Pandemocrazia
DOI: 10.1401/9788815411297/c5
Capitolo quinto Nuove dimensioni della sfera pubblica tra reale e virtuale. La pandemia e il cambiamento delle visioni del mondo, di Maria Calloni
Notizie Autori
Marina Calloni è professoressa ordinaria di Filosofia politica e sociale
presso l’Università di Milano-Bicocca. Ha insegnato e svolto ricerche in
numerosi Paesi, collaborando con università, associazioni e istituzioni
sovranazionali. È presidente della Società Italiana di Teoria Critica. Dirige il
centro di ricerca Adv – Against Domestic Violence e l’academic network Unire. Ha
pubblicato molteplici lavori scientifici in diverse lingue, concernenti diritti
umani, democrazia e conflitti, studi di genere, critica della violenza, sfera
pubblica. Nel 2020 è stata nominata dal presidente Sergio Mattarella Ufficiale
dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Abstract
L’apparizione silenziosa ma letale del Covid-19 ha causato morti e scompiglio
nelle vite di miliardi di persone, creato disorientamento nella vita pubblica,
scombinato saperi consolidati, prodotto misinformazione/disinformazione, provocato
disaffezione verso la comunicazione scientifica, radicalizzato la sfiducia dei
cittadini verso le istituzioni, così come esplicitato nei capitoli precedenti. Una
volta «superato» nel post-secolarismo il mondo trascendente della metafisica (intesa
come la «vera realtà» rispetto al contingente), ci troviamo oggi a convivere con uno
spazio duplicato. La compresenza quotidiana dello spazio virtuale di Internet con la
realtà materiale dei «dati di fatto» ha senza dubbio aperto nuovi campi di
comunicazione e di libertà nella costruzione di reti e di connessioni a distanza,
creando nuove opportunità, conoscenze, legami e dialogo fra culture differenti. Il
Coronavirus è stato raffigurato come un nemico senza corpo da cui difendersi grazie
a mascherine e vaccini. Accanto a linguaggi moderni vengono riattualizzate immagini
distopiche di pestilenze del passato, che avevano denotato cesure epocali a livello
culturale, economico e politico e non solo sanitario, inaugurando nuove epoche
«civilizzanti». La comunicazione pubblica si è rivelata spesso contraddittoria,
frantumata e incoerente per via della necessità di affrontare policrisi e
pluriemergenze. Tale insicurezza ha rafforzato nei cittadini una maggiore dipendenza
da un mondo parallelo, dove trovare potenziali risposte alle proprie domande,
socialità e rifugio. Siamo tutti interconnessi. Nessuno è al sicuro o libero finché
tutti non lo sono. Bisogna salvare le relazioni, da quelle climatiche a quelle
umane, contro nuove barriere che la pandemia ha contribuito a rafforzare, piuttosto
che ad affievolire. Bisogna progettare nuove visioni e capacità interpretative,
proprio perché la pandemia ha messo in crisi i nostri stessi modi di pensare,
lavorare, vivere, agire.
1. Introduzione. Discorso pubblico in cambiamento
L’apparizione silenziosa ma letale
del Covid-19 ha causato morti e scompiglio nelle vite di miliardi di persone, creato
disorientamento nella vita pubblica, scombinato saperi consolidati, prodotto
misinformazione/disinformazione, provocato disaffezione verso la comunicazione
scientifica, radicalizzato la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni, così come
esplicitato nei capitoli precedenti.
Durante la pandemia, l’obbligo del
distanziamento fisico fra persone ha contribuito a potenziare il dislocamento in realtà
virtuali, secondo un doppio movimento, solitario e insieme socializzante, creando una
sorta di comfort zone dove potersi rifugiare per preservare la
propria identità e con essa il proprio corpo, sottraendolo al pericolo inatteso di una
possibile malattia o morte. La vita on e offline viene confusa in uno spazio e in un
tempo sospesi.
