Note
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Il testo delle Considerazioni finali e proposte può leggersi in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, II, p. 31 ss. In argomento si v. Bucalo, La giungla dei trattamenti nel lavoro dipendente, in Aa. Vv., Il diritto del lavoro nell’emergenza, (a cura di De Luca Tamajo e Ventura), Napoli, Jovene, 1979, p. 211 ss.; Lettieri, I risultati della «Commissione Coppo», in Aa.Vv., La vertenza salario, Torino, Rosenberg & Sellier, 1977, p. 7 ss; Pontarollo, Struttura dei costi del lavoro e contrattazione, Milano, Vita e Pensiero, 1978, p. 78 ss.
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In proposito si v., in senso aspramente critico, Treu, Sindacato e autonomia contrattuale, in Aa.Vv., La vertenza salario, cit., p. 25 ss. ed anche Tosi, La retribuzione nel diritto del lavoro dell’emergenza, in «Giornale dir. lav. e rel. ind», 1979, p. 516.
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Si v. le Considerazioni finali, cit., p. 37.
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ivi, p. 39.
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Più precisamente le proposte della Commissione puntavano a: a) trasferire nella retribuzione diretta l’equivalente degli emolumenti destinati ad essere corrisposti sotto forma di indennità di anzianità, in parte o anche integralmente, nell’ipotesi, ritenuta ottimale, che si muovesse nel senso di una completa abolizione dell’istituto; b) inglobare nella medesima retribuzione diretta le mensilità aggiuntive ulteriori rispetto alla tredicesima, diverse indennità prive di attinenza specifica con la prestazione lavorativa, premi e gratifiche varie; c) eliminare tutte quelle facilitazioni ed agevolazioni non direttamente monetarie legate sia al tipo di attività aziendale (tariffe e prezzi di particolari servizi e beni, agevolazioni creditizie, ecc.), sia alle caratteristiche dell’impiego (quali alcune agevolazioni per i dipendenti pubblici), reputate prive di valida giustificazione, anche quando di modesta entità.
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Considerazioni finali, cit., p. 32; si v. anche, con più puntuale riferimento agli istituti dell’indennità e degli scatti di anzianità, il paragrafo dedicato a «I trattamenti normativi e retributivi dell’impiego privato: l’unificazione legislativa di alcuni istituti contrattuali», ivi, p. 38 s.
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ivi, p. 32.
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Sul punto si v. retro, cap. II, parag. 1.
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Delle tante riflessioni del periodo immediatamente successivo alla pubblicazione delle proposte della Commissione Coppo si v., fra le più significative, quelle di Valcavi, Relazione al Comitato Esecutivo Osi, (Roma 17-18 novembre 1977), in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, I, p. 70 ss.; Garavini, Relazione al Comitato Direttivo della Federazione Cgil-Cisl-Uil (Roma 10-11 luglio 1978), in «Rass. sind.», 1978, n. 29, p. 25 ss. Per le elaborazioni più recenti, anche di fonte confindustriale, si v. infra, parag. 5.
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Alleva, Intervento alla tavola rotonda su Il problema dei c.d. «automatismi retributivi»: questioni giuridiche e orientamenti sindacali, in «Riv. giur. lav.», 1977, I, p. 441.
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Treu, Intervento alla tavola rotonda citata in nota precedente, p. 459.
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Sul punto cfr., per tutti, Arrigo e Pandolfo, Gli «automatismi salariali»: appunti per una ricostruzione storica dell’indennità di anzianità e degli aumenti periodici, in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, II, p. 96 ss.
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Di passata si può osservare come proprio in ragione dell’indicato carattere e della destinazione privilegiata di tali emolumenti in favore degli strati impiegatizi di forza-lavoro si possono leggere i molti distinguo che sempre hanno segnato la posizione degli imprenditori nei confronti della prospettiva di un loro superamento: per un’illustrazione in proposito si v. Mortillaro, L’indennità di anzianità: istituto da riformare, non da distruggere, in «Il Sole-24 ore», 24 febbraio 1977; Id., Costo del lavoro superonerato, ivi, 14 gennaio 1978; Olivieri, Le due facce della medaglia nella riforma del salario, ivi, 29 giugno 1977; cfr. anche l’editoriale Com’è nato il dibattito sulla struttura del salario, in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, I, p. 3 ss., nonché Ghera, Prospettive di riforma dell’indennità di anzianità, in «Riv. trim. dir. e proc. civ.», 1982, p. 534.
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Le citazioni sono da Alleva, op. cit., p. 444
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Si v. il Parere del Cnel sulle «Considerazioni finali e proposte» della Commissione parlamentare di inchiesta (in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, lI, p. 53 ss.), dove l’invito espresso da quest’ultima a un graduale superamento dell’istituto dell’indennità di anzianità viene ritenuto accoglibile soltanto in un contesto normativo in cui siano apprestate «garanzie per il mantenimento di un livello adeguato di reddito per periodi di disoccupazione involontaria nonché necessari strumenti per la rapida definizione delle pensioni e comunque di congrue anticipazioni sulle stesse»: ivi, p. 57 s.
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Si v., in questo senso, Ventura, Intervento alla tavola rotonda citata in nota 10, p. 440; Russo, Scatti di anzianità, in Dizionari del diritto privato. Diritto del lavoro (a cura di Dell’Olio), Milano, Giuffrè, 1981, p. 442.
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Non a caso gli scatti di anzianità, previsti sporadicamente in alcuni settori ed aziende già nel corso degli anni trenta, sono stati generalizzati, subito dopo la guerra, dagli accordi interconfederali 30 marzo 1946 (per le provincie del Nord) e 23 maggio 1946 (per le provincie centro-meridionali).
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Così il Parere del Cnel, cit., p. 57 che, conseguentemente, faceva discendere dall’affermazione la proposta di ridimensionare la portata dell’istituto «entro limiti circoscritti da apprezzabili ragioni», riconducibili sostanzialmente ai «casi in cui si possa ritenere che l’esperienza acquisita con l’anzianità di servizio sia di per sé sufficiente a qualificare per lo svolgimento di compiti superiori».
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Cfr. Cella, Struttura del salario e relazioni industriali, in «Prosp. sind.», 1978, 28, p. 17.
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Alleva, Automatismi e riassorbimenti salariali, in «Riv. giur. lav.», 1979, I, p. 112, il cui giudizio, peraltro, appare collegato a una valutazione complessiva dell’istituto assai attenta e ispirata a notevole equilibrio: si v. anche retro in nota 14. Nel senso del testo cfr. Smuraglia, Riflessioni sull’indennità di anzianità, in «Riv. giur. lav.», 1977, I, p. 318.
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Al riguardo si v., in generale, Hanami, Japan, in International encyclopaedia for labour law and industrial relations, Kluwer, The Netherlands, 1978, p. 68.
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Cfr. Ventrella, Lo sviluppo del trattamento di fine lavoro, in Aa.Vv., La retribuzione nell’industria, (a cura dellTSVET), Milano, Franco Angeli, 1970, p. 254 s.
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E il caso del Belgio, dove la legge 28 giugno 1966 prevede il pagamento di un’indennità ai lavoratori licenziati per chiusura d’impresa (si v. Blanpain, Belgium, in international encyclopaedia, cit., 1979, p. 106); della Gran Bretagna, dove l’obbligo legale di corrispondere un’indennità a favore del lavoratore licenziato per eccedenza di personale è stato introdotto nel ’65 dal Redundancy payments Act (su cui si v. Hepple, Great Britain, in International encyclopaedia, cit., 1977, p. 119); della Francia, dove l’ordonnance 13 luglio 1967 è intervenuta a generalizzare un istituto prima previsto soltanto da alcuni contratti collettivi (si v. Camerlynck e G. Lyon-Caen, Droit du travail, Parigi, Dalloz, 198010, p. 229); della Germania Federale, dove trattamenti di fine lavoro furono inizialmente disciplinati dalla contrattazione collettiva, a partire dalla metà degli anni ’60, nei c.d. «accordi di razionalizzazione», e poi dalla legge di protezione contro i licenziamenti del 1969 (si v. Ramm, Federal Republic of Germany, in International encyclopaedia, cit., 1979, p. 138; ed anche Daubler, Una riforma del diritto del lavoro tedesco?, in «Ires/Papers», 1985, 1, p. 14, con riferimento alla prasi seguita dal c.d. Einigungsstelle (ufficio di conciliazione) di imporre la corresponsione di «un’indennità commisurata alla retribuzione mensile del lavoratore interessato, nonché alla sua anzianità di servizio e alla sua età», nel caso di mancato accordo fra impresa e consiglio d’azienda sui termini del «piano sociale» — previsto dal Betriebsverfassungsgesetz del 1972 — conseguente a un licenziamento collettivo); della stessa Austria, dove la vecchia indennità di anzianità impiegatizia è stata estesa agli operai dalla legge 23 febbraio 1979 (si v. Runggaldier, Il diritto del lavoro in Austria, in Aa.Vv., Il diritto del lavoro dei paesi europei non partecipanti alla C.E.E., Padova, CEDAM, 1981, p. 34).Altrove la regolamentazione dell’indennità di licenziamento è rimasta di fonte collettiva, come in Svezia, dove essa è stata introdotta nel ’64 da un accordo interconfederale in favore di lavoratori, in possesso di determinati requisiti di anzianità aziendale e di età, che perdano il posto in seguito a chiusura d’impresa o a riduzione d’attività della stessa; o negli Stati Uniti, dove la c.d. severance pay si è largamente diffusa nei contratti collettivi sin dalla metà degli anni ’50.
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Le affermazioni sono, rispettivamente, delle Considerazioni finali, cit., p. 39 e di Ventrella, op. cit., p. 263. Nello stesso senso si v. Smuraglia, op. cit., p. 319, nota 162.
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Legge 15 luglio 1966, n. 604 (art. 9).
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Corte cost., 27 giugno 1968, n. 75, in «Giur. cost.», 1968, I, p. 1095.
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Corte cost., 28 dicembre 1971, n. 204, ivi, 1971, I, p. 2296. In generale sulla progressiva estensione del diritto alla corresponsione dell’indennità di anzianità si v., per tutti, G. Santoro-Passarelli, Dall’indennità di anzianità al trattamento di fine rapporto, Milano, Giuffré, 1984, p. 27 ss; Ghezzi e Romagnoli, Il rapporto di lavoro, Bologna, Zanichelli, 1984, p. 261.
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Le leggi francese e inglese richiedono due anni di anzianità ininterrotta come requisito legittimante il diritto alla corresponsione dell’indennità di licenziamento; in quella belga l’anzianità minima richiesta è di un anno. Condizioni assai più restrittive sono previste dall’accordo interconfederale stipulato in Svezia, dove la maturazione del diritto è subordinata al raggiungimento di 50 anni di età, accompagnato da un’anzianità aziendale di almeno 10 anni (anzianità superiori, peraltro, sono ritenute utili ad abbassare il limite minimo di età).
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cfr. Camerlynck e G. Lyon-Caen, op.cit., p. 231. Più esattamente, la legge specifica che l’ultima retribuzione da moltiplicare per il numero di anni di servizio nell’impresa deve essere calcolata sulla base del salario medio percepito negli ultimi tre mesi. Le frazioni del montante così individuato, da utilizzare ai fini della determinazione dell’indennità, sono anch’esse indicate dalla legge (20 ore di salario per lavoratori con paga oraria, un decimo per quelli con retribuzione mensile) e variamente modificate in melius dai contratti collettivi, con applicazione di coefficienti molto più elevati soprattutto a favore di impiegati e quadri.
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In Belgio, ad esempio, il «tetto» è stabilito in funzione sia dell’anzianità aziendale (1.000 F.B. per anno con un massimale di 20.000), sia dell’età (1.000 F.B. per ogni anno di età sopra i 45, anche in questo caso con un massimale di 20.000). Il criterio di favorire i lavoratori più anziani è seguito anche in Germania, dove l’indennità legale minima, non superiore a 12 mensilità, raggiunge le 15 mensilità per lavoratori che abbiano l’età di 50 anni (e un’anzianità di servizio di almeno 15 anni); le 18 mensilità per lavoratori ultracinquantacinquenni (con anzianità di servizio superiore a 20 anni).La definizione dell’importo massimo in Gran Bretagna dipende invece, oltre che dall’applicazione di criteri assimilabili ai precedenti, anche dalla mancata considerazione della parte di salario eccedente la misura di 80 sterline per settimana nella base di computo dell’indennità (sul punto, per maggiori ragguagli, si v. Hepple, op. cit., p. 119).
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In argomento si v., in generale, Ventrella, op cit., p. 258 ss.
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v. Gardin, Il collegamento della retribuzione all’età e all’anzianità di servizio individuale, in Aa.Vv., La retribuzione nell’industria, cit., p. 173 ss.; Indicazioni sulla struttura del salario in alcuni paesi europei, in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, li, p. 87.
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Cfr. Gardin, op.cit., p. 194. Merita di essere ricordato come in alcune esperienze straniere l’istituto della progressione economica automatica presenti tratti sicuramente non meno discutibili laddove la dinamica salariale viene fatta dipendere dall’età del dipendente (prevedendosi aumenti retributivi per anno o per classi di età o, anche, stabilendosi età minime di ingresso nelle categorie professionali). Situazione del tutto diversa é riscontrabile negli USA, dove l’istituto della seniority (su cui v. Goldman, United States of America, in International encyclopaedia, cit., 1979, p. 245 ss.) è disciplinato dai contratti collettivi, non solo come fonte di aumenti salariali, quanto soprattutto come attributivo di uno status cui si ricollegano svariati privilegi e benefici (migliori trattamenti feriali, maggior protezione nel caso di provvedimenti di riduzione della forza lavoro, ecc.), secondo una tecnica normativa largamente conosciuta anche da noi e, poi, progressivamente superata nell’ultimo quindicennio dalle innovazioni contrattuali ispirate a criteri largamente perequativi (per le fattispecie di residua rilevanza si v., comunque, Mazziotti, Profili generali dell’anzianità nel rapporto di lavoro, in Atti del XII Convegno Nazionale del «Centro Nazionale Studi di Diritto del lavoro» su Riflessi dell’anzianità sul rapporto di lavoro, Milano, Giuffré, 1983, p. 65).
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Il riferimento è, in primo luogo e tipicamente, all’ordinamento tedesco, dove le organizzazioni sindacali hanno costantemente avversato, almeno nel secondo dopoguerra, l’adozione di clausole di scala mobile (a parte alcune limitate esperienze settoriali nel corso degli anni ’60, su cui v. Vannutelli e Fevola, ¡sistemi di scala mobile dei salari: aspetti e problemi delle esperienze in atto, in Aa.Vv., La retribuzione nell’industria, cit., p. 139). L’atteggiamento dei sindacati tedeschi appare, peraltro, strettamente legato alle vicende storiche di quel paese e mosso anche dalla preoccupazione di rovesciare la scelta, di segno diverso, operata nel primo dopoguerra (su cui si v. Sitzler, L’adaptation des salaires à la dépréciation de la monnaie en Allemagne, in «Rev. Internat. travail», 1924, vol. IX, p. 685 ss.). Minor credito sembra doversi attribuire all’opinione, corrente ma discutibile, che su quell’atteggiamento abbia pesato l’esistenza di un divieto legale di pattuire clausole di indicizzazione: la prevalente dottrina tedesca esclude, infatti, che tale divieto possa farsi discendere dalla disposizione contenuta nel parag. 3 del Wàhrungsgesetz (legge monetaria) del 1948, come pure comunemente si ritiene (sul punto cfr., comunque, Däubler, Diritto sindacale e cogestione nella Germania Federale, Milano, Franco Angeli, 1981, p. 140). Un divieto legale incontestato è, invece, sicuramente presente nell’ordinamento francese, in base alle disposizioni dettate dall’ordonnance 30 dicembre 1958. La proibizione ivi contenuta, peraltro, è stata largamente disattesa dalle parti collettive, durante gli anni ’60 e soprattutto negli anni ’70, sia nel settore privato che in quello pubblico. La giurisprudenza della Cassazione, dal canto suo, soltanto in tempi recenti ha mostrato di ritenerne la perdurante operatività: cfr. in argomento, con interessanti rilievi, Savatier, La prohibition de l’indexation des salaires, in «Dr. soc.», 1983, p. 221 ss; Id., Développment de la jurisprudence condamnant l’indexation des salaires, ivi, 1984, p. 687 ss.
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BIT, L’indexation des salaires dans les pays industrialisés à économie de marché, Ginevra, 1978, p. 13. Oltre allo studio del BIT, per una informazione generale sui sistemi di indicizzazione possono ancora utilmente consultarsi Vannutelli e Fevola, op. cit.; Milhau, Indexation des salaires sur le coût de la vie, in «Dr. soc.», 1969, p. 424 ss., 477 ss. Più recentemente Cassone, Marchese, Scacciati, Inflazione e salari. La scala mobile in Italia e all’estero e i suoi effetti, Milano, Franco Angeli, 1977.
