Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c3
Meno persuasiva appare, invece, l’opinione, pure diffusa, di chi ritiene di individuare il tratto differenziale della legge 219/84 nella circostanza che, in conseguenza della manovra da essa disposta, «si riduce..., una volta per tutte, il salario corrente» [82]
. Il rilievo, peraltro, rinvia al piano della dimensione quantitativa degli interventi e, da questo punto di vista, merita di essere discusso: senonché è proprio la considerazione dei profili economico-sostanziali a sottolinearne la scarsa attendibilità. Non solo, e non tanto, perché la c.d. predeterminazione della scala mobile è stata attuata a fronte di un tasso di inflazione tendenziale che, secondo molteplici osservatori, avrebbe comportato, in assenza di intervento, un calo ancor più consistente del potere d’acquisto delle retribuzioni [83]
; quanto soprattutto perché essa si è accompagnata all’adozione di misure compensative (contenimento di tariffe pubbliche e prezzi amministrati, aumento dell’importo degli assegni familiari) [84]
, volte a salvaguardare, in linea di massima, il valore
{p. 237}reale dei salari [85]
, del tutto assenti nella legge del ’76, nel contesto della quale la finalità antinflattiva risulta perseguita in maniera assolutamente unilaterale. Né si potrebbe obbiettare che di tali misure non vi fosse allora bisogno, limitandosi la legge in questione, non a cancellare gli incrementi retributivi dovuti a scatti di scala mobile, ma a prevederne la corresponsione mediante titoli pubblici. Non v’è dubbio, infatti, che la non negoziabilità di questi ultimi, per un periodo di cinque anni dalla data di emissione, abbia comportato, per i lavoratori interessati dal provvedimento, e durante la vigenza dello stesso, una perdita di potere d’acquisto sicuramente più consistente di quella (eventualmente) ascrivibile agli effetti della predeterminazione della contingenza.
Fra gli interventi del ciclo in esame direttamente incidenti sulle discipline collettive relative alla indicizzazione dei salari, il più incisivo resta, comunque, sicuramente quello con cui venne stabilita la soppressione delle scale mobili c.d. «anomale»: più incisivo sia in relazione alle conseguenze economiche del provvedimento, sia, com’è ampiamente noto, in ordine al profilo dei rapporti fra legge e autonomia sindacale. Il provvedimento con cui il governo allora in carica decise (per decreto: d.l. 1° febbraio 1977, n. 12) l’abolizione dei sistemi di indicizzazione operanti in alcuni settori non industriali, con modalità tali da assicurare alle diverse retribuzioni una copertura dall’erosione inflazionistica pressoché totale [86]
, era anch’esso privo, come il precedente relativo alla corresponsione degli incrementi di contingenza in Bpt, di esplicito consenso sindacale. L’assenso delle confederazioni fu dato in un secondo momento, nelle more della conversione del decreto in legge, più ancora che in considerazione delle presunte finalità perequative dell’intervento, come moneta di scambio per evitare altri, pesanti, attentati al meccanismo di scala mobile in vigore {p. 238}nell’industria e, soprattutto, più in generale, al potere negoziale dei sindacati in materia retributiva [87]
.
L’accordo interconfederale 26 gennaio 1977 conteneva una clausola, alquanto generica, con la quale si prevedeva che, in sede di categoria (e quindi per via contrattuale), sarebbero stati rimossi i c.d. «effetti anomali della scala mobile», intesi come quelli derivanti dall’incidenza della stessa sulla base di calcolo di premi di produzione e compensi similari. Nulla disponeva nei confronti dei sistemi di indicizzazione a percentuale, né avrebbe potuto farlo, trattandosi, come si è detto, di meccanismi non operanti nell’ambito del settore industriale, cui era da intendersi circoscritta la sfera applicativa dell’intesa sindacale. É da escludere, d’altro canto, che vi fosse consenso alla scelta governativa da parte delle organizzazioni sindacali più direttamente interessate, le quali, anzi, avevano sempre mostrato di considerare il meccanismo di scala mobile in vigore nei rispettivi settori come un «prezioso sistema di adeguamento delle retribuzioni al costo della vita» [88]
.
