Note
-
F. X. Schaller, Le droit aux travail, Losanna, Payot, 1946.
-
P. Jaccard, Storia sociale del lavoro, Roma, A. Armando, 1963, fa rilevare che il diritto al lavoro viene fatto discendere dal diritto all’esistenza perché, da S. Tommaso a Locke e da Montesquieu al decreto del 25 febbraio 1848, il lavoro viene considerato il miglior modo per assicurarsi l’esistenza: cfr. le pp. 215-26 e 277-88. Vedi anche la versione corporativa: «Oggi, che il lavoro assurge a dovere sociale, lo Stato non esita a riconoscere il proprio compito di garantire il diritto al lavoro sempre», F. Vito, Politica sociale e psicofisiologia del lavoratore, in F. Bottazzi e A. Gemelli (a cura di), Il fattore umano del lavoro, Milano, Vallardi, 1940, p. 782.
-
Cfr. di AA.VV., Sviluppo e ristagno, Firenze, La Nuova Italia, 1977; F. Pollock, Teoria e prassi dell’economia di piano,Bari, De Donato, 1973; e la recentissima ed opportuna traduzione di un classico come L’economia della piena occupazione,Torino, Rosenberg & Sellier, 1979, di cui erano autori M. Kalecki, T. Balogh e altri, con un’importante introduzione di F. Caffé.
-
Questo era il senso del testo più importante e noto: W. A. Beveridge, Relazione su «L’impiego integrale del lavoro in una società libera», Torino, Einaudi, 1948. Cfr. anche M. Kalecki, Aspetti politici della piena occupazione (1943), Milano, Celuc, 1975.
-
Scriveva A. C. Pigou, Capitalismo e socialismo, Torino, Einaudi, 1939, p. 51, che la disoccupazione non solo «è il malanno più grave del capitalismo» ma al tempo stesso è «una delle più forti ragioni che dispongono in favore di una ricostruzione socialista». Il successivo piano del conservatore Beveridge teneva ben presente questa eventualità.
-
Se a questo indirizzo occorresse una data di nascita simbolica, proporrei il noto saggio di J. M. Keynes, La fine del laissez-faire (1926), ora in Esortazioni e profezie, Milano, Il Saggiatore, 1968, p. 243, dove scrisse: «L’importante per il governo non è fare le cose che gli individui stanno già facendo, e farle un po’ meglio o un po’ peggio, ma fare le cose che al presente non vengono fatte per niente».
-
M. Halbwachs, Psicologia delle classi sociali, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 89.
-
Vedi un esame dei paesi europei, in W. Dreihuis, Labour market imbalances and structural unemployment, in «Kyklos», n. 4, 1978, pp. 638 ss.; e in C. De Francesco, Labour Force, Unemployment, Employment: Recent Trends in Europe, Institut d’Éducation, Fondation Européenne de la Culture, Parigi, 1979.
-
Cfr. la rassegna di Laura Balbo, Un «caso» di capitalismo assistenziale: la società italiana, in «Inchiesta», n. 28, luglio-agosto 1977, pp. 3 ss.
-
L. Gallino, Politica dell’occupazione e seconda professione,in «Economia & lavoro», n. 1, gennaio-marzo 1975, p. 82.
-
S. De Brunhoff, «Crisi capitalistica e politica economica», in AA.VV., La crisi dello Stato, Bari, De Donato, 1979, p. 126.
-
Cfr. A. Touraine, La produzione della società, Bologna, Il Mulino, 1975, usa questa espressione alle pp. 293-316, ma in un contesto endogeno: molto meglio l’opposta lettura di un C. Offe, Lo Stato nel capitalismo maturo, Milano, Etas Libri, 1977, o di un N. Poulantzas, Il potere nella società contemporanea, Roma, Editori Riuniti, 1979. Come quadro di riferimento è indispensabile il saggio di M. Tronti in AA.VV., Stato e capitalismo negli anni trenta, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 67-85.
-
Non si tratta soltanto di rispondere mediando a «esigenze», a «bisogni» delle parti, ma anche di operare una razionalizzazione autogena della politica sociale: vedi gli spunti definitori di C. Offe, G. Lenhardt, Teoria dello Stato e politica sociale, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 39-40 e 45-6.