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Il nesso fra incremento del tasso di inflazione e diffusione di meccanismi di indicizzazione è comunemente rilevato dagli studi in argomento: in proposito cfr., per tutti, Vannutelli e Fevola, op. cit., p. 125 s. e, soprattutto, BIT, op. cit., con puntuali riferimenti alle singole esperienze nazionali.
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Ad esempio in Belgio, Danimarca, Lussemburgo, Olanda. Per embrionali esperienze dell’epoca da noi si v. Lungarella, La scala mobile 1945-81, Venezia, Marsilio, p. 22. Cfr. anche Tomassini, Intervento dello Stato e politica salariale durante la prima guerra mondiale: esperimenti e studi per la determinazione di una «scala mobile» delle retribuzioni operaie, in «Annali Feltrinelli», 1982, p. 87 ss; nonché Balella, Salari, costo della vita e indennità caro-viveri, Roma, 1918.
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Per un’analisi ragionata delle posizioni imprenditoriali si v. BIT, op. cit., p. 57 ss.
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Foa, La struttura del salario, Roma, Alfani, 1976; p. 92; ma già, più ampiamente, Id., Prefazione a Levi, Rugafiori, Vento, Il triangolo industriale fra ricostruzione e lotta di classe (1945-1948), Milano, Feltrinelli, 1974, p. XXII ss. La pubblicistica sulle origini e la storia del nostro sistema di scala mobile è notoriamente sterminata: si v., per tutti, Lungarella, op cit.; D’Apice, La scala mobile dei salari, Roma, Editrice sindacale italiana, 1975; più recentemente Di Gioia, La scala mobile, Roma, Alfamedia, 1984.
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Sul punto cfr. O’Connor, La crisi fiscale dello Stato, Torino, Einaudi, 1979, p. 32. Con riguardo alla nostra esperienza è stato ampiamente sottolineato il nesso storicamente corrente fra adozione della scala mobile, reintroduzione nelle fabbriche del sistema del cottimo e «sblocco» del regime dei licenziamenti (cfr. Foa, Prefazione, cit.). Quanto alla riforma del 1975 si è sostenuto, da fonte particolarmente attendibile, il legame col coevo accordo interconfederale sulla cassa integrazione, affermandosi che allora per gli imprenditori «era necessario acquisire maggiore mobilità della forza lavoro» al punto che «il linkage principale con l’aspetto salariale era rappresentato dal problema della utilizzazione della forza-lavoro»: Mattei, Accordo sulla scala mobile del 1975: la rievocazione di un negoziatore, in «Riv. pol. econ.», 1981, p. 803.
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In Danimarca tradizionale è l’esclusione d’incidenza di aumenti delle imposte indirette sui movimenti dell’indice; più recentemente ne è stata decisa la desensibilizzazione anche rispetto alle variazioni di prezzo dei prodotti energetici. In Olanda l’ufficio centrale di statistica calcola, dal 1974, anche un indice dei prezzi prescindente dagli effetti delle imposte indirette: le parti collettive, peraltro, restano libere di servirsi dell’indice «depurato» o di quello «integrale». Da noi il problema è discusso da tempo. La proposta di desensibilizzare l’indice dei prezzi rispetto agli effetti dell’inflazione importata è stata ripetutamente avanzata da Monti in numerosi interventi (ad esempio, Come migliorare la scala mobile, in «Corriere della Sera», 8 luglio 1982; Id., La scala mobile: che cosa si guadagna con la contrattazione, in Aa.Vv., La riforma del salario, Milano, Franco Angeli, 1984, p. 99 ss.). In senso critico si v. Ferri, Il patto anti-inflazione, in Aa.Vv., Le relazioni sindacali in Italia. 1981, Roma, Edizioni Lavoro, 1982, p. 313 s.
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Foa, La struttura, cit., p. 101. Sull’esperienza americana si v., comunque, fra gli scritti più recenti Pisani, Le clausole di indicizzazione in USA: il Cola, in «Econ. e lav.», 1981, 3, p. 105 ss; su quella canadese, in particolare, Card, Cost of living escalators in major union contracts, in «Ind. lab. relat. review», 1983, p. 34 ss.
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A percentuale, ad esempio, sono i sistemi di indicizzazione più largamente adottati in Belgio e Olanda. Il sistema percentuale in vigore in Danimarca per impiegati e pubblici è stato soppresso nel 1975 da un intervento legislativo che ha generalizzato il meccanismo a punto unico sino ad allora in vigore per i solo settori operai: con una tecnica normativa, val la pena di notare, assimilabile a quella che sarà fatta propria dal legislatore italiano due anni dopo.
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Sull’argomento è d’obbligo il rinvio ai lavori di Dell’Aringa, Egualitarismo e sindacato, Milano, Vita e Pensiero, 1976; Becchi Collida, Egualitarismo e politica salariale (1968-1977), Roma, Editrice sindacale italiana, 1977. Più recentemente adde Somaini, Politica salariale e politica economica, in Aa.Vv., Relazioni industriali (a cura di Cella e Treu), Bologna, Il Mulino, 1982, p. 258 ss., e, nella dottrina giuridica, Ghera, Retribuzione, professionalità e costo del lavoro, in «Giorn. dir. lav. e rel. ind.», 1981, p. 401 ss.
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v. retro in nota 13.
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L’analisi più attenta della specifica problematica resta quella di Di Vezza, L’indennità di anzianità nei contratti di lavoro, Roma, Nuove Edizioni Operaie, 1977.
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Si v. Di Vezza, Rapporto sui salari, in «Contrattazione», 1975, n. 2, p. 29.
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Cfr. Di Vezza, Il problema degli automatismi salariali: scatti e indennità di anzianità, in «Prosp. sind.», 1978, 28, p. 71 s.
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Occorre avvertire che nelle diverse discipline collettive gli indicati fattori di differenziazione si presentavano variamente intrecciati tra loro, potendo incontrarsi normative in cui ad impiegati ed operai si riconosceva: a) uguale percentuale di maggiorazione, uniforme base di calcolo, ma diverso numero di scatti ; oppure b) uniforme base di calcolo, ma un diverso numero di scatti e una diversa percentuale di maggiorazione; oppure c) diverso numero di scatti, diversa percentuale di maggiorazione e diversa base di calcolo. Al riguardo cfr. Di Vezza, Rapporto, cit., p. 27 ss; Id., Il problema, cit., p. 67; ed anche Alleva, Automatismi, cit., p. 142 ss.
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Intendosi, con l’espressione, rimarcare la circostanza che la dinamica d’incremento di tale automatismo dipendeva anche dall’incidenza di altro automatismo (la contingenza): sul punto cfr. Alleva, op. ult. cit., p. 142.
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L’istituto del ricalcolo sulla contingenza è stato introdotto per gli impiegati dall’accordo interconfederale 14 giugno 1952. Quanto ai ricalcoli sugli incrementi della paga base, essi andavano effettuati, sia per impiegati che per operai, immediatamente, al momento del verificarsi dell’incremento.
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v. retro, nota 40.
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cfr. Mattei, Accordo sulla scala mobile, cit., p. 817.
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Treu, Intervento, cit., p. 461.
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Trentin, Intervento alla tavola rotonda su Come affrontare e risolvere i problemi della giungla retributiva?, in «Rass. sind.», 1977, n. 47-48, p. 37. Ma si veda nello stesso senso anche l’affermazione di Garavini (Relazione, cit., p. 33) secondo cui «è finito il tempo in cui si poteva pensare di fare tutte le politiche salariali; la contingenza e l’indicizzazione di altre voci salariali, gli scatti e buoni parametri di qualifica, alte liquidazioni e adeguate pensioni».
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cfr. Alleva, Automatismi, cit., p. 134; Id., Il tramonto degli automatismi salariali, in «Pol. dir.», 1982, p. 437, anche con diffusi rilievi critici sulla specifica soluzione adottata.
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Alleva, Legislazione e contrattazione collettiva nel 1918-19, in «Giorn. dir. lav. e rel. ind.», 1979, p. 685, che ricorda anche, opportunamente, fra i fattori di compressione dei differenziali retributivi, «la forte dinamica di avanzamenti automatici in qualifica, che ha portato al pratico svuotamento dei livelli più bassi di inquadramento».
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Di Vezza, Ansuini, Scajola, Sulla politica salariale, Roma, Nuove Edizioni Operaie, 1977, p. 23; si v. anche Alleva, op. ult. cit., p. 687.
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Carinci, De Luca Tamajo, Tosi, Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, UTET, 1985, p. 217.
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Sulle nuove discipline contrattuali degli scatti di anzianità si v. le analisi di Di Vezza e Scajola, La struttura del salario, in «Prosp. sind.», 1980, n. 35, p. 93 e di Di Vezza, Gli aspetti economici della contrattazione nazionale, in «Contrattazione», 1980, n. 2, p. 39 ss.; cfr. anche Ghera, op. cit., p. 410 ss. e Alleva, Il tramonto, cit., p. 434.
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Sul punto cfr. Di Vezza e Scajola, op. cit., p. 91; Alleva, Legislazione, cit., p. 686.
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Si è osservato, ad esempio, con riferimento al settore metalmeccanico che già al 31 dicembre 1979, tenendo conto di tutta la contingenza maturata a quella data, il ventaglio salariale, fissato dal ccnl sulla base del rapporto 100/200, risultava ristretto a 100/159; l’ulteriore dinamica della scala mobile avrebbe portato, già nei primi mesi dell’81, a un rapporto parametrale effettivo di 100/149. Sul punto cfr. Di Vezza e Scajola, op. cit., p. 95 e, per considerazioni più generali con riferimento anche ad altri settori, Di Vezza, Retribuzioni: andamento e struttura, in Aa. Vv., Le relazioni sindacali in Italia. 1982/83, Roma, Edizioni Lavoro, 1984, p. 31 ss.
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Significativamente, durante la trattativa con gli industriali, i sindacati rifiutarono la proposta di ripartire il valore del punto di contingenza su due livelli, sulla scorta di quanto si era fatto qualche mese prima con l’accordo aziendale siglato all’Italsider (cfr. Mattei, op.cit., p. 808, 815). Il significato della vertenza per l’unificazione del punto di contingenza, d’altra parte, risalta in piena luce se si pon mente al fatto che fra le richieste sindacali vi era anche quella di rivalutare, almeno in parte, gli scatti pregressi, giustificata col debole funzionamento nel passato del meccanismo di contingenza: una rivendicazione sicuramente senza precedenti, con la quale «per la prima volta nella storia il sindacato, come organizzazione centrale, chiedeva aumenti inversamente proporzionali» ai livelli di qualifica: Foa, La struttura, cit., p. 101. Anche se quella richiesta non venne accolta, pervenendosi sul punto ad una soluzione compromissoria basata sulla corresponsione di un aumento eguale per tutti a titolo di c.d. Elemento Distinto dalla Retribuzione, il meccanismo di scala mobile introdotto nel ’75 comportava comunque, a regime, l’erogazione di incrementi salariali inversamente proporzionali ai livelli di inquadramento: è noto, infatti, che, per effetto dell’operare del fiscal drag, il punto di contingenza, unico al lordo, è, in realtà, diversificato al netto, accentuandosi ulteriormente, per tale via, i fenomeni di appiattimento retributivo: in proposito cfr., per tutti, Di Vezza, Ansuini, Scajola, op, cit., p. 109.
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Cfr. Faustini, Indicizzazione dei salari e inflazione in Italia, in «La documentazione italiana», 1977, n. 4, p. 2.
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Foa, Prefazione, cit., p. XXIV.
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Analoga considerazione, del resto, può farsi con riferimento al meccanismo di scala mobile introdotto nel 1945/46, anche se allora l’effetto era legato a ragioni diverse e, in particolare, all’accettazione contemporanea di un periodo di tregua salariale che rendeva adeguato nel tempo il valore del punto: cfr. comunque, per più ampi ragguagli, D’Apice, op.cit., p. 8 ss.
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Di Gioia, op. cit., p. 52.
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II punto 8 dell’accordo del gennaio 1983 stabiliva in L. 100.000 a regime la misura massima degli aumenti retributivi da concordare in sede di rinnovo dei contratti collettivi di categoria. Tali aumenti non avrebbero però dovuto essere concessi in cifra uguale per tutti, ma tenendo conto «della necessità di ristabilire parametri retributivi coerenti con l’obbiettivo della valorizzazione della professionalità dei lavoratori e dell’efficienza delle aziende». I singoli ccnl si sono poi largamente uniformati a tale direttiva: cfr. Di Vezza, Gli aspetti economici della contrattazione nazionale, in «Contrattazione», 1983, n. 4, p. 22 ss.; Alleva, Legislazione e contrattazione collettiva nel 1983-1984, in «Giorn. dir. lav. e rel. ind.», 1984, p. 447 s.
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É il caso del Lussemburgo, dove l’obbligo di inserire nei contratti collettivi disposizioni concernenti l’adattamento dei salari alle variazioni del costo della vita è previsto dalla legge 12 giugno 1965. L’estensione dell’obbligo alle contrattazioni individuali è stata introdotta successivamente dalla legge 27 maggio 1975.
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Va ricordato, peraltro, che in Francia il divieto legale di indicizzazione si accompagna all’esistenza di un salario minimo legale pienamente indicizzato: in argomento cfr., per tutti, Camerlynck e G. Lyon-Caen, op. cit., p. 337 ss.; Savatier, op. cit.
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Si v. BIT, L’indexation, cit., p. 63, con riferimento, in particolare, agli Stati Uniti e al Canada.
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BIT, op. cit., p. 3.
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In argomento cfr., in generale, Tarantelli, Le politiche di rientro dall’inflazione nei paesi industrializzati e il ruolo economico del sindacato, in «Lab. pol.», 1981, n. 4, p. 174 ss.; e anche Id., La predeterminazione dell’inflazione nei paesi industrializzati e l’accordo sul costo del lavoro del 22 gennaio 1983, ivi, 1983, n. 1, p. 133 ss.
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Sul punto cfr. De Luca Tamajo, L’accordo interconfederale del 26gennaio 1977 e il quadro di riferimento politico-sindacale, in Aa. Vv., Il diritto del lavoro nell’ emergenza, cit., p. 114; Mazzamuto e Tosi, Il costo del lavoro tra legge e contratto, in Aa.Vv., Crisi e riforma dell’impresa, Bari, De Donato, 1978, p. 317, i quali riconducono proprio a tale circostanza il significato dell’affermazione, contenuta nel preambolo dell’accordo interconfederale, con la quale le parti vollero ribadire che «il contenuto del cappono di lavoro è e deve restare materia di competenza esclusiva delle pani sociali e la sua definizione deve avvenire mediante l’accordo tra queste».
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Sul punto cfr., per tutti, Mariucci, Tra patto sociale e nuovi conflitti, in «Pol. dir.», 1983, p. 189.
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Si v. De Luca-Picione, Sindacato e legge di blocco dei salari, in «Dir. Lav.», 1976, I, p. 354 ss.; Cester, I recenti provvedimenti per la riduzione del costo del lavoro, in «Riv. dir. civ.», 1977, II, p. 261; Tranquillo, Disposizioni sulla corresponsione degli aumenti retributivi dipendenti da variazioni del costo della vita, in «Nuove leggi civ. comm.», 1978, p. 190 ss.; Napoli e Ponzini, Problemi applicativi del decreto sul «blocco della contingenza», in «Riv. giur. lav.», 1978, I, p. 237 ss.
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Il che, sia detto sin d’ora, sarà in buona sostanza riconosciuto anche dalla Corte costituzionale, costretta a liquidare la questione sulla base della sola affermazione che non rientrasse fra i suoi compiti di «verificare in qual modo siano stati identificati — e, quindi, astretti al rispetto della legge — i debitori dei beneficiari di meccanismi automatici di adeguamento di compenso alle variazioni degli indici del costo della vita»: Corte cost., 30 luglio 1980, n. 141, in «Foro it.», 1980, I, c. 2649. Contra, ma con argomentazioni generiche, Falsitta, Disposizioni sulla corresponsione degli aumenti retributivi dipendenti da variazioni del costo della vita, in «Nuove leggi civ. comm.», 1978, p. 194. La modificazione introdotta in sede di legge di conversione, in realtà, sembra essere stata suggerita, più che dall’obbiettivo di rafforzare l’impatto antinflazionistico del decreto, dall’intento di parare censure di incostituzionalità ex art. 3 Cost.
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Così, puntualmente, Tarantella Politica del lavoro, congiuntura e relazioni industriali, in «Dir. lav.», 1984, I, p. 92.
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Sul punto vi è largo consenso: cfr. Sandulli, Il costo del lavoro dall’accordo al decreto, in «Dir. Lav.», 1984, I, p. 25; Vallebona, Limiti legali all’ autonomia collettiva per il contenimento del costo del lavoro: profili di costituzionalità, ivi, 1984, I, p. 130 s; Zoppoli, Commento sub art. 3, in Aa.Vv., Misure urgenti in materia di tariffe, di prezzi amministrati e di indennità di contingenza, in «Nuove leggi civ. comm.», 1985, p. 19.
