Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c3
Sarebbe difficile, viceversa, trarre, dalle esperienze straniere, elementi a sostegno degli scatti di anzianità. Non perché l’istituto sia altrove sconosciuto: al contrario esso è alquanto diffuso, anche se con implicazioni sulla carriera economica del lavoratore di solito notevolmente inferiori a quelle riscontrabili presso di noi [32]
. Quanto, piuttosto, perché le funzioni positive, pur astrattamente (e limitatamente) ad esso riconoscibili, risultano ovunque ampiamente offuscate dalla caratteristica fondamentale di costituire uno strumento di discriminazione sociale e di sperequazione intersettoriale. Nei diversi contesti di relazioni industriali, infatti, emerge con nettezza la destinazione privilegiata dell’emolumento a favore degli strati impiegatizi di forza-lavoro; come pure la particolare consistenza dello stesso nei settori già segnati dalla presenza di livelli retributivi medi di base più elevati [33]
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A riflessioni di tono nettamente diverso si presta la valutazione delle soluzioni adottate nei diversi ordinamenti con riguardo al più tipico degli automatismi, quello di cui, a giusta ragione, può dirsi che caratterizzi, con la sua presenza (o con la sua assenza), la fisionomia di un sistema salariale: l’adeguamento retributivo collegato all’andamento del costo della vita.
Mentre il carattere di incremento automatico del trattamento economico complessivo appare ovunque riconoscibile negli istituti di cui si è finora discusso (indennità e scatti di anzianità), di «automatismo» in senso proprio non sembra, per la verità, potersi indiscriminatamente parlare a proposito dei meccanismi di indicizzazione delle retribuzioni. Se ci eccettua, com’è ovvio, quei sistemi in cui la ripulsa dell’indicizzazione salariale è generalizzata, affidandosi il compito di garantire la dinamica (vuoi di mantenimento, vuoi di accrescimento) dei salari reali esclusivamente alla contrattazione collettiva [34]
, forme di indicizzazione possono darsi, {p. 218}com’è noto, in versioni «forti» o «deboli». In questo secondo caso, carattere automatico non può tanto attribuirsi al movimento delle retribuzioni, quanto piuttosto alle cadenze della negoziazione collettiva, meccanicamente fatte dipendere dall’azionamento di «una clausola di revisione con riferimento espresso a una certa soglia di variazione dell’indice» [35]
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Meccanismi automatici di collegamento fra retribuzioni e costo della vita risultano, peraltro, adottati con maggiore frequenza. Essi appaiono, in genere, preferibili ai sindacati dei lavoratori, che vi riconoscono, in periodi di elevata tensione inflazionistica [36]
, uno strumento particolarmente efficace di difesa del potere d’acquisto dei redditi da lavoro dipendente. Non a caso forme di indicizzazione del tipo «forte» hanno cominciato ad essere introdotte in numerosi paesi già subito dopo la fine del primo conflitto mondiale [37]
, diffondendosi (e perfezionandosi dal punto di vista tecnico) nel secondo dopoguerra. Non va trascurato, ad ogni modo, come le resistenze di principio frequentemente riscontrabili nelle organizzazioni degli imprenditori rispetto all’adozione di sistemi di scala mobile [38]
, cedano, non di rado, ad atteggiamenti pragma{p. 219}ticamente orientati all’accettazione degli stessi, soprattutto allorquando, nel contesto di larghi fenomeni di riorganizzazione industriale, essi possano apparire funzionali ad obbiettivi di stabilizzazione sociale. L’esempio della scala mobile italiana, introdotta da accordi interconfederali nel 1945-46 senza che fosse necessario «un solo giorno di sciopero e nemmeno di agitazione» [39]
trova, da questo punto di vista, un sintomatico riscontro nella coeva esperienza statunitense, dove la concessione, fra l’altro, di clausole di indicizzazione salariale fu la contropartita che, in alcuni settori industriali, si ritenne di dover concedere per acquisire la non opposizione sindacale ai processi di meccanizzazione [40]
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L’analisi comparata dei meccanismi di indicizzazione delle retribuzioni si rivela particolarmente utile anche perché permette di relativizzare la dimensione di problemi e soluzioni che opinioni, approssimative quanto diffuse, tendono ad accreditare come tipici del nostro sistema di relazioni industriali. Problema assolutamente comune ai diversi sistemi di indicizzazione, ad esempio, è quello della costruzione di un indice di registrazione delle variazioni del costo della vita che sia, ad un tempo, adeguato ed accettabile ad entrambe le parti: lamentandosi, frequentemente, dal lato sindacale la scarsa affidabilità degli indici ufficiali di rilevazione dei prezzi; contestandosi, sul fronte imprenditoriale, l’incidenza sugli incrementi di scala mobile di aumenti delle imposte indirette {p. 220}e, soprattutto nei paesi la cui economia è più esposta al commercio estero, anche dei prezzi delle materie prime e dei prodotti importati [41]
