I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c3
Proposte, opzioni, interventi dei pubblici poteri appaiono, in effetti, ruotare ovunque attorno al funzionamento dei meccanismi di scala mobile, stante l’innegabile nesso esistente fra l’aggancio delle retribuzioni all’andamento del costo della vita e la dinamica di altri indicatori (macro) economici. Le scelte concrete, ovviamente, variano in rapporto agli obbiettivi prefissati, potendo spaziare dall’incoraggiamento o, addirittura, dall’imposizione per legge ai contratti collettivi e, persino, a quelli individuali di inserire clausole di indicizzazione dei salari (qualora nella scala di priorità sia privilegiato il risultato di mantenere costante il potere d’acquisto delle retribuzioni)
[69]
; all’opposto, di vietare legalmente l’introduzione di tali clausole (come accadde in Francia nel ’58, {p. 231}nel contesto di una manovra di contenimento dell’inflazione)
[70]
. Prescindendo dalle situazioni estreme, si può notare, in generale, la tendenza delle autorità di governo a rispettare il principio di non ingerenza nelle determinazioni collettive del salario nei sistemi di relazioni industriali, a struttura decentrata, dove l’adozione di meccanismi di indicizzazione, di portata non generalizzata, appare suscettibile di incidere in misura contenuta sull’entità della massa salariale globale
[71]
; ma anche laddove un congegno di scala mobile, a carattere generale, si trovi ad operare in un contesto di sostanziale stabilità monetaria, secondo quanto attesta anche la nostra esperienza degli anni ’50 e ’60. Si è già visto, viceversa, come l’accelerazione delle tensioni inflazionistiche susciti facilmente negli ambienti sindacali la comprensibile rivendicazione di rafforzare gli strumenti di protezione del valore reale delle retribuzioni; lo stesso fenomeno, d’altro canto, protraendosi nel tempo, finisce col «rendere evidenti le controversie sull’indicizzazione dei salari»
[72]
, provocando, rispetto ad essa, reazioni di rigetto non solo dal lato degli imprenditori, ma anche, non di rado, da parte dei pubblici poteri, preoccupati di riportare sotto controllo i movimenti di essenziali variabili economiche
[73]
. I tentativi in tal senso, naturalmente, non si manifestano in formaunivoca, potendo esprimersi attraverso pressioni sulle parti sociali volte a persuaderle della convenienza ad uniformarsi alle linee di politica economica del governo; mediante interventi diretti di quest’ultimo nelle negoziazioni salariali; o, infine, nella modifica legale dei meccanismi di indicizzazione, vuoi a seguito di intese raggiunte con le parti collettive, vuoi prescindendo dall’acquisizione del consenso delle stesse.
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Le diverse, possibili, modalità di intervento dei pubblici poteri sulla dinamica delle retribuzioni si riscontrano tutte, anche con intrecci singolari fra loro, nell’esperienza italiana del periodo 1976-84. Al modello della «pressione esterna», ad esempio, può ricondursi la vicenda culminata nella stipula dell’accordo interconfederale 26 gennaio 1977 su costo del lavoro e produttività, anche se, nel caso specifico, non può trascurarsi come la pressione esercitata sulle organizzazioni sindacali sia stata alquanto energica, traducendosi nella minaccia di un intervento di autorità del governo sulla scala mobile
[74]
. La desensibilizzazione della scala mobile decisa dal più recente accordo interconfederale 22 gennaio 1983 può, viceversa, essere inquadrata nello schema dell’intervento attivo nella trattativa sindacale del terzo pubblico, giunto a giuocare, come è stato unanimemente rilevato da tutti gli osservatori, un ruolo non di semplice mediatore, ma di parte, portatrice di interessi e di poste negoziali propri
[75]
. Le molteplici modificazioni legislative alla disciplina delle indicizzazioni salariali, realizzate, tentate o anche soltanto progettate, appaiono, per parte loro, caratterizzate da gradi di coazione delle volontà collettive di varia intensità, potendo rispecchiare in maniera sostanzialmente fedele i contenuti di intese fra le parti sociali (come nel caso della deindicizzazione dell’indennità di anzianità); discostarsi sensibilmente da esse (quanto, ad esempio, ad effetti «anomali» della scala mobile e scale mobili c.d. «anomale»); o prescindere dall’esistenza di un consenso sindacale unanime, secondo la tecnica «decisionista» adottata in occasione della scelta di predeterminare per decreto il numero massimo di punti di scala mobile maturatoli nel corso dell’anno 1984.
