Marina Calloni (a cura di)
Pandemocrazia
DOI: 10.1401/9788815411297/c4

Capitolo quarto La comunicazione scientifica come mediazione tra esperti e cittadini. Lezioni apprese durante la pandemia, di Roberto Carradore, Andrea Cerroni e Maria Nicolaci
di Roberto Carradore, Andrea Cerroni e Maria Nicolaci. La ricerca qui presentata è l’esito di un lavoro collettivo e di un dialogo simmetrico tra gli autori. Per la stesura Andrea Cerroni è da ritenersi autore dell’Introduzione e delle Conclusioni, Roberto Carradore del paragrafo 2 e Maria Nicolaci del paragrafo 3

Notizie Autori
Roberto Carradore – dottore di ricerca in Sociologia (Scuola Normale Superiore) presso l’Università di Milano-Bicocca – ha svolto attività di ricerca come assegnista e borsista in progetti europei e regionali sulla percezione del rischio idrologico, sull’accettabilità dell’innovazione biotecnologica e sulla percezione di benessere nei percorsi di riabilitazione dei pazienti affetti da malattie croniche. I suoi principali interessi si situano nell’ambito della sociologia della conoscenza e della comunicazione e comprendono i processi di digitalizzazione e le dinamiche transdisciplinari.
Notizie Autori
Andrea Cerroni – fisico di formazione, già controller di R&S in aziende – è professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi (Università di Milano-Bicocca). Dirige il master in Comunicazione della scienza e dell’innovazione sostenibile e ha pubblicato ultimamente: Contemporary Sociological Theology. The Imagination that Rules the World (2022); Comunicazione e incertezza scientifica nella società della conoscenza. Teoria e casi studio di sociologia del rischio (con R. Carradore, 2021); Understanding the Knowledge Society. A New Paradigm in the Sociology of Knowledge (2020).
Notizie Autori
Maria Nicolaci dopo il dottorato in Fisica teorica ha svolto ricerche nel campo della fisica delle particelle, partecipando ad alcune tra le più importanti collaborazioni internazionali (come BaBar, DaΦne). A seguito di un master in Comunicazione della Scienza e contratti di ricerca presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Milano-Bicocca, la sua ricerca si è focalizzata sullo studio del rapporto fra scienza e società. Le sue principali linee di ricerca riguardano la cittadinanza scientifica, la cosiddetta «società democratica della conoscenza» e le biotecnologie.
Abstract
La pandemia ha segnato un punto di discontinuità difficilmente sopravvalutabile nei rapporti fra scienza e società civile, tanto da far parlare di fatto sociale totale da potersi iscrivere più esattamente alla categoria delle sindemie. Il ruolo dell’expertise e l’impatto sul divario di conoscenza e fiducia nel rapporto triangolare tra scienza, politica e società, è un ambito di ricerca tutt’altro che inesplorato e anzi in forte crescita negli ultimi decenni. L’evento pandemico invita a rinnovare l’attenzione soprattutto in merito all’accettabilità sociale delle soluzioni biotecnologiche a base di virus che, in confronto ai pesticidi (in agricoltura) e agli antibiotici (in medicina), possono essere rubricate nell’alveo dell’innovazione sostenibile. Non certo per la prima volta ma mai con tanta dirompente urgenza a causa di questa emergenza globale, lo scienziato è al centro dell’attenzione del decisore politico e del dibattito pubblico. Tale figura può essere definita come colui che all’interno di una comunità scientifica di riferimento individua un problema e attraverso un metodo accettato e definito produce dati, li interpreta e ricostruisce il fenomeno in studio. Nel contesto aperto dalla pandemia, qualsiasi progettualità del cambiamento non potrà esimersi dal problematizzare il rapporto tra cittadini ed esperti che, nella comunicazione pubblica e istituzionale, svolge un ruolo oggi più che mai cruciale nel processo democratico.

