Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c21
Natascia Curto Welfare multicentrico e di prossimità
Notizie Autori
Natascia Curto
insegna Metodi e pratiche dell’intervento educativo presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino. Membro del Centro studi per i diritti e la vita indipendente, si occupa di attuazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, sviluppo di approcci emancipatori alla progettazione socio-educativa e processi alternativi all’istituzionalizzazione. È componente dell’editorial board di «Minority Reports. Cultural Disability Studies».
Abstract
Per quanto sia formalizzata con l’inserimento in una struttura residenziale, l’istituzionalizzazione non costituisce un evento puntuale, ma è frutto di processi che si dipanano nel tempo. Per le persone con disabilità i vettori ordinari della partecipazione sociale incappano in barriere. Lungo tutto l’arco della vita, fin dall’infanzia, esse esperiscono contesti non accessibili, modalità di funzionamento attese troppo differenti da quelle tipiche, costi logistici, culturali ed economici della partecipazione molto più elevati rispetto agli altri cittadini. Talvolta le persone con disabilità riescono a resistere al graduale svuotamento della partecipazione sociale. Alla luce del legame tra esiti istituzionalizzanti e inaccessibilità dei contesti, appare evidente che un sistema di welfare orientato al contrasto dell’istituzionalizzazione sia primariamente chiamato a disegnare nei territori nuove direttrici di partecipazione e cittadinanza. È, dunque, obiettivo primario del sistema di welfare innescare meccanismi capaci di contrastare la progressiva differenziazione delle direttrici di inclusione, sostenendo le persone con disabilità nell’accesso sistematico e lungo tutto l’arco della vita alle molteplici dimensioni della cittadinanza. Un nuovo sistema deve dotarsi di meccanismi in grado di supportare le persone ad accedere pienamente al proprio mondo sociale, attuale o desiderato, non come ospiti «accolti» con benevolenza dagli autoctoni della cittadinanza, ma come soggetti pienamente attivi e autorizzati ad agire su di esso. Strettamente legato al tema della negoziazione vi è un elemento centrale del welfare multicentrico: le reti. Un welfare multicentrico e capacitante guarda le reti come reti egocentrate, come reti, cioè, delle persone. Per costruire tale modello di welfare sui territori è necessario dunque partire dalla messa in discussione delle modalità attuali di programmazione e gestione dei servizi; è necessario, cioè, ragionare e agire a un livello più alto rispetto a quello in cui di solito i servizi si ridiscutono quando si parla di deistituzionalizzazione.
1. Contrastare i processi di istituzionalizzazione
1.1. Introduzione: «traiettorie di ricerca»
Questo capitolo si costruisce a
partire dall’osservazione dei processi che convergono a definire le situazioni di
istituzionalizzazione. Tale analisi è frutto di percorsi di ricerca che si pongono
dal punto di vista delle persone con disabilità che attraversano tali processi: ciò
consente di assumere una prospettiva ecosistemica ampia [Canevaro 2013] in grado di
mettere a fuoco gli elementi la cui occorrenza diminuisce la probabilità di essere
istituzionalizzati aumentando, specularmente, quella di praticare la piena
cittadinanza [Beneduce e Taliani 2023]. La prossimità al luogo in cui le pratiche e
i processi definiti dai sistemi organizzativi intersecano le vite, che attraversa
dal punto di vista metodologico tutta la ricerca, consente, infatti, in questo
settore di analisi, di porsi all’intersezione dei diversi assi di discriminazione,
individuarne gli elementi strutturali e trasferire le strategie di contrasto
dall’esperienza individuale a logiche di sistema. Si tratta di uno strumento chiave
per scongiurare il rischio di una modellizzazione parcellizzata, settoriale, magari
accurata ma scarsamente utilizzabile nella complessità del mondo reale.
Il capitolo descrive, a partire
dai processi che conducono all’istituzionalizzazione [Basaglia 1981-1982, vol. I,
459], gli scenari di sistema più efficacemente attivabili in suo contrasto,
declinandoli nel passaggio da servizi a sostegni.
Il punto di partenza è dunque
costituito dal recupero della dimensione sistemica e diacronica
dell’istituzionalizzazione, che fornisce il framework adatto a
individuare strategie di contrasto che non si limitino a una mera politica dei
luoghi, ma siano in grado di considerare il vivere deistituzionalizzato come una
componente strutturale dello status di cittadino [cfr.