L’indagine sulle disposizioni di legge in materia può essere affrontata da varie angolazioni. Dal punto di vista della loro con¶{p. 233}formità, o meno, al dettato costituzionale, naturalmente; ma anche sul piano, per così dire, strutturale, dei loro intrinseci contenuti e del rapporto fra questi e i prodotti dell’autonomia collettiva; nonché sul piano dell’effettività rispetto agli obiettivi prefissati. Sui due ultimi profili indicati sembra opportuno concentrare, preliminarmente, il fuoco dell’analisi, come necessaria premessa ad una più fondata valutazione delle posizioni emerse, in ordine alle diverse questioni di costituzionalità delle norme, sia in dottrina, sia nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale.
I diversi interventi legislativi possono raggrupparsi, per comodità espositiva, a seconda che abbiano puntato a colpire direttamente i meccanismi contrattuali di funzionamento della contingenza, o piuttosto per via indiretta, bloccando l’incidenza della stessa sulle modalità di computo di altre voci retributive e, segnatamente, degli automatismi legati all’anzianità di servizio.
a) Le misure adottate ai punti estremi del ciclo legislativo in esame, anche se di portata qualitativamente e quantitativamente diversa, possono essere entrambe senz’altro ascritte alla prima tecnica d’intervento. Si ricorderà come la legge 10 dicembre 1976, n. 797 (di conversione del decreto-legge 11 ottobre 1976, n. 699) abbia alterato il normale funzionamento delle discipline collettive di indicizzazione dei salari disponendo, in relazione al periodo 30 settembre 1976 - 30 aprile 1978, che gli incrementi di retribuzione dovuti per effetto di variazioni del costo della vita sarebbero stati corrisposti non in denaro contante, ma mediante buoni del tesoro poliennali (non negoziabili per la durata di cinque anni), per l’intero loro ammontare ai lavoratori dipendenti e ai titolari di trattamenti pensionistici il cui reddito (ad esclusione degli assegni familiari) superasse gli otto milioni annui, limitatamente al cinquanta per cento a coloro che risultassero compresi nella fascia di reddito fra sei e otto milioni, e fino al raggiungimento di detto limite maggiore
[76]
. Distaccandosi dal decreto originario, la legge di conversione, per la verità, in supposta coerenza con la finalità antinflattiva di contenere l’entità della circolazione monetaria dipen¶{p. 234}dente da movimenti negli indici del costo della vita, allargava apparentemente la sfera dei propri destinatari a tutti «coloro che beneficiano di un meccanismo automatico di adeguamento dei compensi alle variazioni degli indici» suddetti (art. 1, co. 5°): ma si trattava, appunto, di apparenza, giacché l’evidente genericità della formulazione, accompagnata dall’assoluta assenza sia di concreti strumenti operativi atti ad individuare gli ulteriori obbligati al prestito forzoso, sia anche di mere indicazioni in tal senso, rendeva palese che obbiettivo effettivo (ed esclusivo) del provvedimento era quello di colpire gli incrementi retributivi di scala mobile dovuti ai prestatori di lavoro dipendente
[77]
.