-
L’Italia è uno di quei paesi che «al diminuire della popolazione agricola, non sono stati in grado di offrire un adeguato numero di occasioni di lavoro nell’industria», com’era stato possibile in paesi di prima industrializzazione: così G. Faustini, Il «paradosso della produttività» e le prospettive dell’occupazione in Italia, in «Politica ed economia», n. 6, novembre-dicembre 1979, pp. 86 ss.
-
Questi due fattori assumono rilevanza interpretativa, circa la conflittualità sodale e la risposta statale, in E. Tarantelli, Il ruolo economico del sindacato, Bari, Laterza, 1978, pp. 34-9.
-
Cfr. ad esempio: M. Reich, R. C. Edwards, D. M. Gordon (a cura di), Labor market segmentation, Lexington (Mass.), 1975; D. C. Heath, S. Bruno, The industrial reserve army, segmentation and the Italian labour market, in «Cambridge Journal of Economics», n. 3, luglio-settembre 1979, pp. 131 ss.
-
Segnalo qui per tutti il noto saggio di A. Asor Rosa, ora in Le due società, Torino, Einaudi, 1978.
-
Sulla funzione dei vari sistemi di relazioni industriali nello stimolare/ostacolare il pieno impiego dagli anni ’50 a oggi, cfr. ad esempio M. Salvati e G. Brosio, The Rise of Market Politics: Industrial Relations in the Seventies, in «Daedalus», n. 108, primavera 1979, p. 43 segg.
-
M. Paci, Il mercato del lavoro, in Il Mondo contemporaneo. Storia d’Italia, II, La Nuova Italia, Firenze, 1979, parla di un’occupazione sia garantita che assistita, di cui vedono le lontane origini nella pianificazione sociale dello Stato fascista: cfr. le pp. 637-44.
-
Cfr. la classica ricostruzione di K. Polanyi, La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1966, pp. 99-130, autore che ha voluto farci attenti proprio sulle conseguenze sotterranee dell’intervento statale nell’offerta di lavoro.
-
Cfr. l’ultimo lavoro pubblicato del compianto D. Serrani, Gli enti paralleli (Isvi paper), Bologna, Il Mulino, 1978. Ho trattato il tema più diffusamente in A. Accornero, V. Visco, La selva degli stipendi (Isvi paper), Bologna, Il Mulino, 1978.
-
Cfr. un’opera che affronta il problema senza pregiudizi: AA.VV., Sussidi, lavoro, Mezzogiorno, a cura di A. Becchi Collidà, Milano, Franco Angeli, 1978. Vedi le schiette conclusioni al recentissimo lavoro di E. Reyneri, La catena migratoria, Bologna, Il Mulino, 1980.
-
Come rileva A. Becchi Collidà, nel testo più interessante finora uscito in materia, Politiche del lavoro e garanzia del reddito in Italia, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 23.
-
Non era certo in questo senso che M. Salvati, Sviluppo economico, domanda di lavoro e struttura dell’occupazione, Bologna, Il Mulino, 1976, p. 82, parlava di «tendenze all’inoccupazione assistita».
-
Come nota J. O’ Cónnor, La crisi fiscale dello Stato, Torino, Einaudi, 1977, pp. 236-46.
-
Cfr. A. Forni, Il pianeta previdenza, Roma, De Donato, 1979, pp. 49-66.
-
Istituto Gramsci, La crisi della società italiana e le nuove generazioni, Roma, Editori Riuniti, 1978, p. 20. Cfr. inoltre, dello stesso editore: I giovani e la crisi della società, Roma, 1976; I comunisti e la questione giovanile, Roma, 1977.
-
Su questo punto ha perfettamente ragione, sarcasmi compresi, L. Colletti, Intervista politico-filosofica, Bari, Laterza, 1974, pp. 107-13.
-
C. Kerr, J.T. Dunlop, F. H. Harbison, C. A. Myers, L’industrialismo e l’uomo dell’industria, Milano, Franco Angeli, 1969, p. 360.
