I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c3
Rimane ancora da chiarire, onde evitare equivoci, che la riproposizione di una concezione rigorosamente consensuale delle politiche dei redditi non implica affatto adesione all’opinione con cui, in passato, si è tentato di accreditare una sorta di riserva normativa alla contrattazione collettiva nella regolamentazione dei rapporti di lavoro
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. Con particolare riferimento alla disciplina
¶{p. 312}della retribuzione si è già ampiamente argomentato la legittimità, anzi la sicura aderenza al dettato costituzionale, di un intervento legislativo sui minimi (si v. retro, cap. 1 e anche infra, parag. 5.2.). Si deve ora aggiungere che il ricorso alla legge dovrebbe probabilmente essere considerato legittimo anche con riguardo ad altre zone del trattamento retributivo, qualora essa intervenga in assenza di discipline collettive, tanto più se la normativa legale dovesse risultare circoscritta nel tempo e non assistita da clausole di inderogabilità assoluta. Nel caso di mancata intesa fra le parti, per spiegarsi con un esempio concreto, l’intervento del legislatore sulla disciplina della scala mobile sarebbe risultato più accettabile all’inizio del 1983, sempreché, beninteso, si fosse ritenuta la piena operatività della disdetta data dalla Confindustria al relativo accordo interconfederale
[314]
.
Analogamente non sembra di poter contestare, con assoluta sicurezza, la liceità di misure legislative volte a condizionare gli esiti della contrattazione in via indiretta, con l’ausilio di incentivi o disincentivi di varia natura. L’ammissibilità di tali misure, per là verità, è stata messa in dubbio, a suo tempo, in astratto, discutendosi in termini generali dei limiti costituzionali anche di una programmazione c.d. indicativa
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. Più di recente è stata decisamente negata in concreto, con riferimento al tentativo di bloccare la contrattazione salariale aziendale, attraverso un meccanismo di penalizzazione fiscale e parafiscale, operato dal decreto-legge 7 febbraio 1977, n. 15 (su cui v. retro, parag. 2)
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.
Provvedimenti del genere, a seconda dei casi, possono, potenzialmente, recare offesa all’effettività (non all’autonomia o alla libertà) dell’azione sindacale in misura anche maggiore di altri, impositivi di limiti diretti. Essi, comunque, sembrano esporsi a critiche e censure soprattutto sul piano dell’opportunità politica. Sul piano strettamente giuridico, viceversa, rispetto ad interventi siffatti, come pure a quelli decisi nel vuoto di discipline contrattuali, non dovrebbe trascurarsi la possibilità, per le organizzazioni sindacali, di reagire attraverso il ricorso all’azione diretta.¶{p. 313}
Questo, a ben guardare, costituisce l’unico elemento di reale novità, ovviamente non considerabile da chi discuteva, negli anni ’60, del rapporto fra programmazione e libertà sindacale. Il timore, allora espresso, che, una volta imboccata la strada della politica dei redditi, si finisse, prima o poi, coll’attentare al diritto di sciopero, poteva avere una ragion d’essere nel contesto normativo dato
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; ma oggi non sarebbe più proponibile
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, dopo il successivo, largo riconoscimento, con ripetuti interventi della Corte costituzionale, della liceità dello sciopero politico
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.
D’altro canto, proprio il riconoscimento della legittimità dello sciopero politico reca un ulteriore elemento a sostegno della tesi che la concezione consensuale delle politiche dei redditi è la sola compatibile col vigente assetto del nostro ordinamento
[320]
. La conclusione si raccomanda sul piano politico, prima ancora che su quello giuridico, in ragione della conflittualità sociale che interventi autoritativi sulle dinamiche salariali appaiono sempre in grado di innescare. Da altro punto di vista non va sottaciuta la fitta vertenzialità giudiziaria che da tali interventi può derivare: sia sul piano dell’interpretazione (come si è visto retro, parag. 3.2.), sia su quello della contestazione di legittimità costituzionale.¶{p. 314}
E stato giustamente osservato che «la frequenza di simili interventi giudiziari... rispetto a decisioni pubbliche di politica dei redditi è un indice della precarietà di tali decisioni», concludendosi nel senso che «la scelta di procedere per via legislativa nel controllare i redditi di lavoro è politicamente discutibile e apre almeno altrettanti problemi di quanti pensa di risolvere»
[321]
.