I sospetti di furbesca cautela che possono, fondatamente, farsi gravare sul legislatore del ’76, sarebbero, viceversa, fuor di luogo nei confronti di quello dell’84. L’intervento con cui è stato attuato il c.d. «taglio» della scala mobile è, infatti, inequivoco sia nella sua portata precettiva, sia nell’indicazione dei destinatari, individuati (ex art. 3 1. 219/1984) in tutti i lavoratori dipendenti, privati e pubblici, i cui emolumenti, correlati al funzionamento di meccanismi di indicizzazione, vengono decurtati, in funzione antinflattiva, mediante «la predeterminazione... del numero massimo dei punti di scala mobile da far scattare di trimestre in trimestre»
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(inizialmente in ragione di anno, successivamente, dopo la mancata conversione in legge del decreto n. 10/84, con efficacia temporale limitata a soli sei mesi).
I due provvedimenti legislativi appaiono caratterizzati, oltre che da vistose differenze, da non meno significativi elementi di ¶{p. 235}analogia. A parte l’efficacia contenuta nel tempo, comune ad entrambi, ambedue gli interventi si sono limitati ad incidere sulle modalità di funzionamento del meccanismo di scala mobile, lasciandone intatta la struttura nei suoi tratti essenziali: valore del punto, criteri di calcolo degli incrementi del costo della vita, cadenza periodica degli aggiustamenti. Comune ne appare pure la portata pratica di colpire la dinamica salariale esclusivamente nella parte di essa automaticamente dipendente dall’andamento delle indicizzazioni. L’osservazione, incontestabile nei confronti della legge 797/76, sembra, infatti, estensibile anche alla legge 219/84, a nulla valendo in contrario il rilievo che quest’ultima sia stata promulgata in costanza di un blocco, contrattualmente assunto, della contrattazione salariale aziendale. La circostanza, forse politicamente rivelatrice, dal punto di vista giuridico si è, in effetti, prestata ad essere interpretata nel senso di implicare il venir meno dell’obbligo di tregua salariale, concordato nel contesto di un’intesa più ampia, che prevedeva, fra l’altro, l’esistenza di determinate modalità di indicizzazione delle retribuzioni
[79]
.
La differenza più sensibile fra le due leggi in esame, sul piano qualitativo, sembra rintracciabile nella diversa caratterizzazione della fase procedimentale di gestazione delle stesse. La legge del ’76 venne adottata su iniziativa del governo, senza un consenso esplicito delle centrali sindacali, ma anche in assenza di aperte manifestazioni di dissenso da parte di alcuna di esse. Le confederazioni, se non accettarono espressamente i contenuti dell’intervento, quanto meno mostrarono, indifferenziatamente, di subirli: riserve, e richieste di abolizione prima della scadenza naturale, vennero semmai formulate in un secondo tempo, quando ci si accorse che, per effetto dell’inflazione e dei connessi incrementi monetari delle retribuzioni, si allargava a dismisura la sfera degli obbligati al prestito forzoso, colpendo anche i percettori di salari medio-bassi
[80]
. Il provvedimento più recente, viceversa, si stacca dal ¶{p. 236}precedente e, ancora più marcatamente, da altre esperienze di leggi c.d. «negoziate» con le parti sociali, per «non essere stato adottato sulla base di intese sindacali unitarie»
[81]
, ma anzi nonostante l’aspra opposizione della confederazione maggiore.