-
A. Shonfield, Il capitalismo moderno, Milano, Etas Kompass, 1967.
-
A. Levi, È inceppata la macchina di prosperità, in «La Stampa», 3 dicembre 1978.
-
C. Dell’Aringa, La mobilità nell’industria italiana, Milano, Vita e Pensiero, 1974; una versione aggiornata in C. Dell’Aringa, Distribuzione del reddito e mobilità del lavoro, Milano, Giuffrè, 1979, p. 133-96.
-
F. Carmignani, La mobilità del lavoro nell’industria italiana 1965-76, in Cespe, Lavoro e redditi in Italia 1978-79, Roma, Editori Riuniti, 1980.
-
Va tuttavia rilevato che quella dell’Italia non è un’anzianità delle più elevate, il che denota pur sempre una certa mobilità: cfr. M. Dal Co, Qualifiche, età, ed anzianità dei lavoratori dell’industria, in Lavoro e redditi in Italia, cit.
-
Così F. Caffé, Un’economia in ritardo, Torino, Boringhieri, 1976, p. 69.
-
E. Pontarollo, Il salvataggio industriale nei paesi della Cee,Bologna, Il Mulino, 1976.
-
E. Tarantelli, Il ruolo economico del sindacato, p. 79, rileva che «gli ostacoli alla mobilità [...] equivalgono a un sistema di sicurezza sociale per le imprese anziché per i lavoratori».
-
M. Paci, Il mercato del lavoro, in Ii mondo contemporaneo. Storia d’Italia, cit., p. 646, ha parlato di «una sorta di “garantismo” dell’occupazione» come di «un’ulteriore fattore di rigidità della forza lavoro». «Tale irrigidimento del mercato del lavoro — aggiunge dal canto suo L. Gallino — ha reso possibili rivendicazioni aventi natura e intensità impensabili»: La crisi dell’organizzazione del lavoro, in «Economia & lavoro», n. 3, maggio-giugno 1972, p. 347.
-
Così F. Battaglia, in L’allergia al lavoro, Roma, Editori Riuniti, 1980, p. 52.
-
R. Bonica, M. Pagani, Mobilità e occupazione, Ipsoa informatica, documenti, n. 7, 1979, p. 56.
-
Ibidem, p. 24.
-
Oltre al già citato volume di A. Becchi Collidà, Politiche del lavoro e garanzie del reddito in Italia, cfr. il nuovo stimolante libro di E. Corrieri, La giungla dei bilanci familiari, Bologna, Il Mulino, 1979; e inoltre D. Del Boca, M. Turvani, Famiglia e mercato del lavoro, Bologna, Il Mulino, 1979.
-
Nei confronti internazionali, la mobilità geografica dei lavoratori italiani non sembrerebbe comunque abnorme: cfr. Eurostat, Mobilità professionale e territoriale, in «Statistiche sociali», n. 1, 1975, pp. 140 ss.
-
Di «gigantismo dell’impresa e della città» parla diffusamente A. Detragiache, Crisi dei sistemi complessi e nuove strategie di sviluppo, Milano, Franco Angeli, 1978, pp. 60 ss.
-
A. C. Pigou, Capitalismo e socialismo, cit., pp. 55-6. Dal canto suo, G. D. N. Worswick, in L’economia della piena occupazione, cit., pp. 106-7, sottolineava che solamente la disoccupazione prolungata è un incentivo alla «mobilità spaziale». Analogo il giudizio della J. Robinson, Teoria dell’occupazione e altri saggi,Milano, Etas Kompass, 1960, p. 71: dove c’è un’alta occupazione, «il singolo lavoratore non trova incentivo a muoversi quando non c’è alcuna località e mestiere in cui possa avere la sicurezza di trovare lavoro».
-
Il sindacato italiano ha una cultura della contestazione più che della trasformazione: vedi una prima autocritica della CGIL in AA.VV., Qualità del lavoro e dello sviluppo, Roma, Editrice sindacale italiana, 1979, in particolare gli interventi di B. Trentin e di S. Garavini, pp. 7-41.
-
Cfr.: A. Bulgarelli, Crisi e mobilità operaia, Verona, Mazzetta, 1978; C. Dell’Aringa, Egualitarismo e sindacato, Milano, Vita e pensiero, 1976, ora in Distribuzione del reddito e mobilità del lavoro, cit., pp. 124-6.
