Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c6

Domenico Patassini Paesaggio e ambiente: un disegno valutativo incompiuto

Notizie Autori
Domenico Patassini – pianificatore – già professore ordinario di Tecnica e pianificazione urbanistica presso l’Università IUAV di Venezia, svolge ricerche e consulenza professionale in Italia e all’estero. Numerose le sue pubblicazioni in campo urbanistico, pianificatorio, paesaggistico e valutativo. È stato preside della Facoltà di pianificazione IUAV e presidente dell’Associazione italiana di valutazione. È membro ordinario dell’Accademia olimpica di Vicenza. Attualmente segue l’International Track della Scuola di dottorato IUAV in Etiopia, visiting professor in diverse università sui temi della gestione fondiaria e governo delle città africane.
Abstract
Sotto la spinta del degrado ambientale, delle urgenze climatiche e delle crescenti diseguaglianze che connotano la transizione ecologica e digitale, il quadro di riferimento concettuale e metodologico della VAS si sta evolvendo a livello internazionale, accogliendo con maggiore convinzione operativa i concetti di "servizio ecosistemico" assieme alle funzioni di rischio o dei disastri. Verificata l’assoggettabilità dell’azione specifica, le pratiche di VAS dovrebbero orientare progettazione e attuazione di strategie sostenibili rispetto a scenari alternativi. La valutazione strategica opera in domini caratterizzati da obiettivi conflittuali e si può presentare in diverse forme. VP muta con i tipi di paesaggio e con le sue definizioni, ma per le ragioni sopra menzionate è ancora ridotta la sua efficacia nelle pratiche di governo del territorio e deboli i nessi con la VAS. Il concetto di morfotipo rurale, urbano o periurbano è stato introdotto in alcune esperienze di pianificazione paesaggistica. La figura territoriale o di paesaggio è "per costruzione" una forma di interazione che può agevolmente contenere la coppia VAS-VP opportunamente ridefinita. La ridefinizione richiederebbe l’abbandono dell’approccio matriciale e per indicatori di VAS a favore dell’approccio metabolico o per servizi ecosistemici (SE). La prospettiva proposta non può che essere sperimentale, pratica, e i contenuti valutativi della coppia VAS-VP si annunciano di tipo "trasformativo", a forte contenuto politicoculturale. Poiché l’ecologia è metafora delle interazioni fra sistemi politici e ambiente, la sperimentazione proposta tende a far emergere diseguaglianze sociali e responsabilità.

1. Nuove istanze

Sotto la spinta del degrado ambientale, delle urgenze climatiche e delle crescenti diseguaglianze che connotano la transizione ecologica e digitale, il quadro di riferimento concettuale e metodologico della VAS si sta evolvendo a livello internazionale, accogliendo con maggiore convinzione operativa i concetti di «servizio ecosistemico» assieme alle funzioni di rischio o dei disastri [1]
. Queste assunzioni derivano da un sostanziale capovolgimento delle logiche di impatto. Secondo l’approccio «standard», di un progetto, piano, programma o politica si valuta la sostenibilità ambientale. Oggi si tendono a valutare gli effetti sociali ed economici di strategie ambientali di mitigazione, adattamento o risposta. La transizione sta avvenendo a diverse velocità, con inerzie spesso problematiche in Italia, dove valutazione strategica (VAS), di impatto (VIA) e di incidenza ambientale (VINCA) seguono, con scarsa convinzione, il «paradigma» della modernizzazione ecologica o del riformismo liberale [2]
.
VAS e VIA tendono a svolgere funzioni di mero adempimento (se non di esplicita legittimazione di logiche prede{p. 120}finite), lontanissime da istanze trasformative, di institutional design, di policy o di apprendimento che dovrebbero essere alla base di plausibili strategie di sostenibilità e di adattamento [3]
. Come risulta da rapide review, lo stesso adempimento rinvia a pratiche di pianificazione sinottica, regolativa o razional-comprensiva. È nella maggioranza dei casi di tipo seriale, compilativo, di bassa qualità e parziale, per mancata attivazione dei più semplici dispositivi di monitoraggio e di accumulazione di conoscenza.