Proprio per questo sorprende che la Corte costituzionale — un organo che ripetutamente ha dato prova di attenta e tempestiva sensibilità all’evoluzione dei rapporti sociali — abbia scelto, nell’occasione più recente, di muoversi secondo una linea di prudenza minimalista. Si è visto come nessun contributo sia venuto (né, ragionevolmente, poteva venire) dalla giurisprudenza ordinaria al processo, forse necessario, di regolazione centralizzata delle dinamiche retributive. Alla Corte, viceversa, si è offerta la possibilità di apprestare un inquadramento giuridicamente (e politicamente) soddisfacente delle pratiche di negoziazione triangolare: è un peccato doverne parlare come di una occasione perduta.
5. Politiche sindacali e prospettive di riforma
5.1. Il ruolo degli automatismi all’interno di una rinnovata struttura del salario
Non si potrebbe concludere questo lavoro, senza dire qualche parola sulla configurazione attuale degli automatismi retributivi e, più in generale, sulle prospettive, tuttora apene, di trasformazione della struttura del salario.
La riflessione in proposito non può non prendere le mosse dalla constatazione delle incisive innovazioni apportate, negli ultimi anni, vuoi attraverso la legge, vuoi per via contrattuale, alla disciplina delle erogazioni economiche legate all’anzianità di servizio (almeno nel settore del lavoro privato).
Quanto all’indennità di anzianità, occorre premettere come soltanto in senso improprio e tralaticio possa continuarsi ad ascriverla al novero degli automatismi salariali. È stato opportunamen¶{p. 315}te osservato, infatti, come la nuova fisionomia dell’istituto, scaturita dalla legge 29 maggio 1982, n. 297, abbia comportato la scomparsa di quel caratteristico «“premio” all’anzianità costituito dalla proiezione su di essa dell’ultima e maggiore retribuzione», inducendo, al tempo stesso, una trasformazione della liquidazione «da retribuzione differita in retribuzione accantonata»
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: una sorta di «risparmio contrattuale», in altre parole, erogabile alla cessazione del rapporto di lavoro o anche, parzialmente, in costanza di esso.
Analoga funzione, per la verità, a prescindere dalle differenti modalità di computo, era stata riconosciuta all’istituto anche a fronte della disciplina previgente, sostenendosi che, a seguito dell’estensione del diritto alla percezione dell’emolumento anche ai casi di estinzione del rapporto per dimissioni o colpa del lavoratore, il legislatore avrebbe consumato un processo di conformazione dell’indennità di anzianità quale «forma di risparmio obbligatorio individuale, accantonato dall’azienda nell’interesse del dipendente»
[323]
.
Tenuto conto, inoltre, delle declinanti (anche se non esaurite: si v. retro, parag. 1)
[324]
finalizzazioni tradizionali della stessa, si era rilevato, anzi, come il tratto persistente, ed essenziale, di validità sociale ne andasse ricercato proprio in quella funzione di capitalizzazione del «valore, sia pure approssimativo e presunto, della prestazione complessivamente resa dal lavoratore durante la ¶{p. 316}sua permanenza nell’azienda»
[325]
, allo scopo di assicurare la costituzione di una particolare riserva finanziaria, destinabile non soltanto all’attenuazione di bisogni fondamentali, ma anche al soddisfacimento di esigenze di tipo secondario
[326]
.