-
Una richiesta formulata in particolare dalla CGIL: Democrazia industriale. Idee e materiali, a cura di S. G. Alf e P. De Luca, Roma, Editrice sindacale italiana, 1980.
-
Sulla debolezza dell’intervento sindacale nella selezione delle alternative e nella presa delle decisioni a livello aziendale, cfr. le meditate critiche di F. Chiaromonte, Per un’analisi concreta dei processi decisionali nel sistema industriale italiano, relazione al convegno «Partecipazione dei lavoratori e ristrutturazione delle imprese», dell’istituto Gramsci (Sezione ligure), 10 febbraio 1979, in «Quaderni di informazione e documentazione», n. 12, gennaio-giugno 1979.
-
Per esempio, chiedendo alle aziende contributi per i servizi sociali oltre che in vestimenti nelle zone depresse. Cfr. dello scrivente: Sul ruolo politico del sindacato nelle lotte sociali, in AA.VV., Sindacato e sistema democratico, Bologna, Il Mulino, 1975, pp. 153 ss.
-
L’opposta lamentela, basata sulla persuasione che gli imprenditori si siano già ripreso tutto, come in A. Graziosi, La ristrutturazione nelle grandi fabbriche 1973-76, Milano, Feltrinelli, 1979, risponde alle esigenze di quel particolare sado-masochismo politico che elenca solo sconfitte operaie e stupri capitalistici.
-
F. Butera, La divisione del lavoro in fabbrica, Padova, Marsilio, 1977, p. 100.
-
A. Pizzorno, Alienazione e relazione umana nel lavoro industriale, in «Nuovi argomenti», n. 8, maggio-giugno 1954, ora in Socialismo e divisione del lavoro, quaderni di «Mondo Operaio», n. 8, 1978, p. 112. Vedi anche, di M. Cacciari, Lavoro, valorizzazione, «cervello sociale», in «Aut Aut», n. 145-146, gennaio-aprile 1975, pp. 3 ss.
-
Cfr. R. di Leo, Operai e fabbrica in Unione sovietica nelle lettere alla «Pravda» e al «Trud», Bari, De Donato, 1973, in particolare pp. 308-9.
-
S. Bevacqua e G. Turani, La svolta del ’78, Milano, Feltrinelli, 1978, parlano di «riscoperta del sistema industriale», p. 39, e documentano il cambiamento di posizioni.
-
In AA.VV., Sindacato e questione giovanile, Bari, De Donato, 1977, p. 23. Più difficile dire se sia altresì emersa quella «nuova morale operaia» (o addirittura «nuovo codice morale» circa il lavoro, presentato peraltro come «un modo di riaggiustamento individuale») di cui si parla D. Linhart, Quelques réflexions à propos du refus au travail, in «Sociologie du travail», n. 1, gennaio-marzo 1978, p. 320.
-
Vedi il quadro che di questi fenomeni ha fornito L. Galliano, Il lavoro contestato, in «Mondoperaio», n. 11, novembre 1979, pp. 13 ss.
-
G. Martinoli, Organizzazione scientifica e gioia del lavoro,in «Economia & lavoro», n. 4, luglio-agosto 1972, p. 490.
-
M. Regini, E. Reyneri, Lotte operaie e organizzazione del lavoro, Padova, Marsilio, 1971, pp. 209 e 133.
-
Tragitto e difficoltà delle ricerche in materia sono ricostruiti dallo scrivente in Lavoro e non lavoro, Bologna, Cappelli, 1980.
-
L. C. Thurow, Generating Inequality, Mechanism of Distribution in the US Economy, New York, Basic Books, 1975, pp. 75-89.
-
M. Salvati, Sviluppo economico, domanda di lavoro e struttura dell’occupazione, cit., p. 61. Di «contraddizioni del mercato del lavoro» parlò fra i primi M. Paci, «Inchiesta», n. 6, 1972, ora in Mercato del lavoro e classi sociali in Italia, Bologna, Il Mulino, 1973, in particolare pp. 207-22.