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cfr. Di Vezza, Ansuini, Scajola, op cit., p. 107 ss.
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Rusciano e Treu, Note introduttive, in Aa.Vv., Misure urgenti, cit., p. 1.
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Mariucci, La contrattazione collettiva, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 341. L’a. estende il raffronto all’intervento con cui, nel ‘77, si decise l’abolizione delle c.d. scale mobili «anomale», rilevando che, in quel caso, la legge avrebbe avuto l’obbiettivo di eliminare «un’indicizzazione in percentuale sull’inflazione che si rifletteva su tutti gli elementi della retribuzione, producendo un guadagno netto in termini reali» (c.m.): neppure quest’argomentazione riesce, però, convincente ed, anzi, appare intrinsecamente erronea, giacché, com’è noto, effetto delle scale mobili anomale non era quello di produrre «un guadagno netto in termini reali», bensì di assicurare una protezione (quasi) integrale dall’erosione inflazionistica a tutti i livelli retributivi in misura indifferenziata, diversamente dal sistema in vigore nell’industria, caratterizzato da un grado di copertura dall’inflazione incompleto e, comunque, diversificato per fasce salariali. Sul punto si v. infra nel testo.
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Osservatori, peraltro, non sospetti di preconcette simpatie nei confronti della manovra governativa: si v., ad esempio, l’opinione di Dal Co in «Rass. sind.», 1985, n. 9; nonché Santi, Sindacati e contingenza: tra lavoratori e governo, in «Quad. piac.», 1984, n. 12, p. 41 ss.
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Il blocco dell’adeguamento dei canoni di affitto delle abitazioni, pur previsto dal protocollo d’intesa fra governo, Cisl e Uil, è rimasto, invece, fuori dalla legge 219/84 e, successivamente, è stato attuato con separato provvedimento legislativo.
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Sul punto cfr., in generale. Di Vezza, Le modifiche al sistema di calcolo della scala mobile, in Aa. Vv., Il patto contro l’inflazione (a cura di Treu), Roma, Edizioni Lavoro, 1984, p. 118 ss.
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La copertura non era rigidamente integrale, giacché restavano escluse dall’indicizzazione voci retributive marginali (ad esempio, nel settore del credito, l’indennità di concorso spese tramviarie): maggiori ragguagli sul funzionamento del sistema in Lungarella, op cit., p. 118 ss; Mazzamuto e Tosi, Norme per l’applicazione dell’indennità di contingenza, in «Nuove leggi civ. comm.» 1978, p. 204.
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Ci si riferisce al tentativo, operato col successivo decreto legge 7 febbraio 1977, n. 15, di desensibilizzare la scala mobile rispetto agli aumenti delle imposte indirette e di disincentivare la contrattazione salariale aziendale: sul punto si v. infra nel testo.
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Secondo l’affermazione contenuta in un documento del sindacato bancari della Cgil, citata da Lungarella, op cit., p. 122.
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Soprattutto da De Luca Tamajo, Leggi sul costo del lavoro e limiti all’autonomia collettiva (Spunti per una valutazione di costituzionalità), in Aa.Vv., Il diritto del lavoro nell’ emergenza, cit., p. 161 ss. e da Mazzetta, Le norme sulla riduzione del costo del lavoro davanti alla Corte costituzionale, in «Foro it.», 1980, I, c. 2644 s. In senso contrario si v. Mazzamuto, L’intervento legislativo sul costo del lavoro, in Aa.Vv., Il diritto del lavoro nell’emergenza, cit., p, 149 s; nonché Mazzamuto e Tosi, op. ult. cit., p. 204, dove è espressa senza mezzi termini la convinzione che la logica della disciplina legale sulle scale mobili «anomale» si muovesse «al di fuori di qualsiasi intento perequativo».
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Norma, oltre tutto, interpretabile nel senso, più restrittivo, di implicare una cristallizzazione nel tempo delle discipline di scala mobile deteriori o, più semplicemente, come riaffermazione della «natura di disciplina dei massimi e non di disciplina legale standard dell’intervento sull’indennità di contingenza»: così Mazzamuto e Tosi, op. ult. cit., p. 206, correggendo, opportunamente, l’interpretazione dagli stessi fornita ne Il costo del lavoro, cit., p. 320.
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L’art. 3 del decreto legge n. 12/77 disponeva infatti che «le somme non più dovute ai lavoratori... saranno devolute alla riduzione dei costi aziendali o alla copertura di oneri pubblici». In proposito è stato osservato che «era una prassi del tutto insolita per una legge indicare in un apposito articolo i fini politici perseguiti con la legge stessa: era comunque un parlare assai chiaro che non nascondeva, anzi proclamava esplicitamente, che di riduzione del salario si trattava e che questa riduzione era stata disposta a beneficio delle imprese» (Canosa, Sistema giuridico tra garantismo e istituzionalismo, in «Quad. piac.», 1978, n. 67-68, p. 23). Ma il rilievo non sembra del tutto pertinente: stando alla dizione letterale della norma, infatti, sarebbe stato possibile acquisire anche integralmente all’erario gli imponi non più dovuti dalle imprese ai propri dipendenti. La legge 31 marzo 1977, n. 91, (di conversione del decreto) sopprimerà, poi, l’art. 3, disponendo la confisca di tali importi per il solo anno 1977 e la destinazione degli stessi al «contenimento dei costi di servizi di interesse collettivo».
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Corte cost., 30 luglio 1980, n. 141, cit., c. 2651.
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Mazzamuto e Tosi, Norme per l’applicazione, cit., p. 208.
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La Dichiarazione della Federazione Cgil-Cisl-Uil può leggersi in Aa. Vv., Il diritto del lavoro nell’ emergenza, cit., sul punto a p. 199.
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Accentuati, in sede di conversione, dalla soppressione del limite temporale di efficacia, precedentemente fissato al 31 gennaio 1979
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Sul punto cfr. Di Vezza, Ansuini, Scajola, op. cit., p. 110. In generale sul decreto n. 15/1977 si v. Cester, La fiscalizzazione degli oneri sociali, in «Nuove leggi civ. comm.», 1978, p. 210 ss; Mazzamuto, Fiscalizzazione degli oneri sociali e contenimento del costo del lavoro, in Aa.Vv., Il diritto del lavoro nell’emergenza, cit., p. 175. s.; Tosi, La retribuzione nel diritto del lavoro dell’emergenza, cit., p. 514 s.
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Sulla caratteristica di «automatismo composto» propria ad indennità e scatti di anzianità v. retro, parag. 1.
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Ma insufficiente dal punto di vista degli industriali (si v. la Dichiarazione della Confindustria a verbale dell’accordo sul costo del lavoro, in Aa.Vv., Il diritto del lavoro nell’emergenza, cit., p. 195 s.) che, infatti, reclameranno e otterranno subito dopo dal governo un provvedimento di fiscalizzazione degli oneri sociali (attuato con decreto legge n. 15/1977).
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Sul punto v. retro, cap. II, parag. 5, nonché Cester, I recenti provvedimenti, cit., p. 262.
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Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 317.
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Ma non unica: con propria autonoma valutazione il legislatore ha provveduto, infatti, ad estendere l’intervento ai rapporti di lavoro della navigazione marittima e aerea, evidentemente non compresi nella sfera di applicazione dell’accordo interconfederale (art. 1 decreto legge n. 12/1977), e poi «a tutte le forme di indennità di anzianità, di fine lavoro, di buonuscita comunque denominate e da qualsiasi fonte disciplinate» (art. 1 bis legge n. 91/1977).
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Si ricordi, infatti, che con esso le parti si impegnavano «a promuovere nelle sedi competenti un’azione per la modifica legislativa... nonché delle pattuizioni collettive in materi».
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Esatti rilievi, al riguardo, in Mazzamuto e Tosi, Il costo del lavoro, cit., p. 318, i quali sottolineano come «il risultato espropriativo dell’autonomia contrattuale (collettiva ed anche individuale)» sia stato «definitivo, giacché in sede di conversione cade l’art. 5 che prevedeva la vigenza limitata nel tempo degli art. 2 ss., quindi anche dell’art. 4».
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In proposito cfr. ampiamente Alleva, Automatismi, cit., p. 136 ss., e anche Napoli, Problemi giuridici sulla riforma della struttura del salario, in «Dati e Documenti», 1978, n. 1, ora in Occupazione e politica del lavoro in Italia, Milano, Vita e Pensiero, 1984, p. 103.
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Alleva, op. ult. cit., p. 134.
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Quali la fissazione di un tetto massimo indicizzato all’importo delle indennità di anzianità maturabili dai lavoratori oppure l’unificazione per tutti del coefficiente di calcolo a un livello più basso di quello (30/30 dell’ultima retribuzione) stabilito per gli impiegati dall’art. 1 della legge 18 dicembre 1960, n. 1561.
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In argomento si v. Alleva, Il tramonto, cit., p. 439 s. Sotto altro aspetto è stato rilevato che la nuova disciplina fa venir meno il carattere di disincentivo alla mobilità proprio dell’indennità di anzianità. Stante, infatti, l’insufficienza del meccanismo legale di indicizzazione delle quote annualmente accantonate, almeno a fronte di tassi di inflazione superiori al 6%, verrebbe fatto di pensare che «il legislatore abbia voluto incentivare la mobilità, che comporta l’azzeramento della svalutazione subita»: Miscione, Un po’ di razionalità, in «Pol. dir.», 1982, p. 346.
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Citazioni rispettivamente da Giugni, De Luca Tamajo e Ferraro, Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica, in «Nuove leggi civ. comm.» 1983, p. 298 e Mariucci, op. ult. cit., p. 318.
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Anche il divieto di conglobamento, infatti, non è andato esente da interpretazioni difformi. Fra tutte, la più attendibile è sicuramente quella che lo metteva in relazione da un canto con il divieto delle scale mobili anomale, dall’altro con la deindicizzazione dell’indennità di anzianità che, altrimenti, avrebbe potuto disinvoltamente essere aggirata, appunto mediante conglobamenti della contingenza maturata dopo il 1° febbraio 1977 in paga-base. Non sono mancate, peraltro, anche interpretazioni più riduttive (pur autorevolmente formulate: si v., ad esempio, la lettera della Presidenza del Consiglio dei Ministri in «Consulenza», 1978, n. 3), le quali mostravano di intendere il divieto di conglobamento come proibizione legale, per tutti i settori, di porlo in essere con modalità differenti da quelle adottate nel settore industriale.
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Cfr. Mazzamuto e Tosi, Norme per l’applicazione, cit., p. 204 s.
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Cfr. Giugni, Parlamento e sindacati, in «Pol. dir.», 1978, p. 366.
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Interpretazione, peraltro, palesemente infondata: quanto agli scatti perché basata su un’indebita sovrapposizione delle nozioni di «calcolo» e «ricalcolo»; quanto ad altri elementi retributivi perché, a tacer d’altro, oblitera quel disposto dell’art. 2 della legge n. 91 a mente del quale il computo della contingenza su «qualsiasi elemento della retribuzione» continua ad essere legittimo, purché effettuato con modalità non difformi da quelle in atto nel settore industriale. In tema si v., in generale, Saracini, Scatti d’anzianità e punti di contingenza, in «Riv. it. dir. lav.», 1983, I, p. 512 ss.
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Alleva, Automatismi, cit., p. 100. L’a., peraltro, ha successivamente mutato opinione (ne Il tramonto, cit., p. 431 ss.), sposando la prima delle alternative interpretative indicate. Nel senso che «il problema resti praticamente insolubile con gli strumenti dell’ermeneutica» si v. anche Mazzamuto, L’intervento legislativo, cit., p. 146.
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Sull’intero episodio cfr., in generale, le valutazioni di Giugni, op. ult. cit.
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Cfr. ancora Giugni, op. ult. cit., p. 367.
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Garavini, Relazione, cit.
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Giugni, op. ult. cit., p. 369.
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Da Mazzamuto e Tosi, Il costo del lavoro, cit., p. 324, con riferimento anche alla normativa relativa alla corresponsione della contingenza in Bpt.
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Si pensi, ad esempio, al settore commerciale, dove l’art. 72 del ccnl 17 dicembre 1979 conferma la precedente disciplina del ricalcolo degli scatti di anzianità sugli incrementi di contingenza: per l’illegittimità di tale clausola contrattuale si v. D’Avossa, Contratto del Commercio. Commentario, Milano, Ipsoa Informatica, 1983, p. 99 s. Il successivo ccnl 18 marzo 1983, riformulando ampiamente la normativa relativa agli scatti, ha provveduto anche ad abolire la previsione di ricalcolo.
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Cfr. Alleva, Automatismi, cit., p. 100; Saracini, op. cit., p. 548.
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La regolamentazione collettiva prevede infatti un punto di valore superiore a quello adottato nel settore industriale, accompagnato, però, da una cadenza degli scatti più ampia (semestrale): sui problemi di legittimità di tale disciplina si v. Alleva, Legislazione e contrattazione collettiva nel 1980-1981, in «Giornale dir. lav. e rel. ind.», 1981, p. 685.
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Cfr. Ferraro, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Padova, CEDAM, 1981, p. 349, anche per riferimenti a soluzioni atipiche dettate da alcuni contratti nazionali.
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Come pare temere Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 319. In effetti i particolari compensi attribuiti a singoli dipendenti per incentivarne le dimissioni appaiono erogati in base a una causa propria, diversa dal titolo per cui viene corrisposto il trattamento di fine rapporto. In questo senso possono senz’altro ritenersi di perdurante legittimità, in quanto rientranti fra «quelle indennità che hanno una finalizzazione specifica inconfondibilmente connessa alle peculiari condizioni di risoluzione del rapporto (ad es. indennità dirette a favorire l’esodo anticipato)»: così Giugni, De Luca Tamajo e Ferraro, op. cit., p. 301.
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Giugni, De Luca Tamajo e Ferraro, op. cit., p. 298.
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Alleva, op. ult. cit., p. 686.
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Corte cost., 20 aprile 1978, n. 45, in «Riv. giur. lav.», 1978, II, p. 740.
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Il principio era stato appena affermato da Corte cost., 20 marzo 1978, n.in «Giur. cost.», 1978, I, p.458, con riferimento al trattamento retributivo del personale della regione siciliana, in base alla considerazione che «non esiste attualmente un principio dell’ordinamento giuridico dello Stato od una norma fondamentale delle riforme economico-sociali, in tema di retribuzioni del pubblico impiego, da cui possa trarsi un limite che sia in grado di operare nei confronti della competenza legislativa primaria delle regioni a statuto speciale».
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Si v., in questo senso, D’Atena, A prima lettura, in «Giur. cost.», 1978, 1, p. 529 e già Id., Regioni, eguaglianza e coerenza dell’ordinamento. (Alla ricerca di principi generali in materia di indicizzazione delle retribuzioni), ivi, 1977, I, p. 1291 ss.
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Treu, Problemi giuridici della retribuzione, in «Giornale dir. lav. e rel. ind.», 1980, p. 11.
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L’implicazione racchiusa nel ragionamento della Corte si può cogliere meglio, forse, riflettendo sulla circostanza che qualsiasi meccanismo di scala mobile a punto fisso — anche quello adottato dalla provincia di Bolzano e, a maggior ragione, quello in uso nei settori industriali e del pubblico impiego statale — è caratterizzato da gradi di copertura dalla svalutazione monetaria, oltreché differenziati per livelli retributivi, via via decrescenti nel tempo.
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Al riguardo cfr. BIT, L’indexation, cit., p. 11 s., con l’esatto rilievo che, dal punto di vista tecnico, risulta equivalente l’adozione di un sistema di scala mobile a percentuale non proporzionale, di indicizzazione di una parte soltanto del salario o ancora di attribuzione di una cifra fissa eguale per tutti.
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Così, invece, Ventura, Intervento, cit., p. 440.
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Corte cost., 14 aprile 1980, n. 43, in «Foro it.», 1980, I, c. 1261.
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La violazione del principio di uguaglianza è stata negata dalla Corte in base alla considerazione che nelle figure del contrattista e dell’assegnista emergevano caratteristiche peculiari «non riscontrabili nei rapporti dell’università con gli altri suoi dipendenti e tali da escludere quella sostanziale eguaglianza di situazioni dalla quale soltanto può dedursi l’irrazionalità e quindi l’illegittimità di trattamenti differenziati».
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Alleva, Automatismi, cit., p. 82.
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Id., op. ult. cit., p.83.
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Cass. S.U., 16 febbraio 1984, n. 1148, in «Foro it.», 1984, I, c. 387. Con questa decisione le Sezioni Unite si sono assai sbilanciate nel sottolineare la funzione di tendenziale recupero del valore reale del salario propria della contingenza, giungendo a parlare di una «retribuzione essenziale del lavoratore quale entità composta da due elementi, di cui uno contrattualmente statico-nominalistico (retribuzione-base) e l’altro dinamico-funzionale (indennità di contingenza)»; ribadendo, però, che quest’ultima va considerata come «un’entità che mantiene una sua distinta connotazione» e che perciò «non si confonde, ma si affianca alla retribuzione-base».
