Marina Calloni (a cura di)
Pandemocrazia
DOI: 10.1401/9788815411297/c1
Tra gli effetti negativi scaturiti dall’emergenza sanitaria sulle condizioni di vita e sul benessere delle famiglie un
{p. 27}posto non secondario è occupato dalla rinuncia ad avere figli: i nati nella popolazione residente sono diminuiti del 3,8% rispetto al 2019 e il calo è particolarmente evidente nei mesi di novembre (−8,2% rispetto allo stesso mese dell’anno prima) e dicembre (−10,3%), risultato dei mancati concepimenti nei primi mesi dell’ondata pandemica. La diminuzione persiste nei mesi di gennaio e febbraio 2021 (rispettivamente −14% e −4,7% rispetto agli stessi mesi del 2020), mesi le cui nascite sono riferibili a concepimenti avvenuti tra aprile e maggio 2020 [Istat 2021f]. L’effetto della pandemia sui nuovi concepimenti si osserva su tutto il territorio nazionale nonostante la crisi abbia colpito diversamente le regioni italiane [Blangiardo 2021]. Ciò sembra dipendere dalla scelta di numerose coppie di posticipare la genitorialità per paura di contrarre il virus durante la gravidanza, per il timore di frequentare le strutture ospedaliere in un momento di sovraccarico del sistema sanitario e per la percezione di non essere in grado di assicurare il benessere economico di fronte a una nuova nascita [Arpino, Luppi e Rosina 2021; Guetto, Bazzani e Vignoli 2020]. Questi altri autori confermano la relazione tra l’aver subito lo shock economico (perdita del lavoro, perdita di una fonte di reddito, diminuzione del reddito) e la rinuncia ad avere un figlio. La fascia di popolazione più colpita è quella dei giovani con meno di 30 anni e con un livello di istruzione inferiore alla laurea, riferibile alla popolazione che maggiormente ha sofferto delle difficoltà economiche derivanti dalla pandemia [Luppi, Arpino e Rosina 2020].
La rinuncia temporanea ad avere figli costituisce un importante indicatore dell’insicurezza con la quale le persone progettano il futuro [Arpino, Luppi e Rosina 2021] e i dati Istat relativi al giudizio che italiani e italiane danno delle proprie prospettive future sembrano confermare questa preoccupazione: nel 2020 è scesa, infatti, al 28% (dal 30% del 2019) la già ridotta porzione di popolazione che guarda con ottimismo al futuro mentre, parallelamente, è aumentata la percentuale di persone che nutre aspettative negative [Istat 2021b]. I timori riguardano la fragilità sanitaria, quella economico-lavorativa e il non poter tornare a vivere una vita {p. 28}come quella precedente [Codagnone et al. 2021]. Anche in questo caso l’incertezza economica sembra avere avuto un ruolo dominante: il pessimismo, infatti, è stato più intenso fra le persone in età lavorativa e, in particolar modo, per lavoratrici e lavoratori autonomi [Istat 2021b].
Altre prove di un diffuso sentimento di insicurezza verso il futuro emergono dai dati della Banca d’Italia, che nel corso del 2020 ha rilevato un’impennata nei comportamenti di risparmio di singoli e famiglie, giustificata in primo luogo dalla sensazione di incertezza nei confronti della situazione economica futura [Ercolani, Guglielmetti e Rondinelli 2021]. La stessa Banca d’Italia rileva che più di un terzo delle famiglie si aspettava un peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro nei mesi successivi e le previsioni erano più negative per i lavoratori autonomi e i disoccupati. Inoltre, più di una famiglia su cinque riteneva che la probabilità che un suo membro perdesse il lavoro nei successivi dodici mesi fosse superiore al 50%, mentre tra i disoccupati solo poco più del 10% si aspettava che ci fosse la realistica probabilità di trovare una nuova occupazione l’anno successivo [Rondinelli e Zanichelli 2021].

4. L’impatto sulle regioni

L’intensità della pandemia nella prima fase è ben rappresentata dal tasso standardizzato di mortalità che rivela intensità diverse fra le regioni [Istat 2021a]. Nelle fasi successive il divario regionale si è ridotto senza tuttavia scomparire. Le strategie adottate per cercare di contenere la propagazione del virus hanno provocato disagi di sistema come, ad esempio, l’interruzione delle attività economiche e sociali, ma anche individuali in senso stretto come quelli determinati dall’isolamento e dalla costrizione. Gli uni e gli altri hanno determinato un peggioramento della qualità della vita, il quale è tuttavia diversificato sul territorio italiano come verrà ora messo in luce.
