è accompagnato da una effettiva presenza e controllo dei
rappresentanti nella direzione e nelle scelte del gruppo. Mentre in mancanza di queste
condizioni esso può costituire al contrario solo una ragione di instabilità e di
inferiorità della nuova struttura nei riguardi di quelle consolidate, specie delle CI e
del sindacato provinciale. In realtà appare chiaro che il mantenimento di una effettiva
articolazione democratica di questi, come di ogni organismo rappresentativo, non può
garantirsi sul mero piano delle soluzioni organizzativo-istituzionali. A queste spetta
il compito fondamentale di non creare ostacoli a {p. 182}tale
articolazione, tenendo costantemente aperti i flussi di comunicazione fra rappresentanti
e rappresentati e quindi le possibilità di un reale confronto di posizioni fra essi.
L’uso di queste possibilità e quindi il significato effettivo della formula
istituzionale non sono verificabili se non in una prospettiva più vasta, dipendendo in
modo determinante dall’intera impostazione funzionale dell’attività sindacale e dalle
scelte politiche fondamentali di cui si alimenta
[41]
.
Note
[29] Dai dati raccolti una partecipazione di fatto del consiglio o di sue delegazioni alle trattative aziendali appare essersi verificato in non più di. 6-7 aziende, mentre un vero e proprio riconoscimento dello stesso istituto quale agente contrattuale si riscontra in 4 casi.
[30] Su una simile configurazione dei delegati e dell’assemblea in presenza dei caratteri istituzionali indicati, anche nella prospettiva dell’ordinamento statale, vedi più ampiamente il mio scritto L’organizzazione sindacale, I, cit., pp. 213 sgg. Al contrario, l’inserimento dei delegati nelle strutture associative sindacali dovrebbe senz’altro riconoscersi nell’ipotesi in cui prevalesse la tendenza, sopra menzionata, a nominarli con una designazione unilaterale dello stesso sindacato o a subordinare ad essa il loro riconoscimento come agenti contrattuali. In tali casi la figura si qualificherebbe quale vero e proprio organo del sindacato territoriale, attivo nell’ambito dei poteri da questo delegatigli, secondo il tradizionale modello organizzatorio di decentramento in senso tecnico. Cfr., analogamente, in proposito Romagnoli, Sviluppi recenti della contrattazione aziendale: i delegati, cit., p. 625 e, implicitamente, Giugni, Diritto sindacale, Bari, 1969, p. 55.
[31] Così Ghezzi, Osservazioni sul metodo dell’indagine giuridica nel diritto sindacale, cit., p. 430, che definisce genericamente i delegati appunto come «espressioni, di radice assembleare, degli interessi di gruppo di lavoratori».
[32] Tale ambivalenza si esprime sul piano istituzionale nel fatto che delegati ed assemblea restano strutturalmente autonomi, ma nel contempo la loro attività integra (o si identifica con) quella del sindacato: cfr., per i delegati, Giugni, Diritto sindacale, cit., p. 55, distinguendo appunto per ciò queste ipotesi da quelle indicate alla nota 30.
[33] Così Masucci, Dall’assemblea ai delegati: una crescita di potere, in «Quaderni di Rassegna sindacale», n. 24, cit., p. 37.
[34] Ghezzi, Osservazioni sul metodo dell’indagine giuridica nel diritto sindacale, cit., p. 430.
[35] Il significato innovativo di una simile individuazione di unità contrattuali a livello infra-aziendale e di agenti espressi autonomamente dagli stessi destinatari della disciplina, risulta palese da quanto esposto nel cap. II circa la sfasatura, da sempre radicata nella nostra esperienza, fra strutture contrattuali e distribuzione di competenze all’interno dell’organizzazione sindacale.
[36] Per questa notazione, ormai comune, vedi, ad esempio, Garavini, Strutture dell’autonomia operaia sul luogo di lavoro, in «Quaderni di Rassegna sindacale», cit., p. 21 e Castellina, Il movimento dei delegati, in «Il Manifesto», 1970, n. 1, p. 22.
[37] La mancanza di simili presupposti, del resto di comune percezione, risulta generalmente sottolineata nella sommaria rilevazione condotta sulle aziende in esame. Ciò non significa comunque che anche in questi casi l’introduzione delle nuove forme organizzative non possa rappresentare genericamente uno strumento di espressione unitaria dei lavoratori più adeguato di quelli tradizionali.
[38] Le espressioni sono di Romagnoli, Sviluppi recenti della contrattazione aziendale: i delegati, cit., p. 625, che rileva la tendenza, anche storicamente verificata, di questo momento a tradursi in una « delimitazione delle competenze » dello stesso istituto e a togliergli i caratteri originari di espressione diretta della base.
[39] Inoltre il delegato non può non essere condizionato, pure in negativo, dal livello medio di coscienza politica e conflittuale del gruppo che esprime. Anche per tale ragione acquista tanto maggiore importanza la necessità di inserire o collegare la figura e la sua attività in istituti più ampi, quali il consiglio di fabbrica e le stesse strutture extra-aziendali. Simili rilievi risultano espressi sovente dagli interessati già nella nostra sommaria rilevazione; ma vedili altresì sottolineati nella recente ricerca di Aglieta, Bianchi, Merli-Brandini, I delegati operai, Roma, 1970, pp. 103 sgg.
[40] Questo carattere di revocabilità è sottolineato da quasi tutti i documenti dei metalmeccanici menzionati nel n. 1 del presente capitolo.
[41] Così, fra i molti, con particolare chiarezza, l’intervento di Ronconi, nella tavola rotonda su I nuovi strumenti del rapporto sindacatolavoratori, in «Quaderni di Rassegna sindacale», cit., p. 16.