I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c2
Tale intento è esemplarmente rispecchiato da discipline collettive, come quella dei tessili, che, dopo aver elencato analiticamente le componenti della retribuzione di fatto, impongono, con clausola di chiusura, di computarvi anche «tutti gli altri elementi retributivi comunque denominati di carattere continuativo». Pe
¶{p. 202}raltro, anche laddove i contratti collettivi si limitino a richiamare la nozione di retribuzione di fatto, senza esplicitarne ulteriormente il significato, interpretazioni di segno restrittivo non sembra possano essere avallate. La mancata specificazione della nozione, infatti, può essere frutto dell’utilizzo di una tecnica contrattuale imperfetta. Più verosimilmente è sintomo di divergenze non compiutamente superate fra le parti collettive.
Anche per questo non sembra condividibile l’accusa, frequentemente rivolta alla giurisprudenza, di aver forzato gli equilibri da esse definiti. Forzature certamente vi sono state, anche se, probabilmente, in misura assai minore di quanto comunemente si ritiene. Sarebbe, comunque, ingeneroso trascurare che i giudici hanno dovuto misurarsi con clausole contrattuali di connotazione, quanto meno, ambigua. Né può dimenticarsi che la stragrande maggioranza delle cause di lavoro viene filtrata dagli uffici vertenze delle parti sindacali: circostanza, questa, che dovrebbe indurre a riflettere sull’effettiva consistenza di quegli equilibri.
Per altro verso, non può ritenersi vincolo eccessivo per l’autonomia collettiva l’affermazione dell’esistenza nell’ordinamento di criteri di calcolo delle competenze indirette (e segnatamente della retribuzione feriale, attorno a cui sembrano addensarsi i maggiori contrasti). Le parti sindacali, infatti, restano sicuramente libere di determinare Van e il quantum delle voci accessorie e, per questa via, il costo complessivo del contratto
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La positività del riferimento a guidelines nella materia in esame non può essere misconosciuta anche da altro punto di vista. Non va sottovalutata, infatti, anche con riguardo agli istituti di derivazione contrattuale, la funzione di stimolo nei confronti dell’autonomia collettiva, nella direzione di un superamento delle ambiguità presenti nella contrattualistica: risultato, questo, sicuramente riscontrabile nell’evoluzione normativa di numerosi contratti collettivi, con esiti di affinamento tecnico e di complessiva razionalizzazione del contesto negoziale, verosimilmente dovuti anche agli orientamenti della giurisprudenza, che vanno, storicamente, apprezzati.
Anche per queste ragioni il recente revirement delle Sezioni Unite suscita ampie perplessità. Muovendo nel senso di una so¶{p. 203}stanziale «liberalizzazione» della nozione di retribuzione, pur con tutte le contraddizioni che si sono rilevate, esso, così come l’opinione dottrinale prevalente, cui, del resto, è vistosamente tributario, mostra di voler assecondare un’operazione ermeneutica essenzialmente funzionale all’obbiettivo di contenimento dei costi del lavoro delle imprese. Preoccupazione politica in senso stretto, più che di politica del diritto, sulla quale è dubbio possano fondarsi canoni interpretativi in grado di sopravvivere alla stagione che li ha generati.
La nuova posizione della Cassazione (tanto più se dovesse consolidarsi) rischia, per dirla tutta, di radicare nel suo convincimento chi ha scritto che «nella tematica inerente alla struttura della retribuzione... si trova a suo agio soltanto un giurista con l’abilità di un prestigiatore»
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: che non è sicuramente un gran complimento.