Nonostante la ricchezza di un quadro regolativo in significativa evoluzione (a partire dalla fine del XIX secolo), la valutazione paesaggistica (VP) in Italia incontra notevoli difficoltà concettuali e operative. Le difficoltà concettuali sono attribuibili alla problematica combinazione di analisi scientifica e rappresentazione figurativa che comporta una discutibile distinzione «fatti-valori». Da un lato, si tende a definire il paesaggio come configurazione «patrimoniale» di componenti ecosistemiche, storico-culturali, insediative, estetiche. In questa accezione le componenti sono contestualmente «rilevabili», utilizzando appropriati strumenti analitici in grado di catturarne le dinamiche spazio-temporali. Fra gli strumenti più utilizzati ricorrono l’ecologia del paesaggio (landscape ecology) e l’ecologia urbana, che studiano le interazioni fra metabolismi naturali e insediativi, le indagini sul patrimonio territoriale di stampo territorialista, le analisi dei caratteri tipo-morfologici degli insediamenti umani, e così via. Dall’altro, si affida alla percezione (in accezione anche immateriale) e alle pratiche analitiche la combinazione delle componenti, la restituzione di immagini e l’attribuzione di valore. In questo caso si va dalle tecniche di generazione di immagini (imageability) di Kevin Lynch e della sua scuola, alle parish map, dalla psicologia sperimentale agli spazi intesi come luoghi della percezione, fino ai «paesaggi cognitivi» e agli spunti sulla «ecologia della mente» di Bateson [4]
.{p. 121}
A ben guardare, la distinzione si trasforma in una sorta di «alternanza» in quanto ogni configurazione viene concepita da pratiche che dilatano o restringono il dominio dei valori. I valori possono essere simbolici, culturali, ambientali, sociali, economici, finanziari e il loro apprezzamento può richiedere analisi comparative, dispositivi comunicativi, tecniche di elicitazione diretta o indiretta, o altri strumenti di indagine. In questa oscillazione emergono con forza le tematiche del confine, dell’appropriazione da parte di produttori e consumatori di paesaggio, dell’incompletezza, con rilevanti effetti etici.
Le difficoltà operative derivano da quelle concettuali appena citate, ma sono anche un portato del modello normativo, in particolare sui versanti tassonomico e autorizzativo (ordinario o semplificato). Le tassonomie si riferiscono a oggetti tutelati o comunque meritevoli di attenzione paesaggistica, ma anche a detrattori, mentre le procedure autorizzative operano (prevalentemente) sulla base di criteri di compatibilità e di impatto (artt. 146 e 149 d.lgs. 42/2004). Le difficoltà operative sono, inoltre, aggravate da una scarsa preparazione culturale e tecnica e da una allarmante «povertà di linguaggio» istituzionale e professionale.
VP non è una sottospecie di VIA, come riportato in certa manualistica. Essa viene impiegata (in modo esplicito o implicito) in diverse attività progettuali, di pianificazione e governo del territorio: nello specifico, in operazioni di design architettonico, infrastrutturale, territoriale o urbanistico, in verifiche di compatibilità e in analisi di impatto. Le dimensioni paesaggistiche (assieme a quelle ambientali) tendono a riscattare la stessa progettazione territoriale e urbanistica, oggi in condizioni particolarmente critiche. Ciò non impedisce che VP possa essere utilizzata in modo indipendente o integrato, in ogni caso con valore vincolante e sovraordinato, almeno in linea di principio. Gli esiti sono tuttavia limitati ad alcune esperienze e debole è la sua forza di orientamento.