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Cfr. infatti Alleva, op. ult. cit., p. 83 ss.
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Lungarella, op. cit., p. 40.
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Id., op. cit., p. 41.
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Alleva, op. ult. cit., p. 79.
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Questa, del resto, è l’opinione largamente prevalente anche in dottrina: cfr. Treu, op. ult. cit., p. 16; De Luca Tamajo, Per un controllo sindacale della retribuzione, in «Pol. dir.», 1982, p. 349 s.; Giugni, Intervento alla tavola rotonda La disdetta della scala mobile: quali problemi giuridici, in «Riv. giur. lav.», 1982, I, p. 545.
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Tutte le citazioni sono da Corte cost., 30 luglio 1980, n. 141, cit., c. 2649 e 2652.
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ivi, c. 2652.
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Corte cost., 7 febbraio 1985, n. 34, in «Nuove leggi civ. comm.», 1985, p. 37.
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cfr. Vallebona, Limiti legali, cit., p. 218; De Angelis, Riflessioni sulle prime misure contro l’inflazione, in «Riv. it. dir. lav.», 1984, I, p. 314 s.; Zoppoli, op. cit., p. 19. In giurisprudenza l’eccezione di incostituzionalità ex art. 36 è stata ritenuta manifestamente infondata da Pret. Pavia, 21 maggio 1984 (ordin.), in «Riv. Giur. Lav.», 1984, II, p. 14 ss. Quanto alla circostanza che, nel caso di specie, l’intervento del legislatore si sarebbe verificato in costanza di un «blocco» della contrattazione in materia retributiva si v. i rilievi svolti retro, parag. 2 e nota 79.
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Per un cenno in questo senso si v. Zoppoli, op. cit., p. 19.
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Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 37.
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Magrini, Sulla legittimità costituzionale della predeterminazione legislativa delle variazioni dell’indennità di contingenza nel semestre febbraio-luglio 1984, in «Riv. it. dir. lav», 1985, II, p. 164.
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Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 37.
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Non diversamente dall’opinione espressa in dottrina (da Zoppoli, op. cit., p. 20), secondo la quale una censura di incostituzionalità ex art. 36 per violazione del canone della proporzionalità retributiva «non pare comunque riferibile ad un provvedimento che, riguardando nella stessa misura tutti i lavoratori, lascia inalterati i preesistenti rapporti relativi fra qualità e quantità del lavoro e livelli di retribuzione». Anche con questa argomentazione si utilizza, in buona sostanza, un criterio comparativo fra livelli di retribuzione, aggirando, piuttosto che affrontando, l’obiezione di costituzionalità prospettata nelle ordinanze di rinvio.
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Pret. Roma, 12 giugno 1984 (ordin.), in «Riv. giur. lav.», 1984, II, p. 35.
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Pret. Sestri Ponente, 5 luglio 1984 (ordin.), in «Foro it.», 1984, I, c. 2019.
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Per altro verso, se la prospettata lesione del principio di proporzionalità retributiva si ritenesse in re ipsa nell’alterazione legale dei livelli salariali posti dalla contrattazione collettiva, essa riguarderebbe piuttosto la violazione del combinato disposto degli artt. 36 e 39 co. 1° Cost., riversandosi senza residui nella problematica connessa al rispetto da parte del legislatore del principio di libertà sindacale. In questo senso, ad esempio, sembra che la questione venga, sostanzialmente, posta da Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 344. Sul punto si v. le considerazioni svolte infra nel testo.
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Corte cost., 30 luglio 1980, n. 142, in «Foro it.», 1980, I, c. 2646. Di passata si può ricordare come la violazione dell’art. 36 sia stata presa in considerazione dalla Corte esclusivamente sotto il profilo della proporzionalità. La possibilità che l’intervento legislativo, incidente su un elemento di retribuzione differita, potesse concretare una lesione del principio di retribuzione sufficiente era stata esclusa dalla dottrina (quasi) unanime, rilevandosi che tale principio deve ritenersi circoscritto nella sua sfera applicativa al salario corrente. In questo senso si v., per tutti, Mazzamuto e Tosi, Norme per l’applicazione, cit., p. 202 e, in senso dubitativo, Cester, I recenti provvedimenti, cit., p. 263 ss.
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Corte cost., n. 142/1980, cit., c. 2646.
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Corte cost., n. 142/1980, cit., c. 2646. L’osservazione della Corte è stata contestata (da Dell’Olio, Emergenza e costituzionalità. (Le sentenze sulla scala mobile e il «dopo»), in «Giornale dir. lav. e rel. ind.», 1981, p. 17) ma risulta, in sé, ineccepibile, stante la strutturale inidoneità della legge a colpire il fenomeno delle c.d. «liquidazioni d’oro», connesse a retribuzioni-base molto elevate e/o all’applicazione di coefficienti di calcolo parimenti esorbitanti rispetto alla media (ad es. 54/30 della retribuzione mensile per ogni anno di servizio): sul punto si v. Alleva, Automatismi, cit., p. 136 ed anche Ghera, Prospettive di riforma, cit., p. 515.
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Manifesta, ad esempio, nella sentenza relativa all’abolizione delle scale mobili anomale, in cui, constatata, rispetto al precedente costituito dalla 1. n. 797/1976, «la maggiore ampiezza subiettiva del sacrificio, che coinvolge tutti i dipendenti e non i lavoratori titolari di compensi elevati», si osserva che l’intervento del legislatore appare correre «sul filo dell’incostituzionalità». Per altro verso il principio di uguaglianza risulta, dalla Corte, valorizzato in positivo nei confronti della medesima legge: in proposito si v. le considerazioni svolte infra nel testo.Incertezze quanto alla conformità della legislazione in materia retributiva al canone fissato dall’art. 3 Cost, si sono, del resto, largamente manifestate anche in dottrina. In relazione al più recente provvedimento di predeterminazione dei punti di scala mobile si v., ad esempio, Pera, Sulla costituzionalità o no del decreto legge del governo Craxi sulla contingenza, in «Giust. civ.», 1984, I, p. 1652 ss.; e, soprattutto, l’attenta disamina di Zoppoli, op. cit., p. 20 s.
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Esemplare, in questo senso, il notissimo giudizio con cui la Corte, pur astenendosi da una pronuncia di incostituzionalità, ha bollato la legge relativa alla corresponsione della contingenza in Bpt: «Certo, la tendenza del Parlamento a battere le vie di sempre e — per uscire di metafora — a non muovere alla ricerca di “ricchezze novelle” meno agevolmente identificabili può non essere disconosciuta, ma trattasi di giudizio politico, riservato agli elettori e alle forze sociali, cui la Corte non può sostituirsi».
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Entrambe le citazioni sono da Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 39. Per l’infondatezza dell’eccezione di incostituzionalità ex art. 3 si v. Pret. Pavia, cit.; nel senso della non manifesta infondatezza si v. invece Pret. Roma e Pret. Sestri Ponente citt., nonché, in relazione al decreto legge n. 10/1984 poi decaduto per mancata conversione in legge entro i termini costituzionalmente previsti, Pret. Bologna, 12 marzo 1984 (ordin.), in «Giust. civ.», 1984, I, p. 1643 (secondo la quale dal parametro di cui all’art. 3 Cost, si sarebbe ricavato «il ventaglio più ampio ed immediato dei motivi di censura» della normativa); Pret. Genova, 31 marzo 1984 (ordin.), in «Lavoro ’80», 1984, p. 401 ss.
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Allora, infatti, era stato sostenuto che «non essendo identiche le situazioni dei “colpiti” e degli indenni, l’art. 3 sarebbe non a proposito invocato... sia per quel che concerne la discriminazione tra le varie forme di indicizzazione per essere diverse le finalità pratiche, cui sono indirizzati i meccanismi in esame ed altre clausole, che mirano in vario modo a salvaguardare il potere d’acquisto della moneta legale, sia perché sono diversi gli ambienti economico-finanziari, nei quali operano da un lato le tre categorie di destinatari e dall’altro lato le categorie non chiamate a far le spese della incentivazione di attività produttive» cui risultavano destinati, secondo l’art. 5 della 1. n. 797/1976, gli importi ricavati dal prestito forzoso. Che la scelta del legislatore, dal punto di vista del rallentamento del processo inflazionistico, non potesse ritenersi «pretestuosa, arbitraria o manifestamente illogica» era già parso a Pret. Roma, 28 marzo 1978 (ordin.), in «Foro it.», 1978, I, c. 1573, che, appunto perciò, aveva ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità ex art. 3.
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L’eccezione di incostituzionalità ex art. 3 del decreto sulla predeterminazione dei punti di scala mobile, ad esempio, era stata prospettata anche in considerazione del fatto che la normativa colpiva indistintamente i redditi più bassi e quelli più elevati (Pret. Roma, cit.), senza predisporre «alcuna forma di controllo o di indirizzo ai fini pubblici delle somme risparmiate» come compensazione del «massiccio trasferimento di ricchezza dai lavoratori subordinati ai datori di lavoro» (Pret. Sestri Ponente, cit.). Quanto al primo rilievo, per la verità, si potrebbe pensare che una risposta la Corte l’abbia data, accennando alla compensazione, presente nello stesso decreto-legge, rappresentata dalla «nuova disciplina degli assegni familiari, introdotta... con il preciso scopo di alleviare il sacrificio riguardante i lavoratori a basso reddito»: ma si tratta di risposta debole, anche perché non sembra che quella disciplina contenga agevolazioni esclusivamente per i lavoratori che, almeno nell’accezione comune, vengono considerati « a basso reddito».
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Con riferimento alla legge n. 797/1976 si è già ricordata (v. retro in nota 77) l’affermazione della Corte secondo la quale esorbitasse dai suoi compiti di verificare in qual modo si fossero identificati i destinatari della normativa ulteriori rispetto ai percettori di reddito da lavoro subordinato e di trattamenti pensionistici: un modo elegante per evitare di rispondere al quesito se le modificazioni al decreto originario apportate in sede di legge di conversione avessero una concreta portata precettiva o non fossero piuttosto un escamotage finalizzato ad evitare una dichiarazione di incostituzionalità.Il carattere marcatamente politico delle argomentazioni della Corte emerge, poi, con particolare evidenza nella decisione n. 34/1985, laddove la censura ex art. 3 Cost. è respinta anche in base alla considerazione che «la norma in discussione non è sprovvista... di una intrinseca ragione giustificativa», giacché i lavoratori dipendenti «risultano cointeressati alla soluzione dei problemi del costo del lavoro e della scala mobile in particolare...», potendosi ravvisare «un nesso fra le manovre del genere in esame e la tutela del valore reale delle retribuzioni complessivamente intese».
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Valorizzandosi, da un canto, nella sentenza n. 34/1985 le misure compensative del « taglio » dei punti di scala mobile, ma sostenendosi poi (nella successiva decisione 7 febbraio 1985, n. 35 con cui si è giudicato ammissibile il referendum per l’abrogazione parziale della legge 12 giugno 1984, n. 219) che tali «misure si differenziano profondamente sia per i loro contenuti, sia per i soggetti che vi sono interessati»: come dire che esse, pur comportando sicuramente dei benefici per i percettori di redditi da lavoro subordinato, non ridondavano esclusivamente a vantaggio di questi ultimi.
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Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 334.
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Id., op. loc. ult. cit.
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Magrini, op. cit., p. 165.
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Corte cost., 30 luglio 1980, n. 141, cit., c. 2652.
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Oltre agli autori citati in nota 89 si v. Ventura, Intervento alla tavola rotonda su La disdetta della scala mobile, cit., p. 533; l’opinione del quale, peraltro, sembra ora espressa in termini più problematici ne Il principio di uguaglianza nel diritto del lavoro, Milano, Giuffré, 1984, p. 30 s.
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Mariucci, op. ult. cit., p. 331. Per l’interpretazione del principio di libertà sindacale nel senso indicato nel testo si v. per tutti Giugni, Commento sub art. 39, in Commentario della Costituzione (a cura di Branca), Bologna, Zanichelli, 1979, p. 280 ss.; da ultimo De Luca Tamajo, L’evoluzione dei contenuti e delle tipologie della contrattazione collettiva, in «Riv. it. dir. lav.», 1985, I, p. 54.
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L’espressione è di R. Greco, Diritto del lavoro dell’emergenza e libertà dell’azione sindacale. Note per una valutazione di costituzionalità dopo l’intervento della Corte costituzionale sulla normativa del 1977/78, in «Foro it.», 1981, I, c. 13. Sul punto, comunque, vi è largo consenso, parlandosi di «mancato o ridotto esame delle censure ex art. 39» (Dell’Olio, Emergenza e costituzionalità, cit., p. 23); di «risposte... sfuggenti ed elusive» (Mariucci, op. ult. cit., p. 333; di «non sentenza» (Pera, Il trattamento di fine rapporto, in «Dir. Lav.», 1983, I. p. 9).
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Per una sintesi riepilogativa si v. Ferraro, Ordinamento, cit., p. 343 ss; Mariucci, op. ult. cit., p. 334 ss.
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Le citazioni sono da Giugni, Parlamento e sindacati, cit., p. 370.
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Come tale non va minimamente confusa con l’opinione, a suo tempo avanzata, tendente a far discendere dall’art. 39 una sorta di riserva di competenza normativa a favore dei sindacati per il regolamento dei rapporti di lavoro: in proposito si v., per tutti, Mazzarelli, Il disegno di legge per l’applicazione erga omnes dei contratti collettivi di lavoro, in «Riv. giur. lav.», 1959, I, p. 359 ss.; Carullo, Diritto sindacale transitorio, Milano, Giuffré, I960, p. 134 e 150-151.
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Cfr. De Luca Tamajo, Leggi sul costo del lavoro, cit., p. 160.
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Id., op. loc. cit.; nonché Vallebona, Costo del lavoro e autonomia collettiva, in «Dir. lav.», 1978, I, p. 365 ss.
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Mengoni, Un nuovo modello di rapporti tra legge e contratto collettivo, in «Jus», 1979, p. 119.
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Id., op. cit., p. 119 s.
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Id., op. loc. cit; cfr. anche dello stesso autore Legge e autonomia collettiva, in «Mass. giur. lav.», 1980, p. 695.
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È l’opinione dello stesso Mengoni, Programmazione e diritto, in «Jus», 1966, p. 14, peraltro largamente condivisa: nello stesso senso si v., per tutti, Giugni, Intervento, in Atti del Convegno di diritto del lavoro (Cagliari, 30 maggio - 2 giugno 1966), Roma, Italedi, 1966, p. 176; Persiani, Contrattazione collettiva ed attività del sindacato nel quadro della programmazione, in Aspetti privatistici della programmazione economica, Milano, Giuffré, 1971, vol. I, p. 185. Per una sintesi della discussione dell’epoca sul tema si v. Treu, Teorie e ideologie nel diritto sindacale: a proposito di un recente libro, in «Riv. trim. dir. proc. civ.», 1968, p. 1659 ss.
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Mengoni, Un nuovo modello, cit., p. 120 s.
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Sembra questa l’opinione di Ferraro, Ordinamento, cit., p. 359 s., per il quale interventi legislativi indotti da uno «stato di necessità» dovrebbero sottostare a «precisi limiti di ordine temporale»: ma la conclusione con riguardo alla legge n. 91/1977 non è esplicitata dall’autore in tutta chiarezza.
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Mengoni, op. ult. cit., p. 121.
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Secondo l’opinione rispettivamente di Tosi, La retribuzione nel diritto del lavoro dell’emergenza, cit., p. 533 e di Mariucci, op. ult. cit., p. 338.
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È la nota costruzione di De Luca Tamajo, op. ult. cit., p. 161 ss.
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Cfr. in questo senso Tosi, op. ult. cit., p. 534.
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Nonostante le ordinanze di rinvio non potessero prestarsi ad interpretazioni equivoche: si v., per tutte, Pret. Torino, 1° giugno 1978, in «Giur. cost.», 1978, II, p. 1245 ss.
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Corte cost., n. 141/1980, cit., c. 2650. L’affermazione della Corte è contenuta, oltre tutto, nella parte della sentenza dedicata alla legge n. 797/1976, mentre la censura di incostituzionalità ex art. 39, co. 4° era stata prospettata (da Pret. Milano, 8 novembre 1977, in «Orient. giur. lav.», 1977, p. 1126) con riferimento alla legge n. 91/1977. Una censura, peraltro, del tutto priva di fondamento, giacché l’art. 2 di quest’ultima, ben lungi dal procedere ad un’estensione erga omnes degli accordi interconfederali sulla scala mobile vigenti nel settore industriale, si limita ad assumerli come parametro di riferimento esterno per la determinazione di un «tetto» massimo: sul punto cfr. Ferraro, Ordinamento, cit., p. 343; Mariucci, op. ult. cit., p. 329 s.