Piccione, supra].¶{p. 476}
1.2. Processi che convergono verso l’istituzionalizzazione
Per quanto sia formalizzata con
l’inserimento in una struttura residenziale, l’istituzionalizzazione non costituisce
un evento puntuale, ma è frutto di processi che si dipanano nel tempo. Osservando le
direttrici di inclusione delle persone con disabilità si rileva, infatti, che, già
prima del formale ingresso nel regime esistenziale istituzionalizzato, queste
risultano differenziate rispetto a quelle degli altri cittadini [Marchisio 2018].
Quando l’istituzionalizzazione interviene è come se avvenisse a valle di un
progressivo svuotamento, andando a costituire una sorta di ratifica di uno stato di
esclusione e discriminazione pregresso. Il cambio di luogo dell’abitare,
rappresentato dall’ingresso in struttura, interviene, anche simbolicamente, come
l’ultimo piccolo scivolamento che porta la persona al compimento di un percorso che,
in quel momento, appare come un ineluttabile destino legato alla sua condizione di
disabilità [D’Alonzo 2021].
L’analisi su cui si centra
questo capitolo muove proprio dallo studio di tale progressivo svuotamento,
osservandolo al fine di individuare quali assetti del sistema di welfare possono
contrastarlo.
1.2.1. Dall’inaccessibilità alla mancanza di partecipazione
Per le persone con
disabilità i vettori ordinari della partecipazione sociale incappano in
barriere. Lungo tutto l’arco della vita, fin dall’infanzia, esse esperiscono
contesti non accessibili, modalità di funzionamento attese troppo differenti da
quelle tipiche, costi logistici, culturali ed economici della partecipazione
molto più elevati rispetto agli altri cittadini [Marchisio 2022]. Questa
disparità esita in una sistematica carenza di accesso [Saraceno 2022]: per la
persona e la sua famiglia diviene troppo complicato e costoso perseguire la
partecipazione sociale, culturale, economica e politica nel mondo di tutti. Ogni
qualvolta un evento esistenziale, un ruolo sociale, un’esperienza risultano
inaccessibili dunque, quel frammento di esistenza vede a rischio la possibilità
di configurarsi sulla base di uguaglianza con gli altri.
A tale modalità di
esclusione sia il sistema di servizi organizzato sia i soggetti che intervengono
informalmente tendono a rispondere attraverso due meccanismi principali.
Il primo meccanismo prevede
che, laddove un contesto di vita quotidiano si dimostri inaccessibile,
l’esperienza che in quel contesto si svolge venga sostituita da una artificiale,
speciale, riservata. In questo modo, gradualmente, dalla partecipazione politica
all’abitare, dal lavoro allo sport, la persona con disabilità viene
reindirizzata a praticare ciascuna dimensione della cittadinanza in contesti,
orari, gruppi o situazioni artificialmente co¶{p. 477}struiti e
dedicati («per disabili») [Marchisio 2018]. Ciò tende ad avvenire in modo
capillare e ampiamente trasversale: l’inaccessibilità dei luoghi di svago viene
vicariata dai gruppi di tempo libero; l’istruzione fornita attraverso una
didattica inclusiva viene sostituita dalle lezioni nell’aula H; i mezzi pubblici
inaccessibili vengono surrogati con un trasporto riservato e così per ogni
aspetto: dall’informazione elettorale a quella relativa alla vita sessuale, dal
lavoro alla vita culturale [Medeghini 2015]. A poco a poco, nel corso
dell’esistenza, i contesti in cui le persone con disabilità incontrano barriere
vengono vicariati da altri in cui esse praticano ciascuna esperienza sociale in
maniera «speciale». Tali contesti passano, dunque, dall’avere un oggetto
aspecifico condiviso con gli altri cittadini – divertirsi, imparare, informarsi,
fare sport – a un assetto disabilità-specifico, in cui le condizioni
dell’esperienza sono differenti: i ruoli, le regole di ingaggio, i profili
personali e sociali di chi partecipa ai contesti «per disabili», infatti, non
sono quelli esperiti dal resto della cittadinanza. Le persone con disabilità, in
questo modo, vengono gradualmente spinte a praticare l’esistenza, a incontrare
le direttrici della cittadinanza, a vivere la quotidianità in
framework relazionali e culturali circoscritti e
divergenti rispetto a quelli praticati dal resto della popolazione.
