Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c3

Capitolo terzo Automatismi, costo del lavoro, riforma della struttura del salario

1. Automatismi e politiche salariali

L’analisi svolta nel capitolo precedente, con particolare riferimento alle indicazioni traibili dalle discipline contrattuali, dovrebbe aver mostrato come non sia possibile rintracciare alcun consapevole intento delle parti collettive di operare razionalizzazioni interne alla struttura salariale, vuoi nel senso di una riduzione di costi, vuoi in funzione dell’individuazione di margini di negoziazione, intervenendo sulla nozione di retribuzione. Le molteplici definizioni riscontrabili nella contrattualistica, in realtà, risultano spesso essere il risultato di progressive operazioni di affinamento (di solito) caratterizzate in senso estensivo; altre volte appaiono connotate da sostanziale stabilità nel tempo. Quella che è mutata, in tempi recenti, è stata, piuttosto, l’interpretazione, di segno limitativo, che se ne è voluta dare, soprattutto da parte della dottrina e, poi, della giurisprudenza, in particolare della Cassazione.
Suggestioni in tale ultima direzione, in verità, non si sarebbero potute ricavare neanche dalle, notoriamente assai restrittive, conclusioni della «Commissione parlamentare d’inchiesta sulle strutture, sulle condizioni e sui livelli dei trattamenti retributivi e normativi», le cui Considerazioni finali e proposte [1]
vanno, per unanime riconoscimento, considerate, se non proprio il punto di {p. 208}avvio, un referente fondamentale del dibattito sulla riforma della struttura del salario.
Fra i suggerimenti della Commissione, nel contesto di un più ampio programma di intervento per legge o tramite accordo interconfederale sui massimi di trattamento [2]
, v’era, in effetti, anche quello di agire, uniformandola, sulla composizione della retribuzione [3]
. L’obiettivo palesemente perseguito, peraltro, tendeva a «stabilire per tutti i lavoratori dipendenti una composizione della retribuzione semplice, fatta di poche voci, in modo da rendere la retribuzione trasparente e facilmente confrontabile» [4]
, operando nel senso di un riequilibrio del rapporto fra parte diretta e differita, di un riassorbimento nella prima di svariate erogazioni aggiuntive, dell’eliminazione di ogni sorta di fringe benefit [5]
. Per altro verso si voleva colpire quei fenomeni di ingiustificate sperequazioni intercategoriali e intersettoriali, la cui radice veniva identificata nell’esistenza di «meccanismi retributivi automatici, determinati da istituti vecchi o anche nuovi» [6]
. Ora, soltanto una forzatura di quest’ultima indicazione può avere indotto a ricomprendere nell’ambito della discussione sulle esigenze di trasformazione delle strutture retributive l’insieme di questioni attinenti alla defini{p. 209}zione dei parametri di calcolo di competenze indirette e maggiorazioni. Un’area problematica, in realtà, sicuramente esterna alle preoccupazioni della Commissione, le quali andavano (e vanno) rettamente intese alla luce del rilievo secondo cui il dato socialmente più pregnante dei fenomeni constatati consisteva in « una sostanziale disuguaglianza di trattamenti fra il lavoro «manuale» e quello «intellettuale», o più esattamente impiegatizio-amministrativo» [7]
: disuguaglianza la quale, com’è universalmente noto, sul terreno retributivo s’è storicamente costruita, ed è stata alimentata, essenzialmente in ragione dell’agire di elementi salariali automatici in senso proprio, segnatamente di quelli legati all’anzianità di servizio.
L’allargamento del concetto di automatismo retributivo sembra doversi valutare, da questo punto di vista, come un’indebita generalizzazione della dottrina [8]
. La conseguente, sovrabbondante, polemica attorno agli sconvolgimenti che l’assunzione di una nozione onnicomprensiva di retribuzione avrebbe indotto sugli equilibri contrattuali non pare, peraltro, aver trovato ascolto presso le parti collettive, le quali, quand’anche per tacito accordo, hanno mostrato di volere continuare a relegare l’area problematica in questione nell’ambito della vertenzialità individuale, delimitando sforzi propositivi e concreti intendimenti riformatori su quelle erogazioni identificate, in senso stretto e rigoroso, come fattori di lievitazione non controllabile e distorsiva della dinamica dei compensi [9]
.