-
A. Becchi Collidà, Politica del lavoro e garanzie del reddito in Italia, p. 127, propone un modello più sofisticato ma simile a questo, dando peraltro il dovuto peso alle scelte reddituali delle famiglie.
-
Sulla dissennata politica dell’industrializzazione «pesante» nel Sud, che ha dato meno lavoro là dove ce n’era di più, alimentando così la fame di posti purchessia, cfr. l’opera più recente: A. Oraziani, E. Pugliese (a cura di), Investimenti e disoccupazione nel Mezzogiorno, Bologna, Il Mulino, 1979, in particolare le pp. 17-29.
-
Un contributo importante è stato quello di P. B. Doeringer, M. J. Piore, Internal Labour Markets and Manpower Analysis,D. C. Heath, Lexington (Mass.), 1971.
-
Cfr. uno dei lavori più attenti, L. Balbo, Stato di famiglia,Milano, Etas Libri, 1976.
-
Cfr. M. Paci (a cura di), Famiglia e mercato del lavoro in una economia periferica, in via di pubblicazione.
-
Vedi i brani di P. Laslett, Famiglia e aggregato domestico,e di J. Goody, L’evoluzione della famiglia, in Famiglia e mutamento sociale, a cura di M. Barbagli, Bologna, Il Mulino, 1977, pp. 30 e n. 55 ss.
-
E. Tarantelli, Il ruolo economico del sindacato, cit., p. 104. Vedi anche l’appendice IV, «Una misura della distribuzione del reddito a livello del nucleo familiare», pp. 174-6.
-
R. Alquati, L’università e la formazione. L’incorporamento del sapere sociale nel lavoro vivo, in «Aut Aut», n. 154, luglio- agosto 1976, p. 95, ha delineato fra i primi un «processo più globale di autonomia dell’offerta di lavoro».
-
G. Bottazzi, Dai figli dei fiori all’autonomia, Bari, De Donato, 1978; P. Bassi, A. Pilati, I giovani e la crisi degli anni settanta, Roma, Editori Riuniti, 1978.
-
Isfol-Censis, Atteggiamenti dei giovani nei confronti del lavoro, «Quaderni di formazione», Isfol, n. 38-39, aprile-maggio 1977, pp. 61-125; Isfol-Censis, Primo rapporto sulla manodopera,Roma, luglio 1979 (cicl.), pp. 51-118.
-
R. Alquati, N. Negri, A. Sormano, Università di ceto medio e proletariato intellettuale, Torino, Stampatori, 1978.
-
Cfr. il rapporto OCDE, L’insertion des jeunes dans la vie active, Parigi, 1977, pp. 46-8; e l’antologia curata da L. Annunziata e R. Moscati, Lavorare stanca, Roma, Savelli, 1978.
-
C. Donolo, Mutamento o transizione?, Bologna, Il Mulino, 1977, pp. 54-5, ricorda che il prolungamento forzoso dell’istruzione rafforza la «mobilitazione individualistica» e diventa un «deficit sistematico».
-
Così uno studente intervistato, in Lavorare stanca, cit., p. 55.
-
J. Schumpeter, Capitalismo, Socialismo e Democrazia, Milano, Comunità, 1955, p. 147. Il testo è del 1942 e così prosegue: «L’uomo che ha frequentato un istituto superiore od universitario tende a divenire fisicamente non-impiegabile in occupazioni manuali, senza acquisire necessariamente una grande capacità di lavoro in campo professionale».
-
R. Gianotti, Una leva di quadri dalle lotte operaie, in «Rinascita», n. 32, 12 agosto 1977.
-
L. Frey, La problematica del lavoro giovanile e le sue prospettive negli anni ’80, Milano, Franco Angeli, 1980.
-
Ad esempio S. Bologna, La tribù delle talpe, Milano, Feltrinelli, 1978 (già in «Primo Maggio», n. 8, 1977), nota giustamente che il «sistema del decentramento produttivo ha permesso di assorbire dentro il rapporto salariale una forza-lavoro mista», p. 33. (Ne parla tuttavia in termini che, senza offesa, ricordano l’aneddoto sull’ottimista, il pessimista e la bottiglia, o mezza piena o mezza vuota. C’è tutta una sinistra che si divide abbastanza equamente fra quelli secondo i quali il capitale non può che aiutarci; e quelli secondo cui ci frega sempre).
