Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c3
Nei confronti dei primi interventi del legislatore, per intendersi quelli del periodo 1976/77, è stata, innanzitutto, avanzata l’opinione che la legittimità degli stessi si sarebbe potuta affermare qualora i loro contenuti fossero stati «di mera trasposizione o di recezione di contenuti contrattuali, divenuti legge per esigenze di ordine tecnico-giuridico (generalizzazione dell’efficacia e delle sanzioni)»: come dire che «ogni politica restrittiva in materia di rapporti sindacali può trovare la sua sanzione finale nel provvedimento di autorità», purché abbia «la sua fonte nel consenso delle organizzazioni dei lavoratori» [173]
. La tesi si segnala per la sua indubbia tensione alla valorizzazione della sfera di libertà propria dell’autonomia collettiva, nel rispetto di quel disegno di bilanciamento fra poteri normativi diversi che sembra emergere dal com
{p. 267}plesso delle norme costituzionali in materia di rapporti economici [174]
. Con riferimento, peraltro, alle norme di legge in esame, se ne è contestata la possibilità di utile riscontro, giacché le medesime dal punto di vista oggettivo avrebbero forzato (come si è già detto: v. retro, parag. 2), in più o meno ampia misura, i termini dell’accordo sindacale, implicando, oltre tutto, un’inamissibile limitazione della futura attività contrattuale degli stessi sindacati, in ipotesi, consenzienti all’intervento del legislatore, attraverso la previsione di nullità di tutte le clausole contrattuali, relative alla materia regolata, difformi dal modello legale [175]
. Dal punto di vista soggettivo, poi, esse si baserebbero sul (supposto) consenso solo di alcune organizzazioni sindacali, mentre gli effetti ne ricadrebbero nella sfera di autonomia di tutti i lavoratori (anche non iscritti) e, soprattutto, di tutti i sindacati [176]
. Più radicalmente, si è obbiettato che far dipendere la legittimità costituzionale di una legge dal previo consenso dei sindacati interessati, significherebbe attribuire a questi ultimi «una funzione di valutazione e formulazione dell’interesse generale preminente e vincolante rispetto al parlamento» [177]
, estranea alla cornice istituzionale del nostro sistema: concludendosi nel senso che quel consenso può, al più, essere riguardato «nell’assetto attuale dei rapporti di forza come una condizione di effettività della legge», ma non certo come «una condizione necessaria e sufficiente di legittimità costituzionale» [178]
.
Nel medesimo ordine di idee si è sostenuto che la conformità al parametro costituzionale di interventi legislativi limitativi dell’autonomia collettiva potrebbe essere desunta, a prescindere da qualsivoglia consenso sindacale, dal contesto di riferimento. La legittimità di tali interventi, in altre parole, andrebbe positiva{p. 268}mente valutata, qualora essi risultassero attuati nell’ambito di una programmazione economica generale, «della quale è condicio sine qua non l’assoggettamento delle forze sociali a un controllo pubblico della dinamica dei redditi, e perciò la prefissione autoritativa di limiti massimi alla contrattazione collettiva» [179]
. L’opinione capovolge singolarmente gli esiti del dibattito che la medesima problematica aveva suscitato negli anni ’60. Allora, infatti, era decisamente apparsa prevalente la convinzione che «la sola fonte costituzionale di disciplina dell’autonomia sindacale è l’art. 39, il quale non consente alcun intervento pubblico per vincolare tale autonomia a una funzione sociale» [180]
, escludendosi conseguentemente che l’attività sindacale potesse rientrare nella nozione di attività economica privata di cui all’art. 41 Cost.
Prescindendo, per il momento, da un giudizio sulle ragioni e la stessa fondatezza del ripensamento (su cui si dovrà tornare: v. infra, parag. 4), va subito detto che neanche a chi se ne è fatto portatore è parso possibile fondare, sulla base di esso, la legittimità costituzionale delle normative in discussione. Queste, infatti, muovendosi palesemente al di fuori di un contesto programmatorio, potrebbero, al più, essere fatte salve in considerazione dello «stato di necessità», indotto dall’emergenza economica, che avrebbe condizionato la loro approvazione: nei limiti di operatività, in sostanza, «della clausola salus reipublicae suprema lex, la quale autorizza solo misure restrittive di carattere temporaneo» [181]
. In questo senso, allora, dovrebbe senz’altro propendersi per l’illegittimità del decreto-legge n. 12/1977, avendo, come si è visto, la legge di conversione abolito il termine di efficacia (due anni) originariamente previsto per le sue disposizioni [182]
. Se, invece, si vuol {p. 269}giungere a conclusioni di segno opposto, sulla base del rilievo, invero capzioso, che esso «rimane pur sempre una misura congiunturale e come tale segnata dalla temporaneità» [183]
, non può non risultarne incrinata la credibilità, e la stessa coerenza argomentativa, della tesi in discussione. Della quale, a questo punto, si deve opportunamente sottolineare l’ispirazione intimamente autoritaria, condividendosi le critiche, che le sono state ampiamente mosse, di spianare «la strada ad interventi espropriativi del legislatore praticamente illimitati e incontrollabili (nel numero, nell’estensione, nel tempo)», offrendo «una sorta di salvacondotto per ogni politica congiunturale» [184]
.