Anche la recente relativizzazione legale della nozione di retribuzione, d’altro canto, è rimasta circoscritta, come s’è visto (v. retro, cap. II, parag. 10), all’istituto del trattamento di fine rapporto, mantenendosi il legislatore, nel corpo dello stesso provvedimento e con riguardo ad altro istituto (indennità di mancato {p. 210}preavviso), nel solco della tradizione: con un’autolimitazione d’intervento che sarebbe difficile considerare meramente casuale e, più plausibilmente, va letta come espressione dell’intento di incidere sulla consistenza quantitativa (esclusivamente) di un emolumento considerato, anche dopo la riforma, tipicamente fra gli anelli deboli della struttura retributiva.
Il richiamo ai termini generali in cui il problema della riforma del salario è stato riguardato dalle parti sociali, e dallo stesso legislatore, è parso utile premessa alla delimitazione dell’indagine ulteriore. La quale dovrà essere sviluppata lungo due direttive: analizzando la difforme realtà normativa coperta, nel nostro come anche in altri ordinamenti, sotto il generico appellativo di automatismo salariale; verificando, più specificamente, gli effetti prodotti dall’operare dei diversi istituti sull’evoluzione delle strutture retributive nel nostro sistema.
Che si tratti di istituti del tutto differenti, quanto a struttura, finalità, modalità di funzionamento, è osservazione di palmare evidenza, al punto che incontestabile appare la fondatezza del rilievo per il quale «un discorso comune per i vari automatismi salariali non potrebbe andare al di là di una definizione formale, secondo cui è automatismo salariale ogni levitazione della retribuzione non derivante da specifica ulteriore contrattazione collettiva o individuale» [10]
. La non univocità di effetti indotti dai vari automatismi, ma anche da ciascuno di essi nel corso del tempo, costituisce, per parte sua, la ragione fondamentale delle divergenze (o delle convergenze) progressivamente emerse fra sindacati e imprenditori attorno agli obbiettivi della riforma.
Le motivazioni del disfavore che ha, sempre più nettamente, circondato gli istituti dell’indennità e degli scatti di anzianità sono ampiamente note. Della prima si è sostenuta la sostanziale perdita di funzione, di giustificazione economico-sociale, a fronte della crescente espansione dei trattamenti di sicurezza sociale. Dei secondi si è sottolineato il carattere di «incentivo alla burocratizzazione delle strutture organizzative» [11]
, conforme alle origini storiche di tale attribuzione patrimoniale, rintracciabili nella nor{p. 211}mativa introdotta nel pubblico impiego sin dagli anni ’20 [12]
. Di entrambi si è posto in rilievo l’effetto penalizzante della mobilità della forza-lavoro, particolarmente grave in un contesto di profonde ed accelerate trasformazioni strutturali dell’apparato produttivo, nonché il tratto fisionomico fondamentale di premio alla fedeltà aziendale, proprio di un assetto di rapporti industriali scarsamente sensibile ad esigenze di innovazione dinamica e segnato da robuste venature di arcaismo paternalista [13]
.
Le osservazioni critiche, sicuramente condividibili nei termini generali sin qui espressi, si sono peraltro accompagnate, negli osservatori più attenti, a non poche cautele. Nel trattamento di liquidazione si è così riconosciuta la persistente «funzione pratica positiva» di rappresentare «l’unica somma di denaro di una certa consistenza di cui il lavoratore può disporre nella sua vita, e su cui egli e la sua famiglia contano, appunto, per esigenze e necessità di particolare importanza ed impegno economico [14]
; per altro verso si è dovuta ammettere la parzialità delle ragioni militanti nel senso di una soppressione dell’istituto, palesandosi, al contrario, l’opportunità di un suo mantenimento in essere vuoi al termine della vita attiva, a causa delle notorie lungaggini nell’erogazione effettiva del trattamento pensionistico, vuoi soprattutto durante la vita lavorativa, nella fase di passaggio da una ad altra occupazione, resa, assai spesso, particolarmente drammatica dalla perdurante assenza, nel nostro ordinamento, di una disciplina organica e generalizzata di sostegno economico della disoccupazione [15]
.
{p. 212}
Note
[1] Il testo delle Considerazioni finali e proposte può leggersi in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, II, p. 31 ss. In argomento si v. Bucalo, La giungla dei trattamenti nel lavoro dipendente, in Aa. Vv., Il diritto del lavoro nell’emergenza, (a cura di De Luca Tamajo e Ventura), Napoli, Jovene, 1979, p. 211 ss.; Lettieri, I risultati della «Commissione Coppo», in Aa.Vv., La vertenza salario, Torino, Rosenberg & Sellier, 1977, p. 7 ss; Pontarollo, Struttura dei costi del lavoro e contrattazione, Milano, Vita e Pensiero, 1978, p. 78 ss.