-
Vedi, a cura di C. Crouch e A. Pizzorno, Conflitti in Europa (sottotitolo «Lotte di classe, sindacato e Stato dopo il ’68»), Milano, Etas Libri, 1977; D. Albers, W. Goldschmidt, P. Oehlke, Lotte sociali in Europa 1968-1974, Roma, Editori Riuniti, 1976; e anche, a cura di I. Schleifstein e T. T. Timofeev, Sapadnaia Evropa: classovie boi proletariata, Moskva, Progress, 1978.
-
S. Biasco, L’inflazione nei paesi capitalistici industrializzati,Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 117-20; ma vedi tutto il capitolo «L’ascesa dei salari e la nuova inflazione», pp. 101 ss.
-
Cfr. le riflessioni di S. Chiamparino, Capitale, lavoro e curva di Phillips, in «Quaderni di Rassegna sindacale», n. 42, maggio-giugno 1973, pp. 77-8.
-
Questa situazione porta E. Tarantelli, Il ruolo economico del sindacato, cit., pp. 128-30, a parlare di un «non mercato del lavoro».
-
Il modello delle risorse mobilitabili non è molto diverso da quello classico, salvo per la componente specifica giovanile: cfr. G. D. N. Worswick, in L’economia della piena occupazione, cit., p. 91. Molto simile è il modello proposto da D. M. Gordon nell’«Editor’s Supplement» al volume da lui curato, Problems in Politicai Economy: An Urban Perspective, Lexington (Mass.), D. C. Heath, 1977.
-
Il dibattito è stato raccolto da P. Leon e M. Marocchi in Sviluppo economico italiano e forza-lavoro, Padova, Marsilio, 1973.
-
I testi principali: L. Ferrari Bravo, A. Serafini, Stato e sottosviluppo, Milano, Feltrinelli, 1972; G. Mottura, E. Pugliese, Agricoltura, Mezzogiorno e mercato del lavoro, Bologna, Il Mulino, 1975; P. Calza Bini, Economia periferica e classi sociali, Napoli, Liguori, 1976.
-
Cfr. D. Morse, Il lavoratore periferico, Padova, Marsilio, 1974, pp. 99-120: «Le fonti dell’offerta dei lavoratori marginali».
-
Sull’andamento di lungo periodo del lavoro nero, precario e discontinuo in Italia cfr. G. Del Bufalo, La struttura dell’occupazione nell’industria e il mercato del lavoro in Italia, in G. Somogy (a cura di), Forze di lavoro, sviluppo economico e occupazione in Italia, Milano, Franco Angeli, 1977.
-
Si ha l’impressione che la situazione sia rapidamente evoluta rispetto alle stesse tendenze, così come le descriveva E. Sullerot, La donna e il lavoro, Milano, Etas Kompass, 1969. Vedi la bella ricerca di F. Piselli, La donna che lavora, Bari, De Donato, 1976; e anche A. Ardigò, P. Donati, Famiglia e industrializzazione, Milano, Franco Angeli, 1976.
-
L. Mastronardi, Il calzolaio di Vigevano, Torino, Einaudi, 1962. Ma c’erano già anche i pullulanti «bassi» di Napoli, e le occhialerie alla macchia del Bellunese, e le «boite» torinesi, e gli «stanzoni» di Prato, ecc. ecc.
-
Forse proprio questo elemento fa affermare a B. Contini, Lo sviluppo di un’economia parallela, Milano, Comunità, 1979, p. 132, che il lavoro irregolare alimenta o salvaguarda il «consenso» sociale; ma forse sarebbe più corretto considerarlo un fattore di stabilizzazione, a breve.
-
G. Fuà, Occupazione e capacità produttive: il caso dell’Italia, Bologna, Il Mulino, 1976. Le tesi di fondo è che «il lavoro alla macchia, il lavoro imboscato, piuttosto che l’inattività vera e propria, sembra essere l’esito prevalente in Italia» del tentativo «di darsi un sistema di costi del lavoro corrispondente ad un livello di sviluppo superiore» a quello italiano, p. 42. La sensazione è che questa tesi non venga sufficientemente suffragata dai lavori dell’Istao che Fuà dirige: mi riferisco a G. Cantillo, R. Schiattarella, Costo del lavoro e occupazione, Bologna, Il Mulino, 1978.
