Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c3
Le osservazioni critiche, sicuramente condividibili nei termini generali sin qui espressi, si sono peraltro accompagnate, negli osservatori più attenti, a non poche cautele. Nel trattamento di liquidazione si è così riconosciuta la persistente «funzione pratica positiva» di rappresentare «l’unica somma di denaro di una certa consistenza di cui il lavoratore può disporre nella sua vita, e su cui egli e la sua famiglia contano, appunto, per esigenze e necessità di particolare importanza ed impegno economico [14]
; per altro verso si è dovuta ammettere la parzialità delle ragioni militanti nel senso di una soppressione dell’istituto, palesandosi, al contrario, l’opportunità di un suo mantenimento in essere vuoi al termine della vita attiva, a causa delle notorie lungaggini nell’erogazione effettiva del trattamento pensionistico, vuoi soprattutto durante la vita lavorativa, nella fase di passaggio da una ad altra occupazione, resa, assai spesso, particolarmente drammatica dalla perdurante assenza, nel nostro ordinamento, di una disciplina organica e generalizzata di sostegno economico della disoccupazione [15]
.
{p. 212}
Quanto agli scatti di anzianità si è ricordato come la loro generalizzazione nel settore dell’impiego privato non sia riconducibile esclusivamente all’interesse datoriale di premiare l’attaccamento del prestatore d’opera alla singola realtà aziendale; potendo, viceversa, riconoscervisi, dal punto di vista sindacale, anche l’esigenza concorrente di contenere la massa salariale disponibile per elargizioni discrezionali di aumenti di «merito» [16]
. La diffusione dell’istituto, in altre parole, avrebbe risposto anche ad una preoccupazione sindacale di carattere difensivo, particolarmente avvertita in periodi di debolezza contrattuale, quale quello dell’immediato secondo dopoguerra [17]
.
Si è rilevato, inoltre, come la lievitazione retributiva collegata all’anzianità di servizio sia, seppure in parte, «funzionale a processi reali di arricchimento professionale» [18]
, almeno limitatamente ai primi periodi di adibizione ad una data mansione; assolvendo, per altro verso, l’importante funzione di assicurare un minimo di incremento salariale a lavoratori dequalificati, privi di concrete prospettive di miglioramento economico legate alla progressione verticale di carriera [19]
.
L’osservazione comparata sembra confermare l’opportunità di affrontare la problematica degli automatismi retributivi, evitando impostazioni semplicisticamente liquidatorie. Al tempo stesso va{p. 213}le, anche in questo caso, a ridimensionare la portata di affermazioni tanto perentorie, quanto non sempre (o non del tutto) fondate. Difficilmente, ad esempio, potrebbe condividersi, senza attenuazioni, quel «sospetto di provincialismo e arcaicità» [20]
che si è voluto, da alcuni, far pesare sui trattamenti di liquidazione. Pur prescindendo, com’è giusto, da raffronti con situazioni estreme, quale quella giapponese, dove l’anzianità di servizio giuoca un ruolo determinante sulla dinamica dei corrispettivi salariali non soltanto al termine del rapporto, ma anche, accentuatamente, in costanza dello stesso [21]
, non pare che possa considerarsi provinciale un istituto che, almeno nella forma di indennità di licenziamento, risulta diffuso in numerosi paesi industrialmente avanzati. Meno ancora risulta condividibile l’opinione che ravvisa non solo l’origine, ma la stessa ragion d’essere di esso, inestricabilmente connesse ad un assetto arretrato di rapporti industriali. A parte l’esperienza austriaca, infatti, dove un’indennità legale di licenziamento a favore degli impiegati è conosciuta sin dagli anni ’20 [22]
, altrove trattamenti di fine lavoro sono stati introdotti, dalla legge o con accordo collettivo, in epoca relativamente recente, soprattutto nel corso degli anni ’60, per attutire le conseguenze economiche della disoccupazione «tecnologica», indotta da estesi processi di ristrutturazione produttiva, o, comunque, per contribuire a fronteggiare situazioni di disoccupazione involontaria [23]
.{p. 214}
Sotto diverso punto di vista, peraltro, non può negarsi un consistente fondamento di verità all’affermazione secondo la quale la (vecchia) indennità di anzianità (ma il rilievo appare estensibile all’attuale trattamento di fine rapporto) resta un «istituto con pochi riferimenti in altri paesi», «un unicum a sé stante, senza un corrispondente riscontro qualitativo e soprattutto quantitativo» [24]
. Già da quanto detto, infatti, balza all’occhio la differenza fondamentale discendente dalla non omogenea estensione dei trattamenti di liquidazione nel nostro e, rispettivamente, negli altri ordinamenti. Proprio negli anni in cui questi ultimi conoscevano l’introduzione dell’istituto, da noi lo stesso subiva un processo di generalizzazione che si spingeva a rendere obbligatoria la corresponsione dell’indennità «in ogni caso di risoluzione del rapporto di lavoro» [25]
: con scelta del legislatore, successivamente avallata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale [26]
che, anzi, ha ulteriormente approfondito la tendenza espansiva, sino al limite estremo di negare la legittimità della sussistenza di un’anzianità {p. 215}minima di servizio come condizione per la maturazione del diritto [27]
, accentuandosi, anche sotto questo profilo, le distanze dai criteri di solito adottati nei sistemi stranieri [28]
.