Una delega piena all’autonomia collettiva nella materia della retribuzione non pare possa sostenersi in modo convincente neanche richiamando le tendenze più recenti dell’ordinamento. Sicuramente non pertinente risulterebbe il riferimento alla nuova legge sul trattamento di fine rapporto, dove la potestà derogatoria, riconosciuta alle parti collettive, della pur amplissima nozione di retribuzione ivi accolta, appare strettamente limitata alla specifica fattispecie. Non si vede, peraltro, con quale coerenza chi ha sempre sostenuto la non generalizzabilità del principio di calcolo contenuto nel vecchio art. 2121 cod. civ., potrebbe adesso trarre indicazioni di carattere sistematico da una normativa che, anche nella nuova versione, va correttamente considerata in stretta connessione con la disciplina dell’istituto per cui è stata dettata
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Più densa di implicazioni semmai potrebbe rivelarsi, in prospettiva, la modifica apportata all’art. 325 cod. nav. dalla legge 19 dicembre 1979, n. 649, a mente della quale «la misura e le componenti della retribuzione sono determinate e regolate dalle norme dei contratti collettivi di lavoro». La completa delegificazione della materia retributiva ch’essa comporta deve intendersi, comunque, allo stato, circoscritta al particolare settore del lavoro marittimo. L’interpretazione è avvalorata dalla lettura dei lavori preparatori della legge, nel corso dei quali si affermò l’intenzione di sottrarre la disciplina (di alcuni tratti) dello specifico rapporto di lavoro «all’applicazione estensiva di norme del diritto comune»
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, come tali, evidentemente, di persistente operatività nell’ambito loro proprio. Essa è stata sostenuta anche in sede di commento alla normativa, accompagnandola con l’invito a non abbandonarsi, rispetto alla medesima, «ad una sorta di trionfalismo d’intonazione innovativa nei confronti di schemi e principi troppo disinvoltamente liquidabili come vieti e superati», giacché «una soluzione nominalistica (è retribuzione quello che in tal senso denomina il contratto collettivo)... potrebbe essere, nella sostanza, di una pericolosità non controllabile»
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Applicando quegli schemi e principi, viceversa, sarà possibile dare soluzione anche a un’ulteriore complicazione che può darsi (e anzi frequentemente si dà) nella materia in esame: quella derivante da eventuali discrepanze fra contratti collettivi di diverso livello nell’individuazione della retribuzione-parametro. Quando, ad esempio, una particolare indennità accessoria sia stata introdotta in sede aziendale, stabilendone contestualmente la non incidenza ai fini del calcolo delle competenze indirette, con disposizione contrastante con la nozione di retribuzione (in ipotesi) «onnicomprensiva» accolta dal contratto collettivo nazionale, un ra¶{p. 205}gionevole punto di equilibrio del contrasto potrà essere trovato dichiarando la nullità parziale della clausola collettiva aziendale rispetto a quegli istituti per la cui quantificazione sussistono vincoli di legge; salvaguardandone la legittimità nei confronti di quelli di origine contrattuale.
Note
[324] Esatti rilievi al riguardo in Mattatolo, op. cit., p. 620.
[325] Ghezzi e Romagnoli, Il rapporto di lavoro, Bologna, Zanichelli, 1984, p. 176.
[326] Contra, ma senza particolare sviluppo dell’affermazione, Giugni, De Luca Tamajo e Ferraro, op. cit., p. 264 ed anche Ghera e G. Santoro-Passarelli, Il nuovo trattamento di fine lavoro, Milano, Giuffré, 1982, p. 29. La derogabilità della nozione di retribuzione introdotta dalla legge n. 297/1982 può, in realtà, essere spiegata tenendo conto che tale nozione, secondo le più attendibili interpretazioni, risulta addirittura più ampia di quella ospitata nel vecchio art. 2121 cod. civ. Non a caso vi è stato chi, muovendo da tale rilievo, ha ritenuto che la nuova legge porti acqua al mulino dei sostenitori del principio di onnicomprensività (Cessari, Ascesa e declino di un istituto, in «Riv. it. dir. lav.», 1982, I, p. 427). La possibilità di trarre dall’analisi della medesima disposizione deduzioni di segno opposto dovrebbe comunque sconsigliare l’opportunità di un suo utilizzo in chiave di ricostruzione sistematica: sul punto si v. esatte affermazioni in Miscione, Un po’ di razionalità, in «Pol. dir.», 1982, p. 344.
[327] La citazione è riportata nel commento alla legge di Pera, in «Nuove leggi civ. comm.», 1980, p. 874. L’innovazione normativa, maturata su sollecitazione delle stesse parti sindacali, ha puntato essenzialmente a contenere l’incidenza sulle competenze indirette dello straordinario fisso che costituisce caratteristica strutturale del rapporto di lavoro nel settore. Precedentemente, e allo stesso scopo, era stato riformato, come si ricorderà, l’art. 361 cod. nav., affidandosi alla contrattazione collettiva la determinazione degli emolumenti computabili ai fini del trattamento di liquidazione.
[328] Così Pera, op. cit., p. 875.