L’analisi dell’iter formativo della legge e dei suoi contenuti effettivi permette, in realtà, di concludere, con sostanziale tranquillità, nel senso che quella «scelta» sia stata piuttosto il risultato di un cedimento alle pressioni esercitate, profittando della favorevole congiuntura politico-sindacale, dalla potente lobby delle imprese assicurative e, soprattutto, bancarie. Nelle ricostruzioni della vicenda è stata, di solito, trascurata la circostanza che queste ultime avevano disdetto, qualche mese prima, l’accordo regolante nel settore il sistema di indicizzazione salariale e mostravano la più ferma intenzione di pervenire ad una ridefinizione al ribasso della materia: l’intervento del legislatore giunse tempestivamente a toglier loro le castagne dal fuoco. Uno sguardo ai contenuti del provvedimento non può non convalidare la fondatezza del rilievo. L’ispirazione perequativa, che pure si è creduto di ravvisarvi [89]
, {p. 239}appare palesemente smentita dall’assunzione della disciplina della scala mobile operante nel settore dell’industria non come regolamentazione standard, ma come punto di riferimento massimo, con espressa salvaguardia delle disposizioni degli «accordi e contratti collettivi che determinano il valore mensile del punto di contingenza in misura inferiore» (art. 2, co. 2) per lavoratori occupati in settori non industriali [90]
. L’intento essenziale della legge di assicurare un consistente contenimento dei costi del lavoro delle imprese interessate appare, poi, con tutta nettezza dalla sorte normativamente riservata alle somme non corrisposte ai dipendenti in conseguenza della modifica del sistema di indicizzazione. Queste, che secondo il decreto originario avrebbero anche potuto essere sottratte completamente e definitivamente alla disponibilità delle imprese ed acquisite dalle casse dello Stato [91]
, vennero confiscate soltanto limitatamente agli importi relativi al 1977, ferma restando, come poi osserverà la Corte costituzionale, la destinazio{p. 240}ne per il futuro degli stessi «alla permanenza... nei patrimoni dei datori di lavoro» [92]
.
Più ancora che per gli effetti di ordine economico, l’abolizione delle scale mobili «anomale» ha segnato di sé la legislazione del lavoro, come si diceva, sul piano dei principi, della concezione delle relazioni fra legge e autonomia collettiva. Con la fissazione di un limite massimo alle indicizzazioni salariali, accompagnato non solo dalla sanzione di nullità delle clausole contrattuali difformi, ma anche da un divieto di «ritorno» della contrattazione collettiva sulla medesima materia, dalla proibizione, in altri termini, di intervenire, in futuro, con una nuova regolamentazione di carattere migliorativo, si è introdotta, per la prima volta nell’ordinamento, un’ipotesi di inderogabilità in melius della norma di legge, alterando il tradizionale, consolidato assetto di rapporti tra le fonti, secondo una tecnica di intervento non forzatamente ritenuta «un evento del tutto anomalo e sconvolgente per il diritto del lavoro» [93]
.
La medesima ispirazione della normativa in tema di scale mobili «anomale» (con estensione, peraltro, dell’intervento regolatore dei «massimi» a tutti i sistemi di indicizzazione) si incontra in un altro provvedimento dell’epoca, rimasto allo stadio di tentativo, con il quale si puntava ad incidere sulle modalità, sindacalmente convenute, di registrazione degli incrementi del costo della vita, stabilendo che, a tal fine, non si sarebbe più potuto tenere conto degli effetti sulle variazioni dei prezzi dipendenti da aumenti dell’imposta sul valore aggiunto e dell’imposta di fabbricazione (art. 4 decreto legge 7 febbraio 1977, n. 15). Il decreto, inoltre, mirava a comprimere la dinamica retributiva anche per via indiretta, ma non meno penetrante, «sterilizzando» di fatto la contrattazione salariale aziendale attraverso la norma con cui disponeva l’indeducibilità, ai fini della determinazione del reddito imponibile delle imprese, dei «maggiori compensi, rispetto a quelli stabiliti dai contratti collettivi nazionali, corrisposti a qualsiasi titolo ed in qualsiasi forma ai lavoratori dipendenti in virtù di accordi aziendali» (art. 3, co. 1°); nonché l’esclusione delle medesime imprese, firmatarie di accordi salariali integrativi, dai benefi{p. 241}ci della fiscalizzazione degli oneri sociali prevista dal decreto stesso (art. 3, co. 2°).