Questo non è neutro sotto
diversi profili, ma impatta in modo particolarmente consistente in termini di
spinta all’istituzionalizzazione in tre aree.
In primo luogo, le
declinazioni dell’esperienza in contesti disabilità-specifici riconfigurano
continuamente il significato dell’esistenza delle persone che vi vengono
indirizzate: si tratta di un messaggio pervasivo e persistente, che impatta dal
punto di vista identitario e sociale comunicando ripetutamente a quella persona
– e alla sua famiglia – che la menomazione costituisce l’elemento primario della
sua vita, l’aspetto principale in base a cui declinare ogni esperienza e ogni
scelta, qualcosa in grado di orientare e circoscrivere il suo orizzonte
esistenziale [Medeghini et al. 2013]. Questo contribuisce
anche a plasmare le aspettative della persona, e della sua famiglia, su di sé e
sul proprio futuro: modella desideri e aspirazioni, circoscrive, anche
nell’immaginario presente e futuro, lo spazio delle opportunità possibili.
Congruentemente, il reindirizzamento a contesti
disability-based per ogni aspetto della vita tende a
normalizzare il fatto che essa si dipani in contesti speciali, che la
quotidianità si sviluppi entro un set di opportunità definite, circoscritte e
costruite sulla base dalla condizione di disabilità. Si tratta di una dinamica
socio-relazionale che spinge verso l’istituzionalizzazione poiché inizia in modo
precocissimo a costruirne una piattaforma di accettabilità. Se l’esistenza della
persona con disabilità viene ridotta alla frequenza di un sistema di luoghi
speciali, l’istituzionalizzazione – soprattutto nelle sue forme contemporanee, a
cui si riferisce Tarantino [2023] con la nozione di «istituzioni totaloidi» –
non fa che aggregare questi contesti speciali e
disability-based in un unico luogo
¶{p. 478}fisico, aggiungendo visibilità allo stato di carenza di
libertà, ma intervenendo su una conformazione esistenziale già ampiamente
istituzionalizzata.
In secondo luogo, praticare
la partecipazione in contesti artificiali tende a modellare le reti informali,
che proprio nei contesti sociali si costruiscono [Curto e Marchisio 2022]. Ciò
impatta sia sulla loro composizione sia sulle tipologie di legami che le
compongono.
Per quanto attiene al primo
aspetto, a mano a mano che i contesti di partecipazione a cui la persona viene
indirizzata si restringono a quelli disabilità-specifici le relazioni paritarie
vengono intessute prevalentemente con altre persone con disabilità. Questo
costituisce una criticità sotto il profilo dell’utilizzabilità delle reti come
sistema di espansione delle opportunità: dal momento che le persone con
disabilità appartengono a una popolazione discriminata [Gale e Bolzan 2013], le
cui opportunità sociali sono contratte, la promozione di reti prevalentemente
interne esita in una riduzione delle opportunità complessive che quella rete può
scambiarsi. Da un contatto per cercare lavoro all’ospitalità sul divano di un
amico in caso di emergenza, una restrizione artificiale delle reti finisce per
impattare sulla possibilità che le persone con disabilità hanno di fruire di
quel substrato di supporti informali che tutti gli adulti che vivono inclusi
hanno a disposizione [Overmars-Marx et al. 2014].
Parallelamente, per quanto
attiene alle tipologie di legami che si sviluppano nei contesti speciali di
partecipazione, esse tendono a modellarsi attorno a una corrispondenza rigida
tra la presenza della disabilità nell’esistenza di una persona e il ruolo che
essa ha nella situazione. Nei contesti disabilità-specifici, infatti, le persone
senza disabilità sono coinvolte in ruoli caratterizzati da asimmetria: il
volontario, l’operatore, l’aiutante. Anche se questa asimmetria è variamente
graduata, e spesso si declina in modalità relazionali altamente informali, ciò
non elimina la persistenza della partizione a monte, della corrispondenza
condizione-ruolo e della disparità di potere strutturale che ne deriva. Tale
modellamento delle reti tende a cristallizzarsi in modo particolarmente diffuso
nelle esistenze delle persone in quanto si rivela coerente e con un substrato
culturale che vede con diffidenza i rapporti alla pari tra persone con
disabilità e senza disabilità [Marchisio et al. 2017]. Ci
si tornerà più avanti parlando di sfondo integratore: la considerazione delle
componenti culturali che intervengono nei processi di istituzionalizzazione
costituisce una delle direttrici operative cruciali per la costruzione di
alternative di sistema [cfr. Zuttion, supra].