Nessuna particolare funzione, viceversa, né di vecchio, né di nuovo tipo, sembra oggi attribuita dalle parti sociali, ed in ispecie dai sindacati dei lavoratori, agli scatti di anzianità. L’affermazione potrebbe suonare troppo perentoria, in considerazione del mantenimento dell’erogazione, sia pure con forte ridimensionamento della sua consistenza, come parte del trattamento economico in tutti i contratti nazionali di lavoro. Si potrebbe, cioè, ritenere che, eliminata la caratteristica più contestabile dell’istituto (di incentivo alla fedeltà aziendale), se ne sia voluta conservare l’altra, di (parziale) riconoscimento economico della professionalità acquisita dal singolo nell’espletamento di una data mansione. Può darsi che il rilievo, circolante soprattutto in ambienti sindacali, non sia del tutto infondato. Resta il fatto che una coerente funzionalizzazione dell’istituto alle esigenze di remunerazione della professionalità avrebbe comportato che il processo di trasformazione, avviato dai contratti di categoria del 1979, trovasse compimento nel passaggio dall’anzianità aziendale a quella di lavoro, cosa che, invece, non è avvenuta. Per altro verso, osservando le attuali discipline collettive in materia, non si riesce ad allontanare la sensazione che ormai l’emolumento sia concepito come meramente residuale.
Qualche anno fa, all’indomani dell’emanazione della legge n. 91/1977, si parlò dell’indennità di anzianità come di un’erogazione avviata ormai verso l’eutanasia
[327]
. Ebbene, l’impressione che si ricava dalle regolamentazioni contrattuali vigenti degli scatti è che per gli stessi sia stata progettata, se non proprio una morte cattiva, quanto meno una corsia preferenziale, al termine della quale non resterà che imboccare la strada di un malinconico tramonto. Gli aumenti periodici, infatti, possono continuare a considerarsi automatismo salariale, giacché il loro importo è destinato a
¶{p. 317}crescere in ragione della (maggiore) anzianità di servizio. Peraltro, qui comincia e qui finisce la loro funzione di lievitazione predeterminata del complessivo trattamento retributivo, essendosene perduta sia la caratteristica di automatismo «composto», a seguito dell’espunzione della contingenza dalla base di calcolo, sia anche l’effetto di rivalutazione sugli incrementi di paga-base, per via dell’attuale corresponsione in cifra fissa
[328]
. Naturalmente, l’abolizione della modalità di calcolo degli scatti in percentuale (della paga-base o, a seconda dei casi, della somma di paga-base e contingenza) non implicherebbe, di per sé, meccanicamente, una progressiva svalutazione dei loro importi. Resterebbe, infatti, sempre aperta la possibilità di rinegoziarne la misura in occasione dei periodici rinnovi dei contratti di lavoro. Tale eventualità, anzi, è stata, talvolta, persino espressamente prevista, peraltro con clausole di tono vagamente consolatorio
[329]
, che non riescono a nascondere (né si vede come potrebbero) la sostanza delle cose: vale a dire che, ormai, eventuali rivendicazioni in tema di scatti costituiranno per i sindacati «un momento di debolezza, non potendo non valere... come una richiesta salariale “in più’’, da scontare, pertanto, sulle altre»
[330]
. Cosicché la sensazione che le erogazioni collegate all’anzianità di servizio costituiscano, allo stato attuale, un moncone atrofizzato della struttura retributiva sembra destinata, nel volger dei prossimi anni, a trovare ampia conferma.
Note
[313] Cfr. gli autori citati retro in nota 174.
[314] In argomento cfr. Alleva e Ghezzi, op. cit., nonché le opinioni, variamente orientate, espresse da Giugni, Pera, Persiani, Scognamiglio, Treu, Ventura alla tavola rotonda su La disdetta della scala mobile, cit.
[315] Sul punto cfr. Dell’Olio, op. ult. cit., p. 484.
[316] Da Mariucci, op. ult. cit., p. 339 e, in termini più problematici, da Tosi, op. ult. cit., p. 535.
[317] Al riguardo cfr. Natoli, op. cit., p. 8 s. e già Id., Politica dei redditi e costituzione, in «Dem. e dir.», 1964, p. 239 s.
[318] Come pure è stato fatto: si v. Vallebona, Costo del lavoro e autonomia collettiva, cit., p. 363.
