Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c3
A dissipare l’equivoco, e ribadire ad un tempo la piena validità dell’insegnamento tradizionale in tema di libertà sindacale, è intervenuta, per fortuna, la stessa Corte costituzionale, chiarendo nei termini più netti, nella recente sentenza n. 34/1985, la necessità di «escludere che fosse e sia consentito al legislatore ordinario di cancellare o di contraddire ad arbitrio la libertà delle scelte sindacali e gli esiti contrattuali di esse» [194]
. Senonché, nella medesima sentenza, la Corte ha ritenuto che siffatta eventualità non ricorra con riferimento al decreto relativo alla predeterminazione della scala mobile, giacché, in questo caso, non potrebbe trascurarsi «la considerazione che il legislatore non ha sostituito o sovrapposto una nuova ed organica disciplina a quella già (esistente)..., bensì ha previsto un “taglio” di singoli punti di variazione dell’indennità di contingenza» [195]
. L’assunto sembra fondare la legittimità costituzionale dell’intervento sul carattere «parziale» dello stesso, e richiama, in qualche modo, un’assai fine proposta interpretativa elaborata in dottrina, a stregua della quale, muovendo dalla distinzione fra attività sindacale e singole manifestazioni (atti) di essa, bisognerebbe affermare l’incostituzionalità di quei provvedimenti legislativi che incidessero sulla fonte del potere negoziale, astenendosi dal sanzionare quelli inficianti determinati tratti di discipline contrattuali [196]
.
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Pur non potendosi negare la forte suggestione esercitata da simile approccio, non a caso largamente ripreso [197]
, vanno manifestate anche rispetto ad esso non lievi perplessità. Tenuto conto, infatti, dell’inestricabile intreccio senz’altro esistente fra attività sindacale e atti che da essa promanano, va sottolineato, in generale, l’ampio margine di arbitrarietà inevitabilmente connesso alla «individuazione del limite oltre il quale una serie di interventi isolati su singoli istituti raggiungerebbe quel livello di sistematicità atto a far scattare la molla dell’incostituzionalità» [198]
.
Con specifico riferimento ai provvedimenti legislativi in materia retributiva, poi, non sembra del tutto tranquillante il rilievo che essi atterrebbero «non già al merito... ma se mai al metodo» [199]
dell’attività contrattuale. É difficile, infatti, considerare come semplicemente di metodo scelte relative alla quota della massa salariale globale da ascrivere a retribuzione diretta, piuttosto che a retribuzione differita; o, per altro verso, alla parte di dinamica retributiva che si vuole far dipendere da periodiche negoziazioni, anziché da incrementi automatici. Scelte del genere, ben lungi dal riguardare il «metodo», puntano diritte al cuore dell’azione sindacale, costituendo il nodo cruciale delle politiche salariali delle organizzazioni dei lavoratori in ogni paese. Averle irrigidite, costringendole entro i binari tracciati dal provvedimento d’autorità, dovrebbe, dunque, costituire ragione sufficiente per dubitare della legittimità costituzionale della legislazione in materia retributiva emanata nel periodo c.d. dell’«emergenza».
