Note
  1. Facciamo alcuni esempi: i cittadini di Paesi Terzi soggiornanti negli Stati membri dell’UE-27 rappresentavano il 5,3% della popolazione totale nel 2020 (dati aggiornati al 1o gennaio 2021). Eurostat, in quello stesso anno calcola però che essi avevano una sovrarappresentazione in alcuni settori a bassa qualificazione e retribuzione (indagine sulle forze di lavoro e classificazione ISCO-08): l’8,7% degli addetti alle pulizie e dei collaboratori; il 7,2% del personale non qualificato addetto alla ristorazione, il 6,9% del personale non qualificato addetto all’agricoltura, alle foreste e alla pesca; il 6,1% degli addetti all’edilizia e il 6,0% del personale non qualificato nei settori minerario, edile, manifatturiero e dei trasporti. Secondo Save the Children il 94% dei bambini con cittadinanza italiana accede alla scuola dell’infanzia, mentre vi accede solo il 79% dei bambini senza cittadinanza italiana, il ritardo scolastico che interessa il 9% dei ragazzi è più di tre volte tanto (30%) per gli alunni cittadini di Paesi Terzi. L’ISMU segnala che l’abbandono precoce, indagato sui 18-24enni coinvolge ancora i ragazzi e le ragazze con background migrante con il 32,1% di ELET (Early Leavers from Education and Training), ovvero in proporzione, oltre il triplo dei ragazzi e delle ragazze con cittadinanza italiana. Occorre rammentare che la stragrande maggioranza degli studenti stranieri è costituita da studenti di seconda generazione, cioè bambini e giovani nati in Italia da genitori non italiani di origine. Ringrazio Alessio Surian per la segnalazione di dati, documenti, esempi e per la continua disponibilità al confronto.
  2. Sono purtroppo evidenti assunzioni di decisioni a livelli organizzativi, locali, regionali e più ampi in cui a dichiarazioni di adesioni al paradigma formativo e alla rubricazione di finalità e obiettivi coerenti sono fatte seguire scelte operative improntate a paradigmi precedenti.
  3. Molto diffuso in Italia a partire dagli anni Cinquanta, quando già se ne vedevano limiti e crepe in altre parti del mondo, è ancora oggi presente in modo esplicito e implicito persino all’interno dei sistemi di istruzione.
  4. Con la legge 7 gennaio 1929, n. 7, venne istituito in ogni provincia un Consorzio per l’istruzione tecnica con sede presso il Consiglio provinciale dell’economia. Questi Consorzi, la cui finalità era quella di elaborare e proporre programmi scolastici mirati a livello locale, in relazione alle esigenze delle attività economiche presenti sul territorio a livello locale e nazionale, ricevevano contributi da Stato, province, comuni, associazioni professionali e da privati. Avevano personalità giuridica ed erano sottoposti alla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1977 i Consorzi sono stati soppressi: i beni e il personale sono stati trasferiti alle regioni competenti ma pare definirsi un’eccezione nel d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, art. 39: «Le relative funzioni, i beni e il personale sono trasferiti alle regioni, ad eccezione delle funzioni di orientamento scolastico che sono attribuite ai distretti scolastici», tuttavia si reperiscono leggi regionali del 1978 per le quali il personale assunto con funzione di orientatore viene trasferito, come il resto del personale, alla regione.
  5. Occorre dire che in Italia i due paradigmi dominanti, sino alla fine del secolo scorso, sono stati senza dubbio quello psico-attitudinale e quello informativo. Tanto è stato il loro peso che se ne trovano tracce evidenti in molteplici pratiche orientative odierne. L’approccio psico-attitudinale pretendeva di ottimizzare le probabilità di successo delle scelte indirizzate a specifici campi di studi o settori occupazionali verificando la corrispondenza del soggetto alle richieste del ruolo. Si parla invece di un paradigma informativo nei periodi (fine anni Settanta-fine anni Novanta) in cui l’attenzione è stata rivolta verso l’informazione, ritenuta non solo importante, ma spesso sufficiente per elaborare progetti e compiere scelte consapevoli. I temi oggetto di informazione hanno riguardato le dinamiche del mercato del lavoro, le occupazioni emergenti, le offerte formative, le tendenze occupazionali.
  6. Fin dal 1917 si svilupparono test di abilità mentale per valutare l’idoneità dei soldati impegnati nella Prima guerra mondiale. Più tardi, nel 1920, iniziarono a circolare i primi test attitudinali volti a misurare i reali interessi professionali.