[319] Corte cost., 27 dicembre 1974, n. 290 e, più recentemente, Corte cost., 13 giugno 1983, n. 165 su cui cfr., per tutti, Giugni, Diritto sindacale, Bari, Cacucci, 1984, p. 243 ss. Solo nei limiti, e con riferimento al tipo di interventi, indicati nel testo si può dunque consentire con l’impostazione di Garofalo, Intervento, in Aa.Vv., Problemi giuridici della retribuzione, Milano, Giuffré, 1981, p. 97 ss. (il quale, invece, dalla ritenuta liceità dello sciopero politico trae spunto per una valutazione in termini di legittimità costituzionale della legge n. 91/1977). Si può rammentare che l’ammissibilità di interventi legislativi di indirizzo della contrattazione, attraverso misure fiscali e parafiscali, è stata riconosciuta dagli stessi sindacati qualche anno fa, allorché essi prospettarono, nel contesto di una proposta per combattere inflazione e recessione, da un lato l’opportunità di eliminare totalmente il fiscal drag gravante sugli incrementi di salario nominale contenuti entro il tetto d’inflazione programmata; dall’altro di ripristinare il medesimo fiscal drag sugli incrementi salariali nominali superiori al tasso effettivo d’inflazione e di inasprire, al verificarsi di simili incrementi salariali, i contributi sociali a carico dei lavoratori: per più ampi ragguagli sul punto cfr. Ferri, Il patto anti-inflazione, cit., p. 318 s.
[320] Per uno spunto in tal senso cfr. Pera, Libertà sindacale (dir.vig.), in «Enc. dir.», Milano, Giuffré, vol. XXIV, 1974, p. 523.
[321] Treu, Problemi giuridici della retribuzione, cit., p. 51.
[322] Le citazioni sono da Alleva, Il tramonto, cit., p. 439.
[323] Ghera, Prospettive di riforma, cit., p. 518.
[324] La persistenza, sia pure parziale, delle funzioni tradizionali dell’istituto è riconosciuta da autorevole dottrina: si v. Smuraglia, Riflessioni sull’indennità di anzianità, cit., p. 320; Ghera, op. ult. cit., p. 528 s. Il legislatore, per pane sua, sembra fare di tutto per non smentire le giustificazioni più consolidate dei trattamenti di fine rapporto: sia continuando ad evitare di impegnarsi in una riforma organica dei trattamenti di disoccupazione (che dovrebbe, allo stato, comportare un ripensamento anche sullo stesso modo di operare della cassa integrazione guadagni straordinaria), sia con le ricorrenti oscillazioni in materia pensionistica. Si pensi, al riguardo, alle modalità di indicizzazione delle pensioni introdotte dalla stessa legge n. 297/1982 e modificate, appena un anno e mezzo dopo, dalla legge 27 dicembre 1983, n. 730, con conseguente «riduzione della rivalutazione delle pensioni immediatamente superiori ai minimi... e blocco del processo di sia pur lento e graduale incremento del potere di acquisto di tali pensioni»: così Bertona, Il riordino della previdenza, in Aa. Vv., Il patto contro l’inflazione, cit., p. 180.
[325] Ghera, op. ult. cit., p. 525.
[326] Cfr. ancora Ghera, op. ult. cit., p. 527 e già Id., Retribuzione, professionalità e costo del lavoro, cit., p. 415.
[327] Cfr. Alleva, Intervento, alla tavola rotonda Il problema dei c.d. «automatismi retributivi», cit., p. 444.
[328] Prevista da quasi tutti i contratti collettivi, peraltro con qualche significativa eccezione. Si v. gli artt. 16 disc. spec. - parte prima e 9 disc. spec. - parte terza del ccnl 1° settembre 1983 per gli addetti all’industria metalmeccanica privata, che continuano a disciplinare gli scatti come erogazione percentualizzata sui minimi tabellari.
[329] Si pensi alla «nota a verbale» apposta in calce all’art.72 del ccnl 18 marzo 1983 per gli addetti ad aziende commerciali, secondo la quale «le parti convengono che la presente disciplina degli scatti non esclude — in occasione dei rinnovi contrattuali — adeguamenti della loro misura in funzione della prevedibile dinamica della retribuzione-base». È evidente il carattere pleonastico della clausola, della quale, di per sè, non vi sarebbe stato alcun bisogno.
[330] Così, giustamente, Alleva, Il tramonto, cit., p. 435.