Da ultimo, la sostituzione
dei contesti inaccessibili con esperienze disabilità-specifiche contribuisce
anche a plasmare il modo in cui gli altri cittadini di ogni comunità
concepiscono la partecipazione delle persone con disabilità. La presenza nei
contesti sociali delle persone con disabilità finisce per evocare
sistematicamente dimensioni di gruppo (spesso, ancora
¶{p. 479}oggi, in gruppi aggregati per diagnosi), per essere
ricondotta a spazi e tempi riservati e speciali. Ne esita uno scenario in cui,
quando le persone con disabilità non sono assenti dallo spazio sociale, vi sono
presenti in quanto disabili, spesso aggregate secondo direttrici
depersonalizzanti, raramente visibili nella globalità e nella specificità di
ciascuna esistenza individuale.
Questo processo, insieme
alle modalità asimmetriche di conformazione delle reti descritte prima, rafforza
un persistere della partizione dello spazio sociale tra persone con disabilità e
persone senza disabilità che tende a ridurre l’ampiezza delle opportunità
esistenziali di queste ultime e a normalizzare la divergenza delle direttrici di
inclusione di cui l’istituzionalizzazione non è che l’esito ultimo e più
visibile.
Il secondo meccanismo di
risposta all’inaccessibilità dei contesti agisce per sottrazione: lo spazio di
partecipazione sociale che è risultato inaccessibile non viene neppure
sostituito da un’esperienza speciale, ma resta vacante. Le relazioni amicali
costruite durante la scuola si interrompono e non vengono sostituite, il tempo
che era dedicato all’apprendimento al termine dell’età dell’obbligo resta vuoto,
quando la fatica di frequentare contesti di svago inaccessibili diventa troppa
si smette di farlo, episodi reiterati di discriminazione al seggio elettorale,
al lavoro, in viaggio fanno sì che la persona smetta di desiderare di ripetere
quell’esperienza: la dimensione di partecipazione viene catalogata come
impossibile da praticare per quella persona e, magari dopo qualche tentativo,
scompare.
Anche questo fenomeno è
evidentemente correlato con l’istituzionalizzazione che, non a caso, viene a
volte rappresentata come un’alternativa socialmente ricca rispetto a una vita di
esclusione e solitudine. Laddove l’esistenza è completamente svuotata da ogni
dimensione e opportunità di cittadinanza, infatti, questo apre le porte
all’ammissibilità dell’istituzionalizzazione come alternativa all’abbandono.
Nell’ambito di questo
svuotamento, una situazione abbastanza diffusa da rendere opportuno citarla è
quella in cui alcune tra le esperienze sociali di cui alla persona con
disabilità viene negata la fruizione vengono sostituite dalla famiglia. Non è
infrequente osservare i familiari, spesso i genitori, che si spendono in modo
atipico rispetto alla fascia d’età del figlio per consentirgli di vivere
esperienze sociali che per le persone senza disabilità avvengono in reti
extrafamiliari: un concerto, una vacanza, studiare insieme, partecipare agli
eventi della comunità, andare a votare, persino cercare qualcuno con cui avere
esperienze sessuali. Si tratta di una modalità sostitutiva che, a lungo andare,
risulta faticosa per tutti i partecipanti. Tale modalità è esplicitamente
stigmatizzata dagli operatori e dai servizi socio-educativi, che la adducono
frequentemente alla supposta iperprotettività delle famiglie, ma in realtà
costituisce un comportamento ampiamente atteso dal sistema di cui i servizi
fanno parte. Attualmente, infatti, il paradigma cosiddetto del «Dopo di noi»
assume come un dato
¶{p. 480}di fatto che, fino al momento del
venire meno dei genitori, l’esistenza della persona con disabilità resti
prevalentemente confinata all’interno della famiglia nucleare [Colleoni 2006].
La modalità stessa dell’attivazione delle misure di sostegno si fonda su questo
assunto, prevedendo l’accesso nel momento in cui la famiglia si avvicina a «non
farcela più», o persino al momento in cui uno dei genitori muore o si ammala
gravemente. Si tratta di un’aspettativa sociale di compressione che è un noto
effetto collaterale del welfare familistico e che costituisce un punto enorme di
divergenza rispetto alle esistenze delle persone senza disabilità.
Note