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La soluzione, accolta nell’accordo interconfederale 25 gennaio 1975, di assicurare aumenti in cifra fissa uguale per tutti in corrispondenza con le variazioni del costo della vita non costituisce, per parte sua, una stranezza del nostro sistema. Meccanismi di scala mobile a punto unico, infatti, non solo sono sempre stati adottati da movimenti sindacali, quale quello danese, inclini a praticare politiche salariali solidariste, ma hanno trovato larga diffusione anche in ambienti solitamente lontani da tali preoccupazioni (USA, Canada), nel contesto della violenta fiammata inflazionistica dei primi anni ’70: a conferma di una «linea costante del sindacalismo di tutti i paesi, e cioè che in tempi di inflazione bisogna tendere a livellare gli aumenti di paga» [42]
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D’altro canto meccanismi d’indicizzazione a percentuale sono anch’essi ampiamente conosciuti nelle esperienze straniere senza suscitare, di solito, reazioni di rigetto simili a quelle che hanno portato da noi alla soppressione legale delle scale mobili in vigore nei settori del credito e delle assicurazioni [43]
. Anche da tale rilievo {p. 221}possono trarsi argomenti per ribadire come la risposta sindacale al problema di assicurare la costanza del potere d’acquisto dei salari non sia univoca, ma relativa. Essa varia, nei diversi contesti e nei diversi periodi storici, secondo una gamma assai vasta di possibili soluzioni: dal ricorso puro e semplice alla contrattazione collettiva periodica, all’opzione in favore di meccanismi rigidi di indicizzazione, passando attraverso la preferenza accordata a forme intermedie variamente congegnate.
Nel nostro paese la difficoltà delle parti sociali di raggiungere prospettazioni convergenti rispetto ad esigenze, pur comunemente avvertite, di introdurre incisive modificazioni nella composizione delle retribuzioni può comprendersi abbastanza agevolmente proprio riflettendo sui caratteri profondamente dissimili delle erogazioni (spesso indistintamente) definite «automatismi» e sui rispettivi effetti da esse indotti sulla struttura dei salari e delle disuguaglianze relative: in altre parole, prendendo in considerazione i tratti fondamentali della politica salariale praticata dalla fine degli anni ’60 in avanti [44]
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La prudenza sempre sostanzialmente mostrata dalle organizzazioni degli imprenditori nei confronti di interventi sugli automatismi legati all’anzianità [45]
, ad esempio, può essere spiegata non solo in ragione di una perdurante visione paternalista dei rapporti di lavoro, quanto soprattutto perché entrambi quegli istituti hanno storicamente assolto un ruolo di discriminazione sociale, penalizzando economicamente gli appartenenti a categorie operaie. L’indennità di anzianità, sorta inizialmente a vantaggio esclusivo degli impiegati, ha sempre mantenuto, nella successiva evoluzione normativa, elementi differenziali di marcato favore per gli stes
{p. 222}si. Soltanto per gli impiegati, infatti, la legge si è preoccupata di stabilire la frazione dell’ultima retribuzione da moltiplicare per gli anni di servizio al fine di determinare l’importo dell’indennità, fissandola nella (non trascurabile) misura minima di un mese di stipendio. Analogo compito, per gli operai, è stato lasciato alla contrattazione collettiva, assolto attraverso la fissazione di coefficienti di calcolo, di solito, assai inferiori e, oltre tutto, diversificati da un settore all’altro: intrecciandosi, e sovrapponendosi, così alla differenziazione categoriale profili rilevanti di sperequazione intersettoriale [46]
. Ambedue i profili di sperequazione (intersettoriale e intercategoriale) hanno storicamente improntato anche la disciplina collettiva degli scatti, con implicazioni essenziali, comunque, sulla diversa, conseguente, dinamica retributiva di impiegati e, rispettivamente, operai. Introdotti nell’immediato secondo dopoguerra da accordi interconfederali esclusivamente in favore degli impiegati, gli scatti sono stati estesi dai contratti nazionali dei primi anni ’60 alle categorie operaie [47]
, in misura, peraltro, quasi irrisoria. Ad eccezione, infatti, di alcuni settori privilegiati [48]
