Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c3
La scelta di invertire la tendenza all’appiattimento retributivo, ritenuta improcrastinabile dalle stesse organizzazioni dei lavoratori nel momento in cui si decideva di sopprimere l’ultimo fattore interno al sistema sindacale di differenziazione della dinamica salariale, nella tornata contrattuale del ’79 è stata, comunque,
{p. 227}sviluppata in maniera assai debole. Sia perché gli aumenti ottenuti constavano di una quota differenziata per qualifiche e di una quota ancora eguale per tutti; sia soprattutto perché i nuovi minimi tabellari risultavano non solo dal conglobamento della «vecchia» contingenza (l’importo di punti c.d. «leggeri» maturati prima del 1975 e «semipesanti» maturati fra il ’75 e il gennaio 1977) e degli aumenti conseguiti ma anche, di solito, dal riassorbimento di svariate altre voci retributive, ivi compresi i superminimi individuali in atto (con evidente compressione del beneficio economico effettivo derivante dalla riparametrazione) [61]
: giustificandosi, in tal modo, il giudizio, primo espresso, che l’operazione di riforma degli scatti, ma, più in generale, l’intera impostazione di politica rivendicativa sostenuta nel corso dei rinnovi del ’79, si siano poste assai più in linea di continuità con le istanze egualitarie del passato, che non in funzione delle, pur affermate, esigenze di rivalorizzazione retributiva delle diverse professionalità.
Si comprende allora come il perdurante dispiegarsi della tendenza di schiacciamento dei differenziali categoriali, vistosamente percepibile già pochi mesi dopo la conclusione della tornata contrattuale [62]
in virtù dell’azione sulle strutture retributive di una fortemente accelerata dinamica di scatti di scala mobile, abbia indotto anche le organizzazioni sindacali a rimettere in discussione le modalità di funzionamento di un istituto sino ad allora proclamato intangibile.
Si è detto come l’opzione per un sistema di scala mobile a punto unico sia stata dettata dall’esigenza di assicurare un adeguato grado di copertura dall’inflazione ai salari (soprattutto medio-bassi) in un periodo di accentuata erosione del valore della moneta [63]
{p. 228}e come in essa fosse implicito l’orientamento di assegnare al meccanismo di contingenza, oltre alla funzione sua propria di garanzia (totale o parziale) del potere di acquisto delle retribuzioni, anche quella di ridurre i differenziali retributivi esistenti [64]
: questo, infatti, è un effetto ineludibile di un sistema di scala mobile a punto unico, come già si era potuto ampiamente verificare, da noi, nell’immediato dopoguerra.
Sembra improbabile, peraltro, che i sindacati abbiano inteso consapevolmente puntare su quell’effetto connesso sino al punto di confidare al meccanismo di scala mobile, come poi è in effetti accaduto, il compito di determinare la parte maggiore della dinamica retributiva degli anni successivi: sino al punto, in altre parole, di rinunciare a svolgere una politica salariale dotata di margini apprezzabili di flessibilità, lasciandosi surrogare dall’azione di un congegno automatico incontrollabile.
Appare più verosimile pensare, piuttosto, che anche le organizzazioni dei lavoratori siano rimaste vittime dell’erronea previsione di ritenere il trend inflazionistico destinato ad una rapida inversione di rotta. Il meccanismo di indicizzazione tenacemente rivendicato, e infine strappato agli industriali, avrebbe finito, in tal modo, con lo sfuggire loro di mano, e il conseguente marcato appiattimento salariale degli anni seguenti sarebbe stato, non diversamente da quanto è stato osservato a proposito dell’analoga vi{p. 229}cenda degli anni ’40, non «il frutto di una consapevole lotta unitaria... ma... di un meccanismo impersonale e imprevisto... (tale da) aprire solo spazi all’iniziativa capitalistica» [65]
, puntualmente ricoperti, com’è noto, attraverso la sottrazione al controllo sindacale delle retribuzioni di fatto di ampie fasce di forza-lavoro.
Naturalmente, del sistema di scala mobile introdotto nel ’75 non si può dire che abbia prodotto solo questi effetti. Non va trascurato, infatti, com’esso sia servito a garantire, per lungo tempo, piena copertura dalla svalutazione monetaria a larga parte dei salari operai [66]
. A lungo andare, peraltro, esso ha finito col trasformarsi anche in un fattore di divisione del mondo del lavoro o, almeno, di forte compromissione dell’autorità salariale del sindacato.