Sono così nate nuove forme di
storytelling, enfatizzate dall’uso polivalente dei social media
e in particolare dall’utilizzo di Facebook, Twitter, TikTok e Instagram. Nella
narrazione virtuale, l’autore ha la possibilità di diventare protagonista dei propri
contenuti, resi immediatamente fruibili nella vasta arena dei partecipanti, senza che la
mediazione di filtri comprovanti, verifiche empiriche o riscontri scientifici possano
limitare la sua azione, salvo in casi legalmente perseguibili. La «verità fattuale»
viene messa in dubbio da prove non suffragabili, come vedremo nel caso della
conflittuale «comprensione» della pandemia.¶{p. 106}
L’arena pubblica viene affollata da
argomenti a cui ognuno vuol credere e a cui ritorna per confermare la propria
convinzione iniziale. L’opinione viene precostituita sulla base delle aspettative e
delle presunte certezze individuali, in modo da rafforzare l’identità personale e
l’appartenenza comunitaria, precludendo l’apertura a posizioni alternative. Anche nel
caso della pandemia, le fake news sono nate da convinzioni emerse
in circoli ristretti, per poi proliferare attraverso le echo
chambers e le filter bubbles. Il riconoscimento
dell’autoinganno come falsa credenza (self-deception) [Galeotti
2018] diventa più complesso, poiché la struttura monolitica e la conferma consolatoria
della comunità frequentata non danno adito ad alcun dubbio. La struttura della
comunicazione dei social media è infatti di tipo anaforico, ovvero ripetitivo, per cui
se da una parte i messaggi replicati convincono l’utente, dall’altra parte impediscono
una coerenza argomentativa del discorso, tant’è che diventa difficile conseguire un
accordo su argomenti di interesse comune.
Sulla base di tali riflessioni,
vorrei soffermarmi sulla seguente domanda, ovvero se e come l’utilizzo di Internet
nell’età delle poliemergenze globali, manifestatesi con la pandemia – qui intesa come
sindemia, vale a dire come un insieme di problemi di salute che
si intersecano con questioni ambientali, sociali, politiche ed economiche [Horton 2020]
– abbia contribuito a mutare consolidate interpretazioni del mondo, determinando un
cambiamento nell’agire personale e collettivo con un impatto sulle forme stesse di vita
[Jaeggi 2022].
Il presente contributo si svilupperà
quindi secondo due principali linee tematiche: da una parte riguarderà il cambiamento
delle visioni del mondo e degli immaginari sociali a seguito del crescente utilizzo dei
social media durante la crisi sindemica; dall’altra parte concernerà il mutamento di
precedenti paradigmi scientifici in relazione al crescente squilibrio tra le diverse
sfere di valore e gli ambiti epistemici – anche per via dello sviluppo dell’intelligenza
artificiale – secondo un approccio di politica immaginale [Bottici 2014]. Al fine di
esplicitare meglio tali aspetti, farò riferimento ai casi del negazionismo e del
complottismo, nella trasformazione ¶{p. 107}stessa dell’idea di libertà,
nel mutamento della tradizionale sfera pubblica e nella formazione di una «democrazia
dei micro-pubblici».
2. Visioni e narrazioni nel bi-mondo
Una volta «superato» nel
post-secolarismo il mondo trascendente della metafisica (intesa come la «vera realtà»
rispetto al contingente), ci troviamo oggi a convivere con uno spazio duplicato. La
compresenza quotidiana dello spazio virtuale di Internet con la realtà materiale dei
«dati di fatto» ha senza dubbio aperto nuovi campi di comunicazione e di libertà nella
costruzione di reti e di connessioni a distanza, creando nuove opportunità, conoscenze,
legami e dialogo fra culture differenti. Al lato positivo si affiancano tuttavia
elementi negativi che riguardano frodi, molestie, minacce, disinformazione, attacchi
cibernetici, violazione dei dati in una società della sorveglianza [Zuboff 2019]. Come
per tutte le prassi umane, anche la tecnologia e il suo uso vanno governati, ma anche
compresi nel loro impatto psicologico e gnoseologico, dalle forti ripercussioni
culturali e sociali.
La libertà di espressione via
Internet ha indotto inediti legami tra fantasia (quale capacità di costruire oggetti
senza un diretto riferimento a dati di realtà), immaginazione (quale «facoltà di
rappresentare un oggetto anche senza la sua presenza nell’intuizione», secondo Kant) e
visioni del mondo (intese quali rappresentazioni sociali, utilizzate per interpretare le
«cose nel mondo», orientare l’azione personale, permettere la mobilitazione pubblica).
La pandemia – quale accadimento inatteso, sconosciuto e rimosso – ha contribuito ad
accelerare [Rosa 2015] il cambiamento di tradizionali paradigmi conoscitivi, per via del
ruolo sovversivo che le immagini del mondo virtuale giocano sulle convinzioni
individuali e sulle credenze collettive a livello sia mentale che pragmatico.