, differenze sostanziali sono state mantenute a favore degli impiegati sia quanto a numero massimo di scatti maturabili, sia rispetto all’entità della percentuale da applicare alla base di riferimento, sia (e soprattutto) rispetto alla stessa base di riferimento [49]
, limitata, di solito, per gli operai alla sola paga-base, estesa per tutti gli impiegati all’importo derivante dalla somma di paga-base e contingenza: nel che si sostanziava la caratteristica di automatismo «composto» [50]
pro{p. 223}pria dell’istituto. Gli effetti sperequanti di tale caratteristica risultavano, poi, amplificati, com’è noto, dal giuoco del c.d. «ricalcolo»: della rivalutazione, cioè, dell’importo maturato di scatti, limitata per gli operai dal riferimento ai soli incrementi di paga-base, effettuata per gli impiegati, al 1° gennaio di ogni anno, in relazione anche alla contingenza maturata nell’anno precedente [51]
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Note
[32] v. Gardin, Il collegamento della retribuzione all’età e all’anzianità di servizio individuale, in Aa.Vv., La retribuzione nell’industria, cit., p. 173 ss.; Indicazioni sulla struttura del salario in alcuni paesi europei, in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, li, p. 87.
[33] Cfr. Gardin, op.cit., p. 194. Merita di essere ricordato come in alcune esperienze straniere l’istituto della progressione economica automatica presenti tratti sicuramente non meno discutibili laddove la dinamica salariale viene fatta dipendere dall’età del dipendente (prevedendosi aumenti retributivi per anno o per classi di età o, anche, stabilendosi età minime di ingresso nelle categorie professionali). Situazione del tutto diversa é riscontrabile negli USA, dove l’istituto della seniority (su cui v. Goldman, United States of America, in International encyclopaedia, cit., 1979, p. 245 ss.) è disciplinato dai contratti collettivi, non solo come fonte di aumenti salariali, quanto soprattutto come attributivo di uno status cui si ricollegano svariati privilegi e benefici (migliori trattamenti feriali, maggior protezione nel caso di provvedimenti di riduzione della forza lavoro, ecc.), secondo una tecnica normativa largamente conosciuta anche da noi e, poi, progressivamente superata nell’ultimo quindicennio dalle innovazioni contrattuali ispirate a criteri largamente perequativi (per le fattispecie di residua rilevanza si v., comunque, Mazziotti, Profili generali dell’anzianità nel rapporto di lavoro, in Atti del XII Convegno Nazionale del «Centro Nazionale Studi di Diritto del lavoro» su Riflessi dell’anzianità sul rapporto di lavoro, Milano, Giuffré, 1983, p. 65).
[34] Il riferimento è, in primo luogo e tipicamente, all’ordinamento tedesco, dove le organizzazioni sindacali hanno costantemente avversato, almeno nel secondo dopoguerra, l’adozione di clausole di scala mobile (a parte alcune limitate esperienze settoriali nel corso degli anni ’60, su cui v. Vannutelli e Fevola, ¡sistemi di scala mobile dei salari: aspetti e problemi delle esperienze in atto, in Aa.Vv., La retribuzione nell’industria, cit., p. 139). L’atteggiamento dei sindacati tedeschi appare, peraltro, strettamente legato alle vicende storiche di quel paese e mosso anche dalla preoccupazione di rovesciare la scelta, di segno diverso, operata nel primo dopoguerra (su cui si v. Sitzler, L’adaptation des salaires à la dépréciation de la monnaie en Allemagne, in «Rev. Internat. travail», 1924, vol. IX, p. 685 ss.). Minor credito sembra doversi attribuire all’opinione, corrente ma discutibile, che su quell’atteggiamento abbia pesato l’esistenza di un divieto legale di pattuire clausole di indicizzazione: la prevalente dottrina tedesca esclude, infatti, che tale divieto possa farsi discendere dalla disposizione contenuta nel parag. 3 del Wàhrungsgesetz (legge monetaria) del 1948, come pure comunemente si ritiene (sul punto cfr., comunque, Däubler, Diritto sindacale e cogestione nella Germania Federale, Milano, Franco Angeli, 1981, p. 140). Un divieto legale incontestato è, invece, sicuramente presente nell’ordinamento francese, in base alle disposizioni dettate dall’ordonnance 30 dicembre 1958. La proibizione ivi contenuta, peraltro, è stata largamente disattesa dalle parti collettive, durante gli anni ’60 e soprattutto negli anni ’70, sia nel settore privato che in quello pubblico. La giurisprudenza della Cassazione, dal canto suo, soltanto in tempi recenti ha mostrato di ritenerne la perdurante operatività: cfr. in argomento, con interessanti rilievi, Savatier, La prohibition de l’indexation des salaires, in «Dr. soc.», 1983, p. 221 ss; Id., Développment de la jurisprudence condamnant l’indexation des salaires, ivi, 1984, p. 687 ss.
