Pandemocrazia
DOI: 10.1401/9788815411297/c4
Tra la primavera del 2018 e l’autunno
del 2021 ha avuto luogo il progetto di ricerca di H2020 «Viroplant», volto a
«trasformare [i] virus in agenti di biocontrollo per combattere batteri, funghi e
insetti che attaccano le colture [al fine di] ridurre la nostra dipendenza dalle
sostanze chimiche e aprire le porte a pesticidi di prossima generazione»
[1]
. Accanto all’obiettivo di sviluppare soluzioni di lotta biologica
(biocontrol) a base di virus in linea
con un orientamento europeo sempre più volto a ridurre l’uso di pesticidi chimici in
agricoltura [Bozzini 2017], in fase di progettazione è stata posta l’opportunità di
indagarne l’accettazione sociale sia in vista di una nuova regolamentazione sia per
impostare strategie efficaci di comunicazione. L’inserto sociologico all’interno di un
progetto biotecnologico si basa su un divario di conoscenza attorno alla nozione di
«virus». Nel senso comune, il virus come oggetto comunicativo è connotato negativamente,
anche in ragione della stessa scelta del termine «virus» (dall’etimo latino
vira, ossia veleno) impiegato da F. Macfarlane Burnet nella sua
opera I virus e l’uomo [1960] per indicare un microrganismo
responsabile di una malattia e capace di crescere solo all’interno di cellule viventi di
un ospite. Nelle sue rappresentazioni mediatiche, il virus richiama l’immagine di
un’entità visibile soltanto attraverso apparecchiature sofisticate e complesse (come il
microscopio elettronico o il test Pcr), responsabile di scenari di diffusione
incontrollata e letale (la pandemia). Nel secolo scorso, parallelamente a una virologia
impegnata nel contrasto dei virus reputati responsabili delle malattie umane, animali e
vegetali, e che riscuoteva successi e riconoscimenti pubblici importanti (ad es. i premi
Nobel per la medicina del 1954 a Elders, Weller e Robbins, scopritori del virus della
poliomielite), importanti scoperte misero in luce relazioni di mutuo aiuto, o
simbiosi mutualistica [Pradeu 2016] tra virus e organismo
ospitante, consentendo una revisione nella denotazione e nella connotazione del virus
[Carradore 2021]. Tuttavia, la scoperta della non letalità e dell’importanza ecologica
di alcune classi di virus per lo sviluppo cellulare (come nel caso dello sviluppo della
placenta umana), nonostante alcuni pregevoli tentativi di divulgazione scientifica, come
nel caso di Uomini e virus di Guido Silvestri [2021]
[2]
, è rimasta una conoscenza pressoché relegata all’ambito
specialistico.
¶{p. 88}
L’indagine sociologica
sull’accettazione dell’innovazione biotecnologica basata sui virus ha cercato dunque di
tematizzare tale divario di conoscenza. Incrociando gli strumenti dell’analisi
sociologica del rischio [Cerroni e Carradore 2021] con quelli della sociologia
dell’ignoranza [Gross 2010], ci siamo inizialmente orientati verso il confronto tra il
punto di vista degli esperti, ricercatori e comunicatori scientifici, e quello dei
cittadini cosiddetti «non esperti» sui presupposti culturali
dell’innovazione. L’impianto metodologico prevedeva una forte dialettica tra le voci
degli esperti (coinvolti in un panel Delphi) e le voci dei
cittadini (coinvolti attraverso focus group creativi)
[3]
. Tuttavia, la diffusione delle prime notizie dell’epidemia in Cina e
l’arrivo dei primi casi di Covid-19 e del lockdown in Italia hanno modificato
drasticamente l’oggetto stesso della nostra ricerca, ponendo il «virus» da oggetto
relativamente stabile e dato per scontato a centro della ricerca
scientifica, dell’agenda
decisionale e del dibattito pubblico. Centralità che
si riversarono al livello della vita quotidiana dei cittadini, nell’organizzazione e
gestione pratica del rischio del contagio così come nell’adeguamento della vita
economica e della socialità alle nuove condizioni del distanziamento sociale.
Elaborando, diffondendo, in alcuni casi dubitando della qualità conoscitiva delle
informazioni diffuse, ogni soggetto del flusso comunicativo ha contribuito ad ampliare
la costellazione semantica e simbolica del concetto di virus. Così, cittadini ed esperti
ben presto si trovarono a fronteggiare una nuova sfida: quella del virus
dell’infodemia
[4]
[Carradore e Torriani 2021].
Posizionandosi il nostro oggetto di
ricerca nell’intersezione tra scienza-politica-società, ovvero al
centro dell’emergenza, abbiamo deciso di approfondire i
presupposti ¶{p. 89}sociocomunicativi (ossia
dipendenti dal posizionamento degli individui in uno spazio pubblico fortemente
dinamizzato da decisioni istantanee più o meno sostenute dal parere degli esperti)
dell’innovazione nella prospettiva storica di quanto andava accadendo nella
comunicazione pandemica. Oltre alle questioni più specificamente legate alla
comprensione e alla costruzione di senso attorno all’innovazione biotecnologica, abbiamo
interrogato cittadini ed esperti anche sul divario di conoscenza e sulle possibili vie
per ridurre tale distanza.