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Corte cost., n. 141/1980, cit., c. 2653.
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Da R. Greco, op. cit., c. 13. Nello stesso senso si v. Raveraira, Legge e contratto collettivo, Milano, Giuffré, 1985, p. 15.
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Si v. in questo senso Rusciano, Contratto collettivo e autonomia sindacale, Torino, EGES, 1984, p. 69 s.; ed anche Zoppoli, op. cit., p. 23.
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Sul punto cfr. Mazzetta, Le norme sulla riduzione del costo del lavoro, cit., c. 2643.
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Dell’Olio, Emergenza, cit., p. 24.
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Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
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Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
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Si v. in questo senso Dell’Olio, Emergenza, cit., p. 22 ss. e già Id., L’organizzazione e l’azione sindacale in generale, Padova, Cedam, 1980.
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Con riferimento alla legislazione dell’«emergenza» da Mazzotta, op. cit., c. 2644; con riguardo al decreto-legge n. 70/1984 da Zoppoli, op. cit., p. 23; Rusciano, op. cit., p. 143; Magrini, op. cit., p. 163.
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Vallebona, Limiti legali, cit., p. 131.
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Dell’Olio, Emergenza, cit., p. 22.
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Le citazioni sono da Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 344.
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De Luca Tamajo, L’evoluzione dei contenuti, cit., p. 55, che, sulla base di tale rilievo, conclude, «sia pur con tutta la problematicità e la prudenza necessarie», per la legittimità costituzionale del decreto. Al riguardo sembra opportuno sottolineare, proprio in considerazione delle caratteristiche strutturali di quest’ultimo, la discutibilità della tesi (sostenuta da Mariucci, op. ult. cit., p. 343) secondo la quale «sarebbero più consistenti, rispetto ai precedenti interventi vincolistici, le censure di incostituzionalità». Censure di incostituzionalità possono e debbono avanzarsi nei confronti del decreto in questione, ma esse sono meno consistenti rispetto a quelle prospettabili in relazione agli interventi della «emergenza». La contraria opinione, in realtà, sembra indotta da un’indebita sovrapposizione fra i profili giuridico, economico e politico della problematica: sul punto v. infra, parag. 4.
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Giugni, Parlamento e sindacati, cit., p. 370.
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Pret. Pavia, 21 maggio 1984 (orditi.), cit.; con riferimento alla legislazione dell’«emergenza» si v., nello stesso senso, Pret. Torino, 1° giugno 1978 (ordin.), cit.
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Cort. cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
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Va ricordato, per completezza, che si è ritenuto opportuno circoscrivere l’analisi alle questioni di costituzionalità più strettamente legate alla materia lavoristica, trascurandosene altre pure sottoposte all’attenzione della Corte: si pensi, ad esempio, all’eccezione di illegittimità costituzionale della legge n. 797/1976 prospettata da Pret. Torino, 1° giugno 1978 (ordin.), cit., con riferimento agli artt. 23 e 53 Cost.
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Così Pret. Milano, 3 settembre 1982, in «Lavoro ’80», 1982, p. 992. L’interpretazione in questione appare, invece, condivisa da Pret. Milano, 12 giugno 1981, ivi, 1981, p. 741; Pret. Perugia, 24 giugno 1982, in «Giust. civ.», 1982, I, p. 2851. Nel medesimo senso si v., in dottrina, Giugni, Parlamento e sindacati, cit.; Saracini, Scatti d’anzianità, cit.; D’Avossa, Contratto del commercio, cit., p. 110; Marzorati, Scatti d’anzianità (art. 2 L. 31 marzo 1977, n. 91), in «Inform. Pirola», 1980, n. 1, p. 30 ss.
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Trib. Milano, 15 ottobre 1982, in «Lavoro ’80», 1983, p. 184; ma si v. già, negli stessi termini, Trib. Milano, 13 giungo 1979, in «Orient. giur. lav.», 1979, p. 1044: quest’ultima decisione è commentata criticamente da Marzorati, op. cit.
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Cfr. Saracini, op. cit., p. 533.
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Dal Trib. Milano nelle sentenze citate in nota 207.
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Si v. ancora, per rilievi analoghi, Saracini, op. cit., p. 545 s. Si ricordi che il disegno di legge Scotti disponeva che gli incrementi di scala mobile non potevano «costituire base di calcolo o dar luogo a ricalcoli previsti in tempi differiti degli scatti o aumenti periodici di anzianità e di qualsiasi altro elemento della retribuzione»: è evidente che carattere di interpretazione autentica avrebbe potuto riconoscersi soltanto a quella parte della norma dove risulta esplicitato che il divieto di ricalcoli previsto dalla legge n. 91/1977 doveva intendersi riferito agli scatti di anzianità.
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Cfr., in questo senso, Trib. Pavia, 20 novembre 1981, in «Foro it.», 1984, I, c. 2491 (con riferimento alle indennità di trasferta e di concorso pasti); contra Pret. Pavia, 28 aprile 1981, ivi, 1981, I, c. 2884; Pret. Pavia, 16 aprile 1984, ivi, 1984, I, c. 2492; Pret. Macerata, 23 dicembre 1980, in «Giust. civ.», 1981, I, p. 1170 (con riferimento al premio di produzione e al compenso per lavoro notturno).
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Alleva, Automatismi, cit., p. 99.
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Così Trib. Milano, 15 ottobre 1982, cit., p. 185; ma si v. pure, per considerazioni di taglio affine, Pret. Milano, 25 gennaio 1979, in «Foro it.», 1980, I, c. 1464.
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Pret. Milano, 3 settembre 1982, cit., p. 993.
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Da Cass., 19 gennaio 1984, n. 475, in «Orient. giur. lav.», 1984, p. 756.
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Così ancora Cass., n. 475/1984, citata in nota precedente, p. 756, la quale opportunamente prosegue ricordando come i sistemi di indicizzazione «anomala», «percentualizzando la contingenza, la facevano direttamente incidere sulla retribuzione, aumentandone l’importo, sul quale tornava poi nuovamente ad incidere l’aumento percentuale del trimestre successivo, con la conseguenza che la contingenza moltiplicava in continuazione se stessa». L’orientamento della Cassazione era già stato affermato, nella giurisprudenza di merito, da Pret. Milano, 14 febbraio 1979, in «Foro it.», 1980, I, c. 1464, con nota di Mazzotta; Pret. Genova, 16 aprile 1981, ivi, 1981, I, c. 2884, con nota di De Luca; Pret. Palermo, 1° aprile 1982, ivi, 1983, I, c. 1401, con nota di Diamanti; Pret. Milano, 3 settembre 1982, cit.
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Secondo le parole della stessa Cass., n. 475/1984, cit. Questo, in effetti, può essere considerato l’unico punto debole dell’opzione interpretativa «minimizzante»: non a caso attorno ad esso ruotano le critiche di Saracini, op cit., espresse in un saggio che resta lo studio più approfondito sulla specifica problematica.
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È stato ricordato, infatti, (da Pret. Milano, 3 settembre 1982, cit.) come in sede di discussione alla Camera, proprio con riferimento alla disposizione sui ricalcoli in tempi differiti, il rappresentante del Governo, on. Cristofori, ritenne di chiarire che essa intendeva «eliminare gli effetti c.d. perversi della contingenza attraverso il divieto di conglobamento immediato nella retribuzione delle indennità di contingenza ed il divieto di eventuali ricalcoli previsti in tempi differiti che attuino a fine anno il medesimo conglobamento». Il concetto, certamente, non può dirsi espresso con assoluta limpidezza: pur tuttavia sembra potersi desumere l’intenzione di riferire il divieto agli scatti di contingenza, non a quelli di anzianità o ad altre voci retributive.
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La regola generale, oltre tutto, risulta introdotta, nel testo di legge, dall’avverbio «inoltre», l’uso del quale — a parere della Cassazione — starebbe «ad indicare il passaggio ad un diverso tema»: quello, appunto, riguardante le modalità di computo della contingenza su qualsiasi elemento della retribuzione (scatti compresi).
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Cass., 19 maggio 1984, n. 3102, in «Foro it.», 1984, I, c. 2490 (con riferimento a un’indennità di «superonastro» introdotta da un accordo aziendale).
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L’indirizzo «massimizzante» è stato infatti ribadito da Trib. Milano, 19 ottobre 1984, in «Lavoro ’80», 1985, p. 270; Trib. Milano, 19 gennaio 1985, ivi, 1985, p. 600; quello «minimizzante» da Pret. Milano, 18 febbraio 1984, in «Orient. giur. lav.», 1984, p. 757; Pret. Parma, 2 febbraio 1985, in «Lavoro ’80», 1985, p. 599.
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Così Pret. Sassari, 26 novembre 1982, in «Foro it.», 1983, I, c. 1404; in termini analoghi si v. Pret. Milano, 20 aprile 1984, in «Lavoro ’80», 1984, p. 830 (con riferimento alla contingenza incidente su un premio aziendale, mentre la prima sentenza riguardava un compenso forfettario per straordinario).
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In questo senso, oltre le sentenze citate in nota precedente, si v. Pret. Milano, 14 febbraio 1979, cit.; Pret. Milano, 12 giugno 1981, cit.; Pret. Perugia, 24 giugno 1982, cit.; Pret. Milano, 6 aprile 1982, in «Lavoro ’80», 1982, p. 720; Pret. Parma, 2 febbraio 1985, cit. (tutte con riferimento alla contingenza incidente sugli scatti di anzianità); Pret. Milano, 27 aprile 1981, in «Lavoro ’8», 1981, p. 736; Pret. Milano, 24 novembre 1982, ivi, 1983, p. 182; Pret. Milano, 20 aprile 1983, ivi, 1983, p. 748; Trib. Milano, 12 dicembre 1984, ivi, 1985, p. 600 (tutte con riferimento alla contingenza incidente sull’indennità di turno); Trib. Milano, 31 maggio 1983, ivi, 1983, p. 749 (con riferimento alla contingenza incidente sull’indennità per lavoro notturno). Allo stesso indirizzo si può ascrivere una decisione che, giudicando di un rapporto di lavoro retribuito mediante il sistema c.d. della «percentuale di servizio», ha escluso che in quest’ultima possa individuarsi una quota, da assumersi come corrispondente all’indennità di contingenza, al fine di espungerla dalla base di calcolo della liquidazione. Anche in questo caso, infatti, è evidente la convinzione che la legge n. 91/1977 abbia inteso «sterilizzare» l’indennità di anzianità soltanto rispetto agli incrementi retributivi automatici derivanti dal meccanismo della scala mobile: si v. Trib. Firenze, 4 febbraio 1985, in «Giust. civ.», 1985, I, p. 1455 con nota di Poso, Sull’indennità di anzianità del personale tavoleggiante.
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Cass., 4 dicembre 1981, n. 6442, in «Foro it.» 1983, I, c. 1402 (con riferimento alla contingenza incidente sugli scatti di anzianità). La sentenza è annotata da Simonazzi, Il costo del lavoro di fronte alla legge 91 del 1911, in «Inform. Pirola», 1981, p. 1101.
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Così Cass., n. 6442/1981, cit.; ma si v. già Pret. Milano, 25 gennaio 1979, cit.
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Pret. Milano, 3 settembre 1982, cit., p. 994, con argomentazione riferita all’art. 2 del decreto, ma che deve ritenersi, a fortiori, del tutto pertinente anche in relazione all’art. 1.
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Nella giurisprudenza di merito il medesimo indirizzo è sostenuto, oltre che da Pret. Milano, 25 gennaio 1979, cit., da Trib. Milano, 13 giugno 1979, cit.; Trib. Milano, 15 ottobre 1982, cit.; Trib. Milano, 12 dicembre 1984, cit.; Trib. Milano, 30 gennaio 1985, in «Lavoro ’80», 1985, p. 604 (tutte con riferimento alla contingenza incidente sugli scatti di anzianità); Pret.Mantova, 10 gennaio 1981, in «Foro it.», 1981, I, c. 2885 e Pret. Milano, 22 ottobre 1982, in «Lavoro ’80», 1983, p. 181 (con riferimento, rispettivamente, alla contingenza incidente, oltre che sugli scatti di anzianità, anche sul compenso per lavoro festivo e sull’indennità di turno); Pret. Almenno San Salvatore, 20 maggio 1980, in «Orient. giur. lav.», 1980, p. 592 (con riferimento alla contingenza incidente su premio notturno, tredicesima mensilità, indennità per lavoro notturno a squadre).
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Zoli, Calcolo degli scatti di anzianità sulla contingenza, in «Giust. civ.», 1984, I, p. 1079.
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Oltre alle decisioni della Cassazione si v., in questo senso, ad esempio, la motivazione di Pret. Mantova, 10 gennaio 1981, cit.Occorre avvertire, peraltro, dell’esistenza di un orientamento giurisprudenziale assolutamente speculare rispetto a quello indicato nel testo. Trib. Milano 12 dicembre 1984 e 30 gennaio 1985, citt., per intendersi, si inscrivono nel filone «massimizzante» per quanto attiene all’interpretazione del divieto di ricalcoli in tempi differiti (giudicato afferente all’incidenza della contingenza anche sulla base di calcolo degli scatti maturandi); ma reputano, al tempo stesso, la deindicizzazione dell’indennità di anzianità limitata agli incrementi diretti della contingenza (e perciò ammettono l’incidenza sulla liquidazione dell’indennità di turno, anche con riferimento alla quota di essa calcolata in percentuale della contingenza).
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Papaleoni, Scatti di anzianità e lavoratori minorenni, nota a Cass., 19 aprile 1984, n. 2571, in «Giust. civ.», 1984, I, p. 3357.
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Cass., S.U. 16 Ottobre 1980, n. 5541 e 22 ottobre 1980 n. 5678, in «Giust. civ.», 1981, I, p. 2712, con nota di Olivelli, Sulla parità del trattamento retributivo dei minori e dei maggiorenni. Nello stesso senso delle Sezioni Unite si v. in dottrina, per tutti, Stanzani, Minimi retributivi, scatti di anzianità e minori di età, in «Riv. dir. lav.», 1975, II, p. 511 ss.; Treu, Commento sub art. 37, in Commentario della Costituzione (a cura di Branca), Bologna, Zanichelli, 1979, p. 224 ss. Contra, per tutti, Angiello, Aumenti periodici di anzianità e parità di trattamento, in «Giur. it.», 1976, I, 2, c. 467 ss.; Pera, Lavoratori minorenni e scatti di anzianità, in «Orient. giur. lav.», 1978, p. 688 ss.
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Cass., n. 2571/1984, cit.
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Spunti in questo senso anche in Treu, op. ult. cit., p. 225; Olivelli, Parità di trattamento per i minori, in Dizionari del diritto privato, cit., p. 303.
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Trib. Milano, 25 aprile 1978, in «Orient. giur. lav.», 1978, p. 455; nello stesso senso si v. Trib. Milano, 24 aprile 1978, ivi, p. 460; Pret. Bologna, 13 novembre 1979, ivi, 1980, p. 69; contra Pret. Milano, 19 aprile 1978, ivi, 1978, p. 451; Pret. Bologna, 12 novembre 1979, ivi, 1980, p. 71; Trib. Milano, 10 aprile 1981, in «Lavoro ’80», 1981, p. 356; Cass., 27 aprile 1982, n. 2594, in «Riv. giur. lav.», 1982, II, p. 556.
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Si v., ad esempio, l’art. 82 del ccnl 18 marzo 1983 per i dipendenti da aziende commerciali (a norma del quale, per i lavoratori qualificati di età inferiore ai 18 anni, si stabiliscono valori inferiori del punto di contingenza e minimi tabellari ragguagliati al 90% di quelli riconosciuti al personale di pari qualifica e di età maggiore); o anche il ccnl 8 luglio 1982 per i dipendenti da aziende del settore turismo, il quale non soltanto prevede importi inferiori di contingenza per i minorenni (art. 72 e allegato 1) ma anche minimi tabellari differenziati per fasce di età (sino a 16 anni, fra 16 e 18 anni, oltre i 18 anni: art. 70). Le considerazioni svolte nel testo non riguardano, ovviamente, la legittimità delle tariffe salariali ridotte previste dai contratti collettivi per gli apprendisti, ammissibile sulla base del combinato disposto di cui gli artt. 11 c) e 13 della legge 19 gennaio 1955, n. 25: in questo senso si v. in giurisprudenza, per tutte, Pret. Milano, 13 febbraio 1976, in «Orient. giur. lav.», 1976, p. 441; Trib. Milano, 26 marzo 1980, ivi, 1980, p. 772.
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Da Tosi, La retribuzione nel diritto del lavoro dell’emergenza, cit., p. 523 ss.; nello stesso senso si v. anche Mengoni, Legge e autonomia collettiva, cit., p. 695 s.