  7. Parsons aveva anche sviluppato un modello in 3 fasi, legato alla propria Teoria dei tratti e dei fattori, che prevedeva una fase di conoscenza di sé stessi (ovviamente in senso attitudinale, ma con un’attenzione anche per gli interessi e i limiti), una di analisi del lavoro e delle professioni e un momento di sintesi. Vedi più oltre nel paragrafo.
  8. Un tratto è una risposta comportamentale che, a prescindere dallo stimolo che lo provoca, si ripete in maniera piuttosto costante nel tempo.
  9. Occorre precisare, tuttavia, che le intenzioni di Parsons erano straordinariamente moderne, al di là della traduzione operativa. Parsons era un ingegnere, avvocato e scrittore, diventato docente alla Boston University. Le sue lezioni e i suoi scritti si scagliavano contro il capitalismo incontrollato del tempo, e proponevano una filosofia della reciprocità che si sostituisse al capitalismo: la competizione doveva cedere il passo alla cooperazione, lo smodato desiderio di guadagno doveva essere sostituito dall’interesse e dalla preoccupazione per l’umanità. Fu protagonista di campagne per il voto alle donne e scrisse sulla necessità di rendere di proprietà pubblica aziende chiave per il welfare americano e per la loro economia. Nella parte finale della sua storia professionale e della sua vita si pose l’obiettivo di aiutare i giovani, specie quelli immigrati in alcuni distretti di Boston che ne accoglievano moltissimi (dove si trovava anche il suo Vocation Bureau), attraverso il reperimento del lavoro adeguato per loro. I giovani venivano intervistati e valutati e, sulla base degli esiti della valutazione, si fornivano loro informazioni sulle possibili scelte lavorative che avevano di fronte. Di straordinaria modernità il fatto che si facilitasse anche l’esplorazione dei propri sentimenti nei confronti del lavoro. L’interpretazione e l’utilizzo del suo lavoro non fu, probabilmente, quello che lui avrebbe auspicato nella maggior parte dei casi, anche se c’è chi lo ritiene alla base anche degli approcci di counseling orientativo.
  10. La prima parte del libro di Parsons fornisce una panoramica dei suoi «principi e metodi» per raccogliere informazioni personali dai clienti, compresi esempi dettagliati di domande da fare nell’intervista di orientamento per valutare gli interessi, le disposizioni del cliente, nonché la disponibilità o le capacità di prendere decisioni in modo adeguato. La seconda parte, dopo aver fornito informazioni e conoscenze legate alla collocazione storica, fornisce un elenco delle competenze o abilità di base che Parsons riteneva fondamentali per il successo in diverse occupazioni, individua vocazioni «particolarmente adeguate per le donne» e fornisce anche una georeferenziazione degli interessi professionali nel paese. L’ultima parte del volume racconta la storia della fondazione del Vocation Bureau. Parsons avrebbe dovuto iniziare la formazione dei consulenti professionali presso l’YMCA di Boston nell’ottobre del 1908, ma morì pochi giorni prima della prima lezione. In questa parte viene descritto anche il processo di formazione previsto, i materiali utilizzati nel lavoro. Nella parte conclusiva del volume, incoraggia i suoi lettori a sfruttare il periodo dello sviluppo e della giovinezza per contribuire a favorire la crescita globale e per preparare ad entrare nel mondo del lavoro. Parsons sostiene che solo quando la società si renderà conto del ruolo che deve rivestire nella preparazione delle generazioni future realizzerà il proprio potenziale nello sfruttare talenti e risorse dei giovani. Parsons immaginò che un giorno l’istruzione sarebbe stata il cuore della società con uffici di orientamento in ogni scuola dotati di professionisti preparati. Sebbene i metodi di gestire una consulenza di Parsons apparirebbero oggi direttivi e non centrati sull’utente, si può indubbiamente assegnargli il merito di avere, tra i primi, intuito il ruolo dell’orientamento anche rispetto a politiche inclusive e di supporto per poveri e migranti.