2.1. I cittadini
Nei cinque focus group che hanno
visto la partecipazione complessiva di 35 cittadini
[5]
abbiamo svolto due attività: la prima prevedeva la discussione di tre
ipotetici prodotti a base di virus impiegabili per la cura di alcune malattie delle
piante; la seconda era volta all’individuazione delle figure più adatte, dal punto
di vista della credibilità, a comunicare l’innovazione in questione. Ciascuna figura
è stata descritta evidenziando potenzialità e ambiguità e individuando la qualità
specifica di cui si fa portatrice: professori universitari e comunicatori
scientifici come portatori di conoscenza scientifica;
professori universitari e tecnici professionisti del settore pubblico come portatori
di un’etica professionale orientata verso principi di
correttezza e di integrità pubblica; agronomi e farmacisti portatori di
esperienza pratica (effettiva o potenziale) in relazione
all’utilizzo delle tecnologie presentate; politici e influencer portatori di
capacità comunicative, in grado di raggiungere un grande
numero di persone e di influenzarle efficacemente esprimendo i contenuti in modo
preciso e comprensibile. Nello svolgimento di tale attività, frequenti
¶{p. 90}sono stati i riferimenti al «pubblico italiano», descritto
come una «massa» e qualificato come «volubile», «suscettibile alla manipolazione»,
che fa «scelte istintive ed errate». Rispetto all’inerzia e alla vulnerabilità del
pubblico-massa dinnanzi alla comunicazione scientifica e dell’innovazione, quasi la
totalità dei partecipanti ha mostrato un atteggiamento generale di impotenza, se non
di rassegnazione.
A distanza di qualche mese,
nell’autunno del 2020, abbiamo potuto realizzare otto interviste di follow
up per indagare come i mesi di lockdown avessero impattato sulla
percezione del rischio e sulle rappresentazioni dell’innovazione. Dalle interviste
abbiamo potuto osservare come l’associazione virus = veleno e quindi morte, già
esistente in epoca prepandemica, sembra essersi saldata indissolubilmente rendendo
inopportuno qualsiasi sforzo comunicativo in senso contrario. Alcuni partecipanti,
che nel setting del focus group avevano dimostrato un atteggiamento di apertura
favorevole all’introduzione di prodotti a base di virus in agricoltura, alla luce
dell’esperienza pandemico-infodemica hanno dichiarato di aver cambiato idea.
L’accettabilità pare essere mutata poiché sono venuti meno i presupposti non
scientifici o culturali, ma sociocomunicativi per avviare il processo
dell’innovazione, almeno sul breve periodo.
Io come persona amo molto che la ricerca non si fermi mai e che possa anche percorrere strade particolari. Ma questa questione del Covid-19 è un argomento che in fondo spaventa, perché abbiamo scoperto proprio con questa emergenza che siamo estremamente fragili. Crediamo di conoscere, di avere in mano chissà che cosa e poi basta un virus per metterci a terra, da tutti i punti di vista, non solo sanitario (donna di 60 anni, bassa istruzione, residente in città).
Davanti a un’innovazione
sostenibile (secondo le evidenze scientifiche attuali) basata su un oggetto, però,
fortemente connotato negativamente, i cittadini esprimono un generale atteggiamento
di cautela se non proprio di avversione nella misura in cui, al contempo, si
percepisce un clima d’opinione affaticato
dall’iper-visibilità dell’oggetto comunicativo «virus». In
questo scenario, che sarebbe errato definire di ¶{p. 91}chiusura
aprioristica, il ruolo degli esperti chiamati a comunicare l’innovazione diventa
cruciale. Sancita la rilevanza del compito e del ruolo, occorre indagare i
presupposti per sviluppare una comunicazione efficace. Cambiando lato della
relazione, vedremo ora come gli esperti definiscono la situazione del rapporto dei
cittadini italiani con la scienza e gli scienziati, approfondendo i fattori
determinanti, gli spazi immaginati per intervenire e le risorse da mobilitare.
2.2. Gli esperti
Il punto di vista degli esperti
è stato raccolto attraverso un panel Delphi svoltosi in tre
cicli (ciascuno composto da quattro round di domande) tra l’autunno del 2019 e
l’estate del 2021
[6]
con un totale di 22 partecipanti, comprendenti imprenditori agricoli
(A), giornalisti e comunicatori della scienza (G), professori universitari in
agronomia, economia agraria e biotecnologie (P), biotecnologi (R), consulenti e
manager in ambito farmacologico e biotecnologico (C)
[7]
.