Con Internet, la tradizionale idea
di Weltanschauung ha subito un’intrinseca trasformazione rispetto
alle precedenti interpretazioni date nella storia della filosofia (Kant, Jaspers o
contraddette da Heidegger), della psicologia (Freud e ¶{p. 108}Jung) e
della sociologia (Weber), dal momento che vengono costruite immagini in uno spazio
non-solo-mentale. La traduzione italiana di Weltanschauung
(«immagine del mondo») non rende tuttavia appieno il significato tedesco che rimanda
alla necessità che i soggetti o i gruppi sociali hanno sia di comprendere le «cose nel
mondo» nel loro insieme e nella molteplicità dei fenomeni che le compongono, sia di
interpretarle secondo valori condivisi, capaci di dare senso e orientamento alla loro
vita nella sfera sia privata che pubblica. Come afferma Blumenberg, l’immagine del mondo
è la «quintessenza della realtà nella quale e per la quale l’uomo comprende sé stesso,
orienta le sue valutazioni e i suoi obiettivi pratici, afferra le sue possibilità e le
sue necessità e si progetta nei suoi bisogni essenziali» [Blumenberg 2001, 15]. Il mondo
viene così rappresentato attraverso «visioni» – Weltbilder – che
diventano oggetto di pratiche narrative, simboli e tradizioni, sedimentate nella
Lebenswelt, quale orizzonte di senso per l’individuo. Tale
sfondo «culturale» diventa costitutivo per la formazione della conoscenza, del dibattito
pubblico e della politica.
Accanto all’idea di visioni e
immagini del mondo vi è il concetto di immaginari sociali, come teorizzato da Taylor
[2005]. Nella ricerca sulle radici dell’«ontologia dell’umano», Taylor si interroga
sulla funzione identitaria e sull’impatto mobilitante che credenze collettive hanno
sulla vita pubblica e sull’esistenza personale in un comune spazio sociopolitico. Se
Taylor sostiene una concezione intrinsecamente emancipativa degli immaginari collettivi,
la pandemia è stata piuttosto il vettore di nuovi immaginari distopici, negazionisti e
complottisti secondo una nuova percezione della paura [Nussbaum 2020], tali da mutare
tanto precedenti modalità di narrazione scientifica, filosofica, artistica, sociale,
quanto l’andamento stesso del dibattito e della mobilitazione pubblica.
Se fino all’invenzione di Internet,
le immagini del mondo si riferivano al mondo tangibile e a uno spazio fisicamente
percettibile, l’immensità dello spazio digitale permette ora la costruzione di nuove
entità verosimili. Il «bi-mondo», dato dalla connessione e sovrapposizione fra una
datità fattuale e un’entità virtuale (che potenzia altresì l’esperienza
senso¶{p. 109}riale), è venuto a creare nuovi immaginari e narrazioni
che si fortificano nello spazio di Internet, rafforzando spesso previe convinzioni già
date. La presenza del Coronavirus ha così determinato un’inedita dialettica e tensione
tra la datità materiale del morbo e la sua rappresentazione/interpretazione
reale/virtuale.
3. L’antropomorfizzazione del virus come «nemico» tra paura, pericolo e rischio
Nella tradizione biblica, letteraria
e filosofica, gli immaginari della paura sono perlopiù connessi a pericolosi mostri che
minano la sicurezza umana e personificano la forza demoniaca. La memoria del male
ricorda la vittoria sul terrore scampato. Nell’età post-secolare non si menziona più la
punizione divina o il perché del male nel mondo secondo la teodicea. Si evoca bensì un
«maligno» che ha cause umane ben precise. La narrazione del contagio di Covid-19 evoca
antichi miti accanto a nuovi immaginari distopici, nel tentativo di nominare lo
«sconosciuto» che «viene da lontano» e che va combattuto perché si è aggrediti.
Il pittogramma raffigura il Covid-19
come una sfera grigia dagli aculei rossi. È un avversario micidiale. È un agente
infettivo parassitario che si riproduce solo se è all’interno di cellule viventi.
Devasta i corpi che gli permettono di sopravvivere, replicandosi. Ogni luogo viene
contaminato. La peste portava segni devastanti. Il Coronavirus è più subdolo perché
colpisce senza lasciare traccia di ferite esteriori.
Date le difficoltà di definire lo
«sconosciuto», nella comunicazione pubblica il racconto del virus è stato semplificato
tramite l’utilizzo della metafora facilmente comprensibile della guerra [Marino 2021]: è
un «nemico», un’entità naturale dalle sembianze quasi umane. Così lo spiega il
segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres:
The fury of the virus illustrates the folly of war. […] It is time to put armed conflict on lockdown and focus together on the true fight of our lives […] We have declared war on nature,¶{p. 110}and nature is striking back. Science is succeeding – but solidarity is failing [Guterres 2020].