Salute. La salute, rappresentata dalla rinuncia alle prestazioni ospedaliere e dall’aumento del disagio psichico, ha {p. 29}subito un peggioramento nel corso del 2020 in tutte le regioni italiane, con valori massimi in Emilia-Romagna e minimi in Calabria [Istat 2021b]. Il parziale ritorno alla normalità nel 2021 non si è tuttavia concretizzato anche nel riavvicinamento alle strutture sanitarie e ospedaliere. Al contrario, a parte in Trentino-Alto Adige, anche nel 2021 le rinunce hanno continuato ad aumentare, per effetto congiunto delle chiusure e per il consolidato timore di incorrere nella malattia fra la popolazione [Istat 2022b]. L’indice di salute mentale ha subìto, invece, scarse variazioni tra il 2019 e il 2021, acquisendo o perdendo pochissimi punti percentuali rispetto alla situazione pre-crisi [Istat 2021b; 2022b]. Le regioni in cui l’indice è lievemente peggiorato tra il 2019 e il 2021 sono Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Umbria, Marche e Abruzzo, ma tale variazione non sembra essere correlata all’intensità della mortalità: in Valle d’Aosta è stata molto alta, mentre il Trentino-Alto Adige, l’Umbria, le Marche e l’Abruzzo figurano tra le regioni meno colpite. Il diverso impatto della pandemia sui due indicatori può forse essere spiegato dalla natura degli stessi. La rinuncia alle prestazioni sanitarie è infatti determinata dall’intersezione di diversi fattori occorsi contestualmente e rapidamente e in parte indipendenti dalla condizione individuale. L’indice di salute mentale è indicativo della capacità soggettiva di reazione all’evento, ma il malessere psicologico come effetto di un evento potenzialmente destabilizzante necessita di un più ampio lasso di tempo per rivelarsi.
Economia. Con riferimento agli indicatori economici, si osserva una diminuzione del tasso di occupazione della popolazione tra i 20 e i 64 anni nel 2020 in tutte le regioni, salvo in Friuli-Venezia Giulia [Istat 2021b]. L’aspetto più rilevante è tuttavia individuabile nella capacità di recupero. A questo proposito, la maggior parte delle regioni ha almeno parzialmente recuperato i livelli occupazionali del 2019, mentre una minoranza ha subito un ulteriore calo (Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Lombardia, Veneto, Toscana, Marche, Lazio e Molise) [Istat 2022b]. Molte delle regioni che hanno peggiorato l’occupazione avevano elevati livelli occupazionali prima della pandemia e molte di quelle che {p. 30}hanno recuperato completamente erano al contrario le più arretrate rispetto a questo indicatore. Nonostante queste dinamiche è agevole notare che le regioni mantengono la stessa posizione superiore o inferiore alla media alla fine del triennio a testimonianza del fatto che la pandemia non ha mutato la condizione economica relativa preesistente. In tutte le regioni nel 2020 è cresciuto anche il numero dei giovani che non studiano e non lavorano (Neet) [Istat 2021b]. Nel 2021 l’aumento è stato recuperato totalmente in alcune regioni, ma nella maggioranza il dato ha continuato a peggiorare [Istat 2022b]. Non stupisce che, in una tale congiuntura, in tutte le regioni le famiglie abbiano dichiarato un peggioramento della propria condizione economica fra il 2019 e il 2021. Il regresso è stato avvertito in particolare in alcune regioni del Nord e in Campania, mentre in Piemonte, Liguria, Umbria e Molise nel 2021 si è registrata una lieve inversione di tendenza [Istat 2021b; 2022b].