VP tende a svolgere un ruolo costruttivo nei piani a contenuto esplicitamente paesaggistico, creando le condizioni per un monitoraggio «progettuale» delle operazioni attuative. Questi piani dovrebbero definire il framework valutativo {p. 122}di tutti gli strumenti «incidenti» nel territorio regionale, compresi piani e progetti non necessariamente regolativi. Alla costruzione di questo framework contribuiscono in maniera sempre più cogente le cosiddette «figure territoriali» o «figure di paesaggio»: «significanti» e «soggetti cognitivi» dotati di stabilità relativa. Le figure sono un sistema di segni, di elementi, dotato di un ordine. Un ordine che emerge da uno sforzo tassonomico ovvero dal modo in cui gli esseri viventi mettono in ordine le cose.
Diverso è il ruolo della valutazione nella predisposizione e attuazione dei piani territoriali a valenza paesaggistica. In questo caso si opera per «ambiti», di dimensione variabile, identificati utilizzando criteri geomorfologici, pedologici, climatici, insediativi, di uso del suolo che, al più, consentono operazioni di attribuzione aggregata. L’ambito diventa «recapito spaziale di obiettivi», rinunciando alla finezza della «figura», alla interazione fra criteri valutativi, ma soprattutto alla possibilità di guardare al territorio con il modello interpretativo che la figura stessa suggerisce. Come vedremo, la figura va oltre la mera identificazione di criteri di pertinenza, rilevanza, non ridondanza e così via. Alla scomposizione che la loro identificazione richiede, la figura contrappone uno sguardo d’insieme, un approccio olistico. Un esempio: per valutare l’efficacia ecosistemica di una barena artificiale nella laguna di Venezia è molto più utile utilizzare il concetto di «morfologia lagunare» per unità funzionali (come indicato dal piano morfologico) che singoli criteri riferiti a idrodinamica, bilancio di sedimenti, presenza di habitat e specie, dinamiche intertidali e così via.
Nonostante se ne discuta da oltre mezzo secolo, soprattutto nei domini dell’ecodesign e dell’ecourbanism frequentati soprattutto dalle culture «occidentali» [5]
, rimangono tentativi e sperimentali gli innesti di VP nella valutazione ambientale ed in particolare nella VAS. Ciò è dovuto a diverse ragioni.{p. 123}
La prima rinvia ad un approccio progettuale che considera «ambiente» e «paesaggio» come sfondi o come elementi «combinatori» da associare volta per volta a modelli di uso o riuso dello spazio fisico. Sui rapporti fra paesaggio e progetto si soffermava già vent’anni fa Franco Zagari [6]
, evidenziando come la definizione di paesaggio, così carica di sfumature, rimanga sfuggente: muti con gli sguardi e le percezioni, dissolvendosi ad ogni tentativo di relazione cognitiva ed emozionale. Per le difficoltà di una sua codificazione ontologica (come «soggetto» piuttosto che come «oggetto») restano finora parziali e inefficaci gli sforzi analitico-valutativi.
La seconda ragione (correlata alla prima) può essere individuata nella mancata codificazione del paesaggio come «matrice» (frame) di riferimento e nella assente cogenza dei piani paesaggistici (a qualunque scala) come strumenti «regolativi» di governo del territorio. Si tratta di due principi basilari che rimangono disattesi, quando non esplicitamente violati o interpretati in modo «singolare» nei diversi contesti regionali [7]
. Alla mancata codificazione può essere attribuita gran parte del «contenzioso sul paesaggio» generato da almeno tre fattori. Il primo riguarda l’imposizione del vincolo e la possibilità che esso venga «impugnato» per discutibili diritti «acquisiti». Il secondo rinvia al diniego della autorizzazione per incompatibilità. Le motivazioni possono essere più o meno pertinenti o complete, ma l’aspetto più interessante è la relazione fra ruolo istituzionale e motivazione. Ad esempio, i pareri della soprintendenza sono a volte molto «asciutti» e per questo ritenuti incompleti, se non pertinenti. La tempistica può essere considerata come terzo fattore. Essa può interferire con la progettazione e l’attuazione de
{p. 124}gli interventi. Imposizione, diniego e tempistiche possono generare danni economici e finanziari da sottoporre a non facile esercizio estimativo. Il contenzioso può nascere anche a seguito di un reato commesso da un soggetto privato ed in particolare quando si impugnano questioni di compatibilità, provvedimenti di sanatoria, entità delle sanzioni. Novità, incertezza e variabilità di procedure e istituti giuridici generano frequenti e costosi contenziosi che esprimono difficoltà nel riconoscere al paesaggio i valori culturali che merita… Oltre a «fare dottrina» (esito incrementale comunque apprezzabile), il contenzioso appesantisce i processi di governo del territorio, sposta l’attenzione dalla conoscenza sostantiva a quella procedurale (proponendo inedite sovrapposizioni e nuove domande tecnico-professionali) e svela una certa vulnerabilità delle amministrazioni locali [8]
.