  11. Sintetizzando potremmo affermare che:
    – il tipo caratterologico «realistico» spinge le persone a impegnarsi in attività concrete che rafforzano le loro competenze tecniche, privilegiando ricompense e valori materiali;
    – il tipo «intellettuale» stimola gli individui a impegnarsi in attività intellettuali e li incoraggia a sviluppare competenze scientifiche contribuendo alla creazione di una visione del mondo complessa, astratta e originale;
    – il tipo «artistico» stimola gli individui a impegnarsi in attività artistiche e li porta a percepirsi come creativi, originali, non conformisti e a creare una visione del mondo non convenzionale e indipendente;
    – il tipo «sociale» stimola gli individui a impegnarsi in attività sociali e li porta a percepirsi come persone cooperative e socialmente attive che privilegiano i valori sociali, che amano gli altri e sanno comprenderli;
    – il tipo «intraprendente» presuppone un agire sugli altri al fine di raggiungere obiettivi personali o prefissati da un’organizzazione. Incoraggia competenze gestionali e a percepirsi aggressivi, popolari, sicuri di sé contribuendo a una visione del mondo in termini di status, potere e denaro;
    – il tipo «convenzionale» stimola gli individui a impegnarsi in attività convenzionali spingendoli a percepirsi come poco artistici, conformisti, metodici e a vedere il mondo in maniera semplice, stereotipata privilegiando i valori del conformismo, della dipendenza e del denaro.
    Ringrazio Giulia Mattiacci per la sintesi.
  12. Secondo il metodo ADVP i quattro compiti corrispondono a:
    – compito di esplorazione: l’individuo compie un’indagine sul sé e sulle possibilità presenti nel suo contesto;
    – compito di cristallizzazione: permette di organizzare le informazioni raccolte nella fase precedente in grandi categorie e concetti per circoscrivere il campo di ricerca;
    – compito di specificazione: il soggetto compie delle valutazioni accurate e approfondite a partire da quanto costruito nelle fasi precedenti per giungere a una progettualità e a un piano d’azione;
    – compito di realizzazione: prevede che il soggetto si faccia carico del progetto assumendosi i rischi della scelta, conoscendone gli ostacoli, sapendo progettare strategie sostitutive e anticipando esiti futuri.
  13. Qui si segna un punto di distanza da altri approcci che considerano, invece, maggiormente la funzione creativa, creatrice e di costruzione piuttosto che l’adattamento.
  14. Proviamo a dirlo in altro modo: l’orientamento narrativo propone l’utilizzo delle storie nell’accezione più ampia del termine: dai romanzi (solitamente articolati in percorsi, in «narrazioni guida» ovvero romanzi, racconti orali o più semplicemente temi articolati in sequenze narrative e legati ad esercizi e attività di riflessione, ricordo, immaginazione, scrittura, progettazione, ecc.) che costituiscono percorsi metaforici per lavorare su di sé, sulle proprie tecnologie di scelta, sulle proprie emozioni, sullo sviluppo di competenze di interpretazione, previsione, immaginazione, attribuzione e costruzione di senso, sino alle immagini, alle nuove tecnologie, ai film. In estrema sintesi potremmo affermare che in questi 25 anni sono stati costruiti percorsi e strumenti (per modalità individuali e di gruppo) utilizzando: libri, fotolinguaggi, racconti orali e letture ad alta voce, scrittura creativa, scrittura cinematografica, utilizzo di audiovisivi, canzoni, canto, utilizzo dei nuovi media. Nei percorsi di orientamento narrativo si producono, leggono, costruiscono, fruiscono testi narrativi di vario tipo: i testi, di qualunque tipo essi siano, hanno la funzione di consentire al soggetto un punto di vista particolare sulla realtà e di testualizzare la realtà così come essi la osservano, senza per questo irrigidire copioni e interpretazioni. Imparare ad ascoltare, a leggere, a interpretare, a scrivere, ad attribuire senso e significato a eventi e azioni, imparare a immaginare il futuro, imparare a governare i propri processi cognitivi ed emotivi sono competenze che, troppo spesso, sono state date per scontate o sono rimaste nell’implicito, credendo che, attraverso un lungo tirocinio di nozioni, conoscenze e apprendimenti, queste competenze si sviluppassero comunque. L’orientamento narrativo agisce contemporaneamente sul singolo soggetto e sul gruppo, perché utilizza professionisti con competenze principalmente pedagogiche/andragogiche (o comunque orientate allo sviluppo), perché ha una finalità di empowerment,perché facilita l’attivazione di risorse cognitive e comportamentali di governo dei processi di conoscenza e apprendimento, contribuendo allo sviluppo e al riconoscimento delle competenze chiave e delle life skills, perché ha un forte impatto sulle dinamiche motivazionali e relazionali, perché, infine, consente il proseguimento del lavoro anche dopo l’intervento orientativo vero e proprio attraverso percorsi anche personali di crescita e sviluppo: da quelli progettati attraverso appositi strumenti e percorsi sino ai più semplici percorsi di lettura individuale e di fruizione di altre tipologie di narrazione.