[35] BIT, L’indexation des salaires dans les pays industrialisés à économie de marché, Ginevra, 1978, p. 13. Oltre allo studio del BIT, per una informazione generale sui sistemi di indicizzazione possono ancora utilmente consultarsi Vannutelli e Fevola, op. cit.; Milhau, Indexation des salaires sur le coût de la vie, in «Dr. soc.», 1969, p. 424 ss., 477 ss. Più recentemente Cassone, Marchese, Scacciati, Inflazione e salari. La scala mobile in Italia e all’estero e i suoi effetti, Milano, Franco Angeli, 1977.
[36] Il nesso fra incremento del tasso di inflazione e diffusione di meccanismi di indicizzazione è comunemente rilevato dagli studi in argomento: in proposito cfr., per tutti, Vannutelli e Fevola, op. cit., p. 125 s. e, soprattutto, BIT, op. cit., con puntuali riferimenti alle singole esperienze nazionali.
[37] Ad esempio in Belgio, Danimarca, Lussemburgo, Olanda. Per embrionali esperienze dell’epoca da noi si v. Lungarella, La scala mobile 1945-81, Venezia, Marsilio, p. 22. Cfr. anche Tomassini, Intervento dello Stato e politica salariale durante la prima guerra mondiale: esperimenti e studi per la determinazione di una «scala mobile» delle retribuzioni operaie, in «Annali Feltrinelli», 1982, p. 87 ss; nonché Balella, Salari, costo della vita e indennità caro-viveri, Roma, 1918.
[38] Per un’analisi ragionata delle posizioni imprenditoriali si v. BIT, op. cit., p. 57 ss.
[39] Foa, La struttura del salario, Roma, Alfani, 1976; p. 92; ma già, più ampiamente, Id., Prefazione a Levi, Rugafiori, Vento, Il triangolo industriale fra ricostruzione e lotta di classe (1945-1948), Milano, Feltrinelli, 1974, p. XXII ss. La pubblicistica sulle origini e la storia del nostro sistema di scala mobile è notoriamente sterminata: si v., per tutti, Lungarella, op cit.; D’Apice, La scala mobile dei salari, Roma, Editrice sindacale italiana, 1975; più recentemente Di Gioia, La scala mobile, Roma, Alfamedia, 1984.
[40] Sul punto cfr. O’Connor, La crisi fiscale dello Stato, Torino, Einaudi, 1979, p. 32. Con riguardo alla nostra esperienza è stato ampiamente sottolineato il nesso storicamente corrente fra adozione della scala mobile, reintroduzione nelle fabbriche del sistema del cottimo e «sblocco» del regime dei licenziamenti (cfr. Foa, Prefazione, cit.). Quanto alla riforma del 1975 si è sostenuto, da fonte particolarmente attendibile, il legame col coevo accordo interconfederale sulla cassa integrazione, affermandosi che allora per gli imprenditori «era necessario acquisire maggiore mobilità della forza lavoro» al punto che «il linkage principale con l’aspetto salariale era rappresentato dal problema della utilizzazione della forza-lavoro»: Mattei, Accordo sulla scala mobile del 1975: la rievocazione di un negoziatore, in «Riv. pol. econ.», 1981, p. 803.