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Il riferimento è a Cass., 30 marzo 1978, n. 1477, in «Orient. giur. lav.», 1978, p. 825, la quale, in motivazione, nega appunto che «l’estensione erga omnes abbia mutato il contenuto precettivo dei contratti» (p. 831). Nello stesso senso si v. già Trib. Milano, 10 gennaio 1978, ivi, p. 108, che, ancora più recisamente, afferma la convinzione secondo la quale «la legge n. 741/1959 si limita a conferire ai contratti collettivi preesistenti efficacia soggettiva generale, senza incidere sull’intrinseca natura obbiettiva della fonte che, restando quella contrattuale, può essere modificata dalla sopravvenienza di nuove manifestazioni di autonomia collettiva vincolanti per le parti»: donde la conseguente conclusione che «sarebbe un pericoloso equivoco attribuire alle... transitorie clausole erga omnes la portata di un sistema assolutamente inderogabile, con un irrigidimento indotto alla contrattazione e quindi, in ultima analisi, sull’autonomia collettiva (p. III).
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In questo senso si v. Cass., 16 giugno 1977, n. 2516, in «Mass. giur. lav.», 1978, p. 12, con nota di Pera, Leggi delegate a tutela dei lavoratori ed antonimia sindacale, ivi, p. 457 ss.
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Anche se affermata, in dottrina, con argomenti non privi di sfumature e accentuazioni diversificate. Per una panoramica delle opinioni in proposito si può utilmente consultare Curzio, I contratti collettivi recepiti nei decreti delegati, in Bortone e Curzio, Il contratto collettivo, Torino, UTET, 1984, p. 24 ss., 40 ss. La tesi giurisprudenziale in esame è giudicata senz’altro «insostenibile» da Mengoni, op. ult. cit., p. 695.
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Cfr. sul punto Tosi, op. ult. cit., p. 524 ed anche Bortone, Il contratto collettivo esteso «erga omnes» exl. n. 741/1959, in Bortone e Curzio, op. cit., p. 242.
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A parere della Corte, infatti, rispetto alla fattispecie sottoposta al suo esame era sufficiente limitarsi a constatare che «la nuova normativa collettiva di diritto comune era nel suo complesso certamente più favorevole alla precedente quanto meno per quanto concerneva la parte relativa al trattamento economico, talché la riproduzione nella stessa nuova normativa di clausole già contenute nei contratti erga omnes... non avrebbe potuto non essere considerata come funzionalmente collegata ai miglioramenti economici correlativamente adottati»: Cass. n. 2516/1977, cit., p. 15.
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In argomento si v., per tutti, De Luca Tamajo, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli, jovene, 1976, p. 204; si v. però anche le valutazioni, di segno diverso, di Carinci, Commento sub. art. 55 (Disc, gen., Sez. terza), in Aa.Vv., Il contratto dei metalmeccanici, Bologna, Zanichelli, 1978, p. 132.
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Argomentandosi, sulla scorta di Cass. n. 2516/1977, in base al combinato disposto degli art. 1 e 7 co. 1° e 3°, dal quale si potrebbe far discendere una considerazione del trattamento economico come un tutto inscindibile. Per una posizione più rigida si v. comunque De Luca Tamajo, op. ult. cit., p. 213.Occorre avvertire, ad ogni modo, che, con riferimento ad altri tratti di disciplina del rapporto di lavoro, la Cassazione ha accolto una nozione ben delimitata di istituto (si v. la giurisprudenza citata in Bortone, op. cit., p. 243, nota 7), nonostante la contrattualistica offra sicuramente appigli per prospettarne un concetto assai più dilatato. Si veda, ad esempio, la clausola di inscindibilità dettata dall’art. 35 (Disc. gen., Sez. terza) del ccnl dei metalmeccanici privati 1° settembre 1983 (ma anche le considerazioni critiche di Carinci, op. cit., p. 133).
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In tal senso si v. Treu, Problemi giuridici, cit., p. 43.
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Secondo l’opinione prospettata da Tosi e Mengoni, cit. in nota 236.
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Soprattutto tenuto conto del più recente orientamento della Suprema Corte, secondo il quale, come si è visto, nessun vincolo in materia sarebbe stato posto dall’art. 2 del decreto-legge n. 12/1977.
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Cfr. Treu, Giurisprudenza della Corte di Cassazione e autonomia collettiva, in «Riv. giur. lav.», 1982, I, p. 450; Curzio, I rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, in Bortone e Curzio, op. cit., p. 293 (anche per una rassegna delle opinioni della dottrina, che ha ampiamente indagato, negli ultimi anni, sui diversi e intricati aspetti della problematica). L’opinione della Cassazione si può accostare a quella già espressa da G. Santoro Passarelli, Derogabilità del contratto collettivo e livelli di contrattazione, in «Giornale dir. lav. e rel. ind.», 1980, p. 617 ss. Fra le più recenti rivisitazioni del tema si ricorda Tremolada, Concorso e conflitto tra regolamenti collettivi di lavoro, Padova, Cedam, 1984, spec. p. 137 ss.; Conti, Contratti collettivi di diverso livello, in «Lavoro ’80», 1984, p. 645 ss.; Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 161 ss.; Sciatta, Contratto collettivo e contrattazione in azienda, Milano, Franco Angeli, 1985, p. 159 ss.
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Per uno spunto in questo senso si v. Mariucci, op. ult. cit., p. 422. Questo, del resto, sembra essere stato l’orientamento espresso da Cass., 13 febbraio 1984, n. 1081, in «Foro it.», 1984, I. c. 677, con riferimento a un’indennità di disagio di turno introdotta in sede aziendale: anche se, come si è già detto (retro, cap. II), con implicazioni discutibili, essendosene fatta discendere la dichiarazione di nullità parziale della relativa clausola collettiva con riguardo alla (presunta) nozione legale di retribuzione ai fini della tredicesima e non del compenso feriale.
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Cass., 18 gennaio 1978, n. 233, in «Foro it.», 1978, I, c. 589.
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Tosi, op. ult. cit., p. 531.
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Le citazioni sono da Regini, I tentativi italiani di «patto sociale» a cavallo degli anni ’80, in «Il Mulino», 1984, p. 295.
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Sui tratti essenziali del quale e sui vincoli che ne derivano per l’azione sindacale, non solo nel nostro paese, si v. per tutti Baglioni, La questione sindacale in Europa: difficoltà crescenti ed esigenze di innovazione strategica, in Aa.Vv., L’Europa sindacale nel 1981, Bologna, Il Mulino, 1982, p. 11 ss.
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Merli Brandini, Intervento, alla tavola rotonda Politica salariale, politiche dei redditi e modelli di contrattazione sindacale, in «Quad. rass. sind.», 1984, n. 107, p. 5.
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La letteratura in argomento è sterminata. D’obbligo, comunque, è almeno il riferimento all’amplissima ricerca comparata di Flanagan, Soskice e Ulman, Unionism, economie stabilization, and incomes policies: european experience, Washington, The brookings institution, 1983.
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Nell’ordinamento danese, ad esempio, è consolidata la prassi di intervento del governo nelle relazioni industriali mediante l’imposizione di norme vincolanti anche in materia salariale. Notissima è, poi, la vicenda olandese, dove l’attuazione della politica dei redditi, avviata sin dall’immediato secondo dopoguerra, è sempre stata caratterizzata da una forte inclinazione dirigistica, soltanto allentata dalle tensioni conflittuali manifestatesi verso la fine degli anni ‘60. Per ragguagli più ampi in proposito si v. Roccella, La composizione dei conflitti di lavoro, Roma, Edizioni Lavoro, 1984, p. 69 ss.
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Tradizionale, al riguardo, è il riferimento al c.d. «social contract» inglese del periodo 1974-79; non va trascurato, peraltro, come l’esperienza britannica abbia anche conosciuto, precedentemente, forme più o meno autoritative di intervento pubblico nella determinazione della dinamica salariale, accostabili a quelle dei paesi ricordati prima: si v., in generale, Flanagan, Soskice, Ulman, op. cit., p. 363 ss., spec. 418 ss; Regini, Le condizioni dello scambio politico. Nascita e declino della concertazione in Italia e Gran Bretagna, in «Stato e Mercato», 1983, p. 353, spec. 373 ss. Più recentemente al modello indicato può ascriversi l’Accordo Economico-Sociale stipulato in Spagna, su base tripartita, nel 1984: in proposito cfr. Rodriguez-Piñero, L’impatto dell’Accordo Economico-Sociale sulle relazioni industriali, in corso di stampa in «Riv. it. dir. lav.», n. 1/1986.
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v. Pappalardo, Il governo del salario nelle democrazie industriali, Milano, Franco Angeli, 1985, p. 26 con riferimento all’esperienza austriaca, rispetto alla quale l’autore approfondisce opportunamente, in contrasto con l’opinione diffusa, anche il carattere, diverso ma connesso a quello accennato nel testo, largamente informale e rigorosamente extra-legale delle strutture concertative. In senso analogo si v. anche Giugni, Concertazione sociale e sistema politico in Italia, in «Giornale dir. lav. e rel. ind.», 1985, p. 55.
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Alf e Carrieri, Politiche dei redditi e contrattazione in Europa, in «Ires Materiali», supplemento al n. 2/1984, p. 6, con riferimento al caso svedese. Per analisi più dettagliate cfr. Flanagan, Soskice, Ulman, op cit., p. 301 ss.; Martin, La contrattazione in Svezia: politica dei redditi e coesione organizzativa, in «Stato e Mercato», 1981, p. 301 ss.
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I cui passaggi fondamentali sono a tutti noti: dall’accordo sul costo del lavoro del gennaio 1977 all’impegno, contenuto nell’annessa Dichiarazione, di evitare «richieste generalizzate di aumenti salariali» attraverso la contrattazione aziendale, alle direttive di moderazione rivendicativa impresse alla contrattazione successiva con la c.d. «linea dell’EUR».
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Così ancora Merli Brandini, Intervento, cit., p. 5.
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Regini, I tentativi italiani di «patto sociale», cit., p. 293.
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Cella, L’azione sindacale nella crisi italiana, in La crisi italiana, I, (a cura di Graziano e Tarrow), Torino, Einaudi, 1981, p. 287. L’opinione, naturalmente, appare più immediatamente riferibile alla (maggioranza della) CGIL; non va dimenticato, peraltro, come all’epoca anche la CISL fosse apertamente schierata a sostegno dell’ipotesi di partecipazione del PCI al governo. Una conferma dell’interpretazione, del resto, può ricavarsi a contrario, sol che si tenga presente che, non appena tramontata quella prospettiva politica, i sindacati si affrettarono a negoziare col nuovo governo un accordo di indicizzazione salariale per il pubblico impiego assai più vicino alle preoccupazioni egualitarie dei primi anni settanta che non a quelle di «austerità» degli anni immediatamente precedenti.
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Secondo la significativa terminologia usata da Tarantelli, Le politiche di rientro dall’inflazione, cit., p. 182.
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Limitandosi ai tratti essenziali dell’accordo, vanno ricordati, sotto il primo aspetto, le misure di proroga della fiscalizzazione degli oneri sociali (a favore degli imprenditori), di restituzione del fiscal drag e maggiorazione degli assegni familiari (a favore dei lavoratori); sotto il secondo aspetto l’impegno a contenere l’incremento medio ponderato annuo di tariffe, prezzi amministrati e prezzi sorvegliati nei limiti del tasso programmato di inflazione nonché a varare una serie di provvedimenti di riforma del mercato del lavoro. L’insieme di tali misure sembra alquanto sottovalutato da Regini (I tentativi, cit., p. 297). Al contrario, pur nella consapevolezza dell’inevitabile margine di approssimazione implicito in ogni tentativo di inquadramento in modelli precostituiti, pare ragionevolmente sostenibile che l’esperienza più recente, assai più di quella consumata negli anni della «solidarietà nazionale», sia accostabile allo schema del «contratto sociale». Se si riflette sui termini dello scambio avviato all’inizio del 1977 con l’accordo interconfederale sul costo del lavoro (nessun beneficio da parte del governo, del resto assente al tavolo negoziale, unitamente a una serie unilaterale di concessioni, di carattere sia salariale che normativo, dei sindacati alle imprese), almeno qualche indicazione, nel senso accennato, si potrà ricavare.
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Del tipo di quelle ricordate retro, in nota 259.
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Si v., in questo senso, D’Antona, Quale politica economica?, in «Poi. dir.», 1982, p. 354.
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Le citazioni sono da Pappalardo, op. cit., p. 12 (ivi ulteriori ragguagli sul punto).
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Cfr. Patriarca, La politica dei redditi e dei prezzi nella recente esperienza francese, in «Ires Materiali», 1984, 2, p. 7.
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Cfr. Ferri, Il patto anti-inflazione, cit., p. 313, opportunamente ricordando che proprio attorno alla manovra su tariffe e prezzi amministrati era incentrata una delle proposte di riforma della scala mobile che più hanno animato il dibattito di questi anni (quella prospettata da Paolo Sylos Labini).
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Si v. quanto osservato retro, in nota 257, con riguardo all’Austria.
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Rusciano e Treu, Note introduttive, in Aa. Vv., Legge quadro sul pubblico impiego, in «Nuove leggi civ. comm.», 1984, p. 595.
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Ii., op. loc. ult. cit.
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Ghezzi, La legislazione del lavoro, in «Dem. e dir.», 1985, n. 3-4, p. 106.
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La caratterizzazione della contrattazione collettiva nel pubblico impiego come «disciplina dei livelli retributivi standard, non derogabili in melius se non nei limiti consentiti dagli accordi stessi», è ampiamente illustrata da Zoppoli, Commento sub. art. 11, in Aa.Vv., Legge quadro, cit., p. 655. L’insieme della disciplina legale, peraltro, risulta funzionale a una politica di regolazione centralizzata della dinamica salariale: sia attraverso la sottolineatura del ruolo negoziale riconosciuto alle confederazioni (art. 6), sia con la previsione che nel bilancio pluriennale dello Stato venga indicata «la spesa destinata alla contrattazione collettiva per il triennio, determinando la quota relativa a ciascuno degli anni considerati» (art. 15).
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Un esempio delle prime può essere considerata, tipicamente, la Commissione paritetica austriaca, di cui pure si è già ricordato il fondamento extra-legale e l’informalità delle procedure caratterizzante la sua azione. Quanto ai secondi, possono rammentarsi il Collegio dei mediatori pubblici, un tempo operante nel sistema olandese; il National Board for Prices and Incomes e il Pay Board introdotti nell’ordinamento britannico nel quadro delle politiche dei redditi degli anni ’60 e dei primi anni ’70; o, ancora, il Pay Board e il Price Advisory Committee legati al tentativo di National Accord sperimentato negli Usa durante la presidenza Carter.
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Un impegno a contrarre, limitato peraltro alle organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori, può, semmai, ravvisarsi nella clausola (punto 7, lett. c dell’accordo) a mente della quale «nel caso il governo proceda a variazioni delle imposte indirette... le parti si incontreranno — in via straordinaria —per concordare modalità e limiti di incidenza di tali variazioni sui prezzi dei beni che compongono il bilancio familiare, assunto a base di calcolo per la determinazione dell’indennità di contingenza».
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Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
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L’osservazione è comune: per tutti v. Tarantella Politica del lavoro, cit., p. 91 (anche per interessanti rilievi sugli errori tecnici, in ordine alla previsione del tasso d’inflazione programmata, alla base dell’accordo). Quanto alla misura degli incrementi retributivi riconosciuti ai lavoratori pubblici, si è sostenuto che l’accordo dovesse essere applicato nel settore con una certa elasticità, tenendosi conto di differenze nelle situazioni di partenza. Ma il rilievo è discutibile, se è vero che la credibilità di una politica dei redditi poggia, in misura non marginale, proprio sul comportamento dello Stato come datore di lavoro. Esempi recenti in questo senso, del resto, erano sotto gli occhi di chi avesse voluto guardare. Si pensi alla politica di moderazione salariale caldeggiata in questi anni dal governo socialista francese e applicata in primo luogo, e con particolare fermezza, nell’ambito del pubblico impiego: sul punto si v. Ortoli e Bescond, Politique salariale: la France à l’heure européenne, in «Intersocial», 1982, n. 84, p. 21 ss.; Mouriaux, Tendenze recenti delle relazioni industriali in Francia, in «Quad. rass. sind.», 1985, n. 112, p. 105. Più in generale cfr. le riflessioni comparate di Clarke, Interazioni tra la contrattazione collettiva e la politica governativa nei paesi occidentali dal 1973, in Aa.Vv., Salario, inflazione e relazioni industriali in Europa (a cura di Addis e Tarantelli), Venezia, Marsilio, 1984, p. 110 ss. Secondo questo a. le politiche di contenimento salariale praticate in molti paesi, dall’inizio degli anni ’80, nel settore pubblico, non sono state «intese solo a risparmiare sulla spesa pubblica ma anche per fare da esempio al settore privato» (p. 112).