1. Introduzione

La pandemia ha segnato un punto di discontinuità difficilmente sopravvalutabile nei rapporti fra scienza e società civile, tanto da far parlare di fatto sociale totale [Cerroni e Carradore 2021] da potersi iscrivere più esattamente alla categoria delle sindemie, ovvero all’incrocio fra varie «patologie» non solo di origine virale, ma anche comunicativa, culturale, economica e persino politica. Durante l’esperienza pandemica abbiamo sperimentato sovrapposizioni e confusioni di significati e di competenze come forse mai prima d’ora. Ne possiamo qui affrontare solamente alcune di ordine sociologico, epistemologico e comunicazionale.
Cominciamo dalla confusione fra tre ruoli sociali assunti da portatori di conoscenza esperta che, seppure possano essere svolti dalla medesima persona, è invece importante tenere distinti quali idealtipi (weberiani): lo scienziato, l’esperto e l’intellettuale. Lo scienziato riporta alla propria comunità scientifica di riferimento, per l’individuazione e la definizione di un problema, la metodologia di produzione di dati, l’interpretazione del loro significato e la ricostruzione del fenomeno in oggetto sempre in condizioni di incertezza. L’esperto riporta, invece, al suo committente, che lo ha prescelto assegnandogli un compito, tipicamente risolvere nell’immediatezza più o meno stringente un problema già identificato e, nel caso di un committente pubblico, per {p. 84}quanto attiene al rilievo sociale del fenomeno, allo scopo di fornire soluzioni accettabili, concretamente perseguibili e confacenti agli interessi e alle finalità politiche generali del committente. L’intellettuale, a questo punto, può essere considerato colui che si fa carico dei problemi di rilevanza pubblica, assumendosi la responsabilità di fronte alla propria comunità nell’accezione più generale e al suo sviluppo storico (ad es. la nazione). Conflitti fra queste tre figure sono evidentemente possibili, anche all’interno della coscienza della stessa persona, nella situazione in cui, come avviene sempre più frequentemente, il portatore di conoscenza esperta si trova a lavorare con diversi cappelli contemporaneamente. Il semplice rinvio «agli esperti» è fuorviante, perché, se da un lato getta una luce di irrilevanza sul decisore politico, la cui abdicazione promuove un ideale tecnocratico, dall’altro occulta le scelte politiche che vengono di fatto compiute, privando la legittimazione democratica della indispensabile trasparenza delle decisioni e ammantandole di un valore epistemologico (metafisico) che la scienza non può avere.
Veniamo, dunque, alla confusione assai diffusa sulla questione epistemologica della scienza. Non essendo questa la sede per affrontare la storia della filosofia della scienza [Oldroyd 1986], assumiamo il punto di vista della sociologia della scienza [Cerroni e Simonella 2014], secondo la quale la scienza è una produzione storico-sociale rivolta alla disponibilità di modelli che non mirano al compito di «riprodurre» la realtà secondo canoni di Verità (metafisicamente intesa come corrispondenza con lo stato delle cose al di là di come se ne viene in contatto esperienziale), ma a fornire modelli per comprendere, prevedere e intervenire nel mondo dell’esperienza. Già Aristotele, rendendosi conto che l’episteme platonica non poteva trovare fondamento ultimativo dimostrato esser vero, individuò una doxa particolare, una opinione cioè che fosse qualificata in modo da fungere da base il più possibile solida, condivisa, e in ultima istanza certa. Rinviava, dunque, alla doxa di chi «abbia una mente ben costituita» (Topici VI, 4 142a) ovvero, più precisamente, a quella che valesse «per tutti o per i più o per i sapienti, e, se per questi, o per tutti o per i più o per i più noti, e che {p. 85}non è comunque contraria alla opinione comune» (Topici I, 10 104a). Potremmo dire che si tratta della opinione di tutti, nel fortunato caso in cui vi sia un consenso generale nella società, o almeno della maggioranza se sia possibile identificarla univocamente; altrimenti, bisogna ricorrere al consenso generale all’interno della comunità degli esperti o, almeno, alla loro maggioranza. Se nemmeno quest’ultimo sia possibile, è necessario fare ricorso ai massimi esperti, ovvero a coloro che più a lungo e ottenendo la maggior reputazione si sono occupati dell’argomento specifico. Questa è la sua endoxa, ovvero l’opinione più affidabile disponibile al momento dato.
Non dovendo, perciò, la comunicazione scientifica «trasmettere la Verità», di fronte a un allarme sociale essa non deve neppure cadere negli speculari errori di rassicurare o di impaurire oltre misura, come magari può essere la richiesta politica esplicitamente fattale in vista di un certo ordine sociale politicamente ritenuto auspicabile a priori. Esempio del primo caso può individuarsi nella drammatica gestione comunicativa del terremoto dell’Aquila [Greco 2012]. Esempi del secondo tipo si sono, invece, riscontrati proprio nella gestione della pandemia da Covid-19, come lamentato da psicologi sociali britannici e, da ultimo, psicologi italiani. Quando si muovono leve emotive, infatti, ci si devono aspettare risposte emotive dai singoli, generalmente amplificate nel comportamento collettivo, per loro natura di orientamento difficilmente prevedibile. Ciò accade soprattutto laddove è maggiore la problematicità dell’assegnazione della fiducia, come in contesti divisivi e ad alto contenuto di rischio «oggettivo» o soprattutto percepito, secondo le categorie di Sandman [1987]: di hazard (rischio tecnico calcolabile) oppure di outrage (rischio percepito di matrice psicologica e culturale). Devono sempre essere tenute presenti anche le soglie di tollerabilità dello stress, sia nella sua intensità, sia nella sua durata, sia nella sua pervasività nella vita quotidiana. Sorge allora l’interrogativo di quale debba essere la finalità della comunicazione scientifica in questi contesti e all’interno di quali binari per essa sia opportuno tenersi. Il pubblico, sempre plurale nella sua composizione, nelle società democratiche avanzate nella direzione della knowledge-society [Cerroni 2020] deve essere considerato composto di cittadini {p. 86}adulti ai quali vanno innanzi tutto fornite informazioni utili a fare scelte individuali più condivisibili nel loro comporsi a livello aggregato, in un clima che aiuti sia la riflessione sia la equa considerazione delle esigenze pratiche nelle quali ciascuno si viene effettivamente a trovare. La comunicazione scientifica deve contribuire, insomma, a fare comunità e a questo scopo, come vedremo, diviene necessaria una quarta figura, idealtipica come le tre precedenti, ma con connotazioni tanto fortemente professionali da disegnare una vera e propria professione, il mediatore della conoscenza.
Diviene dunque utile anche allo scienziato considerare come funziona l’immaginazione pubblica: la prenderemo ora in considerazione nel caso dell’innovazione biotecnologica basata su virus che abbiamo potuto sperimentare proprio durante una pandemia.