Un’ulteriore opinione dottrinale, premessa l’inammissibilità in linea di principio di discipline legislative preclusive degli sviluppi futuri della contrattazione collettiva, ritiene, peraltro, di dover operare una distinzione, ammettendo la legittimità di quelle introdotte con finalità perequative, in senso lato riconducibili al criterio dettato dall’art. 3 Cost.; negandola a quelle altre mosse unicamente da obbiettivi di contenimento del costo del lavoro. Applicata alla legge n. 91/1977, la distinzione porta a ritenere conforme a costituzione la soppressione delle scale mobili «anomale»; illegittimi i limiti posti all’autonomia sindacale con riferimento alla regolamentazione dell’indennità di anzianità [185]
. Ora, a pane la singolarità della conclusione, che implica una delegittimazione dell’intervento sicuramente più vicino alle intenzioni delle organizzazioni sindacali (pur con tutte le forzature di cui si è detto: v. retro, parag. 2), l’opinione riferita presta il fianco al rilievo assorbente che non sembra possibile isolare nel medesimo testo di legge, se non con larga arbitrarietà, obbiettivi perequativi da obbiettivi di contenimento del costo del lavoro [186]
. Con riferimento specifico alla legge n. 91, poi, non occorre soffermarsi ancora sull’inattendibilità della ricostruzione che tende ad individuare nella normativa abolitrice delle scale mobili «anomale» una prevalente ispirazione perequativa.{p. 270}
A fronte di un ventaglio di posizioni tutte, per un verso o per l’altro, insoddisfacenti, non stupisce che la Corte costituzionale non ne abbia compiutamente fatta propria nessuna, preferendo, per così dire, parlare d’altro. Evitando, cioè, di sciogliere il nodo che le stava dinanzi (la prospettata violazione del principio di libertà sindacale) [187]
, per rispondere soltanto alla marginale, e palesemente infondata, censura ex art. 39, co. 4°, respinta in base al rilievo che «sino a quando l’art. 39 non sarà attuato, non si può né si deve ipotizzare... conflitto tra attività normativa dei sindacati e attività legislativa del parlamento e chiamare questa Corte ad arbitrarlo» [188]
. Con specifico riferimento alla disciplina legale abolitrice delle scale mobili «anomale» la Corte — è vero — ha aggiunto che essa «non apre utile adito a incidenti di costituzionalità fondati sull’asserito ostracismo decretato alle forze sociali» [189]
: nel che si è creduto di percepire un’eco della prima delle ricordate opinioni dottrinali [190]
. Troppo flebile, comunque, per far pensare all’assunzione di un preciso orientamento e indurre a modificare il giudizio sul carattere sostanzialmente elusivo della decisione.
L’intera problematica, peraltro, andrebbe completamente rivisitata, ed affrontata su diverse basi teoriche, qualora si potesse accogliere la ricostruzione, recentemente riproposta, che, in contrasto con l’indirizzo largamente dominante, ha ritenuto di dubbia pertinenza la riconduzione dell’attività sindacale nell’ambito della garanzia di libertà scolpita nel 1o comma dell’art. 39 Cost. [191]
.{p. 271}
La tesi potrebbe trovare qualche appiglio fra le righe (in verità, alquanto traballanti) della sentenza n. 141/1980, in particolare laddove la Corte sembra adombrare la convinzione che, perdurando l’inattivazione dei meccanismi prefigurati dalla seconda parte dell’art. 39, l’attività di contrattazione collettiva andrebbe riguardata com mera libertà di fatto, priva di rilevanza costituzionale [192]
. Le conseguenze dirompenti di simile prospettazione non abbisognano di sottolineatura: implicando una completa assenza di limiti per gli interventi del legislatore, essa, si è detto, equivarrebbe «all’almeno virtuale ammissione di perfino totali soppressioni della contrattazione collettiva di diritto comune» [193]
.
A dissipare l’equivoco, e ribadire ad un tempo la piena validità dell’insegnamento tradizionale in tema di libertà sindacale, è intervenuta, per fortuna, la stessa Corte costituzionale, chiarendo nei termini più netti, nella recente sentenza n. 34/1985, la necessità di «escludere che fosse e sia consentito al legislatore ordinario di cancellare o di contraddire ad arbitrio la libertà delle scelte sindacali e gli esiti contrattuali di esse» [194]
. Senonché, nella medesima sentenza, la Corte ha ritenuto che siffatta eventualità non ricorra con riferimento al decreto relativo alla predeterminazione della scala mobile, giacché, in questo caso, non potrebbe trascurarsi «la considerazione che il legislatore non ha sostituito o sovrapposto una nuova ed organica disciplina a quella già (esistente)..., bensì ha previsto un “taglio” di singoli punti di variazione dell’indennità di contingenza» [195]
. L’assunto sembra fondare la legittimità costituzionale dell’intervento sul carattere «parziale» dello stesso, e richiama, in qualche modo, un’assai fine proposta interpretativa elaborata in dottrina, a stregua della quale, muovendo dalla distinzione fra attività sindacale e singole manifestazioni (atti) di essa, bisognerebbe affermare l’incostituzionalità di quei provvedimenti legislativi che incidessero sulla fonte del potere negoziale, astenendosi dal sanzionare quelli inficianti determinati tratti di discipline contrattuali [196]
.