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Sul punto cfr. Di Vezza, Le modifiche al sistema di calcolo della scala mobile, cit., p. 119.
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A proposito dell’accordo del gennaio ’83 la Corte parla del «frutto dichiarato di trattative triangolari»; la verifica dell’intesa, realizzata all’inizio dell’84, viene a sua volta definita una «trattativa» non approdata ad esito positivo.
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Tutte le citazioni sono da Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
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La tesi della Corte, oltre tutto, dovrebbe coerentemente essere estesa anche alla contrattazione aziendale. In ogni caso non servirebbe a risolvere la questione di legittimità costituzionale dell’intervento legislativo modificativo della disciplina della contingenza, giacché quest’ultima, implicitamente o esplicitamente, risulta recepita nei singoli contratti nazionali di lavoro. Di passata, si può ricordare anzi come questo sia stato uno degli argomenti più validi addotti per contestare l’efficacia (nel 1982 e, più recentemente, nell’85) della disdetta confindustriale dell’accordo sulla scala mobile: in argomento cfr. Alleva e Ghezzi, Dopo la disdetta: quale legge per la scala mobile, in «Pol. ed Econ.», 1985, n. 7-8, p. 8. Per mera completezza espositiva va, comunque, ricordato che l’assunto della Corte ha trovato riscontro in dottrina: cfr. Raveraira, Legge e contratto collettivo, cit., spec. p. 124 ss., la quale su questa (invero fragile) base costruisce la sua monografia, concludendo, sempre in ragione della medesima unica argomentazione, per la legittimità costituzionale della legge n. 219/1984 (cfr., sul punto, p. 148 s.).
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Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
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Le citazioni sono da Rusciano, Contratto collettivo, cit., p. 160.
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Così Treu, Le nuove relazioni industriali, in Aa.Vv, Il patto contro l’inflazione, cit., p. 13 s.; ma già, nello stesso ordine di idee, Id., La scommessa del neocontrattualismo, in «Pol. dir.», 1983, p. 443 s.
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Ghera, La via italiana alla politica dei redditi, in «Mondoperaio», 1983, n. 1-2, p. 22.
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Cfr. Rodriguez-Piñero, op.cit.
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Per rilievi di segno analogo cfr. Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 341 e nota 81. Occorre aggiungere che l’opinione che ritiene inevitabile l’intervento della legge nella disciplina della contingenza appare sconsigliabile e, anzi, francamente pericolosa anche sul piano di politica del diritto e delle relazioni industriali, implicando logicamente la sottrazione alla disponibilità negoziale delle parti collettive di un elemento essenziale della dinamica salariale. In questo senso si può anche ricordare come l’ipotesi di un intervento legislativo di recezione della disciplina sindacale della scala mobile fosse stata prospettata anche in occasione dell’intesa del 22 gennaio 1983 — stanti i limiti dell’efficacia di diritto comune comunque inerenti a un accordo interconfederale — e poi, opportunamente, lasciata cadere.
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Così la Relazione di minoranza alla legge di conversione del decreto n. 70/1984, presentata alla Camera dei deputati dall’on. Bassanini, in «Le Leggi», 1984, p. 725.
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Entrambe le citazioni sono da Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
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Mengoni, Un nuovo modello, cit., p. 119.
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De Marco, La negoziazione legislativa»: aspetti attuali, in «Quaderni del pluralismo», 1984, n. 3, p. 46.
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Corte cost., n. 34/1985, cit., p. 36.
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Cfr., ad esempio, Mariucci, op. ult. cit., p. 342, nota 82, secondo cui quell’intervento «semmai corrisponde alle esigenze della politica anti-inflattiva, cioè a motivi di “ordine pubblico economico”, piuttosto che a fini “programmatori” in senso stretto».
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In Francia, ad esempio, non soltanto si è disposto per circa quattro mesi, nel 1982, un blocco generalizzato dei salari, con contestuale sospensione della legge 11 febbraio 1950 sulla libertà di contrattazione collettiva, ma si è anche prevista, all’uscita dal blocco, un’applicazione rigida, nel settore pubblico, del divieto legale di indicizzazioni, preesistente ma, in precedenza, ampiamente disatteso: cfr. Ortoli e Bescond, op. cit., p. 23; Goetschy, Il problema neocorporativo in Francia. Alcuni sviluppi recenti, in Aa.Vv., Salario, inflazione e relazioni industriali in Europa, cit., p. 128 ss. Più in generale va ricordato come soprattutto le indicizzazioni salariali siano state messe in questione negli ultimi anni in numerosi paesi (Belgio, Danimarca, Olanda, Grecia) con misure legislative che ne hanno variamente modificato o addirittura sospeso i meccanismi di funzionamento: per una panoramica dei diversi interventi cfr. Clarke, op cit., p. 108 ss.; Dal Co, I sistemi di indicizzazione dei salari e le loro modificazioni in alcuni paesi europei, in «Ires Materiali», 1983, n. 1, p. 27 s.; Id., I sistemi di relazioni industriali e la crisi economica, in «Dem. e dir.», 1983, n. 6, p. 9 s.
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In questo senso va segnalata probabilmente soltanto la particolare efficacia della manovra di controllo sui prezzi attuata dal governo francese, unitamente all’estensione delle misure di contenimento anche ai redditi da lavoro autonomo (commercianti e professionisti) e all’esclusione dalle stesse dei lavoratori a salario minimo, il cui importo è stato anzi ripetutamente aumentato: in argomento cfr. Patriarca, op.cit.
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Una conferma in proposito può utilmente trarsi da una rilettura delle opinioni espresse da due autorevoli economisti alla vigilia del referendum abrogativo della legge n. 219/1984 (Ruffolo, Perché voterò no, in «la Repubblica», 7 giugno 1985; Salvati, Prevalga la saggezza, ivi, 8 giugno 1985). L’orientamento di Salvati, favorevole all’abrogazione della legge, appare motivato, assai più che da ragioni economiche, dall’opportunità di respingere una concezione impositiva, non consensuale, della politica dei redditi.
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Sono i casi notori della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, su cui cfr., in generale, Carrieri e Perulli, Il sindacato di fronte al problema del rapporto fra risorse e lavoro, in «Problemi del socialismo», 1983, n. 26, p. 148. Sulle vicende inglesi si v. anche Pay freezes. A new trend in bargaining, in «Ind. rel. rev. and rep.», 1981, n. 256, p. 2. Sull’esperienza americana del concession bargaining si v. ora l’ampia analisi di Bordogna, La «concession bargaining» e alcune recenti tendenze delle relazioni industriali negli Stati Uniti, in «Giornale dir. lav. e rel. ind.», 1985, p. 277 ss.
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Così la Relazione di minoranza, cit., p. 712.
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L’allegato 1b al protocollo d’intesa fra governo, Cisl, Uil e Confindustria prevedeva, infatti, «la possibilità di trasferire dall’area dei prezzi sorvegliati a quella dei prezzi amministrati, quei prodotti il cui prezzo fosse aumentato oltre il limite previsto»; il blocco per un anno dell’indicizzazione dei canoni di locazione delle abitazioni; infine, quanto ai prezzi liberi, il condizionamento della fiscalizzazione degli oneri sociali nel settore commerciale al rispetto del tasso programmato d’inflazione.
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Per tutti si v. soprattutto Esposito, Lo Stato e i sindacati nella costituzione italiana, in La costituzione italiana. Saggi, Padova, CEDAM, 1954, p. 172 s. e anche Ardau, L’azione sindacale e la programmazione economica, in Atti del convegno di diritto del lavoro, cit., p. 133 ss.
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Mengoni, op. loc. ult. cit.
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Bordogna e Provasi, Politica, economia e rappresentanza degli interessi, Bologna, 11 Mulino, 1984, p. 59, con acute riflessioni sulle tendenze all’accentuazione dei meccanismi autoritari, «anche oltre i limiti tracciati dalla tradizione democratica», oggi presenti in diversi contesti di relazioni industriali.
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Cfr., per tutti. Predico, Pianificazione e costituzione, Milano, Giuffré, 1963, p. 148 ss., 163 s.
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Dell’Olio, Attività sindacale e programmazione economica, in «Dir. lav.», 1970, I, p. 481.
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Il passo è ampiamente riportato da Natoli, A proposito di programmazione e di libertà sindacale, in «Riv. giur. lav.», 1965, I, p. 6.
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Cfr. Natoli, op. cit., p. 7.
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Cfr. Mazzetta, Il neocontrattualismo alla prova, in «Foro it.», 1985, I, c. 979; Brusco, Autonomia negoziale del sindacato e prassi concertative centralizzate davanti alla Corte costituzionale, ivi, c. 1929; e anche Pera, La Corte costituzionale sul blocco temporaneo della contingenza, in «Giust. civ.», 1985, I, p. 626.
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Il carattere allarmistico di opinioni del genere e la loro completa infondatezza sono lucidamente dimostrati da De Luca Tamajo, L’evoluzione dei contenuti, cit., p 51 ss.
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Rusciano, Contratto collettivo, cit., p. 161; ma, sul punto, sembra concordare anche Mariucci, op. ult. cit., p. 350, nota 96.
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Mariucci, op. loc. ult. cit.
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Le citazioni sono da Tosi, La retribuzione nel diritto del lavoro dell’emergenza, cit., p. 536.
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Cfr. gli autori citati retro in nota 174.
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In argomento cfr. Alleva e Ghezzi, op. cit., nonché le opinioni, variamente orientate, espresse da Giugni, Pera, Persiani, Scognamiglio, Treu, Ventura alla tavola rotonda su La disdetta della scala mobile, cit.
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Sul punto cfr. Dell’Olio, op. ult. cit., p. 484.
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Da Mariucci, op. ult. cit., p. 339 e, in termini più problematici, da Tosi, op. ult. cit., p. 535.
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Al riguardo cfr. Natoli, op. cit., p. 8 s. e già Id., Politica dei redditi e costituzione, in «Dem. e dir.», 1964, p. 239 s.
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Come pure è stato fatto: si v. Vallebona, Costo del lavoro e autonomia collettiva, cit., p. 363.
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Corte cost., 27 dicembre 1974, n. 290 e, più recentemente, Corte cost., 13 giugno 1983, n. 165 su cui cfr., per tutti, Giugni, Diritto sindacale, Bari, Cacucci, 1984, p. 243 ss. Solo nei limiti, e con riferimento al tipo di interventi, indicati nel testo si può dunque consentire con l’impostazione di Garofalo, Intervento, in Aa.Vv., Problemi giuridici della retribuzione, Milano, Giuffré, 1981, p. 97 ss. (il quale, invece, dalla ritenuta liceità dello sciopero politico trae spunto per una valutazione in termini di legittimità costituzionale della legge n. 91/1977). Si può rammentare che l’ammissibilità di interventi legislativi di indirizzo della contrattazione, attraverso misure fiscali e parafiscali, è stata riconosciuta dagli stessi sindacati qualche anno fa, allorché essi prospettarono, nel contesto di una proposta per combattere inflazione e recessione, da un lato l’opportunità di eliminare totalmente il fiscal drag gravante sugli incrementi di salario nominale contenuti entro il tetto d’inflazione programmata; dall’altro di ripristinare il medesimo fiscal drag sugli incrementi salariali nominali superiori al tasso effettivo d’inflazione e di inasprire, al verificarsi di simili incrementi salariali, i contributi sociali a carico dei lavoratori: per più ampi ragguagli sul punto cfr. Ferri, Il patto anti-inflazione, cit., p. 318 s.
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Per uno spunto in tal senso cfr. Pera, Libertà sindacale (dir.vig.), in «Enc. dir.», Milano, Giuffré, vol. XXIV, 1974, p. 523.
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Treu, Problemi giuridici della retribuzione, cit., p. 51.
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Le citazioni sono da Alleva, Il tramonto, cit., p. 439.
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Ghera, Prospettive di riforma, cit., p. 518.
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La persistenza, sia pure parziale, delle funzioni tradizionali dell’istituto è riconosciuta da autorevole dottrina: si v. Smuraglia, Riflessioni sull’indennità di anzianità, cit., p. 320; Ghera, op. ult. cit., p. 528 s. Il legislatore, per pane sua, sembra fare di tutto per non smentire le giustificazioni più consolidate dei trattamenti di fine rapporto: sia continuando ad evitare di impegnarsi in una riforma organica dei trattamenti di disoccupazione (che dovrebbe, allo stato, comportare un ripensamento anche sullo stesso modo di operare della cassa integrazione guadagni straordinaria), sia con le ricorrenti oscillazioni in materia pensionistica. Si pensi, al riguardo, alle modalità di indicizzazione delle pensioni introdotte dalla stessa legge n. 297/1982 e modificate, appena un anno e mezzo dopo, dalla legge 27 dicembre 1983, n. 730, con conseguente «riduzione della rivalutazione delle pensioni immediatamente superiori ai minimi... e blocco del processo di sia pur lento e graduale incremento del potere di acquisto di tali pensioni»: così Bertona, Il riordino della previdenza, in Aa. Vv., Il patto contro l’inflazione, cit., p. 180.
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Ghera, op. ult. cit., p. 525.
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Cfr. ancora Ghera, op. ult. cit., p. 527 e già Id., Retribuzione, professionalità e costo del lavoro, cit., p. 415.
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Cfr. Alleva, Intervento, alla tavola rotonda Il problema dei c.d. «automatismi retributivi», cit., p. 444.
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Prevista da quasi tutti i contratti collettivi, peraltro con qualche significativa eccezione. Si v. gli artt. 16 disc. spec. - parte prima e 9 disc. spec. - parte terza del ccnl 1° settembre 1983 per gli addetti all’industria metalmeccanica privata, che continuano a disciplinare gli scatti come erogazione percentualizzata sui minimi tabellari.
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Si pensi alla «nota a verbale» apposta in calce all’art.72 del ccnl 18 marzo 1983 per gli addetti ad aziende commerciali, secondo la quale «le parti convengono che la presente disciplina degli scatti non esclude — in occasione dei rinnovi contrattuali — adeguamenti della loro misura in funzione della prevedibile dinamica della retribuzione-base». È evidente il carattere pleonastico della clausola, della quale, di per sè, non vi sarebbe stato alcun bisogno.
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Così, giustamente, Alleva, Il tramonto, cit., p. 435.
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Precedentemente l’art. 19 dell’ipotesi di accordo allegata al d.p.r. 1° giugno 1979, n. 191 prevedeva una progressione economica per anzianità scandita da classi del valore del 16% calcolate sulle misure retributive iniziali di ciascun livello d’inquadramento e maturabili, in numero di cinque, nell’arco dei primi venti anni di servizio; nonché da scatti del valore del 2,50% calcolabili con riferimento alla classe in godimento e, dopo il raggiungimento dell’ultima classe, ulteriormente maturabili, con cadenza biennale, in numero illimitato. La disciplina era stata poi modificata dal d.p.r. 7 novembre 1980, n. 810: a norma dell’art. 13 dell’allegato accordo, la progressione economica avrebbe dovuto svilupparsi in otto classi biennali dell’8% sul valore iniziale di livello e solo successivamente al conseguimento dell’ultima classe stipendiale in scatti biennali illimitati del 2,50% computati sull’ultima classe.
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Si v., ad esempio, l’art. 3 dell’accordo allegato al d.p.r. 25 giugno 1983, n. 344 relativo agli statali ministeriali: vi è previsto che la progressione economica per anzianità si svilupperà in otto classi biennali di stipendio del 6% ed in successivi aumenti periodici biennali del 2,50% computati sull’ultima classe di stipendio. Discipline di segno analogo, con marginali differenze, sono dettate dal d.p.r. 25 giugno 1983, n. 345 per il personale della scuola; dal d.p.r. 25 giugno 1983, n. 346 per il personale degli enti pubblici; dal d.p.r. 25 giugno 1983, n. 348 per il personale delle unità sanitarie locali.In precedenza la disciplina prevalente era conforme a quella posta dal d.p.r. n. 191/1979 per il personale degli enti locali (v. retro, nota 330): cfr. l’art. 24 della legge 11 luglio 1980, n. 312 per il personale civile e militare dello Stato o anche l’art. 17 del d.p.r. 26 maggio 1976, n. 411 per il personale degli enti pubblici.
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Bellandi, La struttura del salano nel pubblico impiego, in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, I, p. 64 s.
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Liguori, Commento sub art. 17, in Aa.Vv., Legge quadro sul pubblico impiego, cit., p. 697. Sostiene l’a. che, in applicazione di tale principio, «l’anzianità dovrebbe consentire di progredire notevolmente all’interno della stessa qualifica, raggiungendo e superando il trattamento economico inizialmente attribuito alla qualifica superiore».
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Sul punto cfr., per tutti, Garilli, Il trattamento di fine rapporto nel lavoro pubblico e privato, Milano, Franco Angeli, 1983, p. 188 ss.
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Cfr. Alleva, Automatismi, cit., p. 140.
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Cfr. Alleva, Automatismi, cit., p. 140.