La tendenza del legislatore ad invadere gli spazi propri dell’autonomia collettiva aveva travalicato i confini dai sindacati tollerabili. Anche perché in nessun modo si sarebbe potuto sostenere l’esistenza di un implicito consenso sindacale all’intervento nella dichiarazione a verbale dell’accordo sul costo del lavoro con cui le confederazioni ribadivano che «nell’attuale fase di crisi economica non avrebbero proposto con la contrattazione articolata richieste generalizzate di aumenti salariali» [94]
: dichiarazione nella quale si poteva leggere niente più che l’assunzione di un impegno politico di larga massima, suscettibile di applicazioni pratiche differenziate, che avrebbe cambiato completamente colore qualora fosse stato irrigidito da un ostacolo legislativo di portata generale. Si comprendono, allora, le ragioni dell’opposizione sindacale ai contenuti del decreto, coronata da successo, anche se, come si è prima accennato, al prezzo non indifferente di rinunciare a contrastare gli aspetti più discutibili del precedente decreto n. 12 [95]
, nonché di concordare una modifica al «paniere» di beni utilizzato ai fini della determinazione degli incrementi del costo della vita, con conseguenze equivalenti a quelle che sarebbero derivate dalla progettata desensibilizzazione rispetto agli aumenti delle imposte indirette [96]
.
b) I tentativi di contenimento della dinamica delle indicizzazioni salariali si sono espressi anche mediante interventi miranti ad incidere sulle modalità di funzionamento della scala mobile per via indiretta, attraverso lo scioglimento di quell’effetto c.d. di «automatismo composto», consistente nella levitazione degli automatismi retributivi legati all’anzianità di servizio anche in con
{p. 242}seguenza del computo della contingenza nella loro base di calcolo [97]
. Il risultato di tali tentativi si è riflesso — come si dirà subito — in formulazioni normativamente inequivoche nei riguardi dei trattamenti di fine rapporto; di spessore assai più incerto quanto agli scatti di anzianità.
Note
[82] Mariucci, La contrattazione collettiva, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 341. L’a. estende il raffronto all’intervento con cui, nel ‘77, si decise l’abolizione delle c.d. scale mobili «anomale», rilevando che, in quel caso, la legge avrebbe avuto l’obbiettivo di eliminare «un’indicizzazione in percentuale sull’inflazione che si rifletteva su tutti gli elementi della retribuzione, producendo un guadagno netto in termini reali» (c.m.): neppure quest’argomentazione riesce, però, convincente ed, anzi, appare intrinsecamente erronea, giacché, com’è noto, effetto delle scale mobili anomale non era quello di produrre «un guadagno netto in termini reali», bensì di assicurare una protezione (quasi) integrale dall’erosione inflazionistica a tutti i livelli retributivi in misura indifferenziata, diversamente dal sistema in vigore nell’industria, caratterizzato da un grado di copertura dall’inflazione incompleto e, comunque, diversificato per fasce salariali. Sul punto si v. infra nel testo.
[83] Osservatori, peraltro, non sospetti di preconcette simpatie nei confronti della manovra governativa: si v., ad esempio, l’opinione di Dal Co in «Rass. sind.», 1985, n. 9; nonché Santi, Sindacati e contingenza: tra lavoratori e governo, in «Quad. piac.», 1984, n. 12, p. 41 ss.
[84] Il blocco dell’adeguamento dei canoni di affitto delle abitazioni, pur previsto dal protocollo d’intesa fra governo, Cisl e Uil, è rimasto, invece, fuori dalla legge 219/84 e, successivamente, è stato attuato con separato provvedimento legislativo.
[85] Sul punto cfr., in generale. Di Vezza, Le modifiche al sistema di calcolo della scala mobile, in Aa. Vv., Il patto contro l’inflazione (a cura di Treu), Roma, Edizioni Lavoro, 1984, p. 118 ss.
[86] La copertura non era rigidamente integrale, giacché restavano escluse dall’indicizzazione voci retributive marginali (ad esempio, nel settore del credito, l’indennità di concorso spese tramviarie): maggiori ragguagli sul funzionamento del sistema in Lungarella, op cit., p. 118 ss; Mazzamuto e Tosi, Norme per l’applicazione dell’indennità di contingenza, in «Nuove leggi civ. comm.» 1978, p. 204.