{p. 272}
Note
[173] Le citazioni sono da Giugni, Parlamento e sindacati, cit., p. 370.
[174] Come tale non va minimamente confusa con l’opinione, a suo tempo avanzata, tendente a far discendere dall’art. 39 una sorta di riserva di competenza normativa a favore dei sindacati per il regolamento dei rapporti di lavoro: in proposito si v., per tutti, Mazzarelli, Il disegno di legge per l’applicazione erga omnes dei contratti collettivi di lavoro, in «Riv. giur. lav.», 1959, I, p. 359 ss.; Carullo, Diritto sindacale transitorio, Milano, Giuffré, I960, p. 134 e 150-151.
[175] Cfr. De Luca Tamajo, Leggi sul costo del lavoro, cit., p. 160.
[176] Id., op. loc. cit.; nonché Vallebona, Costo del lavoro e autonomia collettiva, in «Dir. lav.», 1978, I, p. 365 ss.
[177] Mengoni, Un nuovo modello di rapporti tra legge e contratto collettivo, in «Jus», 1979, p. 119.
[178] Id., op. cit., p. 119 s.
[179] Id., op. loc. cit; cfr. anche dello stesso autore Legge e autonomia collettiva, in «Mass. giur. lav.», 1980, p. 695.
[180] È l’opinione dello stesso Mengoni, Programmazione e diritto, in «Jus», 1966, p. 14, peraltro largamente condivisa: nello stesso senso si v., per tutti, Giugni, Intervento, in Atti del Convegno di diritto del lavoro (Cagliari, 30 maggio - 2 giugno 1966), Roma, Italedi, 1966, p. 176; Persiani, Contrattazione collettiva ed attività del sindacato nel quadro della programmazione, in Aspetti privatistici della programmazione economica, Milano, Giuffré, 1971, vol. I, p. 185. Per una sintesi della discussione dell’epoca sul tema si v. Treu, Teorie e ideologie nel diritto sindacale: a proposito di un recente libro, in «Riv. trim. dir. proc. civ.», 1968, p. 1659 ss.
[181] Mengoni, Un nuovo modello, cit., p. 120 s.
[182] Sembra questa l’opinione di Ferraro, Ordinamento, cit., p. 359 s., per il quale interventi legislativi indotti da uno «stato di necessità» dovrebbero sottostare a «precisi limiti di ordine temporale»: ma la conclusione con riguardo alla legge n. 91/1977 non è esplicitata dall’autore in tutta chiarezza.
[183] Mengoni, op. ult. cit., p. 121.
[184] Secondo l’opinione rispettivamente di Tosi, La retribuzione nel diritto del lavoro dell’emergenza, cit., p. 533 e di Mariucci, op. ult. cit., p. 338.
[185] È la nota costruzione di De Luca Tamajo, op. ult. cit., p. 161 ss.
[186] Cfr. in questo senso Tosi, op. ult. cit., p. 534.
[187] Nonostante le ordinanze di rinvio non potessero prestarsi ad interpretazioni equivoche: si v., per tutte, Pret. Torino, 1° giugno 1978, in «Giur. cost.», 1978, II, p. 1245 ss.
[188] Corte cost., n. 141/1980, cit., c. 2650. L’affermazione della Corte è contenuta, oltre tutto, nella parte della sentenza dedicata alla legge n. 797/1976, mentre la censura di incostituzionalità ex art. 39, co. 4° era stata prospettata (da Pret. Milano, 8 novembre 1977, in «Orient. giur. lav.», 1977, p. 1126) con riferimento alla legge n. 91/1977. Una censura, peraltro, del tutto priva di fondamento, giacché l’art. 2 di quest’ultima, ben lungi dal procedere ad un’estensione erga omnes degli accordi interconfederali sulla scala mobile vigenti nel settore industriale, si limita ad assumerli come parametro di riferimento esterno per la determinazione di un «tetto» massimo: sul punto cfr. Ferraro, Ordinamento, cit., p. 343; Mariucci, op. ult. cit., p. 329 s.
[189] Corte cost., n. 141/1980, cit., c. 2653.
[190] Da R. Greco, op. cit., c. 13. Nello stesso senso si v. Raveraira, Legge e contratto collettivo, Milano, Giuffré, 1985, p. 15.
[191] Si v. in questo senso Rusciano, Contratto collettivo e autonomia sindacale, Torino, EGES, 1984, p. 69 s.; ed anche Zoppoli, op. cit., p. 23.
[192] Sul punto cfr. Mazzetta, Le norme sulla riduzione del costo del lavoro, cit., c. 2643.
[193] Dell’Olio, Emergenza, cit., p. 24.
[194] Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
[195] Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
[196] Si v. in questo senso Dell’Olio, Emergenza, cit., p. 22 ss. e già Id., L’organizzazione e l’azione sindacale in generale, Padova, Cedam, 1980.