Meno persuasiva appare, invece, l’opinione, pure diffusa, di chi ritiene di individuare il tratto differenziale della legge 219/84 nella circostanza che, in conseguenza della manovra da essa disposta, «si riduce..., una volta per tutte, il salario corrente»
[82]
. Il rilievo, peraltro, rinvia al piano della dimensione quantitativa degli interventi e, da questo punto di vista, merita di essere discusso: senonché è proprio la considerazione dei profili economico-sostanziali a sottolinearne la scarsa attendibilità. Non solo, e non tanto, perché la c.d. predeterminazione della scala mobile è stata attuata a fronte di un tasso di inflazione tendenziale che, secondo molteplici osservatori, avrebbe comportato, in assenza di intervento, un calo ancor più consistente del potere d’acquisto delle retribuzioni
[83]
; quanto soprattutto perché essa si è accompagnata all’adozione di misure compensative (contenimento di tariffe pubbliche e prezzi amministrati, aumento dell’importo degli assegni familiari)
[84]
, volte a salvaguardare, in linea di massima, il valore
¶{p. 237}reale dei salari
[85]
, del tutto assenti nella legge del ’76, nel contesto della quale la finalità antinflattiva risulta perseguita in maniera assolutamente unilaterale. Né si potrebbe obbiettare che di tali misure non vi fosse allora bisogno, limitandosi la legge in questione, non a cancellare gli incrementi retributivi dovuti a scatti di scala mobile, ma a prevederne la corresponsione mediante titoli pubblici. Non v’è dubbio, infatti, che la non negoziabilità di questi ultimi, per un periodo di cinque anni dalla data di emissione, abbia comportato, per i lavoratori interessati dal provvedimento, e durante la vigenza dello stesso, una perdita di potere d’acquisto sicuramente più consistente di quella (eventualmente) ascrivibile agli effetti della predeterminazione della contingenza.
Note
[69] É il caso del Lussemburgo, dove l’obbligo di inserire nei contratti collettivi disposizioni concernenti l’adattamento dei salari alle variazioni del costo della vita è previsto dalla legge 12 giugno 1965. L’estensione dell’obbligo alle contrattazioni individuali è stata introdotta successivamente dalla legge 27 maggio 1975.
[70] Va ricordato, peraltro, che in Francia il divieto legale di indicizzazione si accompagna all’esistenza di un salario minimo legale pienamente indicizzato: in argomento cfr., per tutti, Camerlynck e G. Lyon-Caen, op. cit., p. 337 ss.; Savatier, op. cit.
[71] Si v. BIT, L’indexation, cit., p. 63, con riferimento, in particolare, agli Stati Uniti e al Canada.
[72] BIT, op. cit., p. 3.
[73] In argomento cfr., in generale, Tarantelli, Le politiche di rientro dall’inflazione nei paesi industrializzati e il ruolo economico del sindacato, in «Lab. pol.», 1981, n. 4, p. 174 ss.; e anche Id., La predeterminazione dell’inflazione nei paesi industrializzati e l’accordo sul costo del lavoro del 22 gennaio 1983, ivi, 1983, n. 1, p. 133 ss.
[74] Sul punto cfr. De Luca Tamajo, L’accordo interconfederale del 26gennaio 1977 e il quadro di riferimento politico-sindacale, in Aa. Vv., Il diritto del lavoro nell’ emergenza, cit., p. 114; Mazzamuto e Tosi, Il costo del lavoro tra legge e contratto, in Aa.Vv., Crisi e riforma dell’impresa, Bari, De Donato, 1978, p. 317, i quali riconducono proprio a tale circostanza il significato dell’affermazione, contenuta nel preambolo dell’accordo interconfederale, con la quale le parti vollero ribadire che «il contenuto del cappono di lavoro è e deve restare materia di competenza esclusiva delle pani sociali e la sua definizione deve avvenire mediante l’accordo tra queste».
[75] Sul punto cfr., per tutti, Mariucci, Tra patto sociale e nuovi conflitti, in «Pol. dir.», 1983, p. 189.
[76] Si v. De Luca-Picione, Sindacato e legge di blocco dei salari, in «Dir. Lav.», 1976, I, p. 354 ss.; Cester, I recenti provvedimenti per la riduzione del costo del lavoro, in «Riv. dir. civ.», 1977, II, p. 261; Tranquillo, Disposizioni sulla corresponsione degli aumenti retributivi dipendenti da variazioni del costo della vita, in «Nuove leggi civ. comm.», 1978, p. 190 ss.; Napoli e Ponzini, Problemi applicativi del decreto sul «blocco della contingenza», in «Riv. giur. lav.», 1978, I, p. 237 ss.