La disponibilità manifestata dalle organizzazioni sindacali, all’indomani della disdetta dell’accordo interconfederale del ’75 operata dalla Confindustria nel 1982, ad attenuare il grado di copertura dei salari assicurato dal valore del punto di contingenza, può allora essere interpretata non solo come un primo riconoscimento che la scala mobile, pur non essendone fra le cause, comunque «rappresenti un fattore di amplificazione dell’inflazione» [67]
, quanto (e forse soprattutto) come risposta all’esigenza di operare, anche rispetto a questo automatismo, trasferimenti di risorse dalla parte automatica alla parte contrattata del salario. La svalutazione del punto di contingenza concordata con l’accordo interconfederale del gennaio ’83 e le consistenti riparametrazioni attuate dai successivi rinnovi contrattuali di categoria costituiscono lo sbocco operativo di quell’esigenza [68]
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Della coerenza dei successivi sviluppi, si dirà più avanti.

2. La legislazione sul costo del lavoro

Si è vista sinora la varietà di possibili atteggiamenti riscontrabili, non solo nel nostro sistema di relazioni industriali, presso le parti sociali in ordine alle problematiche indotte (soprattutto) dagli effetti sulle strutture salariali dell’esistenza di meccanismi automatici di levitazione retributiva, segnatamente di quello correlato all’andamento del costo della vita. Nei diversi contesti, e nei diversi periodi storici, rispetto alle medesime problematiche e in particolar modo, ancora una volta, in relazione alla questione dell’indicizzazione dei salari, una gamma assai diversificata di orientamenti è possibile osservare anche nelle posizioni espresse dal terzo attore delle relazioni industriali, inteso non solo, e non tanto, come datore di lavoro nei rapporti di pubblico impiego, quanto come interprete di interessi generali, di volta in volta identificati nell’esigenza di preservare la stabilità monetaria, di operare per il rilancio dell’economia, di contenere il tasso d’inflazione, e così via.
Proposte, opzioni, interventi dei pubblici poteri appaiono, in effetti, ruotare ovunque attorno al funzionamento dei meccanismi di scala mobile, stante l’innegabile nesso esistente fra l’aggancio delle retribuzioni all’andamento del costo della vita e la dinamica di altri indicatori (macro) economici. Le scelte concrete, ovviamente, variano in rapporto agli obbiettivi prefissati, potendo spaziare dall’incoraggiamento o, addirittura, dall’imposizione per legge ai contratti collettivi e, persino, a quelli individuali di inserire clausole di indicizzazione dei salari (qualora nella scala di priorità sia privilegiato il risultato di mantenere costante il potere d’acquisto delle retribuzioni) [69]
; all’opposto, di vietare legalmente l’introduzione di tali clausole (come accadde in Francia nel ’58, {p. 231}nel contesto di una manovra di contenimento dell’inflazione) [70]
. Prescindendo dalle situazioni estreme, si può notare, in generale, la tendenza delle autorità di governo a rispettare il principio di non ingerenza nelle determinazioni collettive del salario nei sistemi di relazioni industriali, a struttura decentrata, dove l’adozione di meccanismi di indicizzazione, di portata non generalizzata, appare suscettibile di incidere in misura contenuta sull’entità della massa salariale globale [71]
; ma anche laddove un congegno di scala mobile, a carattere generale, si trovi ad operare in un contesto di sostanziale stabilità monetaria, secondo quanto attesta anche la nostra esperienza degli anni ’50 e ’60. Si è già visto, viceversa, come l’accelerazione delle tensioni inflazionistiche susciti facilmente negli ambienti sindacali la comprensibile rivendicazione di rafforzare gli strumenti di protezione del valore reale delle retribuzioni; lo stesso fenomeno, d’altro canto, protraendosi nel tempo, finisce col «rendere evidenti le controversie sull’indicizzazione dei salari» [72]
, provocando, rispetto ad essa, reazioni di rigetto non solo dal lato degli imprenditori, ma anche, non di rado, da parte dei pubblici poteri, preoccupati di riportare sotto controllo i movimenti di essenziali variabili economiche [73]
. I tentativi in tal senso, naturalmente, non si manifestano in formaunivoca, potendo esprimersi attraverso pressioni sulle parti sociali volte a persuaderle della convenienza ad uniformarsi alle linee di politica economica del governo; mediante interventi diretti di quest’ultimo nelle negoziazioni salariali; o, infine, nella modifica legale dei meccanismi di indicizzazione, vuoi a seguito di intese raggiunte con le parti collettive, vuoi prescindendo dall’acquisizione del consenso delle stesse.
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Note
[61] Sul punto cfr. Di Vezza e Scajola, op. cit., p. 91; Alleva, Legislazione, cit., p. 686.