Per avviare la riflessione è
stata posta una domanda sulla percezione dell’atteggiamento degli italiani nei
confronti della scienza e della tecnologia. Le risposte più frequenti si collocano
lungo il continuum fiducia-sfiducia. Le posizioni negative più estreme definiscono
il pubblico «principalmente disinteressato e supponente» (A6.D2.1): gli italiani
sarebbero «molto lontani dall’essere consapevoli che il livello di benessere oggi
raggiunto sia dovuto principalmente ai passi da gigante fatti dalla scienza»
(A4.D2.1). L’atteggiamento «refrattario» nei confronti della scienza viene
ricondotto alla mancanza di cultura, mentre la «passività» alla percezione
dell’autorità:¶{p. 92}
Il cosiddetto «rifiuto della scienza» di cui si parla (vaccini, 5G, ecc.) spesso è in realtà rifiuto di una certa autorità percepita come ostile, per una varietà di ragioni. Spesso (è senz’altro il caso dei vaccini) c’è una lunga storia dietro. La tendenza opposta è quella «tecno-ottimista» secondo cui scienza e tecnologia potrebbero creare il migliore dei mondi possibili, se solo ne avessero la possibilità. L’autorità in questo caso è idolatrata in modo acritico, la fiducia è più simile alla fede (G1.D2.1).
La passività può presentare un
lato positivo nella misura in cui si combina con le attese del decisore
tecnocratico, ma anche un lato negativo nel ridurre la fiducia (che implica un
insieme di fattori razionali e di ragionevolezza) all’atteggiamento fideistico nei
confronti della scienza e della figura degli scienziati. Di fronte all’incertezza o
a decisioni basate sul parere esperto che poi risultano inefficaci o portatrici di
un aumento di incertezza e pericolo, si apre lo spazio per un sospetto generalizzato
o per tentativi di riappropriazione della conoscenza esperta bypassando l’autorità
deputata come competente. Il cuore del problema pare consistere nella difficoltà di
comunicare in modo aperto e paritario con il pubblico:
da una parte si richiedono agli scienziati granitiche certezze (anche quando ci si trova di fronte a una situazione in evoluzione e in merito alla quale mancano ancora solidi dati), che la scienza per definizione non può fornire, come se ci si trovasse di fronte a un oracolo, non al metodo scientifico; dall’altra cresce la diffidenza verso la scienza e la tecnologia, così come verso gli «esperti», con una progressiva tendenza a una sorta di disintermediazione, accompagnata dal rinforzo di una mitologia relativa a un presunto ritorno alla natura, vista come madre benigna e alla decrescita felice (G3.D2.1).
Frequenti sono i riferimenti a
termini quali «ignoranza», «deficit cognitivo», «pregiudizi» che caratterizzano
«buona parte» della cittadinanza. Le nozioni più elementari come «la differenza tra
virus e batteri [o la] composizione della molecola dell’acqua non sembrano
appartenere al patrimonio culturale comune condiviso» (G4.D2.1). Tra le possibili
cause o fattori che influenzano la persistenza e la riproduzione di
¶{p. 93}tali non-conoscenze, vi sarebbero «la mancanza generalizzata
di trasparenza, unita a uno stile comunicativo paternalistico/autoritario» (G1.D2.2)
da parte di scienziati e divulgatori; il «clima medievale attualmente presente in
Italia» (A4.D2.2) unito all’influenza della Chiesa, e a una «politica italiana [che]
è stata profondamente antiscientifica, influenzando inevitabilmente le informazioni
e gli investimenti fatti nel nostro Paese» (A6.D2.2). La dimensione politica
dell’impresa scientifica è esplicitata in quanto la scienza è «uno dei poteri con
cui il cittadino ha a che fare» (G2.D2.2).
Note
[1] Per ulteriori informazioni: https://cordis.europa.eu/project/id/773567 (ultimo accesso il 4 novembre 2022).
[2] La monografia era già uscita nel 2019 con il titolo Il virus buono, un titolo che, per quanto in linea con la volontà di disseminare nell’opinione pubblica il cambio di paradigma, nel 2021 poteva risultare agli occhi dei lettori non esperti inappropriato a causa della perdurante pandemia.
[3] Per ulteriori dettagli si rinvia a Carradore, Tonoli e Cerroni [2021].
[4] L’infodemia, al di là delle criticità sociocomunicative legate al suo impiego [Simon e Camargo 2021], evidenzia una problematica diffusa nell’uso e nell’interpretazione corretta dei dati numerici e dei concetti statistici (ad es. «esponenziale» ed «Rt») al di fuori dei confini del campo della statistica. Sull’urgenza non solo di una data literacy ma anche di una statistical literacy si rinvia al contributo di Mecatti e Romio nel presente volume.
[5] Secondo l’impianto originale si sarebbero dovuti realizzare sei focus group tra l’autunno del 2019 e la primavera del 2020 suddivisi in due sottogruppi: residenti in città e residenti in periferia/campagna. Il distanziamento sociale ha impedito la realizzazione dell’ultimo focus group nel marzo 2020. Per ulteriori dettagli metodologici si rinvia a Carradore, Grigis e Rella [2021].
[6] Il primo Delphi è durato dal 21 novembre 2019 al 7 marzo 2020; il secondo dal 16 aprile al 7 luglio 2020; il terzo dal 1° giugno al 27 luglio 2021.
[7] Il codice usato a garanzia dell’anonimato dei partecipanti è il seguente: «P1.D1.1» indica il Professore 1 nel primo ciclo Delphi che risponde al primo round di domande.