[41] In Danimarca tradizionale è l’esclusione d’incidenza di aumenti delle imposte indirette sui movimenti dell’indice; più recentemente ne è stata decisa la desensibilizzazione anche rispetto alle variazioni di prezzo dei prodotti energetici. In Olanda l’ufficio centrale di statistica calcola, dal 1974, anche un indice dei prezzi prescindente dagli effetti delle imposte indirette: le parti collettive, peraltro, restano libere di servirsi dell’indice «depurato» o di quello «integrale». Da noi il problema è discusso da tempo. La proposta di desensibilizzare l’indice dei prezzi rispetto agli effetti dell’inflazione importata è stata ripetutamente avanzata da Monti in numerosi interventi (ad esempio, Come migliorare la scala mobile, in «Corriere della Sera», 8 luglio 1982; Id., La scala mobile: che cosa si guadagna con la contrattazione, in Aa.Vv., La riforma del salario, Milano, Franco Angeli, 1984, p. 99 ss.). In senso critico si v. Ferri, Il patto anti-inflazione, in Aa.Vv., Le relazioni sindacali in Italia. 1981, Roma, Edizioni Lavoro, 1982, p. 313 s.
[42] Foa, La struttura, cit., p. 101. Sull’esperienza americana si v., comunque, fra gli scritti più recenti Pisani, Le clausole di indicizzazione in USA: il Cola, in «Econ. e lav.», 1981, 3, p. 105 ss; su quella canadese, in particolare, Card, Cost of living escalators in major union contracts, in «Ind. lab. relat. review», 1983, p. 34 ss.
[43] A percentuale, ad esempio, sono i sistemi di indicizzazione più largamente adottati in Belgio e Olanda. Il sistema percentuale in vigore in Danimarca per impiegati e pubblici è stato soppresso nel 1975 da un intervento legislativo che ha generalizzato il meccanismo a punto unico sino ad allora in vigore per i solo settori operai: con una tecnica normativa, val la pena di notare, assimilabile a quella che sarà fatta propria dal legislatore italiano due anni dopo.
[44] Sull’argomento è d’obbligo il rinvio ai lavori di Dell’Aringa, Egualitarismo e sindacato, Milano, Vita e Pensiero, 1976; Becchi Collida, Egualitarismo e politica salariale (1968-1977), Roma, Editrice sindacale italiana, 1977. Più recentemente adde Somaini, Politica salariale e politica economica, in Aa.Vv., Relazioni industriali (a cura di Cella e Treu), Bologna, Il Mulino, 1982, p. 258 ss., e, nella dottrina giuridica, Ghera, Retribuzione, professionalità e costo del lavoro, in «Giorn. dir. lav. e rel. ind.», 1981, p. 401 ss.
[45] v. retro in nota 13.
[46] L’analisi più attenta della specifica problematica resta quella di Di Vezza, L’indennità di anzianità nei contratti di lavoro, Roma, Nuove Edizioni Operaie, 1977.
[47] Si v. Di Vezza, Rapporto sui salari, in «Contrattazione», 1975, n. 2, p. 29.
[48] Cfr. Di Vezza, Il problema degli automatismi salariali: scatti e indennità di anzianità, in «Prosp. sind.», 1978, 28, p. 71 s.
[49] Occorre avvertire che nelle diverse discipline collettive gli indicati fattori di differenziazione si presentavano variamente intrecciati tra loro, potendo incontrarsi normative in cui ad impiegati ed operai si riconosceva: a) uguale percentuale di maggiorazione, uniforme base di calcolo, ma diverso numero di scatti ; oppure b) uniforme base di calcolo, ma un diverso numero di scatti e una diversa percentuale di maggiorazione; oppure c) diverso numero di scatti, diversa percentuale di maggiorazione e diversa base di calcolo. Al riguardo cfr. Di Vezza, Rapporto, cit., p. 27 ss; Id., Il problema, cit., p. 67; ed anche Alleva, Automatismi, cit., p. 142 ss.
[50] Intendosi, con l’espressione, rimarcare la circostanza che la dinamica d’incremento di tale automatismo dipendeva anche dall’incidenza di altro automatismo (la contingenza): sul punto cfr. Alleva, op. ult. cit., p. 142.
[51] L’istituto del ricalcolo sulla contingenza è stato introdotto per gli impiegati dall’accordo interconfederale 14 giugno 1952. Quanto ai ricalcoli sugli incrementi della paga base, essi andavano effettuati, sia per impiegati che per operai, immediatamente, al momento del verificarsi dell’incremento.