[87] Ci si riferisce al tentativo, operato col successivo decreto legge 7 febbraio 1977, n. 15, di desensibilizzare la scala mobile rispetto agli aumenti delle imposte indirette e di disincentivare la contrattazione salariale aziendale: sul punto si v. infra nel testo.
[88] Secondo l’affermazione contenuta in un documento del sindacato bancari della Cgil, citata da Lungarella, op cit., p. 122.
[89] Soprattutto da De Luca Tamajo, Leggi sul costo del lavoro e limiti all’autonomia collettiva (Spunti per una valutazione di costituzionalità), in Aa.Vv., Il diritto del lavoro nell’ emergenza, cit., p. 161 ss. e da Mazzetta, Le norme sulla riduzione del costo del lavoro davanti alla Corte costituzionale, in «Foro it.», 1980, I, c. 2644 s. In senso contrario si v. Mazzamuto, L’intervento legislativo sul costo del lavoro, in Aa.Vv., Il diritto del lavoro nell’emergenza, cit., p, 149 s; nonché Mazzamuto e Tosi, op. ult. cit., p. 204, dove è espressa senza mezzi termini la convinzione che la logica della disciplina legale sulle scale mobili «anomale» si muovesse «al di fuori di qualsiasi intento perequativo».
[90] Norma, oltre tutto, interpretabile nel senso, più restrittivo, di implicare una cristallizzazione nel tempo delle discipline di scala mobile deteriori o, più semplicemente, come riaffermazione della «natura di disciplina dei massimi e non di disciplina legale standard dell’intervento sull’indennità di contingenza»: così Mazzamuto e Tosi, op. ult. cit., p. 206, correggendo, opportunamente, l’interpretazione dagli stessi fornita ne Il costo del lavoro, cit., p. 320.
[91] L’art. 3 del decreto legge n. 12/77 disponeva infatti che «le somme non più dovute ai lavoratori... saranno devolute alla riduzione dei costi aziendali o alla copertura di oneri pubblici». In proposito è stato osservato che «era una prassi del tutto insolita per una legge indicare in un apposito articolo i fini politici perseguiti con la legge stessa: era comunque un parlare assai chiaro che non nascondeva, anzi proclamava esplicitamente, che di riduzione del salario si trattava e che questa riduzione era stata disposta a beneficio delle imprese» (Canosa, Sistema giuridico tra garantismo e istituzionalismo, in «Quad. piac.», 1978, n. 67-68, p. 23). Ma il rilievo non sembra del tutto pertinente: stando alla dizione letterale della norma, infatti, sarebbe stato possibile acquisire anche integralmente all’erario gli imponi non più dovuti dalle imprese ai propri dipendenti. La legge 31 marzo 1977, n. 91, (di conversione del decreto) sopprimerà, poi, l’art. 3, disponendo la confisca di tali importi per il solo anno 1977 e la destinazione degli stessi al «contenimento dei costi di servizi di interesse collettivo».
[92] Corte cost., 30 luglio 1980, n. 141, cit., c. 2651.
[93] Mazzamuto e Tosi, Norme per l’applicazione, cit., p. 208.
[94] La Dichiarazione della Federazione Cgil-Cisl-Uil può leggersi in Aa. Vv., Il diritto del lavoro nell’ emergenza, cit., sul punto a p. 199.
[95] Accentuati, in sede di conversione, dalla soppressione del limite temporale di efficacia, precedentemente fissato al 31 gennaio 1979
[96] Sul punto cfr. Di Vezza, Ansuini, Scajola, op. cit., p. 110. In generale sul decreto n. 15/1977 si v. Cester, La fiscalizzazione degli oneri sociali, in «Nuove leggi civ. comm.», 1978, p. 210 ss; Mazzamuto, Fiscalizzazione degli oneri sociali e contenimento del costo del lavoro, in Aa.Vv., Il diritto del lavoro nell’emergenza, cit., p. 175. s.; Tosi, La retribuzione nel diritto del lavoro dell’emergenza, cit., p. 514 s.
[97] Sulla caratteristica di «automatismo composto» propria ad indennità e scatti di anzianità v. retro, parag. 1.