Differenze non meno sensibili emergono con riguardo alla consistenza dei trattamenti, legate anche alle profonde diversità di strutturazione normativa. Il criterio di calcolo dell’indennità di anzianità italiana, basato sul riferimento combinato all’ultima retribuzione percepita e all’intera anzianità di servizio, appare adottato solo nell’ordinamento francese [29]
. Altrove l’erogazione risulta contenuta entro tetti massimi, variamente stabiliti in ragione dell’anzianità di servizio, dell’età del lavoratore, della retribuzione percepita [30]
.{p. 216}
Se la ridotta dimensione quantitativa delle indennità di fine lavoro può, peraltro, esser spiegata anche tenendo conto dell’esistenza, in numerosi ordinamenti, di schemi integrativi di pensioni private [31]
, non è questo, comunque, il dato che preme, almeno per il momento, mettere in rilievo. Importa, piuttosto, la constatazione della perdurante funzione sociale generalmente riconosciuta all’istituto, in contrasto con le opinioni inclini a negarne ogni residua rilevanza e, perciò, favorevoli a un completo superamento dello stesso.
Sarebbe difficile, viceversa, trarre, dalle esperienze straniere, elementi a sostegno degli scatti di anzianità. Non perché l’istituto sia altrove sconosciuto: al contrario esso è alquanto diffuso, anche se con implicazioni sulla carriera economica del lavoratore di solito notevolmente inferiori a quelle riscontrabili presso di noi [32]
. Quanto, piuttosto, perché le funzioni positive, pur astrattamente (e limitatamente) ad esso riconoscibili, risultano ovunque ampiamente offuscate dalla caratteristica fondamentale di costituire uno strumento di discriminazione sociale e di sperequazione intersettoriale. Nei diversi contesti di relazioni industriali, infatti, emerge con nettezza la destinazione privilegiata dell’emolumento a favore degli strati impiegatizi di forza-lavoro; come pure la particolare consistenza dello stesso nei settori già segnati dalla presenza di livelli retributivi medi di base più elevati [33]
.
{p. 217}
Note
[14] Le citazioni sono da Alleva, op. cit., p. 444
[15] Si v. il Parere del Cnel sulle «Considerazioni finali e proposte» della Commissione parlamentare di inchiesta (in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, lI, p. 53 ss.), dove l’invito espresso da quest’ultima a un graduale superamento dell’istituto dell’indennità di anzianità viene ritenuto accoglibile soltanto in un contesto normativo in cui siano apprestate «garanzie per il mantenimento di un livello adeguato di reddito per periodi di disoccupazione involontaria nonché necessari strumenti per la rapida definizione delle pensioni e comunque di congrue anticipazioni sulle stesse»: ivi, p. 57 s.
[16] Si v., in questo senso, Ventura, Intervento alla tavola rotonda citata in nota 10, p. 440; Russo, Scatti di anzianità, in Dizionari del diritto privato. Diritto del lavoro (a cura di Dell’Olio), Milano, Giuffrè, 1981, p. 442.
[17] Non a caso gli scatti di anzianità, previsti sporadicamente in alcuni settori ed aziende già nel corso degli anni trenta, sono stati generalizzati, subito dopo la guerra, dagli accordi interconfederali 30 marzo 1946 (per le provincie del Nord) e 23 maggio 1946 (per le provincie centro-meridionali).