2. Cittadini ed esperti davanti all’innovazione biotecnologica basata sui virus

Il ruolo dell’expertise e l’impatto sul divario di conoscenza e fiducia nel rapporto triangolare tra scienza, politica e società, è un ambito di ricerca tutt’altro che inesplorato e anzi in forte crescita negli ultimi decenni [Pellizzoni 2011; Hess 2016]. L’evento pandemico invita a rinnovare l’attenzione soprattutto in merito all’accettabilità sociale delle soluzioni biotecnologiche a base di virus che, in confronto ai pesticidi (in agricoltura) e agli antibiotici (in medicina), possono essere rubricate nell’alveo dell’innovazione sostenibile.
Tra la primavera del 2018 e l’autunno del 2021 ha avuto luogo il progetto di ricerca di H2020 «Viroplant», volto a «trasformare [i] virus in agenti di biocontrollo per combattere batteri, funghi e insetti che attaccano le colture [al fine di] ridurre la nostra dipendenza dalle sostanze chimiche e aprire le porte a pesticidi di prossima generazione» [1]
. Accanto all’obiettivo di sviluppare soluzioni di lotta biologica (biocon
trol
) a base di virus in linea con un orientamento europeo sempre più volto a ridurre l’uso di pesticidi chimici in agricoltura [Bozzini 2017], in fase di progettazione è stata posta l’opportunità di indagarne l’accettazione sociale sia in vista di una nuova regolamentazione sia per impostare strategie efficaci di comunicazione. L’inserto sociologico all’interno di un progetto biotecnologico si basa su un divario di conoscenza attorno alla nozione di «virus». Nel senso comune, il virus come oggetto comunicativo è connotato negativamente, anche in ragione della stessa scelta del termine «virus» (dall’etimo latino vira, ossia veleno) impiegato da F. Macfarlane Burnet nella sua opera I virus e l’uomo [1960] per indicare un microrganismo responsabile di una malattia e capace di crescere solo all’interno di cellule viventi di un ospite. Nelle sue rappresentazioni mediatiche, il virus richiama l’immagine di un’entità visibile soltanto attraverso apparecchiature sofisticate e complesse (come il microscopio elettronico o il test Pcr), responsabile di scenari di diffusione incontrollata e letale (la pandemia). Nel secolo scorso, parallelamente a una virologia impegnata nel contrasto dei virus reputati responsabili delle malattie umane, animali e vegetali, e che riscuoteva successi e riconoscimenti pubblici importanti (ad es. i premi Nobel per la medicina del 1954 a Elders, Weller e Robbins, scopritori del virus della poliomielite), importanti scoperte misero in luce relazioni di mutuo aiuto, o simbiosi mutualistica [Pradeu 2016] tra virus e organismo ospitante, consentendo una revisione nella denotazione e nella connotazione del virus [Carradore 2021]. Tuttavia, la scoperta della non letalità e dell’importanza ecologica di alcune classi di virus per lo sviluppo cellulare (come nel caso dello sviluppo della placenta umana), nonostante alcuni pregevoli tentativi di divulgazione scientifica, come nel caso di Uomini e virus di Guido Silvestri [2021] [2]
, è rimasta una conoscenza pressoché relegata all’ambito specialistico.
{p. 88}
Note
[1] Per ulteriori informazioni: https://cordis.europa.eu/project/id/773567 (ultimo accesso il 4 novembre 2022).
[2] La monografia era già uscita nel 2019 con il titolo Il virus buono, un titolo che, per quanto in linea con la volontà di disseminare nell’opinione pubblica il cambio di paradigma, nel 2021 poteva risultare agli occhi dei lettori non esperti inappropriato a causa della perdurante pandemia.