-
L’insuccesso registrato nell’organizzazione dei disoccupati, decisa dai congressi del 1977, può aver contribuito ad accentuare la suscettibilità della CGIL-CISL-UIL verso questa rappresentazione.
-
Censis, L’occupazione occulta, Roma, Tipolitografia Edigraf, 1976.
-
Sul settimanale della CGIL, «Rassegna sindacale», la discussione è proseguita da giugno a dicembre del 1978 (nn. 27, 30, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42 e 46) scadendo a volte nell’ideologia, come ha notato A. Becchi Collidà nel suo intervento sul n. 42. Nella bella ricerca di G. Barile, L. Zanuso, Lavoro femminile e condizione familiare, Milano, Irer, maggio 1979 (poligrafata) c’è un dato che dovrebbe far riflettere: soltanto 98 donne sulle 2.002 interpellate hanno dichiarato di preferire un lavoro a tempo pieno per tutto l’anno e tutta la vita. Dire che è colpa del capitalismo è come dire che è colpa dell’azoto atmosferico.
-
Vedine una casistica in Lavorare stanca, cit., p. 11, dove si fa notare che, «sotto la forma di una costante precarietà, si può parlare di un rapporto continuato dei giovani col lavoro». Cfr. anche i risultati della ricerca di A. Palmonari, L. Pombeni, B. Zani, Identità sociale e identità professionale al termine della scuola media superiore, in «Studi di sociologia», n. 1, gennaio-marzo 1978, dove si afferma (p. 122): «Non è vero che i giovani rifiutano il lavoro: lo percepiscono invece sia in modo disincantato e realistico, come il mezzo indispensabile per vivere, sia in modo costruttivo, come il mezzo per definire una propria identità sociale».
-
Citerei al positivo riflessioni come quella di I. Ariemma, Verso un servizio nazionale del lavoro, in «Politica ed economia», n. 4, luglio-agosto 1978, pp. 26 ss.
-
«Quando i legami con il lavoro sono sciolti, vi è un relativo senso di isolamento»: H.L. Wilensky, Work as a Social Problem in H. S. Becker (a cura di), Social Problems: A Modern Approach, New York, Wiley & Sons, 1966, p. 130.
-
Vedi la citata ricerca di G. Barile e L. Zanuso, Lavoro femminile e condizione familiare.
-
O. Turrini, Le casalinghe di riserva, Roma, Coines, 1977.
-
Su quanto ciò accresca rigidità e costi della manodopera femminile, cfr. rispettivamente: L. Frey. R. Livraghi, G. Mottura, M. Salvati, Occupazione e sottoccupazione femminile in Italia, in «Quaderni di economia del lavoro», n. 4, 1976; e F. Padoa Schioppa, La forza lavoro femminile, Bologna, Il Mulino, 1977.
-
Cfr. L. Bergonzini, Problemi dell’indagine statistica sull’occupazione occulta e risultati di una ricerca sul doppio lavoro a Bologna, in Società Italiana di Statistica, in Atti della XXIX Riunione Scientifica, voi. I, tomo 1, pp. 189 ss.
-
La ricerca più recente ed esaustiva sul fenomeno del doppio lavoro, con attenzione anche ai poco noti meccanismi della domanda, è quella svolta dall’istituto di Sociologia dell’università di Torino e diretta da L. Gallino: cfr. Lavorare due volte,Torino, Book Store, 1979.
-
Notava già H. Braverman, Lavoro e capitale monopolistico, Torino, Einaudi, 1978, p. 442: «Posticipare l’uscita dalla scuola a un’età media di diciotto anni è diventato indispensabile per mantenere la disoccupazione entro limiti ragionevoli».