[18] Così il Parere del Cnel, cit., p. 57 che, conseguentemente, faceva discendere dall’affermazione la proposta di ridimensionare la portata dell’istituto «entro limiti circoscritti da apprezzabili ragioni», riconducibili sostanzialmente ai «casi in cui si possa ritenere che l’esperienza acquisita con l’anzianità di servizio sia di per sé sufficiente a qualificare per lo svolgimento di compiti superiori».
[19] Cfr. Cella, Struttura del salario e relazioni industriali, in «Prosp. sind.», 1978, 28, p. 17.
[20] Alleva, Automatismi e riassorbimenti salariali, in «Riv. giur. lav.», 1979, I, p. 112, il cui giudizio, peraltro, appare collegato a una valutazione complessiva dell’istituto assai attenta e ispirata a notevole equilibrio: si v. anche retro in nota 14. Nel senso del testo cfr. Smuraglia, Riflessioni sull’indennità di anzianità, in «Riv. giur. lav.», 1977, I, p. 318.
[21] Al riguardo si v., in generale, Hanami, Japan, in International encyclopaedia for labour law and industrial relations, Kluwer, The Netherlands, 1978, p. 68.
[22] Cfr. Ventrella, Lo sviluppo del trattamento di fine lavoro, in Aa.Vv., La retribuzione nell’industria, (a cura dellTSVET), Milano, Franco Angeli, 1970, p. 254 s.
[23] E il caso del Belgio, dove la legge 28 giugno 1966 prevede il pagamento di un’indennità ai lavoratori licenziati per chiusura d’impresa (si v. Blanpain, Belgium, in international encyclopaedia, cit., 1979, p. 106); della Gran Bretagna, dove l’obbligo legale di corrispondere un’indennità a favore del lavoratore licenziato per eccedenza di personale è stato introdotto nel ’65 dal Redundancy payments Act (su cui si v. Hepple, Great Britain, in International encyclopaedia, cit., 1977, p. 119); della Francia, dove l’ordonnance 13 luglio 1967 è intervenuta a generalizzare un istituto prima previsto soltanto da alcuni contratti collettivi (si v. Camerlynck e G. Lyon-Caen, Droit du travail, Parigi, Dalloz, 198010, p. 229); della Germania Federale, dove trattamenti di fine lavoro furono inizialmente disciplinati dalla contrattazione collettiva, a partire dalla metà degli anni ’60, nei c.d. «accordi di razionalizzazione», e poi dalla legge di protezione contro i licenziamenti del 1969 (si v. Ramm, Federal Republic of Germany, in International encyclopaedia, cit., 1979, p. 138; ed anche Daubler, Una riforma del diritto del lavoro tedesco?, in «Ires/Papers», 1985, 1, p. 14, con riferimento alla prasi seguita dal c.d. Einigungsstelle (ufficio di conciliazione) di imporre la corresponsione di «un’indennità commisurata alla retribuzione mensile del lavoratore interessato, nonché alla sua anzianità di servizio e alla sua età», nel caso di mancato accordo fra impresa e consiglio d’azienda sui termini del «piano sociale» — previsto dal Betriebsverfassungsgesetz del 1972 — conseguente a un licenziamento collettivo); della stessa Austria, dove la vecchia indennità di anzianità impiegatizia è stata estesa agli operai dalla legge 23 febbraio 1979 (si v. Runggaldier, Il diritto del lavoro in Austria, in Aa.Vv., Il diritto del lavoro dei paesi europei non partecipanti alla C.E.E., Padova, CEDAM, 1981, p. 34). Altrove la regolamentazione dell’indennità di licenziamento è rimasta di fonte collettiva, come in Svezia, dove essa è stata introdotta nel ’64 da un accordo interconfederale in favore di lavoratori, in possesso di determinati requisiti di anzianità aziendale e di età, che perdano il posto in seguito a chiusura d’impresa o a riduzione d’attività della stessa; o negli Stati Uniti, dove la c.d. severance pay si è largamente diffusa nei contratti collettivi sin dalla metà degli anni ’50.
[24] Le affermazioni sono, rispettivamente, delle Considerazioni finali, cit., p. 39 e di Ventrella, op. cit., p. 263. Nello stesso senso si v. Smuraglia, op. cit., p. 319, nota 162.
[25] Legge 15 luglio 1966, n. 604 (art. 9).
[26] Corte cost., 27 giugno 1968, n. 75, in «Giur. cost.», 1968, I, p. 1095.