[2] In proposito si v., in senso aspramente critico, Treu, Sindacato e autonomia contrattuale, in Aa.Vv., La vertenza salario, cit., p. 25 ss. ed anche Tosi, La retribuzione nel diritto del lavoro dell’emergenza, in «Giornale dir. lav. e rel. ind», 1979, p. 516.
[3] Si v. le Considerazioni finali, cit., p. 37.
[4] ivi, p. 39.
[5] Più precisamente le proposte della Commissione puntavano a: a) trasferire nella retribuzione diretta l’equivalente degli emolumenti destinati ad essere corrisposti sotto forma di indennità di anzianità, in parte o anche integralmente, nell’ipotesi, ritenuta ottimale, che si muovesse nel senso di una completa abolizione dell’istituto; b) inglobare nella medesima retribuzione diretta le mensilità aggiuntive ulteriori rispetto alla tredicesima, diverse indennità prive di attinenza specifica con la prestazione lavorativa, premi e gratifiche varie; c) eliminare tutte quelle facilitazioni ed agevolazioni non direttamente monetarie legate sia al tipo di attività aziendale (tariffe e prezzi di particolari servizi e beni, agevolazioni creditizie, ecc.), sia alle caratteristiche dell’impiego (quali alcune agevolazioni per i dipendenti pubblici), reputate prive di valida giustificazione, anche quando di modesta entità.
[6] Considerazioni finali, cit., p. 32; si v. anche, con più puntuale riferimento agli istituti dell’indennità e degli scatti di anzianità, il paragrafo dedicato a «I trattamenti normativi e retributivi dell’impiego privato: l’unificazione legislativa di alcuni istituti contrattuali», ivi, p. 38 s.
[7] ivi, p. 32.
[8] Sul punto si v. retro, cap. II, parag. 1.
[9] Delle tante riflessioni del periodo immediatamente successivo alla pubblicazione delle proposte della Commissione Coppo si v., fra le più significative, quelle di Valcavi, Relazione al Comitato Esecutivo Osi, (Roma 17-18 novembre 1977), in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, I, p. 70 ss.; Garavini, Relazione al Comitato Direttivo della Federazione Cgil-Cisl-Uil (Roma 10-11 luglio 1978), in «Rass. sind.», 1978, n. 29, p. 25 ss. Per le elaborazioni più recenti, anche di fonte confindustriale, si v. infra, parag. 5.
[10] Alleva, Intervento alla tavola rotonda su Il problema dei c.d. «automatismi retributivi»: questioni giuridiche e orientamenti sindacali, in «Riv. giur. lav.», 1977, I, p. 441.
[11] Treu, Intervento alla tavola rotonda citata in nota precedente, p. 459.
[12] Sul punto cfr., per tutti, Arrigo e Pandolfo, Gli «automatismi salariali»: appunti per una ricostruzione storica dell’indennità di anzianità e degli aumenti periodici, in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, II, p. 96 ss.
[13] Di passata si può osservare come proprio in ragione dell’indicato carattere e della destinazione privilegiata di tali emolumenti in favore degli strati impiegatizi di forza-lavoro si possono leggere i molti distinguo che sempre hanno segnato la posizione degli imprenditori nei confronti della prospettiva di un loro superamento: per un’illustrazione in proposito si v. Mortillaro, L’indennità di anzianità: istituto da riformare, non da distruggere, in «Il Sole-24 ore», 24 febbraio 1977; Id., Costo del lavoro superonerato, ivi, 14 gennaio 1978; Olivieri, Le due facce della medaglia nella riforma del salario, ivi, 29 giugno 1977; cfr. anche l’editoriale Com’è nato il dibattito sulla struttura del salario, in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, I, p. 3 ss., nonché Ghera, Prospettive di riforma dell’indennità di anzianità, in «Riv. trim. dir. e proc. civ.», 1982, p. 534.
[14] Le citazioni sono da Alleva, op. cit., p. 444
[15] Si v. il Parere del Cnel sulle «Considerazioni finali e proposte» della Commissione parlamentare di inchiesta (in «Contrattazione», 1977, n. 27-30, lI, p. 53 ss.), dove l’invito espresso da quest’ultima a un graduale superamento dell’istituto dell’indennità di anzianità viene ritenuto accoglibile soltanto in un contesto normativo in cui siano apprestate «garanzie per il mantenimento di un livello adeguato di reddito per periodi di disoccupazione involontaria nonché necessari strumenti per la rapida definizione delle pensioni e comunque di congrue anticipazioni sulle stesse»: ivi, p. 57 s.