-
G. Bonalumi, Relazione introduttiva alla Conferenza nazionale L’occupazione giovanile nell’attuale condizione economica e sociale, indetta dal governo, 3-5 febbraio, 1977, Atti, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1978, p. 19. C. Donolo ha parlato di «prolungamento forzato dell’adolescenza», in Alla ricerca di un lavoro e di un’identità, in «I Consigli», quaderni, suppl. al n. 36, aprile 1977; e B. Beccalli, semplicemente, di «prolungamento dell’adolescenza», in Protesta giovanile e opposizione politica, in «Quaderni piacentini», n. 64, luglio 1977, p. 57. (Ora i due testi sono in Lavorare stanca, cit., alle pp. 117 e 127).
-
Dichiarazione di Luigi, giovane operaio, in «I Consigli», quaderno testé citato: «Io ho cominciato a lavorare non tanto perché non avevo voglia di studiare ma per esigenze familiari, che mi hanno portato per forza al lavoro (a 15 anni)». Potrei dire la stessa cosa. La differenza è che un tempo le due vie si separavano: o scuola, o lavoro. Ora vi sono i giovani che lavoricchiano studiando, e quelli che studiano solamente. A. Asor Rosa, in Sindacato e questione giovanile, Bari, De Donato, 1977, p. 49, ha parlato di «due forze sociali».
-
«La partecipazione al lavoro dei giovani è più largamente diffusa di quanto si ritiene normalmente, ma è caratterizzata da un inserimento spezzonato, con gli elementi di precarietà e temporaneità che spesso sono a dò collegati»: G. De Rita, A. Ferrari, in L’occupazione giovanile nell’attuale condizione economica e sociale, cit., p. 162.
-
La franca definizione è di E. Crea, segretario confederale della CISL, in Giovani e lavoro precario, in «Conquista del lavoro», suppl. al n. 32, 3 settembre 1979.
-
S. Garavini, Sindacato e questione giovanile, cit., p. 23. Più di recente, Garavini ha parlato di offrire ai giovani, «un’alternativa reale a quella spinta all’assistenza e all’emarginazione [...], alla quale non può essere data solo una risposta ideale e morale»: Il successo del sindacato e le vie per consolidarlo, in «Rinascita», n. 29, 27 luglio 1979.
-
Nota giustamente D. Deidda, Perché è fallita la 285, in «Conquiste del lavoro», n. 26, 25 giugno 1979, che l’iniziativa «era rivolta ai disoccupati puri, soggetti in gran parte inesistenti».
-
E. Crea, Giovani e lavoro precario, cit.
-
Ma si è poi dovuto constatare, a partita ormai giocata, che «le masse giovanili scolarizzate si mostrano orientate verso soluzioni lavorative instabili e precarie, piuttosto che disponibili ad una condizione di stabilità assodata all’inserimento in attività declassate, con tempi di lavoro lunghi e non flessibili»: così, per la CISL, E. Crea, op. cit. Per la CGIL, B. Trentin ha parlato della «preferenza ad un’occupazione precaria rispetto ad un lavoro stabile ma dequalificato»: cfr. I lavori del Consiglio generale, in «Rassegna sindacale», n. 38, 18 ottobre 1979, p. 26.
-
Due lavori utili per ricostruire l’esperienza: S. Bruno, Disoccupazione giovanile e azione pubblica, Bologna, Il Mulino, 1978; G. Faustini, L’occupazione giovanile: situazioni e prospettive, in CNEL, Rapporto CNEL sulla manodopera, Roma, 1979, alle pp. 353-435.
-
Vedi «l’armata industriale per i lavori sociali generali» nel programma del comunista evangelico W. Weitling, e l’esercito del lavoro previsto al punto 8 del Manifesto comunista: G. M. Bravo, (a cura di), Il socialismo prima di Marx, Roma, Editori Riuniti, 1966, pp. 269-70; K. Marx, F. Engels, Il manifesto del partito comunista, Torino, Einaudi, 1962, p. 158.
-
K. Marx, Teorie del plusvalore, I, Roma, Editori Riuniti, 1961, p. 367.
-
Avverte comunque R. Alquati, in Università di ceto medio e proletariato intellettuale, cit., p. 30, «Gli operai non sono poi molto operaisti».
-
Cfr. M. Tronti, in Operaismo e centralità operaia, Roma, Editori Riuniti, 1978, p. 23.