[27] Corte cost., 28 dicembre 1971, n. 204, ivi, 1971, I, p. 2296. In generale sulla progressiva estensione del diritto alla corresponsione dell’indennità di anzianità si v., per tutti, G. Santoro-Passarelli, Dall’indennità di anzianità al trattamento di fine rapporto, Milano, Giuffré, 1984, p. 27 ss; Ghezzi e Romagnoli, Il rapporto di lavoro, Bologna, Zanichelli, 1984, p. 261.
[28] Le leggi francese e inglese richiedono due anni di anzianità ininterrotta come requisito legittimante il diritto alla corresponsione dell’indennità di licenziamento; in quella belga l’anzianità minima richiesta è di un anno. Condizioni assai più restrittive sono previste dall’accordo interconfederale stipulato in Svezia, dove la maturazione del diritto è subordinata al raggiungimento di 50 anni di età, accompagnato da un’anzianità aziendale di almeno 10 anni (anzianità superiori, peraltro, sono ritenute utili ad abbassare il limite minimo di età).
[29] cfr. Camerlynck e G. Lyon-Caen, op.cit., p. 231. Più esattamente, la legge specifica che l’ultima retribuzione da moltiplicare per il numero di anni di servizio nell’impresa deve essere calcolata sulla base del salario medio percepito negli ultimi tre mesi. Le frazioni del montante così individuato, da utilizzare ai fini della determinazione dell’indennità, sono anch’esse indicate dalla legge (20 ore di salario per lavoratori con paga oraria, un decimo per quelli con retribuzione mensile) e variamente modificate in melius dai contratti collettivi, con applicazione di coefficienti molto più elevati soprattutto a favore di impiegati e quadri.
[30] In Belgio, ad esempio, il «tetto» è stabilito in funzione sia dell’anzianità aziendale (1.000 F.B. per anno con un massimale di 20.000), sia dell’età (1.000 F.B. per ogni anno di età sopra i 45, anche in questo caso con un massimale di 20.000). Il criterio di favorire i lavoratori più anziani è seguito anche in Germania, dove l’indennità legale minima, non superiore a 12 mensilità, raggiunge le 15 mensilità per lavoratori che abbiano l’età di 50 anni (e un’anzianità di servizio di almeno 15 anni); le 18 mensilità per lavoratori ultracinquantacinquenni (con anzianità di servizio superiore a 20 anni). La definizione dell’importo massimo in Gran Bretagna dipende invece, oltre che dall’applicazione di criteri assimilabili ai precedenti, anche dalla mancata considerazione della parte di salario eccedente la misura di 80 sterline per settimana nella base di computo dell’indennità (sul punto, per maggiori ragguagli, si v. Hepple, op. cit., p. 119).
[31] In argomento si v., in generale, Ventrella, op cit., p. 258 ss.
[32] v. Gardin, Il collegamento della retribuzione all’età e all’anzianità di servizio individuale, in Aa.Vv., La retribuzione nell’industria, cit., p. 173 ss.; Indicazioni sulla struttura del salario in alcuni paesi europei, in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, li, p. 87.
[33] Cfr. Gardin, op.cit., p. 194. Merita di essere ricordato come in alcune esperienze straniere l’istituto della progressione economica automatica presenti tratti sicuramente non meno discutibili laddove la dinamica salariale viene fatta dipendere dall’età del dipendente (prevedendosi aumenti retributivi per anno o per classi di età o, anche, stabilendosi età minime di ingresso nelle categorie professionali). Situazione del tutto diversa é riscontrabile negli USA, dove l’istituto della seniority (su cui v. Goldman, United States of America, in International encyclopaedia, cit., 1979, p. 245 ss.) è disciplinato dai contratti collettivi, non solo come fonte di aumenti salariali, quanto soprattutto come attributivo di uno status cui si ricollegano svariati privilegi e benefici (migliori trattamenti feriali, maggior protezione nel caso di provvedimenti di riduzione della forza lavoro, ecc.), secondo una tecnica normativa largamente conosciuta anche da noi e, poi, progressivamente superata nell’ultimo quindicennio dalle innovazioni contrattuali ispirate a criteri largamente perequativi (per le fattispecie di residua rilevanza si v., comunque, Mazziotti, Profili generali dell’anzianità nel rapporto di lavoro, in Atti del XII Convegno Nazionale del «Centro Nazionale Studi di Diritto del lavoro» su Riflessi dell’anzianità sul rapporto di lavoro, Milano, Giuffré, 1983, p. 65).