Note
[1] Il rischio può essere definito come tentativo di attribuzione di una funzione di probabilità all’incertezza: ciò avviene, in genere, comparando scenari di rischio ed evidenziandone le implicazioni. Cfr. A. Pasini, L’equazione dei disastri. Cambiamenti climatici su territori fragili, Torino, Codice, 2020.
[2] Per una sintetica comparazione fra paradigmi o «ideologie», cfr. S. Moroni e D. Patassini (a cura di), Problemi valutativi nel governo del territorio e dell’ambiente, Milano, FrancoAngeli, 2006, pp. 114-119. Per una evoluzione storica del pensiero ecologico cfr. J.-P. Deléage, Storia dell’ecologia. Una scienza dell’uomo e della natura, Napoli, CUEN, 1994 e E. Castanò, Breve storia dell’ecologia, in Id., Ecologia e potere. Un saggio su Murray Bookchin, Milano-Udine, Mimesis, 2011, pp. 137-188.
[3] Una sintetica discussione sull’adattamento è contenuta in D. Patassini, Marginalia. Plausibilità ed efficacia delle teorie dell’adattamento, in «Equilibri. Rivista per lo sviluppo sostenibile», 2022, n. 1-2, pp. 128-160.
[4] G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1977.
[5] La discussione segue percorsi diversi nelle culture africane, asiatiche e nelle culture indigene del continente americano. Per un aggiornamento «occidentale» cfr. A. Magnaghi e O. Marzocca (a cura di), Ecoterritorialismo, Firenze, Firenze University Press, 2023.
[6] F. Zagari, Questo è paesaggio. 48 definizioni, Roma, Mancosu, 2006.
[7] Cfr. V. De Lucia, L’Italia era bellissima. Città e paesaggio nell’Italia repubblicana, Roma, DeriveApprodi, 2022, pp. 112-114. Le offese a questi due principi bloccano qualsiasi ipotesi di riassetto dei poteri in materia di pianificazione del territorio, come ricorda De Lucia, ma non possono essere ignorate dalle ipotesi di riabilitazione della cultura urbanistica, cfr. P.C. Palermo, Il futuro dell’urbanistica post-riformista, Roma, Carocci, 2022.
[8] Per un approfondimento sulle pratiche amministrative locali, cfr. A. Chemin, E. Fontanari e D. Patassini (a cura di), Paesaggi del Canale di Brenta. Osservatorio locale sperimentale. Dossier didattico, Padova, Urban Press, 2012, pp. 30-39. «Il contenzioso va studiato per quello che è, con le analisi del “caso”, sia come frequente manifestazione di ritardo culturale (difficilmente colmabile con escamotage partecipativi), sia come risorsa educativa e di apprendimento collettivo. La ricostruzione e discussione collettiva (nelle sedi proprie) dei “tipi di contenzioso” potrebbe orientare indagini sulla percezione individuale (e istituzionale a.d.a.) del paesaggio e migliorare la comprensione degli stessi modelli cognitivi» (ibidem, p. 34).