Relazioni sociali. Anche la soddisfazione per le relazioni familiari tra il 2019 e il 2021 è diminuita in quasi tutte le regioni con perdite che vanno da un massimo del 18% in Puglia a un minimo di meno 1% in Sardegna [Istat 2021b; 2022b]. Nel 2021 un lieve recupero è osservabile in Sicilia, Sardegna, Basilicata e Campania; in altre il dato è calato ulteriormente. Anche la soddisfazione per le relazioni amicali è diminuita in tutte le regioni nel periodo, con ribassi che vanno da un massimo del 27% in Sicilia e Puglia a un minimo dell’8% in Friuli-Venezia Giulia [Istat 2021b; 2022b]. Nel 2021 tutti i valori hanno continuato a peggiorare. Le regioni hanno risentito in maniera pressoché uniforme del calo, eccezion fatta per il Trentino-Alto Adige, che mostra valori di molto superiori alla media italiana, e per la Puglia che, al contrario, si distanzia nettamente per valori inferiori rispetto alla media. Anche in questo caso, come per il tasso di occupazione, si osserva la presenza di un gradiente nord-sud nella disposizione delle regioni. Un altro segnale del peggioramento delle relazioni sociali emerge dall’andamento del tasso di chiamate al numero di emergenza per la violenza sulle donne, significativamente cresciuto nel corso del 2020 e del 2021 in tutte le regioni. {p. 31}La crescita, in questo caso, è andata da un minimo del 13% in Valle d’Aosta a un massimo del 59% in Sardegna e un leggero miglioramento si è avuto nel 2021 solo in Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia e Calabria [Ministero dell’Interno 2021].
Benessere individuale. Guardando infine agli indicatori della macroarea del benessere individuale, si osserva che la fiducia generalizzata non segue un pattern territoriale ben definito. Nel 2021 si è avuto un pieno recupero o, in molti casi, un miglioramento dei valori del 2019 (ad eccezione della Liguria) [Istat 2021b; 2022b]. Il giudizio positivo sulle prospettive future nel 2020 è sensibilmente diminuito in molte regioni tranne in Valle d’Aosta, Liguria, Veneto, Emilia-Romagna, Campania e Puglia ma nel 2021 si è registrato un generale miglioramento [Istat 2021b; 2022b]. Rispetto al 2019, nel 2020 le regioni mostrano valori più simili e in calo, mentre nel 2021 il rialzo è meno uniforme. Infine, la soddisfazione per la propria vita si mantiene, nel 2020, pressoché stabile o in leggero aumento in tutte le regioni, con le sole eccezioni di Piemonte, Umbria, Abruzzo e Sicilia. I valori si mostrano in generale rialzo anche nel 2021 in almeno la metà delle regioni [Istat 2021b; 2022b].

5. Conclusioni

La crisi pandemica ha compromesso il modo di vivere di milioni di persone: il rapido diffondersi del virus e le severe strategie adottate hanno messo in ginocchio il sistema sanitario, arrestato e invertito la direzione della seppur debole ripresa economica e interrotto attività sociali e servizi non essenziali. La diffusione del virus e dei contagi è proseguita nel 2021 fra tregue e recrudescenze affievolendosi nel 2022 [Istat 2022a]. Tuttavia, come ben evidenziato dagli indicatori presi in esame, gli effetti negativi si sono protratti ben oltre la fase acuta. In particolare la rinuncia alle prestazioni sanitarie e il peggioramento delle condizioni economiche non mostrano inversione di tendenza nel 2021 in tutte le regioni. Anche la soddisfazione in ambito familiare e amicale
{p. 32}con poche eccezioni si è deteriorata, così come è cresciuta l’intensità della violenza nei confronti delle donne. L’unica area di miglioramento è stata, paradossalmente, quella riferita alla fiducia, alle prospettive future e alla soddisfazione che in quasi tutte le regioni ha mostrato recuperi significativi rispetto al 2019, forse a testimonianza del desiderio di riportare nell’alveo della normalità la propria vita. Questo peraltro risulta vero anche nelle regioni dove la morte si è accanita di più sulla popolazione. Non sussiste infatti una relazione fra la mortalità dell’anno peggiore con gli indicatori strutturali e di percezione. Piuttosto, si osserva che i valori peggiori dell’economia, dell’insoddisfazione per le relazioni familiari e amicali e della fiducia sono più intensi nelle regioni del Sud e nelle Isole. Tali risultati inducono a ritenere che la pandemia abbia avuto effetti diretti e indiretti al netto della mortalità, effetti comunque mediati dalle differenti condizioni economiche e sociali. Tale mediazione offre un’evidenza del fatto che eventi di crisi colpiscono in maniera più forte contesti in partenza più deboli e che un tessuto politico, economico e sociale sano può reagire, al contrario, con migliori strumenti e prontezza. Un piano pervasivo di ristrutturazione e rinforzo degli aspetti di debolezza emersi per l’intero territorio nazionale e per le singole regioni conferirebbe, allora, al nostro Paese la capacità di risorgere dalle proprie ceneri e far meglio fronte, in futuro, a possibili momenti di crisi.
Note