Quanto alla predeterminazione per decreto dei punti di scala mobile, anche in questo caso riesce non agevole ritenere l’intervento del legislatore circoscritto al metodo dell’attività sindacale, trattandosi, piuttosto, di una vistosa interferenza sul «complesso equilibrio negoziale» preesistente, tale da incrinare «un intero assetto pattizio» [200]
o, almeno, da alterarne visibilmente la fisionomia. Nella circostanza, semmai, va positivamente apprezzata la cautela mostrata dal legislatore, astenendosi dal corredare il decreto con una clausola di inderogabilità assoluta: cosicché è da {p. 273}ritenere «salva la possibilità, per l’autonomia collettiva, di liberamente concordare il ripristino, per il futuro (e forse anche per il passato) dei punti di contingenza congelati, ribaltando l’assetto legislativamente imposto» [201]
. La qual cosa, peraltro, non sembra ancora sufficiente a far concludere nel senso della legittimità costituzionale di quest’ultimo. É, infatti, discutibile che interventi legislativi limitativi dell’autonomia collettiva debbano essere considerati difformi dal parametro costituzionale soltanto se preclusivi degli sviluppi futuri della contrattazione nella materia regolata. Se si pon mente alle argomentazioni vibratamente polemiche con cui, a suo tempo, si contestò la costituzionalità della c.d. «leggina Scotti», non si può fare a meno di rilevare come siffatti interventi possano recare un attentato altrettanto, se non più, pericoloso al principio di libertà sindacale, anche quando diretti a colpire l’efficacia di clausole collettive in atto (v. retro, parag. 2 e nota 117). Chi, meglio di ogni altro, ha mostrato di intendere nei suoi esatti termini l’essenza della specifica problematica è stato Gino Giugni, affermando, in quell’occasione, che, se non si voleva «ritenere che l’autonomia e la libertà dei sindacati (fossero) esposte a una espropriazione delle possibilità di svolgere in modo attivo l’attività contrattuale», si doveva «pervenire alla conclusione che la normativa che colpisce l’efficacia del contratto è costituzionalmente illegittima. In caso diverso, si potrebbe ipotizzare una situazione in cui i sindacati sono liberi di esistere, di svolgere attività di proselitismo, nonché anche di fare scioperi; però, non sono liberi di fare contratti validi» [202]
.
Tale opzione interpretativa appare, ancor oggi, pienamente convincente e pona a considerare con sguardo accentuatamente {p. 274}critico ogni sorta di intervento legislativo che disponga la nullità, o anche solo la sospensione d’efficacia, di clausole contrattuali collettive. Soprattutto con riguardo agli effetti sul «risultato già perfezionato della contrattazione» [203]
, del resto, erano orientate le censure d’incostituzionalità ex art. 39, co. 1°, proposte dai giudici di merito nei confronti della legislazione in esame. E ben a ragione: giacché non pare esservi maniera più efficiente di incrinare la credibilità delle organizzazioni sindacali e il rapporto fiduciario fra le stesse e la massa dei lavoratori, se non quella di ingenerare in questi ultimi un pericoloso scetticismo circa la stabilità degli esiti contrattuali. Con quali conseguenze in termini di effettività dell’azione sindacale (e della garanzia di libertà costituzionalmente riconosciuta) ognuno è in grado di giudicare.
Al punto cui si è giunti l’indagine dovrebbe però proseguire prendendo in considerazione l’ipotesi, pure contenuta nella più recente delle decisioni della Corte costituzionale in materia, che l’attività sindacale «a monte» del decreto-legge n. 70/1984 e, prima ancora, quella sfociata nell’accordo del 22 gennaio 1983 siano qualcosa di «anomalo rispetto alle previsioni costituzional» [204]
. Ma si tratta di ipotesi di tale peso, coinvolgente il nodo dei rapporti fra Stato, imprese e sindacati nella prospettiva di un’economia concertata, da richiedere una specifica trattazione (su cui v. infra, parag. 4).

3.2. La giurisprudenza ordinaria

Gli interventi del legislatore sulla struttura retributiva hanno suscitato l’attenzione della magistratura ordinaria non soltanto con riferimento alla loro conformità al parametro costituzionale, traducendosi, sotto questo aspetto, nella prospettazione dei diversi profili di illegittimità [205]
all’origine delle sentenze della Corte sin {p. 275}qui esaminare; ma anche in funzione di esplicitazione dell’effettivo contenuto precettivo delle norme introdotte nell’ordinamento.