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In argomento cfr. Vaicavi, Relazione, cit., p. 78 s.
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In Austria con riferimento agli scatti di anzianità corrisposti agli impiegati: cfr. Gardin, op. cit., p. 184.
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Di passata si può ricordare come la mutualizzazione degli scatti nel settore abbia trovato riscontro sia quando questi venivano calcolati in forma percentuale, sia dopo la trasformazione in emolumento corrisposto in cifra fissa: si veda rispettivamente l’allegato C al ccnl 1° aprile 1976 e al ccnl 1° luglio 1979.
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Non sembra inutile rammentare come nel settore edile la gestione dei fondi relativi all’Anzianità Professionale abbia permesso di accumulare risorse tali da indurre all’introduzione di quella sorta di trattamento di fine rapporto integrativo della cui dubbia legittimità si è già discusso (v. retro, parag. 2).
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Cfr. retro, testo e note 322, 324, 325.
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Cfr. Smuraglia, Riflessioni, cit., p. 322 ss.; Alleva, Automatismi, cit., p.138.
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Cfr. Ghera, Prospettive di riforma, cit., p. 534 s. Sulle problematiche connesse all’attuazione del «Fondo di solidarietà» cfr., per tutti, Di Filippo, Il fondo di solidarietà, in Aa.Vv., Il patto contro l’inflazione, cit., p. 59 ss.
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Come pare che essi debbano essere intesi, anche dopo l’approvazione della legge n. 297/1982: sul punto cfr. Giugni, De Luca Tamajo e Ferraro, op. cit., p. 281.
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In Inghilterra l’erogazione dell’indennità di licenziamento è effettuata in forma parzialmente mutualizzata: l’imprenditore provvede direttamente al versamento dell’indennità, ma viene parzialmente rimborsato dal «Fondo di indennizzo per la manodopera in eccesso», alimentato da contributi a carico delle imprese, che perdono, in tal modo, la disponibilità delle somme relative. In Svezia, invece, l’intero ammontare dell’indennità è corrisposto a cura di un Fondo nazionale, finanziato con versamenti delle imprese, che risultano così integralmente private della possibilità di utilizzare gli importi a fini di autofinanziamento.
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Si v. il contratto integrativo 11 novembre 1971 per la provincia di Bergamo; l’accordo collettivo regionale integrativo 18 luglio 1978 per la Valle d’Aosta e il contratto integrativo, di poco precedente, per la provincia di Torino.
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In tema cfr, in generale, Carried e Perulli, op. cit., p. 148 s.
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Ovvio il riferimento al progetto svedese di costituzione di «fondi dei salariati», su cui d’obbligo è il rinvio a Meidner, Capitale senza padrone, Roma, Edizioni Lavoro, 1980. Si v. anche Korpi, Il compromesso svedese, Bari, De Donato, 1982, p. 287 ss.; nonché le osservazioni di Bordogna e Provasi, op. cit., p. 36 s., 55.
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Ghezzi, La legislazione del lavoro, cit., p. 110 s.
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Cfr. Carried e Perulli, op. loc. ult. cit., con riferimento agli USA e alla Gran Bretagna.
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In Belgio, ad esempio, la sospensione legale della scala mobile, decisa dal governo nel 1981, non ha toccato il salario minimo: cfr. Dal Co, I sistemi di indicizzazione dei salan, cit., p. 27; più in generale si v. il mio Minimum wage-fixing: an historical and comparative perspective, in «Comp. lab. law», 1984, p. 82 ss. Naturalmente non si ignora che il potere d’acquisto dei redditi più bassi possa essere difeso anche con altri strumenti (di carattere fiscale, previdenziale ecc.). Si vuol solo sostenere che anche la manovra diretta sui salari minimi può essere utilmente utilizzata nel quadro di una politica dei redditi.
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Si v. il documento conclusivo della IIa commissione, Struttura della contrattazione e politica salariale, in «Supplemento a Conquiste del Lavoro», n. 21/22, 1984.
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Cfr. Colombo, Relazione al Comitato Esecutivo Cisl (Roma, 23 novembre 1984), in «Supplemento a Conquiste del Lavoro», n. 45, 1984; Merli Brandini, Relazione al Consiglio generale Cisl (Roma, 11-12 dicembre 1984), in «Supplemento a Conquiste del Lavoro», n. 47, 1984, il quale esplicita con maggiore chiarezza che la proposta, se accolta, avrebbe implicato «inevitabili esiti legislativi» (p. 5). Nello stesso senso si v. Treu, Singolari anomalie, in «Conquiste del Lavoro», n. 5, 1985, p. 3. Va ricordato, peraltro, che il favore nei confronti di una legislazione sui minimi è ripetutamente affiorato nel dibattito interno a questa confederazione: quanto alle posizioni più datate v. retro, cap. I, parag. 6; più recentemente cfr. Valcavi, Relazione, cit., p. 84.
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Da parte Cgil, ad esempio, venne prospettata la possibilità di definire un livello minimo retributivo indicizzato al 100%, accompagnandola però con la richiesta di una ulteriore parziale indicizzazione delle quote di salario contrattuale (minimi tabellari più contingenza) superiori al livello minimo: si v. Proposta su struttura del salario, irpef e scala mobile in «Rass. sind.», n. 5, 1985, p. 38 s. Il progetto riprendeva, nella sostanza, un’ipotesi già avanzata all’indomani del decreto-legge n. 10/1984, meglio nota come «proposta Garavini», nella quale, però, l’indicizzazione non si limitava ai minimi contrattuali ma puntava a coinvolgere l’intera retribuzione globale di fatto: per un’analitica illustrazione della proposta si v. Di Gioia, Ipotesi di riforma strutturale della scala mobile, in «Pol. ed Econ.», 1984, n. 4, p. 9 ss.Anche la Confindustria, dal canto suo, si pronunciò, nel contesto di una proposta di globale revisione del meccanismo di indicizzazione, per l’individuazione di una quota di retribuzione integralmente protetta dall’inflazione: si v. La proposta sul costo del lavoro e sull’occupazione, in «Rass. sind.», n. 38, 1984, p. 42. Ma già un progetto simile era stato ipotizzato dagli industriali subito dopo la disdetta della scala mobile del giugno 1982: v. retro, cap. I, parag. 7.
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Merli Brandini, Relazione, cit., p. 5
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Dal Co, I problemi della politica contrattuale oggi, in «Ires Materiali», supplemento al n. 2/1984, p. 65; in termini analoghi si veda dello stesso a. Ripensando il modello contrattuale, in «Pol. ed Econ.», 1985, n. 7-8, p. 5 che rivede, in tal modo, radicalmente una posizione precedentemente espressa (cfr. La politica salariale tra vecchi strumenti e nuovi obiettivi, in «Econ. e lav.», 1981, 2, p. 109 ss.). Occorre avvertire, comunque, che l’opinione di Dal Co, se testimonia di un dibattito che attraversa tutte le organizzazioni sindacali, resta largamente marginale all’interno della Cgil: in senso critico si v., per tutti, Di Gioia, La scala mobile, cit., p. 65 ss; Militello, Intervento al dibattito Riforma del salario, una discussione tra due proposte, in «Pol. ed Econ.», 1984, n. 5, p. 6.
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Giugni, Se aboliamo quella scala..., in «la Repubblica», 12 febbraio 1985. Dello stesso autore si v. però, in senso che sembra più affine all’ipotesi prospettata nel testo, Indicizzazione e politica salariale, in Aa.Vv., La riforma del salario, cit., p. 93 ss.
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Per il concorso, si ricorda ancora, di un tasso d’inflazione estremamente elevato negli anni successivi all’accordo sull’unificazione del punto di contingenza e della rinuncia a rivendicare una rivalutazione del valore di quest’ultimo.
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Ghezzi, Dinamiche sindacali e prospettive di riforme istituzionali, in «Pol. dir.», 1984, p. 346; ma già nello stesso senso cfr. Alleva, Il tramonto, cit., p. 429.
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Giugni, op. ult. cit., p. 94
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Pure se non va trascurato che già allora era ampiamente diffusa la consapevolezza che «la società industrializzata, con la sempre più stretta connessione fra gestione aziendale e politica economica, non consente l’esistenza di sindacati di tipo tradeunionistico, cioè chiusi nelle rivendicazioni immediate» giacché «la politica economica condiziona sempre più l’area rivendicativa e ne è a sua volta condizionata»: Foa, Il dissenso sulla programmazione, in La cultura della Cgil (Scritti e interventi 1950-1970), Torino, Einaudi, 1984, p. 180.
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Se è vero che il rientro dall’inflazione è stato attuato con maggior riguardo all’esigenza di preservare i livelli occupazionali nei paesi che praticano tradizionalmente politiche dei redditi: sul punto si v. Tarantelli, Le politiche di rientro dall’inflazione, cit., p. 174 ss.
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Le citazioni sono da Daubler, Diritto sindacale, cit., p. 141.
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Va precisato che in Svezia si è talvolta prevista una forma di indicizzazione «debole», vale a dire una clausola di riapertura del negoziato salariale, peraltro accompagnata da una soglia di scatto tale che il funzionamento della clausola non ha mai avuto modo di concretizzarsi: cfr. Bit, L’indexation, cit., p. 46 s.
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Cfr. ancora Bit, op. cit., con riferimento rispettivamente al caso dell’Olanda (p. 30 ss.) e della Gran Bretagna (p. 55 s.).
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La Piattaforma Cgil-Cisl-Uil per il confronto con il governo e le controparti pubbliche e private può leggersi in «Conquiste del Lavoro», n. 29-30, 1985, p. 12 s. La proposta sindacale ipotizzava: a) indicizzazione piena, nella misura del 100%, di un livello retributivo pari a 600 mila lire mensili a base mobile e a cadenza semestrale; b) ulteriore indicizzazione parziale, nella misura del 30%, delle residue quote retributive rappresentate dalle differenze tra il livello indicizzato al 100% ed i livelli retributivi costituiti dalla somma dei minimi tabellari mensili e dell’indennità di contingenza. Fatta eccezione per la cadenza dell’adeguamento (che veniva prospettata come «mobile», dipendente da un meccanismo a soglia), sembra evidente l’affinità con le proposte di fonte Cgil ricordate in nota 354. Per un’illustrazione dei dettagli tecnici dell’ipotesi sindacale unitaria cfr. Di Vezza, Da una a più scale, in «Conquiste del Lavoro», n. 31, 1985, p. 5.
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Si v. le opinioni di Dell’Aringa e Sylos Labini, con riferimento alla c.d. «proposta Garavini», in Sette economisti per sette pareri, in «Pol. ed Econ.», 1984, n. 4, p. 14 ss.
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Visco, Come difendere il salario reale, in «a Repubblica», 31 luglio 1985.
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Id., op. cit. Significative, del resto, appaiono le dichiarazioni a più riprese rilasciate da esponenti della Confidustria sulla irrisorietà dei margini di negoziazione salariale che residuerebbero per i contratti collettivi di categoria a seguito dell’adozione del nuovo sistema di indicizzazione: per tutte, si v. quelle del vicepresidente degli industriali privati, Patrucco, riportate in «la Repubblica» del 18 dicembre 1985 e del 28 gennaio 1986. Al di là della consueta «guerra delle cifre», resta la sensazione che si avvii verso una stagione di rinnovi contrattuali non priva di consistenti elementi di difficoltà (anche sugli aspetti di carattere retributivo).
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Ferri, Il patto anti-inflazione, cit., p. 309.
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Cfr. Ferri, op. cit., p. 305; Thiery e Cacciola, L’indicizzazione dei salan. Problemi e esperienze nei paesi industrializzati, in «Ires Cgil», 1981, 3, p. 47.
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Monti, La scala mobile: che cosa si guadagna con la contrattazione, cit., p. 99.
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Rodano, Intervento, in Sette economisti, cit., p. 18.
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Goodman e Thomson, Cost of living indexation agreements in post-war british collective bargaining, in «Brit. journ. ind. rel.», 1973, p. 206. In argomento cfr., in generale, Hughs, Cost of living, Threshold bargaining and incomes policy, in «Industrial relations», 1973-74, n. 4, p. 23 ss.; da noi Thiery e Cacciola, op. cit., p. 47 ss; qualche riferimento, per la verità senza adeguato approfondimento, anche in Zangari, Retribuzione e trattamento retributivo: spunti di diritto comparato, in «Mass. giur. lav.», 1985, p. 276.
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Goodman e Thomson, op. cit., p. 181.
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Ci si riferisce all’ipotesi formulata da Visco di cui si v., oltre all’articolo citato in nota 368, Una proposta nuova per la scala mobile, in «la Repubblica», 18 giugno 1985. Il progetto di Visco, peraltro, richiama esplicitamente suggerimenti già avanzati da Claudio Napoleoni e Giorgio Rodano sulle colonne di «Paese Sera» e poi della «Rivista trimestrale»: cfr., infatti, di Rodano l’Intervento, citato in nota 373. Rispetto all’ipotesi di Visco, che prevede l’eventuale adeguamento automatico a fine anno, magari accompagnato dal pagamento di interessi per compensare la perdita di potere d’acquisto interstiziale, la proposta delineata nel testo si differenzia perché ritiene più opportuno collegare immediatamente l’(eventuale) adeguamento automatico allo sfondamento del «tetto» d’inflazione programmata.
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In Spagna la durata dei contratti collettivi è stata prevista in due anni, stabilendosi che l’eventuale adeguamento automatico, che scatterebbe a fine anno, verrebbe concesso con efficacia retroattiva al 1° gennaio dell’anno precedente e concorrerebbe a formare la base di calcolo degli incrementi salariali dell’anno successivo.
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Italia, Intervento alla tavola rotonda Politica salariale, politiche dei redditi e modelli di contrattazione sindacale, cit., p. 22; per spunti consimili cfr. Valvo, Piai auto Spa: quantità, struttura ed evoluzione delle retribuzioni di fatto, in «Ires Materiali», 1984, 3, p. 14. Il fenomeno, ad ogni modo, sembra trovare riscontro anche altrove: cfr. Laurent, 1984 l’année zéro des politiques d’individualisation des salaires, in «Intersocial», 1984, n. 98, p. 25 ss.
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Cfr. Pappalardo, op. cit., p. 30 con riferimento all’Austria; Rehn, L’esperienza della contrattazione centralizzata in Svezia, in Aa.Vv., Salano, inflazione e relazioni industriali in Europa, cit., p. 150, 153.
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Lissa, Biagioli, Rainone, Toccagni, La struttura delle retribuzioni di fatto nell’industria metalmeccanica lombarda: una ricerca empirica, in «Quad. rass. sind.», 1984, n. 107, p. 42.
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A valutazioni diverse si potrà, però, pervenire quando sarà possibile trarre un bilancio della gestione del fondo di incentivazione, previsto dall’art. 14 del d.p.r.n. 13/1986.
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La possibilità di riservare ai dipendenti pubblici un meccanismo di indicizzazione automatica più « forte » di quello applicato al settore privato, del resto, è già stata prospettata in tempi abbastanza recenti: si v. Scarpat, La politica delle retribuzioni nel pubblico impiego, Milano, Giuffré, 1983, p. 109 ss.
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La rimozione del divieto, per la verità, appariva condizione necessaria anche per l’accoglimento della proposta di riforma avanzata dalle confederazioni sindacali, giacché in essa, sia pure solo ai fini del funzionamento del nuovo sistema di scala mobile, si prevedeva di «procedere al conglobamento dell’indennità di contingenza nei minimi tabellari»; e deve ritenersi, ora, probabilmente attuata dall’art. 1, co. 2°, della legge n. 38/1986, che dispone l’abrogazione delle «disposizioni in contrasto con la disciplina prevista nel comma 1», pure se un esplicito riferimento sarebbe meglio valso a troncare ogni dubbio in proposito.
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Uno spunto in tal senso, opportunamente collegato alla prospettiva di introduzione di un salario minimo legale, in Pera, Dopo il referendum sul taglio della scala mobile, in «Giust. civ.», 1985, II, p. 257. Può dubitarsi, peraltro, dell’attuale vigenza anche della regolamentazione dettata del d.p.r. n. 1073/1960, per l’evidente incompatibilità fra i suoi contenuti e quelli della legge n. 38/1986. Pure in questo caso, ad ogni modo, una norma abrogativa espressa non sarebbe stata priva di utilità.
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Quest’ultima infatti, oltre ad essere garantita dall’indicizzazione automatica, potrebbe anche, di tempo in tempo, essere oggetto di rinegoziazione fra governo e parti sociali: si v. retro, cap. I, parag. 7.
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Sul punto cfr., per tutti, Lettieri, Intervento alla tavola rotonda Politica salariale, politica dei redditi e modelli di contrattazione sindacale, cit., p. 15.
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Tosi, La retribuzione, cit., p. 536.
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La citazione (di Hicks, The crisis in Keynesian economics, Oxford, 1974, p. 65) è ripresa da Cella, Struttura del salario, cit., p. 12.