[62] Si è osservato, ad esempio, con riferimento al settore metalmeccanico che già al 31 dicembre 1979, tenendo conto di tutta la contingenza maturata a quella data, il ventaglio salariale, fissato dal ccnl sulla base del rapporto 100/200, risultava ristretto a 100/159; l’ulteriore dinamica della scala mobile avrebbe portato, già nei primi mesi dell’81, a un rapporto parametrale effettivo di 100/149. Sul punto cfr. Di Vezza e Scajola, op. cit., p. 95 e, per considerazioni più generali con riferimento anche ad altri settori, Di Vezza, Retribuzioni: andamento e struttura, in Aa. Vv., Le relazioni sindacali in Italia. 1982/83, Roma, Edizioni Lavoro, 1984, p. 31 ss.
[63] Significativamente, durante la trattativa con gli industriali, i sindacati rifiutarono la proposta di ripartire il valore del punto di contingenza su due livelli, sulla scorta di quanto si era fatto qualche mese prima con l’accordo aziendale siglato all’Italsider (cfr. Mattei, op.cit., p. 808, 815). Il significato della vertenza per l’unificazione del punto di contingenza, d’altra parte, risalta in piena luce se si pon mente al fatto che fra le richieste sindacali vi era anche quella di rivalutare, almeno in parte, gli scatti pregressi, giustificata col debole funzionamento nel passato del meccanismo di contingenza: una rivendicazione sicuramente senza precedenti, con la quale «per la prima volta nella storia il sindacato, come organizzazione centrale, chiedeva aumenti inversamente proporzionali» ai livelli di qualifica: Foa, La struttura, cit., p. 101. Anche se quella richiesta non venne accolta, pervenendosi sul punto ad una soluzione compromissoria basata sulla corresponsione di un aumento eguale per tutti a titolo di c.d. Elemento Distinto dalla Retribuzione, il meccanismo di scala mobile introdotto nel ’75 comportava comunque, a regime, l’erogazione di incrementi salariali inversamente proporzionali ai livelli di inquadramento: è noto, infatti, che, per effetto dell’operare del fiscal drag, il punto di contingenza, unico al lordo, è, in realtà, diversificato al netto, accentuandosi ulteriormente, per tale via, i fenomeni di appiattimento retributivo: in proposito cfr., per tutti, Di Vezza, Ansuini, Scajola, op, cit., p. 109.
[64] Cfr. Faustini, Indicizzazione dei salari e inflazione in Italia, in «La documentazione italiana», 1977, n. 4, p. 2.
[65] Foa, Prefazione, cit., p. XXIV.
[66] Analoga considerazione, del resto, può farsi con riferimento al meccanismo di scala mobile introdotto nel 1945/46, anche se allora l’effetto era legato a ragioni diverse e, in particolare, all’accettazione contemporanea di un periodo di tregua salariale che rendeva adeguato nel tempo il valore del punto: cfr. comunque, per più ampi ragguagli, D’Apice, op.cit., p. 8 ss.
[67] Di Gioia, op. cit., p. 52.
[68] II punto 8 dell’accordo del gennaio 1983 stabiliva in L. 100.000 a regime la misura massima degli aumenti retributivi da concordare in sede di rinnovo dei contratti collettivi di categoria. Tali aumenti non avrebbero però dovuto essere concessi in cifra uguale per tutti, ma tenendo conto «della necessità di ristabilire parametri retributivi coerenti con l’obbiettivo della valorizzazione della professionalità dei lavoratori e dell’efficienza delle aziende». I singoli ccnl si sono poi largamente uniformati a tale direttiva: cfr. Di Vezza, Gli aspetti economici della contrattazione nazionale, in «Contrattazione», 1983, n. 4, p. 22 ss.; Alleva, Legislazione e contrattazione collettiva nel 1983-1984, in «Giorn. dir. lav. e rel. ind.», 1984, p. 447 s.
[69] É il caso del Lussemburgo, dove l’obbligo di inserire nei contratti collettivi disposizioni concernenti l’adattamento dei salari alle variazioni del costo della vita è previsto dalla legge 12 giugno 1965. L’estensione dell’obbligo alle contrattazioni individuali è stata introdotta successivamente dalla legge 27 maggio 1975.
[70] Va ricordato, peraltro, che in Francia il divieto legale di indicizzazione si accompagna all’esistenza di un salario minimo legale pienamente indicizzato: in argomento cfr., per tutti, Camerlynck e G. Lyon-Caen, op. cit., p. 337 ss.; Savatier, op. cit.
[71] Si v. BIT, L’indexation, cit., p. 63, con riferimento, in particolare, agli Stati Uniti e al Canada.
[72] BIT, op. cit., p. 3.
[73] In argomento cfr., in generale, Tarantelli, Le politiche di rientro dall’inflazione nei paesi industrializzati e il ruolo economico del sindacato, in «Lab. pol.», 1981, n. 4, p. 174 ss.; e anche Id., La predeterminazione dell’inflazione nei paesi industrializzati e l’accordo sul costo del lavoro del 22 gennaio 1983, ivi, 1983, n. 1, p. 133 ss.