Il rilievo riguarda essenzialmente quella parte delle disposizioni della legge n. 91/1977 diretta a vanificare gli effetti di «automatismo composto» conseguenti all’incidenza della contingenza nella base di calcolo di indennità e scatti di anzianità. Si è già detto (v. retro, parag. 2) come l’intenzione del legislatore in proposito si sia espressa in termini inequivoci in relazione alla deindicizzazione dell’indennità di anzianità; di assai più incerto significato quanto agli aumenti periodici. Il contrasto interpretativo emerso in dottrina attorno alla portata del divieto di «ricalcoli in tempi differiti», aggiunto all’atto della conversione in legge del decreto n. 12/ 1977, ben lungi dal trovare composizione in sede giudiziaria, si è puntualmente riflesso in diversificati orientamenti giurisprudenziali. Va subito detto, anzi, come le scelte esegetiche dei giudici abbiano contribuito, in non pochi casi, a complicare ulteriormente, anziché a semplificare, il quadro normativo di riferimento, non soltanto allargando il ventaglio delle soluzioni interpretative nella materia degli scatti, ma alimentando dubbi persino sulla reale estensione della «sterilizzazione» dell’indennità di anzianità rispetto agli incrementi di contingenza.
Dei diversi significati astrattamente attribuibili al divieto di «ricalcoli in tempi differiti», quello apparso, probabilmente, più convincente alla dottrina è risultato incontrare consensi alquanto limitati in giurisprudenza. La lettura della norma di legge, nel senso di implicare il blocco della rivalutazione annuale degli scatti di anzianità sulla base della contingenza maturata nell’anno precedente, è stata, per la verità, ritenuta «del tutto possibile sul piano letterale», ma tale da comportare «incongruenze sul piano logico-sistematico» [206]
. Su argomentazoni, appunto, di carattere logico-sistematico, sia pure di segno opposto, si appoggiano gli indirizzi giurisprudenziali prevalenti. Quello c.d. «massimizzante», peraltro, sembra frutto di una vistosa forzatura o, quanto me{p. 276}no, di un fraintendimento del dettato normativo. La tesi secondo la quale esso imporrebbe un completo, reciproco estraneamento fra scatti di anzianità e contingenza, derivandone l’espunzione di quest’ultima anche dalla base di calcolo degli aumenti periodici maturandi, è conseguente alla non esatta percezione della distinzione, esistente nella contrattualistica, fra le nozioni di calcolo e ricalcolo degli scatti. L’indebita sovrapposizione fra l’una e l’altra risulta evidente, ad esempio, laddove si afferma che, ai sensi di legge, «i miglioramenti della contingenza... non possono dar luogo a ricalcolo, vale a dire non possono essere calcolati» [207]
. Al riguardo ci si è chiesti, polemicamente, quale espressione, se i calcoli potessero definirsi tout court «ricalcoli», il legislatore avrebbe dovuto usare qualora avesse inteso colpire esclusivamente i ricalcoli degli scatti in senso proprio e rigoroso [208]
. Né vale richiamare a sostegno dell’opzione interpretativa, come pure è stato fatto [209]
, il contenuto della «leggina Scotti». Non solo perché appare dubbia la correttezza di un procedimento ermeneutico di una norma di legge attraverso le disposizioni di un disegno di legge rimasto tale, quanto soprattutto perché quest’ultimo, dietro le modeste sembianze di un’interpretazione autentica della disciplina previgente, mal dissimulava il tentativo di introdurre contenuti innovativi. Innovativo, ad esempio, avrebbe dovuto considerarsi il divieto di computare la contingenza nella base di calcolo degli scatti. Per altro verso, e a ben guardare, il divieto nuovo conferma, a contrario, la portata più circoscritta della disciplina legale in vigore, essendo testuale, nella proposta governativa, la distinzione fra calcolo degli scatti e ricalcolo degli stessi in tempi differiti [210]
.
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Note
[194] Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
[195] Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
[196] Si v. in questo senso Dell’Olio, Emergenza, cit., p. 22 ss. e già Id., L’organizzazione e l’azione sindacale in generale, Padova, Cedam, 1980.