[77] Il che, sia detto sin d’ora, sarà in buona sostanza riconosciuto anche dalla Corte costituzionale, costretta a liquidare la questione sulla base della sola affermazione che non rientrasse fra i suoi compiti di «verificare in qual modo siano stati identificati — e, quindi, astretti al rispetto della legge — i debitori dei beneficiari di meccanismi automatici di adeguamento di compenso alle variazioni degli indici del costo della vita»: Corte cost., 30 luglio 1980, n. 141, in «Foro it.», 1980, I, c. 2649. Contra, ma con argomentazioni generiche, Falsitta, Disposizioni sulla corresponsione degli aumenti retributivi dipendenti da variazioni del costo della vita, in «Nuove leggi civ. comm.», 1978, p. 194. La modificazione introdotta in sede di legge di conversione, in realtà, sembra essere stata suggerita, più che dall’obbiettivo di rafforzare l’impatto antinflazionistico del decreto, dall’intento di parare censure di incostituzionalità ex art. 3 Cost.
[78] Così, puntualmente, Tarantella Politica del lavoro, congiuntura e relazioni industriali, in «Dir. lav.», 1984, I, p. 92.
[79] Sul punto vi è largo consenso: cfr. Sandulli, Il costo del lavoro dall’accordo al decreto, in «Dir. Lav.», 1984, I, p. 25; Vallebona, Limiti legali all’ autonomia collettiva per il contenimento del costo del lavoro: profili di costituzionalità, ivi, 1984, I, p. 130 s; Zoppoli, Commento sub art. 3, in Aa.Vv., Misure urgenti in materia di tariffe, di prezzi amministrati e di indennità di contingenza, in «Nuove leggi civ. comm.», 1985, p. 19.
[80] cfr. Di Vezza, Ansuini, Scajola, op cit., p. 107 ss.
[82] Mariucci, La contrattazione collettiva, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 341. L’a. estende il raffronto all’intervento con cui, nel ‘77, si decise l’abolizione delle c.d. scale mobili «anomale», rilevando che, in quel caso, la legge avrebbe avuto l’obbiettivo di eliminare «un’indicizzazione in percentuale sull’inflazione che si rifletteva su tutti gli elementi della retribuzione, producendo un guadagno netto in termini reali» (c.m.): neppure quest’argomentazione riesce, però, convincente ed, anzi, appare intrinsecamente erronea, giacché, com’è noto, effetto delle scale mobili anomale non era quello di produrre «un guadagno netto in termini reali», bensì di assicurare una protezione (quasi) integrale dall’erosione inflazionistica a tutti i livelli retributivi in misura indifferenziata, diversamente dal sistema in vigore nell’industria, caratterizzato da un grado di copertura dall’inflazione incompleto e, comunque, diversificato per fasce salariali. Sul punto si v. infra nel testo.
[83] Osservatori, peraltro, non sospetti di preconcette simpatie nei confronti della manovra governativa: si v., ad esempio, l’opinione di Dal Co in «Rass. sind.», 1985, n. 9; nonché Santi, Sindacati e contingenza: tra lavoratori e governo, in «Quad. piac.», 1984, n. 12, p. 41 ss.
[84] Il blocco dell’adeguamento dei canoni di affitto delle abitazioni, pur previsto dal protocollo d’intesa fra governo, Cisl e Uil, è rimasto, invece, fuori dalla legge 219/84 e, successivamente, è stato attuato con separato provvedimento legislativo.
[85] Sul punto cfr., in generale. Di Vezza, Le modifiche al sistema di calcolo della scala mobile, in Aa. Vv., Il patto contro l’inflazione (a cura di Treu), Roma, Edizioni Lavoro, 1984, p. 118 ss.