[197] Con riferimento alla legislazione dell’«emergenza» da Mazzotta, op. cit., c. 2644; con riguardo al decreto-legge n. 70/1984 da Zoppoli, op. cit., p. 23; Rusciano, op. cit., p. 143; Magrini, op. cit., p. 163.
[198] Vallebona, Limiti legali, cit., p. 131.
[199] Dell’Olio, Emergenza, cit., p. 22.
[200] Le citazioni sono da Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 344.
[201] De Luca Tamajo, L’evoluzione dei contenuti, cit., p. 55, che, sulla base di tale rilievo, conclude, «sia pur con tutta la problematicità e la prudenza necessarie», per la legittimità costituzionale del decreto. Al riguardo sembra opportuno sottolineare, proprio in considerazione delle caratteristiche strutturali di quest’ultimo, la discutibilità della tesi (sostenuta da Mariucci, op. ult. cit., p. 343) secondo la quale «sarebbero più consistenti, rispetto ai precedenti interventi vincolistici, le censure di incostituzionalità». Censure di incostituzionalità possono e debbono avanzarsi nei confronti del decreto in questione, ma esse sono meno consistenti rispetto a quelle prospettabili in relazione agli interventi della «emergenza». La contraria opinione, in realtà, sembra indotta da un’indebita sovrapposizione fra i profili giuridico, economico e politico della problematica: sul punto v. infra, parag. 4.
[202] Giugni, Parlamento e sindacati, cit., p. 370.
[203] Pret. Pavia, 21 maggio 1984 (orditi.), cit.; con riferimento alla legislazione dell’«emergenza» si v., nello stesso senso, Pret. Torino, 1° giugno 1978 (ordin.), cit.
[204] Cort. cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
[205] Va ricordato, per completezza, che si è ritenuto opportuno circoscrivere l’analisi alle questioni di costituzionalità più strettamente legate alla materia lavoristica, trascurandosene altre pure sottoposte all’attenzione della Corte: si pensi, ad esempio, all’eccezione di illegittimità costituzionale della legge n. 797/1976 prospettata da Pret. Torino, 1° giugno 1978 (ordin.), cit., con riferimento agli artt. 23 e 53 Cost.
[206] Così Pret. Milano, 3 settembre 1982, in «Lavoro ’80», 1982, p. 992. L’interpretazione in questione appare, invece, condivisa da Pret. Milano, 12 giugno 1981, ivi, 1981, p. 741; Pret. Perugia, 24 giugno 1982, in «Giust. civ.», 1982, I, p. 2851. Nel medesimo senso si v., in dottrina, Giugni, Parlamento e sindacati, cit.; Saracini, Scatti d’anzianità, cit.; D’Avossa, Contratto del commercio, cit., p. 110; Marzorati, Scatti d’anzianità (art. 2 L. 31 marzo 1977, n. 91), in «Inform. Pirola», 1980, n. 1, p. 30 ss.
[207] Trib. Milano, 15 ottobre 1982, in «Lavoro ’80», 1983, p. 184; ma si v. già, negli stessi termini, Trib. Milano, 13 giungo 1979, in «Orient. giur. lav.», 1979, p. 1044: quest’ultima decisione è commentata criticamente da Marzorati, op. cit.
[208] Cfr. Saracini, op. cit., p. 533.
[209] Dal Trib. Milano nelle sentenze citate in nota 207.
[210] Si v. ancora, per rilievi analoghi, Saracini, op. cit., p. 545 s. Si ricordi che il disegno di legge Scotti disponeva che gli incrementi di scala mobile non potevano «costituire base di calcolo o dar luogo a ricalcoli previsti in tempi differiti degli scatti o aumenti periodici di anzianità e di qualsiasi altro elemento della retribuzione»: è evidente che carattere di interpretazione autentica avrebbe potuto riconoscersi soltanto a quella parte della norma dove risulta esplicitato che il divieto di ricalcoli previsto dalla legge n. 91/1977 doveva intendersi riferito agli scatti di anzianità.